sabato 28 gennaio 2012

Federali_sera_28.1.12. Quando Fini e’ da qualche parte, e’ perche’ ce l’hanno mandato.---Mi sembra di capire che il Portogallo ha ormai superato il Rubicone, almeno nelle valutazioni dei mercati. A questo punto, un accordo sull'haircut della Grecia può allontanare la paura per un default disordinato in Europa ma può diventare un modello per il Portogallo su come gestire il proprio debito. Non sarebbe certo una buona notizia per gli investitori, afferma Gary Jenkins, direttore della Swordfish Research di Londra.

Fini a Potenza «Un unico contratto contro la precarietà»
Per gli investitori Lisbona seguirà Atene
Omissione di soccorso all’italiana
Ticino. Da Avetrana alla Concordia, la realtà diventa un set



Fini a Potenza «Un unico contratto contro la precarietà»
POTENZA – “Nel dibattito sulla riforma del mondo del lavoro si sta parlando troppo della fase finale ovvero il licenziamento e troppo poco di quella iniziale: cancelliamo tutti i contratti a termine che creano precarietà e flessibilità esasperate per introdurre un contratto unico a tempo indeterminato con la possibilità per le imprese, se le cose vanno male, di licenziare”: lo ha detto a Potenza il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo al congresso regionale di Fli.
“Mi auguro – ha continuato il leader di Fli – che il dibattito in Parlamento e con le parti sociali possa proseguire su questa strada e che si vada avanti con la riforma del mercato del lavoro”. Il presidente della Camera ha poi sottolineato che “l'attuale legislazione non tiene conto della realtà del mondo del lavoro”. Secondo Fini “il reale problema non è sull'articolo 18 o sui licenziamenti facili, per i quali ovviamente siamo contrari, ma è il dramma degli imprenditori che non assumono più i giovani”.
LA RIFORMA ELETTORALE, UN DOVERE
“La riforma della legge elettorale è un dovere nei confronti degli italiani perchè adesso non si possono difendere norme che impediscono ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti”: è stato questo uno dei passaggi dell’intervento del leader di Fli, Gianfranco Fini, fatto a Potenza in occasione del congresso regionale del partito. Fini ha poi spiegato che “la logica delle liste bloccate ha determinato profondi guasti, poichè gli eletti non guardano più alle necessità degli elettori ma agli obblighi nei confronti di chi fa le liste, creando ancora più distacco tra la politica e il Paese reale”. Secondo il presidente della Camera, “questa è una priorità” a cui si aggiunge “la necessità che la politica dia l’esempio e riduca i suoi costi: non mi piace il termine 'costi della politicà ma qui parliamo del costo degli apparati, dal Parlamento agli enti locali, non solo delle indennità pochè si tratta di un costo troppo alto ma soprattutto – ha concluso – di un numero abnorme di chi rappresenta e decide”.
FEDERALISMO TOTEM SBRICIOLATO
“Oggi è necessario riflettere sul federalismo in modo meno 'epidermicò, poichè il totem secondo cui un’Italia federale porta migliori servizi e minor fiscalità si è sbriciolato davanti al problema di trasferire maggiori risorse agli enti locali”, ha sottolineato il presidente della Camera evidenziando che “non si possono più recitare i mantra sul federalismo senza riflettere sui dati dei trasferimenti statali e delle minori risorse”. “Io non temo per l’unità della Repubblica – ha aggiunto il leader di Fli – poichè, eccetto qualche delirio secessionista, temo per la coesione sociale di questo Paese e per i conflitti generazionali”.
UN PATTO-PROGETTO PER RISOLLEVARE L'ITALIA
Per uscire dalla crisi, “serve un patto repubblicano per la crescita nei prossimi anni”, una sorta di “progetto Italia 2020 tra politica e forze sociali per la ripresa del Paese”. Lo ha detto in mattinata il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, in un incontro con imprenditori e sindacalisti a Potenza, nella sede di Confindustria. “Bisogna sottrarre alcuni temi allo scontro politico, tra cui gli investimenti pubblici nella ricerca e nella qualità della produzione industriale”.
Fini ha aggiunto che “la politica non deve dimenticare l’assunzione di responsabilità fatta dopo la caduta del Governo Berlusconi”. Il Presidente della Camera ha più volte evidenziato che non si tratta di auspicare “durate e cadute dei Governi o coalizioni più o meno allargate”, ma “condividere alcune questioni di interesse nazionale”. Il leader di Fli ha spiegato che si tratta di “puntare sulla ricerca con pesanti investimenti pubblici, sulla qualità della produzione industriale, su un patto generazionale e sulla meritocrazia: questa è la sfida più difficile della politica perchè fino a questo momento – ha concluso – è stato un ritornello a cui non sono seguite politiche coerenti”.

