martedì 31 gennaio 2012

Federali_sera_31.1.12. Colpevoli, per la stampa Galbanino: krukki svizzeri meridionali lusitani greci spagnoli e fra poco anche i francesi. Ma la verita’ e’: 1. Svizzera, Salvatore Cantale a domanda di Ram Etwareea: In Italia, lo Stato e i sindacati hanno sempre protetto le professioni per scopi elettorali. La crisi economica e sociale che ci sta colpendo è il risultato di una politica conservatrice vecchia di cinquant’anni. La mancanza di concorrenza ha ucciso gli investimenti, lo spirito d’impresa e l’innovazione. Molti italiani hanno creduto che bastasse far parte dell’UE per sentirsi al riparo da crisi economicche e sociali. Ma non abbiamo fatto nulla per adattarci..---2. Befera lo dice chiaro e forte: Tanti politici cavalcano le proteste contro di noi, per difendere chi evade. Vuole i nomi? Gliene dico due, a caso. Bossi a Pontida, la scorsa estate, se lo ricorda? E Alberto Goffi dell'Udc, avvocato con studio a Torino, che sulla propaganda anti-Equitalia ha costruito la sua campagna elettorale. Ma sono tanti, dentro e fuori dal Parlamento. Un altro esempio: il presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, noto evasore, che ancora domenica a Cordenons ha sparato a zero contro di noi.---3. O. Luigi Scalfaro aveva capito prima degli altri il padanismo tracimante.---4. Alcun paese europeo si salva dal default con il 30% di disoccupazione giovanile ed un indice di Gini come quello italiano.

L'UNIONE SARDA - Economia: I terreni agricoli vanno all'asta
Gli italiani hanno pensato che bastasse far parte dell’UE per essere al riparo da crisi economiche
Crisi: Ue, raggiunto nuovo accordo a 25
A Lisbona tassi da default
Titoli di Stato in «ostaggio» di Lisbona e stallo Ue
L'elefante in cristalleria
Crisi, Vertice Ue: il fondo Esm sarà operativo da luglio
"Un piano anti-evasione di primavera maxi controlli sulle dichiarazioni"
Grecia: il valore delle case in caduta libera
Lavoro, boom di disoccupazione tra i giovani. Germania ai minimi storici al 6,7%



L'UNIONE SARDA - Economia: I terreni agricoli vanno all'asta
31.01.2012
DISMISSIONI. Per Coldiretti Sardegna sono 128 mila gli ettari di terreno “vendibili” nell'Isola.
Comprare nuove aree, specie per i giovani, diventa più facile.
Non fosse che i prestiti a famiglie e imprese vengono concessi col contagocce, per i giovani imprenditori agricoli la cessione dei terreni pubblici sarebbe l'occasione delle occasioni. L'articolo 66 del decreto liberalizzazioni ha infatti riscritto la norma prevista nella legge di stabilità sulla dismissione del patrimonio agricolo.
CESSIONI SÌ, FOTOVOLTAICO “NÌ” Una delle più importanti novità riguarda il vincolo per 20 anni all'uso agricolo dei terreni dismessi e la riduzione a 100 mila euro (da 400 mila) della soglia per la trattativa privata. Ovvero: gli appezzamenti di valore superiore ai 100 mila euro saranno messi all'asta, con diritto di prelazione per i giovani agricoltori. Non solo: l'operazione di individuazione dei terreni da dismettere viene resa periodica e gli stessi agricoltori potranno segnalare appezzamenti al cui acquisto sono interessati. Altre due importanti novità riguardano gli incentivi statali agli impianti solari fotovoltaici a terra nei campi, cancellati, e quelli per gli impianti montati sulle serre (la corsa al fotovoltaico aveva fatto lievitare i prezzi dei terreni), decisamente potenziati.
COSÌ IL PUBBLICO SUI CAMPI Lo “Stato agricoltore” è proprietario, in Italia, di 338 mila ettari di terreni agricoli, gestiti attraverso amministrazioni ed enti pubblici, per un valore stimato di oltre 6 miliardi di euro. In Sardegna, secondo un'elaborazione Coldiretti, l'azionista pubblico ha in portafoglio 128 mila ettari per un valore di circa 600 milioni (calcolato stimando un valore a ettaro che va dai 4 ai 9 mila a ettaro).
LA RICHIESTA DI COLDIRETTI Numeri che fanno gola. Allo Stato, che punta a fare cassa e agli stessi agricoltori, a patto che, spiega il presidente di Coldiretti Sardegna, Marco Scalas, «siano messi nelle condizioni di comprare». Il riferimento, che quando si tratta di prestiti vale per l'agricoltura come per altri comparti economici, è alla tendenza delle banche a stringere la cinghia del credito. «Una banca - continua Scalas - difficilmente dà a un giovane un prestito sufficiente senza garanzie». Da qui la richiesta dell'associazione di un «apposito Fondo». Un esempio, gli fa eco il direttore di Coldiretti Sardegna, Luca Saba, potrebbe essere quello dei «consorzi fidi che già esistono in agricoltura: la Regione finanzia il fondo di garanzia destinato ai giovani che acquistano i terreni ceduti dallo Stato». Emanuela Zoncu

