giovedì 2 febbraio 2012

Federali_sera_2.2.12. Serventi. - Il lavoro della Giunta riparte senza essersi mai interrotto - ha detto, attraverso l’ufficio stampa, De Filippo – e mettendo a disposizione della comunità due nuovi nomi di elevatissima caratura che si avvicendano con due esponenti di altrettanto valore a cui va il mio sincero ringraziamento e apprezzamento per il lavoro svolto. La staffetta a cui abbiamo dato vita – ha aggiunto il governatore lucano – non risponde ad altra esigenza che a un ricambio di esperienze nello spirito di una coalizione coesa verso la quale è immutato il senso di appartenenza di ciascuno indipendentemente dal ruolo svolto.

Presidente della Basilicata nomina la nuova Giunta
L'UNIONE SARDA - Economia: Le sfilate trionfali per lo sviluppo che non c'è
Venezia, padania. «La fuga delle società venete? Il delisting è diventato un affare»
La contropartita
L'Eurozona vara oggi il fondo salva-stati
Ticino. Segreto bancario: i veri nemici
Bosnia: approvata legge censimento, si terra' nel 2013



Presidente della Basilicata nomina la nuova Giunta
POTENZA – A circa due anni dall’elezione della primavera del 2010, il Presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo (Pd) ha nominato in serata la nuova giunta regionale di centrosinistra, la seconda della consiliatura, con quattro assessori confermati e due nuovi ingressi.
I quattro assessori confermati sono il vicepresidente Agatino Mancusi (Udc) che passa dall’Ambiente alle Infrastrutture; Attilio Martorano (esterno) confermato alla Sanità; Rosa Mastrosimone (Idv) dalla Formazione all’Agricoltura; Vilma Mazzocco (Api) dall’Agricoltura all’Ambiente.
I due nuovi ingressi sono invece due consiglieri del Pd, Vincenzo Viti (ex capogruppo, da oggi assessore alla Formazione) e Marcello Pittella (nuovo assessore alle Attività produttive). Dal «De Filippo-bis» escono quindi Erminio Restaino (ex assessore alle Attività produttive, che torna a fare il consigliere del Pd) e Rosa Gentile (esterna, ex assessore alle Infrastrutture).
«Il lavoro della Giunta riparte senza essersi mai interrotto - ha detto, attraverso l’ufficio stampa, De Filippo – e mettendo a disposizione della comunità due nuovi nomi di elevatissima caratura che si avvicendano con due esponenti di altrettanto valore a cui va il mio sincero ringraziamento e apprezzamento per il lavoro svolto. La staffetta a cui abbiamo dato vita – ha aggiunto il governatore lucano – non risponde ad altra esigenza che a un ricambio di esperienze nello spirito di una coalizione coesa verso la quale è immutato il senso di appartenenza di ciascuno indipendentemente dal ruolo svolto. E per l’aver testimoniato questo sono particolarmente grato a Rosa Gentile ed Erminio Restaino con cui sono certo – ha concluso De Filippo - non mancheranno in futuro occasioni di lavorare ancora insieme nell’interesse della Basilicata».

L'UNIONE SARDA - Economia: Le sfilate trionfali per lo sviluppo che non c'è
02.02.2012
Le chiamano politiche per lo sviluppo. Le intenzioni saranno anche buone ma gli effetti sono esattamente opposti. Il risultato è un ribollire di proteste, scioperi, occupazioni, cortei, blocchi stradali che alimentano la catena della disperazione e degli ordinari disagi. Insomma, nel Sulcis (ma il discorso può essere tranquillamente allargato) l'economia stagna, anzi recede e l'unica cosa a crescere è la miseria e l'esasperazione. Prendiamo il caso del pescatore Marica che ha deciso di sfidare l'Unione europea con uno sciopero della fame. Come si fa a dargli torto se, d'ora in poi, la sua licenza di pesca potrà essere revocata o sospesa sulla base delle infrazioni che gli verranno contestate? Oppure se anche gli armatori della piccola pesca (che significa imbarcazioni minuscole) saranno obbligati a tenere e compilare il “libro di bordo”? Marica e i suoi colleghi rischiano di restare bloccati in porto, altro che sviluppo della pesca. Non è meno ingiustificata la marcia su Cagliari dei disoccupati di Domusnovas che aspettano di entrare a lavorare nei cantieri per la forestazione del Marganai. Altro intervento pubblico per lo sviluppo. Piccolo dettaglio: i soldi sono stati stanziati tre anni fa ma i cantieri non aprono perché non ci sono ancora i progetti. Sui capitoli Alcoa, Eurallumina e, ora, anche Ila (l'unica offerta d'acquisto “congelata” per sollecitare improbabili rialzi), meglio stendere un velo pietoso. Così non manca giorno che una parte del Sulcis non sfili per le strade di Cagliari: sono marce di trionfo per le politiche di crescita e sviluppo. Sandro Mantega