Per gli investitori Lisbona seguirà Atene
Luca Veronese
 I mercati scommettono contro il Portogallo. Per gli investitori Lisbona sarà presto costretta a chiedere nuovi prestiti internazionali e prima o poi dovrà arrivare a rinegoziare i termini del suo debito, con una ristrutturazione ordinata che prenderà a modello l'operazione che si sta definendo in queste ore per la Grecia.
 Ieri i rendimenti dei titoli decennali portoghesi sono saliti oltre il 15% e il differenziale con i bund tedeschi ha superato il 13% per la prima volta dalla nascita dell'euro. Livelli record anche per i credit default swap sul debito lusitano che hanno toccato i 1.458 punti base: assicurare per cinque anni contro l'insolvenza 10 milioni di euro emesso dal Tesoro portoghese costa 1,458 milioni all'anno, un valore che implica una probabilità di default superiore al 70 per cento.
 «Sul Portogallo si concentrano ora le maggiori pressioni perché - dice Alessandro Giansanti, rate strategist di Ing Bank Nv - è considerato dagli investitori il Paese con la più alta probabilità di arrivare all'haircut dopo la Grecia. Con un taglio sul valore nominale dei titoli del debito pubblico che potrebbe aggirarsi intorno al 40%».
 Per i mercati Lisbona per evitare una crisi di liquidità prima di dichiarare bancarotta sarà costretta a chiedere altri aiuti internazionali, in aggiunta ai 78 miliardi di euro già ricevuti con il salvataggio del maggio scorso. «Se osserviamo i livelli raggiunti dai tassi è impossibile credere che il Portogallo avrà accesso al mercato del debito nel 2013», sostiene Nikolaos Panigirtzoglou, rate strategist di JPMorgan.
 L'economia è tornata in recessione e non è solo il Governo a faticare nel trovare risorse, i rischi vengono anche dal debito accumulato dalle famiglie (pari al 106% del Pil, il doppio rispetto alla Grecia) e dalle imprese (153% del Pil). Oltre che dalla fragilità del sistema bancario (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).
 «Il Portogallo viene da dieci anni nei quali ha avuto una crescita debole, con un contributo limitato della domanda interna. Quest'anno ci aspettiamo una contrazione del Pil vicina al 4%, molto più accentuata quindi di quella stimata dal Fondo Monetario. Gli obiettivi di deficit fissati per il 2011 inoltre sono stati centrati solo grazie a misure straordinarie: sarà molto probabile un ulteriore pesante intervento sulle finanze pubbliche. Il Paese ha bisogno di riforme strutturali e privatizzazioni», spiega Fabio Fois, European economist di Barclays Capital.
 È il Portogallo oggi la breccia attraverso la quale l'Europa viene attaccata mentre ancora a Bruxelles si sta discutendo su quali meccanismi di difesa adottare. Due settimane fa anche Standard&Poor's, come avevano già fatto anche le altre grandi agenzie di rating, ha tagliato il giudizio sul debito portoghese fino al livello di spazzatura: da lì è iniziata l'ondata violenta di vendite. Gli investitori si disfano dei titoli portoghesi, mentre hanno ricominciato a comprare titoli del debito pubblico italiano: ieri i future sui Btp hanno affiancato i bund nei movimenti al rialzo. Per la Spagna lo spread diminuisce. Ieri i rendimenti dei titoli decennali di Lisbona hanno doppiato il 7,3% dei bond emessi dall'Irlanda. Il premier portoghese, Pedro Passos Coelho, si appella all'Europa chiedendo «in questa fase di rischio sistemico», «un meccanismo che eviti il contagio dalla crisi greca». Ma non vuole cedere: «Non chiederemo più tempo, né più soldi» ripete confermando un rigido piano di austerity per ridurre il deficit dal 5,9% del 2011 al 4,5% del Pil quest'anno. Per il leader degli industriali portoghesi, Antonio Saraiva, è invece necessario un nuovo prestito: «Abbiamo una crisi di liquidità - dice - e ci servono altri 30 miliardi di euro. Dobbiamo negoziarli».
 La Grecia dunque potrebbe non restare «un caso isolato», come si ostinano a sostenere Angela Merkel e soprattutto Nicolas Sarkozy. «Mi sembra di capire che il Portogallo ha ormai superato il Rubicone, almeno nelle valutazioni dei mercati. A questo punto, un accordo sull'haircut della Grecia può allontanare la paura per un default disordinato in Europa ma può diventare un modello per il Portogallo su come gestire il proprio debito. Non sarebbe certo una buona notizia per gli investitori», afferma Gary Jenkins, direttore della Swordfish Research di Londra.