Gli italiani hanno pensato che bastasse far parte dell’UE per essere al riparo da crisi economiche
di Ram Etwareea  – 31 gennaio 2012
Pubblicato in: Svizzera
[Articolo originale "Les Italiens ont pensé qu’il suffisait de faire partie de l’UE pour être à l’abri de crises économiques" di Ram Etwareea ]
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Salvatore Cantale, docente di finanza alla IMD [International Institut for Management Development, N.d.T.] di Losanna, fa un’analisi obiettiva e super partes della crisi economica e sociale che sta colpendo l’Italia
L’Italia è in pieno fermento. Il governo di transizione si sta dando da fare per portare a termine la ristrutturazione economica ed il risanamento del bilancio statale. Sommerso da un gravoso indebitamento, lo Stato cerca gli strumenti per ridurre le spese ed aumentare le entrate con un nuovo piano di riforme che doveva essere varato venerdì scorso. Salvatore Cantale, docente alla IMD, fa un’analisi dei fatti.
Lei è stato in Italia di recente? Che atmosfera si respira laggiù, tre mesi dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi e l’insediamento al vertice del paese di un governo ad interim?
 Sono stato in Sicilia a Natale, dove ho trascorso due settimane con la mia famiglia. Laggiu’ la gente è arrabbiata ma allo stesso tempo rassegnata, è preoccupata di quello che sta accadendo in Italia e sa che sarà difficile rimettere in carreggiata il paese. Si rende conto che la recessione sta prendendo piede. Ho anche notato un sentimento di abbandono al proprio destino, lo stesso che ho rilevato recentemente in Grecia. Ma allo stesso tempo, gli italiani si aspettano che i responsabili politici indichino la via da seguire. Ciò non vuol dire che abbiano fiducia in loro, ma sono coscienti che non possono fare nulla in prima persona. Questo comportamento è ben diverso da quello che prevale negli Stati Uniti, dove la gente si domanda cosa può fare per uscire da questa difficile situazione. In Italia, come in Europa, le persone si affidano ai politi, anche se questi non godono di alcun credito. In Sicilia un giovane diplomato su due è disoccupato.
Quale eredità ha lasciato all’Italia Silvio Berlusconi?
 Tutti gli indicatori economici – crescita, disoccupazione, deficit statale, debito pubblico – sono in uno stato peggiore rispetto a venti anni fa. Non siamo neanche più competitivi. Le piccole e medie imprese, motore dell’economia italiana, non hanno più la stessa vitalità. Il mondo degli affari non si identificava più in lui, si è sentito tradito. Quando è entrato in politica, Silvio Berlusconi, a capo di un impero immobiliare e mediatico, veniva considerato come l’esempio dell’uomo di successo. Aveva posto fine a decenni di governi precari. Sul piano politico però, l’epoca Berlusconi ci hanno fatto perdere la fiducia nella classe politica.
In queste circostanze, Mario Monti, il primo ministro a capo del governo in attesa delle elezioni politiche del 2013, è arrivato come un salvatore …
 Certamente dà speranza. Gli italiani pensano che Mario Monti e il suo governo di professori non siano al potere per trarre vantaggi personali. L’ho gia’ conosciuto: è una persona che ispira fiducia. Temo però che la speranza venga delusa. Gli italiani non hanno ancora idea delle sofferenze che dovranno subire nei prossimi tre-cinque anni. La cura a base di tagli adottata dal governo è senza precedenti. Il suo obiettivo è di risparmiare 20 miliardi di euro e raggiungere il pareggio in bilancio nel 2013. Sarà difficile, ma se vogliamo meritarci il posto all’interno del G7, questa è la via da seguire.
Dobbiamo temere crisi sociali a causa del programma di austerità?
 Gli italiani dovranno tirare la cinghia e fare sacrifici. Guardate ad esempio le manifestazioni dei liberi professionisti (tassisti, avvocati, notai) che si oppongono all’apertura del loro settore alla libera concorrenza. La liberalizzazione permetterà l’accesso [nel mondo del lavoro] a più persone, ma ridurrà i loro profitti. Quando si tratta della teoria tutti sono d’accordo a prendere provvedimenti, ma quando vengono toccati personalmente, non ci stanno. In Italia, lo Stato e i sindacati hanno sempre protetto le professioni per scopi elettorali. La crisi economica e sociale che ci sta colpendo è il risultato di una politica conservatrice vecchia di cinquant’anni. La mancanza di concorrenza ha ucciso gli investimenti, lo spirito d’impresa e l’innovazione. Molti italiani hanno creduto che bastasse far parte dell’UE per sentirsi al riparo da crisi economicche e sociali. Ma non abbiamo fatto nulla per adattarci. Per esempio, gli italiani non conoscono le lingue straniere. Oggi non sono in grado di approfittare dell’apertura del mercato del lavoro all’interno dell’UE, ma criticano quelli che vengono a lavorare a casa nostra. Il lavoro, come fattore di produzione è fermo. Gli italiani pensano che saranno sempre al centro del mondo.
Qual è il margine di manovra di cui dispone il governo Monti?
 Ha fatto approvare alcune leggi che mirano a riassestare il bilancio statale, in particolare aumentando le imposte e tagliando le spese. Per il futuro, propone di liberalizzare alcune professioni. Vorrebbe anche privatizzare alcune aziende statali, per esempio il servizio bancario delle Poste, l’energia e le autostrade. Personalmente penso che non abbia alcun margine di manovra nei confronti dell’UE. Non ha alcun potere di trattativa con Angela Merkel e Sarkozy, che sono i pezzi massimi dell’economia europea. Chiede inutilmente che la Germania s’impegni maggiormente per fare abbassare i tassi di interesse che l’Italia deve pagare per rifinanziarsi sul mercato. Molti italiani, ma anche molti greci, hanno l’impressione che la Francia e la Germania vogliano soprattutto salvare le proprie banche, molto esposte al debito italiano e greco.
Mario Monti avrebbe potuto usare questa leva per spingere la Germania a una maggiore solidarietà. Avrebbe dovuto utilizzare lo spettro della caduta dell’euro e spingere i governanti europei ad agire, per esempio emettendo degli euro bond e aiutando i paesi in difficoltà. Mario Monti avrebbe potuto anche chiedere alla Germania di ammorbidire la propria posizione sul ruolo della BCE nella crisi del debito. Berlino si oppone all’acquisto da parte della BCE del debito sovrano dei paesi della zona euro. In base alla dichiarazione stessa dei dirigenti, l’Europa poteva fare a meno della Grecia, ma non dell’Italia.
Non c’è alternativa all’austerità?
 Non dico di essere d’accordo su tutte le misure che obbligano la popolazione a continuare a tirare la cinghia, ma abbiamo bisogno di crescita. Non solo, bisogna che sia solida. Un tasso di crescita del 2% nei prossimi due anni non risolve nulla. Si può anche usare l’arma dell’inflazione per fare abbassare l’indebitamento, ma questa soluzione è inaccettabile per la Germania. È anche contraria al primo compito della BCE, che è il controllo dell’inflazione. In realtà non credo che le misure prese dal governo Monti condurranno ad una sferzata al consumo, a creare posti di lavoro e rilanciare l’economia e, senza crescita, le entrate statali diminuiscono. In breve, la prospettiva è un circolo vizioso. È desolante vedere che i rimedi che vengono applicati all’Italia sono già stati sperimentati senza risultato in Grecia. Non abbiamo imparato nulla da quello che è accaduto nella penisola ellenica.
Mario Monti non può aspettare una solidarietà europea per uscire da questa difficile situazione?
 E’ stupendo avere una persona rispettabile a capo del governo; ma è più importante avere un capo che possa decidere in prima persona se la situazione lo esige, e Mario Monti non lo è. Lui mira a nuovi finanziamenti a tassi accettabili, ma così non va. La settimana scorsa abbiamo festeggiato troppo il fatto che l’Italia ha incassato 4 miliardi di euro, visto che gli interessi erano arrivati a quasi l’8 percento annuo. A questi tassi i finanziatori si faranno avanti senza tanti problemi, tanto più perché sanno che i buoni emessi sono garantiti dallo Stato o dal Fondo Europeo di Stabilità Economica. Sappiamo che la sola idea che un paese come l’Italia possa fallire fa tremare le istituzioni finanziarie europee. A titolo d’esempio, la compagnia assicuratrice tedesca Allianz possiede 28,6 miliardi di crediti italiani.
Come può L’Italia rilanciare la propria crescita?
 Non abbiamo bisogno di investimenti per pagare stipendi di lavori inutili. Tali stipendi devono essere piuttosto indirizzati alla produzione di ciò che i consumatori vogliono e chiedono. Tuttavia il clima non è favorevole. La burocrazia ha ucciso l’imprenditoria italiana. Negli Stati Uniti un’azienda impiega sette anni per entrare in borsa, da noi ce ne vogliono 40! Abbiamo bisogno di spinte alla crescita come [è stato fatto] in Cina, in India e negli altri paesi emergenti. Da noi, quando un giovane prende un’iniziativa, che non va a buon fine, tutti lo prendono in giro. Negli Stati Uniti non c’è da vergognarsi se non si fa centro al primo colpo. Da questo punto di vista la cultura italiana è intollerabile.