Venezia, padania. «La fuga delle società venete? Il delisting è diventato un affare»
Buttignon: «Dalla regione non emergono nuovi campioni»
VENEZIA — L’abbandono di Benetton vorrà pur dire qualcosa. Quelli di Marzotto, Permasteelisa e Coin vorranno dire qualcosa. La permanenza di sole 17 società venete sul listino di Piazza Affari - il nulla rispetto alle migliaia di medie imprese industriali e di servizi in questa regione - avrà un suo significato. L’addio di Ponzano appare come il sintomo, l’ennesimo, di un legame spezzato fra mercati finanziari ed economia reale. Se la Borsa ti massacra fino a valutare la società meno degli immobili posseduti (succede per Benetton ma anche per Unicredit) se la quotazione diventa una via costosa e faticosa, in estrema sintesi inefficiente per il reperimento di risorse da destinare alla crescita dell’impresa, allora è il caso di riflettere su un fallimento storico.Oquantomeno di una difficoltà grave.
Secondo Enzo Rullani, economista e docente alla Venice International University, è finita un’antica illusione, quella cioé che «la Borsa avesse in sé un grande futuro, perché la gente in tutto il mondo avrebbe investito lì sempre di più i propri risparmi. Non solo non è stato così, ma è successo il contrario: dopo tutte le batoste prese, i cittadini non ne vogliono sapere». E senza la prospettiva di un valore crescente nel tempo da assicurare alla società e ai risparmiatori, nasce la tentazione contraria: «Le famiglie imprenditoriali che hanno liquidità pensano di investirla all’interno delle proprie società, perché è un affare a questi prezzi e perché, in fondo, si hanno finalmente mani libere, senza la seccatura degli azionisti di minoranza». Rullani pende per la teoria secondo cui le imprese - o meglio, chi le controlla - non sono poi così vittime di una Borsa cattiva, «ma la sfruttano per fare affari.
Il delisting non è che uno dei tanti modi per cercare un guadagno nel momento in cui magari non si trovano altri modi per utilizzare il cash a disposizione». Se perfino i marchi nobili abbandonano il campo, significa che la Borsa è diventata un problema. Fabio Buttignon, che è professore ordinario di finanza aziendale a Padova, non vede nell’addio di Benetton il segno di una malattia generale dai sintomi gravi. «Il delisting è un fenomeno fisiologico ed è assai frequente sulle piazze finanziarie più evolute, come a Londra o a New York. Fa anche bene a chi resta quotato: oggi, per esempio, qualche analista s’è messo a fare l’elenco delle società che a breve potrebbero seguire l’esempio di Benetton. E ciò ha un effetto speculativo, quindi positivo sulle quotazioni, visto che si immagina un premio sul prezzo per l’eventuale Opa finalizzata all’uscita dal listino». Buttignon ammette che stare in Borsa è un esercizio difficile, «perché i mercati pretendono molto. Il problema non è tanto che qualcuno esca, ma che non venga rimpiazzato da nessuno. Questo può suggerirci l’idea che, effettivamente, dal Veneto non emergano nuovi campioni. Però, chissà, li vedremo venir fuori se fra un anno o due la situazione delle Borse sarà diversa».
Claudio Trabona