Omissione di soccorso all’italiana
di Jan Fleischhauer – 28 gennaio 2012
Pubblicato in: Germania
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Già a scuola impariamo che il carattere nazionale è un’invenzione del passato e che gli stereotipi sulle nazioni sono un’idea antiquata. Ma è davvero così? Riflessioni anacronistiche sull’odissea di un capitano italiano.
Siamo sinceri: qualcuno si è meravigliato che il capitano coinvolto nella tragedia della Costa Concordia fosse italiano? Qualcuno riesce ad immaginare che un capitano tedesco o, meglio ancora, uno britannico avrebbero potuto compiere una tale manovra, comprensiva di omissione di soccorso?
Un personaggio così lo si conosce in vacanza al mare. E’ un uomo dalle azioni plateali e che gesticola mentre parla. In linea di massima si dimostra innocuo, ma non lo si dovrebbe fare avvicinare troppo ai macchinari pesanti. Fare “bella figura” si chiama lo sport nazionale italiano che consiste nel dare una buona impressione di sé. Anche Francesco Schettino voleva fare bella figura, ma si è trovato in mezzo uno scoglio.
D’accordo, questa era una mossa davvero scorretta. Abbiamo da tempo perso l’abitudine di mobilitare stereotipi culturali nei giudizi espressi nei confronti dei nostri vicini. E’ considerato un modo retrogrado o, peggio ancora, razzista (anche se, tanto per rimanere in tema, non è del tutto chiaro fino a che punto l’italianità possa già di per sé costituire una razza).
Il carattere nazionale è un po’ come le disparità fra i sessi. Anche se sono state abolite da tempo, nella vita quotidiana ci andiamo a sbattere continuamente contro. Basta trascorrere un solo pomeriggio all’asilo per mettere in discussione tutto ciò che la pedagogia illuminata ci ha insegnato sulla costruzione sociale del genere maschile e femminile. Effettivamente c’è tutto un mercato clandestino che campa in maniera più che discreta sulla differenza tra Marte e Venere e su come affrontarla. A tale istruzione per l’uso fa da pendant la guida turistica che ci introduce nelle caratteristiche proprie, e quindi nella tipicità, di una cultura straniera.
In qualche modo, almeno mediaticamente, continua a nascondersi in noi l’unno
Sono soprattutto i tedeschi ad avere un problema con le attribuzioni culturali. Per esempio gli inglesi ci considerano da sempre non particolarmente dotati di senso dell’umorismo, nonostante anni di satira e cabaret di artisti importanti come Mario Barth, o Achtung Kabarett, Hagen Rether. I francesi, invece, prendono in giro la cucina britannica e i belgi la presunta avarizia degli olandesi.
Noi conosciamo il carattere nazionale solo in senso negativo, come autoaccusa. Appena saltano fuori da qualche parte un paio di ragazzi che sbraitano stupidità, imperversa sulla stampa il sociologo ed esperto in conflitti Wilhelm Heitmeyer, e spiega perchè la pace sociale sia in pericolo (“situazione esplosiva”) e che incombe una ricaduta.
In un modo o nell’altro, fino ad oggi è rimasto in noi l’unno che aspetta solo di tornare a battersi. E stranamente funziona sempre.
Non occorre scomodare la genetica, per arrivare alla conclusione che le nazioni si distinguono tra loro. Esistono infatti motivi climatici e anche la lingua ha la sua importanza. Normalmente questo è secondario, ma nessuna politica dovrebbe basarsi sulla considerazione che le frontiere conservano il loro significato solo in senso figurato. Cosa può succedere quando per motivi politici si trascura la psicologia dei popoli, lo evidenzia la crisi monetaria, che in questi giorni abbiamo perso di vista solo perchè “l’uomo nel castello” ha accentrato tutta l’attenzione su di sé. Lo scoglio davanti alla nave qui sono i tassi d’interesse del mercato.
Difetto congenito dell’euro? La camicia di forza per culture diverse
Se ora dappertutto si parla delle diverse capacità di prestazione dei paesi, allora questo è un modo pulito per affermare che alcuni stereotipi hanno, invece, la loro fondatezza. Il difetto congenito dell’euro è stato racchiudere così tante diverse culture economiche nella camicia di forza di un’unica moneta. Per riconoscere che la cosa non poteva funzionare non era necessario aver studiato economia politica, sarebbe bastata una visita a Napoli o nel Peloponneso. Adesso si cerca disperatamente una soluzione. La risposta della cancelliera è che tutti diventino come noi. Si vedrà come andrà a finire.
Le nazioni possono cambiare. Questa, volendo, è la consolazione. Gli italiani duemila anni fa dominavano su un impero che si estendeva dall’Inghilterra all’Africa. I tedeschi, nel frattempo, hanno difficoltà a garantire il traffico ferroviario quando c’è troppa neve e ghiaccio. Talvolta ci vuole, infatti, molto tempo per sfatare alcuni stereotipi. A volte più di una generazione.
[Articolo originale "Italienische Fahrerflucht" di Jan Fleischhauer]