Crisi: Ue, raggiunto nuovo accordo a 25
Monti riceve oggi a Parigi il premio 'Europeo dell'anno'
31 gennaio, 06:50
(ANSA) - ROMA, 31 GEN - L'Ue raggiunge l'accordo su bilancio e crescita: un nuovo patto a 25 senza Gran Bretagna e Repubblica Ceca, con l'Italia che evita la stretta sul debito. Soddisfatto il premier Monti, che oggi a Parigi riceverà un premio come 'Europeo dell'anno'. E la stampa europea sostituisce l'acronimo 'Merkozy' con 'Merconti'. La Borsa di Tokyo apre incerta: pesano le divisioni sulla Grecia.

A Lisbona tassi da default
Luca Veronese
 Continua la lenta discesa del Portogallo verso il default. Un nuovo pacchetto di aiuti internazionali (dopo i 78 miliardi dello scorso maggio) sembra ormai inevitabile e i mercati ormai scommettono con decisione su una ristrutturazione del debito che coinvolgerà in modo significativo le banche: per gli investitori il destino di Lisbona è segnato e basta guardare a quanto successo ad Atene per capire cosa succederà nei prossimi mesi.
 Ieri il rendimento sui titoli decennali del debito portoghese è salito fino al 17,25%, dieci punti in più rispetto a quella che nell'Eurozona è considerata la soglia del non ritorno, il limite oltre il quale un Paese è ormai destinato alla bancarotta. Il differenziale rispetto ai bund tedeschi con la stessa scadenza si è allargato fino a toccare il 15,45 per cento. I tassi sui titoli a cinque anni sono balzati al 23,35%, un livello mai raggiunto nei dodici anni di euro. E per i bond con scadenza a due anni i rendimenti sono arrivati al anche al 21,47% con un incremento di oltre 200 punti in un solo giorno.
 L'inversione delle curve dei rendimenti evidenzia i timori per l'avvicinarsi della bancarotta che si sono manifestati soprattutto dopo che due settimane fa anche Standard & Poor's, come avevano fatto anche Moody's e Fitch, ha abbassato il giudizio sul debito lusitano sotto il livello junk, spazzatura. Ieri solo l'intervento della Bce sul secondario - come hanno confermato all'agenzia Bloomberg tre fonti vicine all'Eurotower - ha evitato che la situazione diventasse ancora più grave.
 «Il coinvolgimento del settore privato in qualche genere di rinegoziazione del debito portoghese è un evento considerato molto probabile», dice Jim Cielinski, di Threadneedle Asset Management, da Londra. «La preoccupazione del mercato è che la soluzione che si dovrà raggiungere sulla Grecia possa diventare un modello da seguire anche per le difficoltà che stanno attraversando altri Paesi, a cominciare dal Portogallo», spiega Gary Jenkins, di Swordfish Research. Già si comincia a stimare l'entità del «prossimo inevitabile» haircut: se per la Grecia si discute di un haircut vicino al 70%, in Portogallo gli analisti indicano un «livello minimo del 30-40% per il taglio del valore nominale dei titoli pubblici».
 I credit default swap su Lisbona sono ai massimi di sempre: il Portogallo è secondo solo alla Grecia nel mondo per costi di assicurazione contro la bancarotta. A seguire nel rischio di bancarotta ci sono Venezuela e Ucraina. Coprire per cinque anni contro il rischio default dieci milioni di euro, in titoli emessi dal Tesoro portoghese, costa 4,25 milioni all'inizio del contratto, ai quali si devono aggiungere 100mila euro all'anno. Un valore che implica una probabilità di default per Lisbona superiore al 72 per cento.
 Il Portogallo è in recessione: dopo dieci anni di crescita molto lenta, nel 2012 il Fondo monetario prevede una contrazione del Pil intorno al 3%, ma il crollo dell'economia potrebbe essere anche più pesante, quasi del 4% nelle stime degli esperti di Barclays Capital. Ha un debito pubblico pari al 116% del Pil e nel 2011 è riuscito a centrare l'obiettivo di deficit al 5,9% concordato con Bruxelles e con l'Fmi, ma lo ha fatto con una manovra straordinaria che ha trasferito i fondi pensione del settore bancario al sistema previdenziale nazionale.
 «Se per ragioni esterne che non hanno a che vedere con l'impegno del Governo a rispettare i programmi, il Portogallo non sarà in condizioni di tornare sul mercato nel 2013 come previsto, il Fondo monetario e l'Unione europea continueranno a sostenerci», ha detto il premier Pedro Passos Coelho dopo aver a lungo negato la necessità di un nuovo salvataggio internazionale.