La contropartita
di Roberto Napoletano
La partita si gioca in Europa: l'Italia ce la fa con l'Europa o, da sola, non ce la fa. L'Europa è fatta di certe regole e noi dobbiamo dimostrare di averle acquisite nella «spina dorsale e nel cervello».
Però, l'Europa deve anche cambiare in fretta: è necessario che si doti di tutti quegli strumenti utili per stendere una cintura di sicurezza intorno alle nuove emissioni di titoli pubblici dei singoli Stati (a partire dal Portogallo) che si annunciano complessivamente rilevanti per quantità e qualità. È bene, direi doveroso, sottolineare questo dato di fatto nel giorno in cui la fiducia sul titolo Italia ha consentito di tornare ad abbattere il muro dei 400 punti di differenziale dello spread BTp-Bund. L'errore più grave che potremmo commettere è quello di ritenere che ce l'abbiamo fatta. Dobbiamo prendere atto che una parte degli italiani continua a non comprendere fino in fondo la gravità della situazione e – anche se emergono tante, nuove e mature consapevolezze – persiste un gioco pericoloso (non solo politico) che porta a scherzare con il fuoco.
 Non è vero che non è successo niente: siamo partiti circa tre mesi fa con un spread volato fino a 575 punti e tassi dei BoT a 12 mesi superiori al 7%, oggi la curva a tre anni è rientrata nella normalità, si fatica ancora nelle emissioni a lungo termine ma con segnali di miglioramento. Il problema specifico italiano è stato risolto e i mercati dimostrano di apprezzare, persiste l'incertezza per il futuro legata soprattutto alla valutazione sul tasso di condivisione dell'azione governativa da parte dei suoi azionisti politici di riferimento. In questo senso, le dimissioni di novembre di Berlusconi e le dichiarazioni rese ieri (sarebbe un gesto irresponsabile far cadere il Governo Monti) fanno onore al Cavaliere e indicano consapevolezza della gravità della crisi italiana.
I nuovi valori del titolo Italia sui mercati sono il frutto anche di un'opera silenziosa che Mario Monti, Ignazio Visco e Vittorio Grilli hanno saputo svolgere in una serie di incontri internazionali a livello istituzionale e bilaterale. Il Governatore Visco non fa mistero di avere dovuto spendere più di un'energia per convincere il ministro del l'Economia svedese che la riforma delle pensioni fosse già in vigore e non decorresse invece dal 2020.
 La nuova Europa passa attraverso un processo di convergenza tra le popolazioni del Nord Europa e Paesi come l'Italia che stanno dimostrando, alla voce fatti, di volere rispettare la virtù del bilancio e affrontare a viso aperto alcuni tabù (pensioni, liberalizzazioni, semplificazioni) che da troppo tempo ingessano l'economia, allargano le aree di disuguaglianza e ostruiscono di fatto la via dello sviluppo. Il Governo Monti deve continuare a fare i compiti a casa, deve farlo con rigore e serietà su tre campi decisivi: mercato del lavoro, riqualificazione della spesa pubblica-taglio degli sprechi, lotta all'evasione fiscale.
Da questa triplice azione si possono liberare le risorse necessarie per dare agli italiani la contropartita di quella fiducia che loro stessi (in gran parte) stanno accordando al Governo Monti sopportando sacrifici e restrizioni. Il gettito delle risorse determinabili da un'azione finalmente strutturale su conti pubblici, lavoro e tasse deve tradursi in riduzione dei prelievi fiscali e contributivi a carico delle imprese, dei lavoratori e delle famiglie. Fare (davvero) tutto ciò aiuta Monti a imboccare la strada giusta (alla fine non mancherà neppure "il complemento" di dismissioni pubbliche mirate) ma soprattutto aiuta l'Europa a riconoscersi in un quadro di verità troppo spesso sottaciute. È bene che maturi la consapevolezza che oggi non sono i tedeschi a prestare al resto del mondo (a partire dai Paesi periferici europei) ma è il resto del mondo a "sussidiare" la Germania che colloca i suoi titoli sovrani a tassi bassissimi.
Sono più credibili, è vero, ma è anche vero che è proprio l'attuale, particolare equilibrio a consentire loro di attrarre fondi così ingenti a costi così limitati. Spiegare al popolo tedesco che non stanno elargendo ma piuttosto ricevendo (e qui la Merkel si deve assumere le sue responsabilità) è già parte della soluzione del problema.
 Guai se gli italiani tornassero a sottovalutare la delicatezza del momento, ma sia chiaro che la "nuova consapevolezza diffusa" in Italia deve essere ripagata in moneta europea. Oggi l'Europa ha bisogno di una cintura di sicurezza e, cioè, di strumenti agili con capacità di intervento immediato ancorché condizionato: la soluzione del fondo salva-Stati, comunque utile, appare insufficiente e va modificata in profondità. In questo caso, probabilmente, le risorse che si renderebbero "automaticamente" disponibili non verrebbero mai neppure impiegate ma rappresenterebbero un formidabile lubrificante del ritorno della fiducia degli investitori del mondo sull'Europa e sui suoi titoli sovrani.
 Non ci possiamo permettere un secondo caso Grecia con il Portogallo. Per fortuna, almeno questo è certo, non ci si potrà più nascondere dietro l'alibi italiano.
 2 febbraio 2012