Ticino. Da Avetrana alla Concordia, la realtà diventa un set
di Matteo Caratti - 01/28/2012
L’Isola del Giglio come Avetrana.
La casa degli orrori e la nave da crociera trasformati in luoghi di macabro pellegrinaggio.
La casa dei Misseri, nella quale si è consumato l’assassinio della nipote/cugina, nelle settimane successive al ritrovamento del cadavere di Sarah Scazzi, è diventata luogo da visitare, persino in modo organizzato coi torpedoni durante i fine settimana.
In queste ore taluni non disdegnano neppure di scattarsi foto con sullo sfondo il relitto semisommerso della Costa Concordia, la nave che ancora trattiene nel suo lussuoso scafo (è bene ricordarlo!) decine di morti!
Ma che bisogno c’è di andare a vedere, magari anche toccare, un’anonima casa ad Avetrana, o di farsi ritrarre in foto con la navebara incagliata sullo sfondo?
Probabilmente, ipotizziamo, a spingere taluni sono la noia o la banalità della normalità.
La Tv e l’online ci marciano e ci mostrano ormai di tutto e di più: il plastico della casa o il modellino della nave; le animazioni con le ipotesi di chi avrebbe fatto cosa, si ripropongono persino le voci delle conversazioni telefoniche fra il comandante e la capitaneria di porto; si ricostruiscono i momenti e le posizioni grazie ai tabulati telefonici, per non parlare degli esperti di ogni genere che prendono dottamente la parola sezionando e risezionando questo o quel particolare. Persino gli sguardi, le affermazioni spavalde o i dubbi vengono proposti, riascoltati, commentati anche alla Tv.
Tutto ciò sta lentamente entrando a far parte della nostra quotidianità: sui siti che ripropongono foto e filmati inediti e le Tv che fanno a gara per ricostruire gli attimi decisivi. A tal punto che certi abili giornalisti sembrano saperne di più degli inquirenti e, quando la magistratura, o una delle parti coinvolte nelle varie vicende, consegna anche solo un fotogramma dell’inchiesta, una perizia, un verbale, ecco partire subito un nuovo servizio, una nuova trasmissione.
Tutto ’sto po’ po’ di circo mediatico (tanto, troppo e anche di cattivo gusto) sembra ormai entrato nelle abitudini. Allora non stupiamoci se qualcuno – sulla spinta di cotanta pubblicità, senza rendersi conto che per certi luoghi il rispetto è d’obbligo – arriva persino a scattarsi una foto sul luogo dell’orrore!
Un luogo ormai simile a un set cinematografico. Realtà e finzione vengono sovrapposte e rimescolate. La voglia (folle) di essere là e sentirsi protagonisti contagia menti che non distinguono più le diverse dimensioni. Come se la vita vera fosse un film. Così, invece che l’autografo del grande attore, agli amici si mostrerà la fotografia del luogo diventato per un attimo della storia umana luogo non più anonimo, ma parte di una memoria collettiva che dura lo spazio di un momento. L’effimero domina, l’istante ipermediatizzato diventa importante. L’importante diventa irrilevante.
Che cosa sta affondando con tutto ciò? Davvero solo una nave da crociera?
Il Titanic, sulla soglia del Novecento, è assurto a simbolo della sicurezza tecnologica stragarantita che in realtà non c’è e a simbolo del progresso dai piedi d’argilla.
La Concordia? Forse il simbolo della concordia che non c’è più, nel senso etimologico. Dei cuori di telespettatori, navigatori e anche turisti sul posto che guardano, ‘zappano’, fotografano luoghi di dolore, per poi chiudere, spegnere e dormire. The end.

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