Titoli di Stato in «ostaggio» di Lisbona e stallo Ue
Non era facile collocare 7,5 miliardi di titoli di Stato a cinque e dieci anni nel giorno in cui il dramma greco, la crisi portoghese e l'incertezza sul summit europeo facevano crollare le Borse e salire lo spread BTp-Bund fino a quota 430. Prima dell'asta più di un operatore ha temuto che il Tesoro non riuscisse a trovare abbastanza acquirenti per un ammontare così rilevante di BTp. Ma alla fine l'Italia ce l'ha fatta. La domanda è stata sufficiente. E i rendimenti dei BTp sono scesi rispetto alle ultime aste.
Tutto bene, dunque? Per nulla: non è possibile che ogni collocamento di titoli di Stato sia un viaggio verso l'ignoto. Non è possibile che gli umori della politica interna in Germania, le elezioni presidenziali in Francia, le trattative in Grecia, gli squilibri in Portogallo o gli innumerevoli summit europei diventino ogni giorno una roulette russa per Stati come l'Italia e la Spagna. Se i Paesi più deboli devono fare la loro parte, l'Europa deve fare la sua.
I tassi d'interesse elevati che l'Italia è costretta a pagare quando colloca titoli di Stato sono ovviamente causati dai problemi italiani: a partire da quel debito pubblico da oltre 1.900 miliardi di euro. Ma non è questa l'unica causa: l'Italia è sotto il tiro della speculazione da mesi anche perché, dalla gestione del caso-Grecia in poi, l'Europa ha dimostrato un'indecisione imbarazzante. Di progressi ce ne sono stati, certo, ma sono sempre stati insufficienti e sono sempre arrivati troppo tardi rispetto alle esigenze.
Il caso di ieri è emblematico. I capi di Stato a Bruxelles hanno varato il nuovo fondo salva-Stati permanente e il «patto fiscale». Un anno fa sarebbe stato un successo, ma oggi - con la Grecia in bilico e il Portogallo che desta troppe incertezze - quanto è stato deciso ieri non basta più. Non basta negli importi, non basta nel merito. Non serve un economista per capire che occorre più Europa per salvare l'Europa: il conto di questa crisi va pagato da tutti. Perché tutti, chi con eccesso di rigore chi con eccesso di finanza allegra, sono responsabili della crisi. Caricarlo solamente sulle spalle di chi è in crisi è ingiusto oltre che controproducente.
 31 gennaio 2012