L'Eurozona vara oggi il fondo salva-stati
Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha annunciato al Parlamento l'accelerazione nella creazione dell'Esm, il nuovo fondo permanente. La Bundesbank sul nuovo Patto di Bilancio: "non è abbastanza severo".
ID doc: 73586 Data: 02.02.2012 (aggiornato il: 02.feb.2012)
Oggi, con la firma dei soli ambasciatori a Bruxelles, i 17 paesi dell'Eurozona firmeranno il trattato che istituisce l'Esm, il fondo salva-stati nella sua versione definitiva e permanente. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, al Parlamento Europeo. Un segno chiaro di quanto i tempi d'emergenza stiano facendo giustizia anche dei rituali un po' polverosi della vecchia comunità, che volevano per la firma dei trattati cerimonie più o meno complesse ma sempre a livello di capi di stato e di governo. O in casi di normative dalla portata più settoriale, di almeno di ministri. La necessità di tagliar corto però, ha fatto premio sulla forma. I mercati hanno bisogno di recuperare fiducia subito, e la firma dell'Esm è un tassello essenziale. La Francia poi, si prepara a interrompere l'attività parlamentare per la campagna elettorale delle presidenziali, e con la firma di oggi potrebbe bruciare i tempi per ratificare il fondo insieme agli altri 16 stati dell'euro.
"Ogni Paese che firmerà il 'fiscal compact' si impegna a porre un freno al debito nella sua legislazione. Questo aumenterà la credibilità", ha spiegato van Rompuy. E se il patto di Bilancio è quel che preme di più ai Paesi "virtuosi" per obbligare gli "indisciplinati" a mettere a posto i conti, il fondo "salva-stati" è quel che invece permette ai paesi debitori di affrontare i rigori della nuova disciplina. Lunedì abbiamo fatto "un passo sul cammino della speranza", ha detto poeticamente il presidente del Consiglio europeo ai deputati. E si è rammaricato dell'ennesimo strappo della Gran Bretagna (la Repubblica Ceca ha in pratica solo rimandato l'adesione alla nuova normativa): "Londra non ci ha lasciato scelta", ha spiegato, impedendoci di "procedere con una modifica del Trattato di Lisbona", la via maestra per le norme comunitarie e obbligando alla firma di un
patto separato. Un patto che non è ancora la soluzione di tutti i mali, e che incontra ancora le critiche dei "falchi" tedeschi: "non va abbastanza lontano", si lamenta il presidente della Bundesbank Jens Weidmann: "senza un diritto di intervento centrale in caso di cattivocomportamento fiscale, non sarà legittima una responsabilità comune e ancora meno l'introduzione degli eurobond", sentenzia. Mario Monti, ormai in veste di "primo mediatore", fa vedere il bicchiere mezzo pieno di un accordo "importante perché consolida e cristallizza e rende definitiva, addirittura nelle Costituzioni, l'adesione alla disciplina di bilancio". E rispondendo indirettamente a Weidmann, ricorda ancora che "nel 2003 furono Germania e Francia, e non Paesi del Sud Europa a mettere in discussione questa necessaria disciplina". È facile, sembra dire, predicare il rigore sui conti altrui.