L'elefante in cristalleria
 di Adriana Cerretelli
 «Perché non (ci?) vendono Rodi e le isole per ripagarsi il debito?». Era il 3 marzo 2010, la crisi greca era ancora agli inizi ma la Germania era già, fortissimamente, sul piede di guerra. Così la «Bild» non esitava a sparare quel titolo in prima pagina, riportando le dichiarazioni di un deputato tedesco. Creando immediato scalpore in Europa. E indignazione in Grecia.
Più o meno dopo due anni, dopo che esitazioni e temporeggiamenti elettoralistici tedeschi hanno permesso a un problema pari al 2% del Pil dell'eurozona di contagiare l'intera area, dopo che l'intreccio tra banche tedesche e debiti sovrani greci hanno comunque costretto Berlino a intervenire finanziariamente, Angela Merkel si è fatta precedere al vertice europeo di ieri da una proposta che, questa volta, punta senza mezzi termini all'esproprio tout court della sovranità nazionale della Grecia sulla politica di bilancio, da affidare direttamente a un commissario Ue. Non è la prima volta, né probabilmente sarà l'ultima, che la Germania della Merkel si comporta in Europa come un elefante in cristalleria.
Farlo però nel giorno in cui 26 su 27 capi di Governo dell'Unione sono chiamati ad approvare il "fiscal compact", cioè il patto che imporrà in modo vincolante controlli stringenti e sanzioni semi-automatiche ai Paesi che deviassero dal pareggio di bilancio o dalle nuove regole sui ritmi di riduzione del debito, appare decisamente una mossa spericolata.
 Perché il nuovo patto europeo blinda in un nuovo Trattato qualcosa che assomiglia fin troppo alla cessione di sovranità nazionali sulle leve di spesa, di fatto alla graduale germanizzazione delle politiche di bilancio dell'eurozona e non. E perché, con questi chiari di luna, l'intempestivo annuncio di una volontà di commissariamento della Grecia ricorda molto quel "dire a nuora perché suocera intenda".
 Di sicuro così l'hanno interpretata molti leader europei: non solo e non tanto i mediterranei, il grande bersaglio tedesco, che hanno taciuto (greco escluso), quanto gli altri, i virtuosi della tripla A o giù di li, che l'hanno bocciata come «inaccettabile», «offensiva» o «pericolosa per la democrazia». Parole, nell'ordine, del premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, del cancelliere austriaco Werner Fayman, della danese Helle Thorning-Schmidt. Dalla parte di Berlino si sono schierati soltanto i primi ministri svedese e finlandese. Pochi. Tanto che alla fine la Merkel ha attutito i toni.
 Nessuno nega che Europa ed euro in crisi e nell'anticamera di una nuova recessione abbiano bisogno di più integrazione delle politiche macroeconomiche e di bilancio come di una graduale iniezione di virtù tedesche. Nessuno nega nemmeno che la Grecia troppo spesso latiti nel rispettare gli impegni presi. Da qui ad azzerare però le sovranità nazionali in nome di una stabilità economico-finanziaria europea che azzeri anche futuri rischi di esborsi di solidarietà ai Paesi più vulnerabili, decisamente ce ne corre. Non a caso la levata di scudi ieri è stata generale con rare eccezioni.
 Sì, perché la Merkel castigamatti piace molto ai Paesi sani del Nord se, con la sua ferrea disciplina, li garantisce contro costose instabilità nel Sud dell'euro. Non se esonda dentro i propri confini, minacciando la sovranità e la tenuta dei principi fondamentali delle rispettive democrazie.
 Senza una solida sponda del Nord, la Germania non è in grado di imporre brutali espropri a nessuno: non al club mediterraneo e forse nemmeno alla Grecia. Però è in grado, ancora una volta, di fare molti danni. In un momento in cui i mercati appaiono relativamente pacificati, la sortita della Merkel eccita i nazionalismi insieme ai fantasmi della politica deteriore che l'integrazione europea aveva esorcizzato. E che ora rischiano di portare nuova destabilizzazione.
 «Chiunque costringa la gente a scegliere tra assistenza finanziaria e dignità nazionale ignora una delle lezioni fondamentali della storia», ha dichiarato Evangelos Venizelos, il ministro delle Finanze greco, evocando tra le righe l'occupazione nazista del suo Paese.
 Pessimo servizio alla Germania del dopoguerra. Pessimo perché altri non l'hanno detto ma di sicuro l'hanno pensato. Pessimo perché la schiacciante maggioranza (72%) degli irlandesi vuole ratificare per referendum il "fiscal compact" con tutti i rischi del caso. Favorevoli e contrari per ora sono spaccati quasi a metà (40% contro 36%) ma ci vuole molto meno dei progetti tedeschi per spostarne gli umori in negativo.
 Pessimo perché già prima dello scivolone del cancelliere, il Belgio di Elio di Rupo aveva respinto con forza «le intrusioni europee nella politica di bilancio quando noi non lo facciamo in casa d'altri». Pessimo perché ieri la Repubblica Ceca ha detto no alla firma del fiscal compact. Pessimo, infine, perché neanche la Germania è senza macchia: per esempio è uno dei pochissimi (con l'Austria) a non avere ancora trasposto nel proprio ordinamento la direttiva europea sulla liberalizzazione dei servizi, un settore che incide per oltre il 70% nel Pil europeo, sottraendo così ai partner, con il suo protezionismo, un notevole potenziale di crescita in questi tempi di magra. Già, perché il recupero di stabilità non passa solo per il rigore: senza una frustata allo sviluppo rischia di rivelarsi un esercizio sterile. E anche pericoloso.
 31 gennaio 2012

Crisi, Vertice Ue: il fondo Esm sarà operativo da luglio
Raggiunta l’intesa tra i capi di Stato e di Governo, riuniti oggi a Bruxelles, sulla nascita già a luglio di quest’anno del fondo salva-Stati permanente Esm, prevista in origine per gennaio 2013. L’European stability mechanism sostituirà l’attuale fondo provvisorio Efsf e potrà finanziare gli Stati europei in crisi fino a 500 miliardi. Da quanto si apprende dal vertice di oggi, il nuovo Trattato che dovrà disciplinare il funzionamento del fondo sarà tuttavia firmato più avanti.
Una nascita anticipata. Inizialmente il fondo salva Stati doveva nascere a gennaio 2013, ma il rischio default della Grecia, le barcollanti situazioni di Paesi iberici e Italia e il conseguente indebolimento dell’Eurozona hanno spinto la Germania a fare pressioni sui partner Ue per anticipare l’adozione di un più incisivo e permanente meccanismo di difesa dell’euro contro la crisi dei debiti sovrani.
Pressing sulla Grecia. Le trattative con la Grecia, dopo che in questi ultimi giorni si è nuovamente parlato di ristrutturazione del debito, vanno avanti anche a Bruxelles, dove, a vertice Ue terminato, ha fatto sapere la cancelliera tedesca Angela Merkel, si è tenuto un incontro  tra il premier greco Lucas Papademos, il presidente della Bce Mario Draghi, il presidente della Commissione Ue José Barroso, dell'Ue Herman van Rompuy e il commissario agli affari economici Olli Rehn. Il presidente della Commissione Barroso, alla conferenza finale del vertice Ue, ha chiesto alla Grecia di lavorare per raggiungere un accordo globale "nei prossimi giorni".
M.N.

"Un piano anti-evasione di primavera maxi controlli sulle dichiarazioni"
"Dopo Cortina e Milano, scandaglieremo ancora il Nord. Poi toccherà al Centro-Sud". Il direttore dell'Agenzia delle entrate Befera illustra la nuova strategia di recupero fiscale: "Grazie all'ultima manovra,abbiamo accesso diretto ai conti correnti bancari". E dice: "C'è una fuga di massa dei capitali verso la Svizzera"
di MASSIMO GIANNINI
"LA LOTTA all'evasione è uno sforzo titanico, ma comincia a dare i suoi frutti. Nel 2011 abbiamo recuperato 11,6 miliardi. Ora, con il controllo dei conti bancari, può partire la grande svolta di primavera". Lo annuncia Attilio Befera, che guida Equitalia e Agenzia delle Entrate.
"Per noi è un risultato eccellente, se si considera che avevamo recuperato 9 miliardi nel 2009 e 10,5 miliardi nel 2010". L'uomo più blandito, temuto e contestato del momento tira dunque le prime somme. Nella guerra delle tasse, ciclica in un Paese che "produce" ogni anno 120 miliardi di evasione e 250 miliardi di sommerso, guida una sorta di pool anti-evasione. Un esercito di circa 30 mila uomini, che ogni giorno combatte un nemico temibile, e spesso invisibile.
Dal suo quartier generale, all'ottavo piano della sede di Via Cristoforo Colombo, Befera annuncia: "Ormai siamo in grado di verificare la posizione di tutti i contribuenti. Dopo le dichiarazioni dei redditi di giugno scatterà un'operazione di controlli "massivi". La vera lotta agli evasori può cominciare davvero".

PRIMA CORTINA E MILANO, ORA IL CENTRO-SUD
Con il clamoroso blitz di Cortina, poi ripetuto su scala ancora più vasta nella Milano da bere dei Navigli, c'è stato un oggettivo salto di qualità nella gestione del contrasto agli evasori fiscali e nella percezione del fenomeno presso l'opinione pubblica. "Guardi - premette Befera - noi di controlli analoghi ne  abbiamo sempre fatti. Certo, adesso c'è un'attenzione diversa presso la politica, e una sensibilità maggiore presso i cittadini".
Le politiche di rigore finanziario imposte dal governo Monti, i sacrifici pesanti richiesti anche ai più deboli, la crisi economica che morde i portafogli, l'esplosione intollerabile delle disuguaglianze. Tutto questo riporta la questione fiscale al centro del discorso pubblico. "L'Italia è un Paese in cui è mancata per molti, troppi anni una cultura della legalità fiscale. Cortina, con quel 300% in più di scontrini emessi in un solo giorno, è solo un esempio, ma gliene potrei citare quanti ne vuole. A Milano abbiamo trovato di tutto, tra i 115 esercizi che abbiamo controllato. In 33 locali c'erano lavoratori in nero. Poi scontrini non rilasciati, studi di settore falsificati, con esercenti che dichiaravano quattro tavoli all'aperto e invece ne avevano 40. Il 30% di irregolarità, tra bar, ristoranti e soprattutto discoteche. In una di queste ci hanno addirittura bloccato all'ingresso, mentre uno dei titolari faceva scappare dal retro clienti e dipendenti".
L'evasione, sostiene Befera, è "una piaga sociale ed economica" che infetta l'intero sistema: il cittadino che non paga le tasse danneggia quello che le paga, l'impresa che non versa l'Iva fa concorrenza scorretta nei confronti di quella che la versa. È "pane avvelenato", come dice Monti, che i padri regalano ai propri figli. Dunque ci riguarda tutti. Ora che il divario tra i redditi cresce, e che lo Stato chiede lacrime e sangue soprattutto ai "soliti noti", la lotta contro questa piaga diventa un'arma decisiva.
"Per questo - aggiunge Befera - controlli a tappeto come quelli di Cortina o di Milano fanno tanto rumore. Non siamo noi che spettacolarizziamo le nostre operazioni. Sono i giornali che ne scrivono e i cittadini che giustamente si indignano, quando vedono intorno a loro tanta infedeltà fiscale". Il pool anti-evasione ha deciso di cogliere l'attimo. "Ci siamo accorti che l'effetto deterrenza comincia a funzionare. L'idea che i controlli possano scattare in ogni momento spinge i contribuenti ad una maggiore onestà fiscale. Per questo andremo avanti, rafforzando gli interventi sul territorio".
Continueranno a scandagliare il Nord, poi toccherà al Centro-Sud. Perché - come dice Befera - "finché fa freddo si va nelle stazioni invernali, quando arriva il caldo si passa alle località balneari".

CAPITALI IN FUGA VERSO LA SVIZZERA
La nuova stagione di interventismo fiscale, se conforta gli onesti, allarma i disonesti. Dietro le quinte dei colpi ad effetto dei funzionari delle Entrate, degli ispettori Inps e dei militari delle Fiamme Gialle, si agita lo spettro della cara, vecchia "lotta di classe".
Probi contro furbi, poveri contro ricchi. Le generalizzazioni non aiutano. Meno che mai le criminalizzazioni a senso unico: gli autonomi sono tutti cattivi i dipendenti sono tutti buoni. Mezze sciocchezze. O mezze verità, che fa lo stesso. Ma è vero che ci sono categorie che possono sottrarsi più e meglio di altre. Ed è ancora più vero, perché lo dice il capo del pool anti-evasione, che di fronte ai blitz ci sono categorie già "in fuga", a scanso di equivoci e di pericoli.
A fine 2011 almeno 11 miliardi sono stati esportati illegalmente all'estero. Sono tornati i famigerati spalloni: negli ultimi tre mesi dell'anno i sequestri di valuta ai valichi di frontiera sono aumentati di oltre il 50%. Le esportazioni di lingotti d'oro verso la Confederazione elvetica è cresciuta tra il 30 e il 40%. "Il flusso in uscita di capitali e di beni pregiati, dall'inizio di gennaio, è in aumento esponenziale", conferma Befera. Che avverte: "Alcune banche svizzere hanno cominciato ad affittare le cassette di sicurezza dei grandi alberghi, perché non sono in grado di esaudire l'abnorme quantità di richieste che hanno dai clienti italiani".