Ticino. Segreto bancario: i veri nemici
di Matteo Caratti - 02/02/2012
Ma chi sono i veri nemici del segreto bancario? Sono forse gli ultimi mohicani comunisti? O magari i nuovi indignados antisistema? Oppure gli informatici che sottraggono dai cervelloni le liste dei segreti evasori fiscali stranieri per poi consegnarle ai loro Paesi di residenza? Magari in parte, ma, se riescono a far così tanti danni, è pure colpa delle banche, incapaci di assicurare la massima discrezione e sicurezza dei dati custoditi!
Dal nostro punto di vista (purtroppo) i peggiori nemici del segreto bancario sono taluni banchieri medesimi, colletti bianchi con pinna da squalo.
Quelli che assicurano pubblicamente che certe cosucce (anzi cosacce) coi clienti stranieri non le fanno più. Salvo poi scoprire che invece, mentre dicono di fare una cosa, fanno esattamente l’opposto e, dulcis in fundo, si fanno pure clamorosamente beccare con le mani nella marmellata, oltretutto di nuovo quella americana.
Una volta nei pasticci – stiamo parlando di illegalità con evidenti risvolti penali e civili – nella migliore delle ipotesi sono costretti a pagare mega multe (Ubs), nella peggiore devono chiudere i battenti (Wegelin), mentre il loro cliente evasore si ritrova letteralmente in braghe di tela.
Raccontata così verrebbe da dire: beh, fatti loro. Si assumono i rischi lavorando sul filo del rasoio (e oltre) e quando va male pagano di tasca loro. Perché preoccuparci?
Il problema è che alla fin fine – quante volte in questi anni abbiamo già raccontato questa storia – i danni maggiori ricadono sull’intero Paese, poiché a farne le spese è il segreto bancario che è uno dei nostri gioielli di famiglia e del quale si è abusato e riabusato mettendolo completamente a repentaglio.
Cosa dobbiamo pensare d’altro dopo aver preso atto chela lezione del caso Ubs(come titolavamo ieri in sede di commento)non è servita a nulla, visto che ben altre 11 banche svizzere sono ora sospettate di aver compiuto operazioni illegali su suolo americano? Banche che potrebbero aver anche sbagliato intenzionalmente (stendendo tappeti rossi ad ex clienti Ubs?), sperando di potersi poi comunque riparare dietro al paravento del segreto bancario. Banche che così facendo, come detto, minano invece pesantemente il segreto bancario stesso, arrecando pure un danno d’immagine molto importante a tutto il Paese.
In queste ore taluni esperti fanno a gara per cercare di calmare le acque. C’è chi assicura che le centinaia di migliaia di documenti bancari inviati dalla Svizzera alle autorità giudiziarie e fiscali americane sono comunque blindati poiché criptati. E resteranno tali sino alla firma del tanto sperato accordo globale con gli Usa. Sarà, ma chiediamoci intanto quale effetto devastante ha un simile (ulteriore) trasferimento di documenti sui clienti stranieri delle banche svizzere sinora convinti che il segreto bancario mai e poi mai l’avrebbe permesso con tanta facilità. Chiediamoci quale effetto avrà anche solo il sospetto che quei documenti potrebbero venir tranquillamente letti da qualche dotato informatico della Cia capace di scovare la chiave di lettura. Per non parlare dei dubbi che assaliranno i potenziali nuovi clienti, che ora si rivolgeranno di certo ad altri paradisi fiscali. Certe azioni dimostrative del fisco, in Italia la Guardia di Finanza a Cortina e Milano docet, fanno miracoli!
Sul fronte istituzionale, le autorità federali hanno benedetto questa drastica scelta e ora siamo ormai con le spalle al muro. Del resto basta guardarsi attorno per capire che così è: appena consegnati i dati criptati agli Usa, la nuova presidente danese dell’Ue ha detto pubblicamente che chiederà ai 27 Paesi dell’Unione almeno gli stessi vantaggi che gli Usa otterranno dalla Svizzera sulle questioni della fiscalità. E a noi non resta che sperare – è davvero poco! – nel sostegno di Austria e Lussemburgo!
Comunque, la si smetta per favore di dire, come hanno affermato alcuni commentatori, che la Svizzera ha ceduto ancora una volta alla legge del più forte. Fare simili affermazioni, dopo tutto quello che è successo, significa voler addossare ancora una volta la colpa agli altri. Chi ha peccato di troppa voracità pensando di farla sempre franca ai danni di altri Paesi? Ieri Ubs, oggi – almeno sembra – ancora un gruppetto ben fornito di 11 banche. Complimenti davvero! Ma cosa credevano facessero i funzionari del fisco americano? La siesta?
Chissà se la politica seria e soprattutto la Finma non hanno proprio nulla da dire, di fronte a tanta spudoratezza che fa tremare l’intero settore bancario-finanziario elvetico e opera contro gli interessi dello Stato?

Bosnia: approvata legge censimento, si terra' nel 2013
Sì della Camera dei popoli dopo due anni di discussioni
02 febbraio, 10:47
(ANSAmed) - SARAJEVO, 2 FEB - La Camera dei popoli, il secondo ramo del Parlamento bosniaco, ha approvato oggi dopo due anni di discussioni il disegno di legge sul censimento della popolazione in Bosnia-Erzegovina, grazie all'accordo raggiunto alla fine del 2011 dai leader dei sei piu' importanti partiti politici. La Camera dei rappresentanti ha approvato la legge durante la scorsa legislatura, nel giugno del 2010.
 La legge adottata prevede che il censimento verra' effettuato dal primo al 15 aprile 2013, con data referente alla mezzanotte del 31 marzo.(ANSAmed).

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