MIGLIORA LA "COMPLIANCE"
A destra si parla a sproposito di "stato di polizia tributaria". Di "cittadini vessati e ridotti a sudditi". Gli uomini di Equitalia vengono bollati come "strozzini". Le sue sedi sono bersagliate da minacce e micro-attentati. Certo, di eccessi da parte degli uffici ce ne sono stati. Qualche forma di accanimento terapeutico si è notata. Ma nulla può giustificare la violenza.
Befera è preoccupato, anche se nota un parziale miglioramento del clima: "Siamo servitori dello Stato, facciamo il nostro dovere in base ai compiti che ci assegna la legge. Trattiamo 14 milioni di accertamenti l'anno, e su questi finora abbiamo commesso un migliaio di errori. Li stiamo correggendo. Sono state modificate le norme sull'aggio, trasformato in rimborso-spese dal decreto Salva-Italia. Stiamo ampliando il regime delle rateizzazioni, che riguardano 1,6 milioni di contribuenti per un ammontare di 16 miliardi, alzando da 5 a 15 mila euro il limite al di sotto del quale si può dilazionare il proprio debito fiscale. Siamo andati a parlare con le associazioni più in difficoltà, per esempio in Sardegna, dove c'è il dramma del Sulcis, la chiusura dell'Alcoa, il problema dei pastori. Ci chiedono di non incassare le imposte, ma noi questo non possiamo farlo. Se lo facessimo in Sardegna, poi ce lo chiederebbero anche in Sicilia, in Calabria, in Piemonte dove soffre l'indotto Fiat. Si pretende che Equitalia diventi un gigantesco ammortizzatore sociale: questo è inaccettabile, perché i nostri compiti sono altri".
Il lavoro del "pool" non si può fermare. Dà buoni frutti anche nella cosiddetta compliance, cioè il livello di correttezza complessiva dei comportamenti tributari. "Noi abbiamo poco più di 30 mila persone - chiarisce Befera - e dobbiamo controllare 5 milioni di partite Iva (contro 1,5 milioni in Germania), 3,5 milioni di lavoratori autonomi, 900 mila esercizi commerciali. Recuperiamo 11,6 miliardi su 120. Non potremo mai azzerare tutta l'evasione. Il nostro obiettivo, quindi, è alzare in modo strutturale l'asticella della fedeltà fiscale. Dobbiamo convincere il maggior numero di contribuenti a pagare stabilmente più tasse di quante non ne abbiano pagate finora. Le posso anticipare che da qualche mese, anche sotto questo profilo, abbiamo registrato un miglioramento incoraggiante. La compliance è in aumento. Per noi è un motivo in più per continuare con la strategia adottata finora".

IL "PARTITO DEGLI EVASORI"
Come in ogni guerra, anche quella contro l'evasione ha molti nemici. Non solo i furbetti dello scontrino. Ma anche lobbisti da Transatlantico e parlamentari di complemento. Il "partito degli evasori" è ovunque. Befera lo dice chiaro e forte: "Tanti politici cavalcano le proteste contro di noi, per difendere chi evade. Vuole i nomi? Gliene dico due, a caso. Bossi a Pontida, la scorsa estate, se lo ricorda? E Alberto Goffi dell'Udc, avvocato con studio a Torino, che sulla propaganda anti-Equitalia ha costruito la sua campagna elettorale. Ma sono tanti, dentro e fuori dal Parlamento. Un altro esempio: il presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, noto evasore, che ancora domenica a Cordenons ha sparato a zero contro di noi. E poi diversi personaggi dello spettacolo, che ci attaccano in teatro e in tv: gente che, guarda caso, ha conti in sospeso con l'Amministrazione finanziaria. Ma andiamo avanti per la nostra strada, come ci impone la legge e coi poteri che la legge ci ha dato".
Il berlusconismo è finito. Dopo gli anni dei condoni e degli scudi fiscali, il pool anti-evasione sente di avere finalmente uno Stato alle sue spalle. Befera lo riconosce: "Con il governo Monti il clima nel Paese è in effetti mutato. La presa di posizione del presidente del Consiglio, così netta e solidale nei nostri confronti, è il segno più tangibile di questo cambiamento. La lotta all'evasione è tornata ad essere una priorità politica, oltre che un'emergenza sociale. Soprattutto di questo abbiamo bisogno. Non di nuove leggi, non di altri mezzi. Gli uomini che abbiamo ci bastano: dobbiamo solo poterne assumere quando serve, in deroga al blocco del turn over. Abbiamo sostituito da poco 12 mila dipendenti, per raggiunti limiti di età, con 8 mila nuovi giovani, preparatissimi. Le premesse per un ulteriore salto di qualità ci sono tutte".

LA "GRANDE SVOLTA DI PRIMAVERA"
Gli uffici sono al lavoro. Il Grande Fratello fiscale prepara una massiccia crociata contro gli infedeli. "L'ultima manovra del governo contiene un driver formidabile per la lotta all'evasione. Ora l'Agenzia delle Entrate ha accesso diretto ai conti correnti bancari. L'archivio dei depositi da consultare ai fini fiscali lo aveva inventato Visco nel '96: il Parlamento lo ha bloccato per 15 anni, ora Monti l'ha finalmente sbloccato. Per far partire la raccolta dei dati manca solo l'ultimo provvedimento attuativo, che vareremo nei prossimi giorni d'intesa con il Garante della Privacy. Grazie al sistema informatico "Serpico" abbiamo l'incrocio con tutti i dati possibili, dalle dichiarazioni Inps ai dati del registro delle imprese. Nel frattempo, stiamo mettendo a punto gli ultimi aggiornamenti al redditometro, che saranno pronti entro fine febbraio. A quel punto, potrà partire la "grande svolta di primavera": in contemporanea con le dichiarazioni dei redditi di maggio e di giugno, partirà un'operazione di controlli massivi su tutte le posizioni sospette".
Rischiano anche gli esportatori di capitali. Dice Befera: "La prova della verità saranno i saldi dei conti correnti: se all'inizio dell'anno un contribuente sospetto ha un deposito da un milione di euro, che a fine anno diventa di 1.000 euro, noi possiamo chiedergli che fine hanno fatto quei soldi".
 Insomma, a sentire il "comandante in capo", la vera guerra all'evasione comincia solo adesso. E non farà prigionieri. In tutte le democrazie occidentali funziona così. È ora che anche sulla questione fiscale l'Italia diventi un paese normale.
(31 gennaio 2012)

Grecia: il valore delle case in caduta libera
Previsto per quest'anno un ulteriore calo dal 10 al 15%
31 gennaio, 09:17
(di Furio Morroni) - (ANSAmed) - ATENE, 31 GEN - La crisi economica che da oltre tre anni attanaglia la Grecia si sta facendo sentire pesantemente anche sul mercato immobiliare.
Sulla base delle transazioni effettuate nel settore lo scorso anno (considerato sinora come il peggiore) gli esperti ritengono che i prezzi delle abitazioni di proprieta', sia vecchie sia nuove, abbiano subito un decremento fra il 20 e il 30%.
 Secondo Leftris Potamianos, titolare dell'agenzia immobiliare "Cerca e Trova" di Atene e tesoriere dell'associazione agenti immobiliari di Atene e dell'Attica, il calo dei prezzi riguarda in particolare le transazioni effettuate tramite le agenzie immobiliari.
 "Mentre i prezzi delle richieste erano circa il 10 o il 15% inferiori rispetto a quelli degli anni precedenti, i prezzi finali sono stati spesso abbassati di un altro 10% a seguito delle trattive", ha spiegato Potamianos al quotidiano ateniese Kathimerini. Tuttavia, secondo l'agente immobiliare, il calo più significativo si e' registrato per le vecchie proprietà, dove in alcuni casi le urgenti esigenze finanziarie di coloro che vendevano hanno costituito la forza trainante della transazione.
 Sul lato opposto del mercato, il numero delle transazioni riguardanti le nuove proprietà realizzate dalle imprese di costruzione l'anno scorso e' stato minimo, anche se maggior parte delle aziende edili, soprattutto nel quarto trimestre dell'anno, ha mostrato qualche segnale di leggera ripresa dopo che i costruttori hanno ridotto le loro richieste iniziali.
 Nel complesso, tuttavia, si stima che lo scorso anno il totale delle transazioni in tutto il Paese sia diminuito del 50% rispetto all'anno prima a seguito di comprensibili esitazioni dei compratori, di capacità di spesa più basse e del rifiuto delle banche di concedere mutui in netto contrasto con la generosa politica seguita negli anni precedenti.
 I fattori appena elencati non dovrebbero cambiare per l'anno in corso, dato che le prossime settimane dovrebbero essere cruciali in termini di destino economico della Grecia. Nel caso di un esito positivo, secondo gli esperti, potrebbe manifestarsi una stabilizzazione dei prezzi a partire dalla seconda metà del 2012, sebbene anche questo scenario sembra più un pio desiderio che una prospettiva realistica. In ogni caso, i prezzi sono destinati a scendere ancora nella prima meta' di quest'anno, con un ulteriore calo fra il 10 e il 15% in meno rispetto al 2011.
Di conseguenza, i potenziali acquirenti che dispongono di liquidita' avranno la possibilità di acquistare proprietà residenziali a prezzi notevolmente inferiori rispetto a quelli del 2008.
 Tuttavia, come gli esperti del mercato sottolineano, anche le nuove misure varate dal governo non solo per tassare le abitazioni ma anche per aumentare le rendite catastali hanno inferto un duro colpo al mercato immobiliare. "E' inconcepibile - sostiene infatti Yiannis Perrotis, amministrato delegato dell'agenzia immobialiare CBRE Atria - che in questo clima particolarmente negativo, sia per l'economia generale del Paese sia per il settore immobiliare, si parli di aumentare i valori catastali delle proprietà per utilizzarli a fini fiscali".

Lavoro, boom di disoccupazione tra i giovani. Germania ai minimi storici al 6,7%
I dati Istat: continuano a crescere i senza lavoro
MILANO- Mentre in Italia la disoccupazione continua a crescere, in Germania si attesta al minimo storico. I dati diffusi parlano di un tasso all'8,9% in rialzo di 0,1 punti percentuali su novembre e di 0,8 punti su dicembre 2010. È il più alto dal 2004 registrato nel nostro Paese. In particolare i più colpiti sono i giovani, quasi uno su tre non ha lavoro. Lo rileva l'Istat su stime provvisorie. Se si guarda alle serie storiche trimestrali è il più alto dal terzo trimestre 2001.
LE STIME- A dicembre il numero di disoccupati in Italia ha raggiunto quota 2 milioni e 243mila ed è aumenta dello 0,9% rispetto a novembre (20 mila unità). Sempre secondo i dati dell'Istituto di Statistica, gli occupati a dicembre 2011 sono 22.903.000, un livello sostanzialmente invariato rispetto a novembre, in presenza di un calo della componente maschile e di una crescita di quella femminile. Nel confronto con l'anno precedente l'occupazione diminuisce dello 0,1% (-23 mila unità).
 GLI UOMINI- I tecnici dell'Istat hanno spiegato che, sempre a dicembre 2011, «c'è stato un peggioramento consistente del mercato del lavoro, soprattutto per un incremento della disoccupazione maschile». su base annua si registra una crescita del 10,9% (221mila unità).
LA GERMANIA- Disoccupazione ai minimi storici in Germania nel mese di gennaio. Secondo le statistiche nazionali diffuse dall'agenzia per l'impiego, il rapporto tra persone in cerca di lavoro e forza lavoro è sceso al 6,7% destagionalizzato dal 6,8% di dicembre. Il numero di disoccupati è calato di 34mila unità a gennaio dopo la contrazione di 25mila unità registrata a dicembre. La lettura è decisamente migliore rispetto alle previsioni degli economisti: il consensus degli economisti indicava un tasso fermo al 6,8% e un calo di 10mila unità. A livello non destagionalizzato invece il tasso di disoccupazione cresce di 0,7 punti al 7,3% con un incremento del numero dei senza impiego di 302mila unità a 3,08 milioni.

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