martedì 21 febbraio 2012

News/am.20.2.12/ Multa in paucis (molto in poche parole) – Monti: Dispiace andare contro la nozione elegante e piacevole di salotto buono, ma pensiamo che in passato abbia qualche volta tutelato il bene esistente e consentito la sopravvivenza un po' forzata dell'italianita' di alcune aziende, impedendo la distruzione creatrice schumpeteriana e non sempre facendo l'interesse di lungo periodo.---Vendola: Io non difendo il sudismo, difendo il Sud. (...) Abbiamo subìto per lungo tempo un racconto malevolo sulla spesa comunitaria: il pregiudizio nordista, portato alla sua forma esasperata da Tremonti, ha coperto tutto, affondando nella palude anche le buone pratiche.---Grecia. Il nuovo programma prevede aiuti per 130 miliardi e, assieme alle ulteriori rinunce dei creditori privati per un totale di 107 miliardi, farà scendere il rapporto fra debito pubblico e Pil dall'attuale 160% a poco più del 120% nel 2020.

Pompei riparte dall'arrivo dei privati e da 105 milioni
Vendola e i fondi europei «Ora la priorità è Taranto»
Matera. «Ascensori nei Sassi? Pronti alle barricate»
Confagricoltura: “dopo il maltempo caro carburanti nelle campagne”
Monti, da finanza non sempre bene Italia
Grecia: Papademos chiede aiuto ai privati, "ma mancano 5, 5 mld "
Grecia, accordo nella notte. Via libera agli aiuti



Pompei riparte dall'arrivo dei privati e da 105 milioni
 Francesco Prisco
 Il futuro passa attraverso un progetto da 105 milioni, un protocollo d'intesa tra ministero dei Beni culturali e Unesco che dovrebbe portare alla definizione di interventi per la salvaguardia di Pompei e una sponsorizzazione che coinvolgerà il consorzio Epadesa e l'Unione industriali di Napoli.
 Il crollo della Schola armaturarum del 6 novembre 2010 e i successivi cedimenti hanno acceso i riflettori sul sito. Nel 2006 la soprintendenza aveva individuato (inascoltata) un fabbisogno di 250 milioni per la sicurezza. Adesso ce ne sono 105: li stanzia la Ue e il ministro Fabrizio Barca li inserisce nel piano di coesione «perché vengano spesi presto e bene».
 Nei prossimi tre anni, 85 milioni andranno a lavori di consolidamento, 8 milioni a rilievi e analisi, 7 a un piano di fruizione del sito, 3 per rafforzare la squadra della soprintendenza, 2 a un piano di sicurezza. «L'erogazione dei fondi - spiega il segretario generale del Mibac, Antonia Pasqua Recchia - avverrà man mano che procedono le attività nel quadriennio 2012-2015. I bandi partono ad aprile 2012». Oggi sul sito sono in corso 13 interventi di consolidamento, per un importo di 10,5 milioni, e sono stati assunti 22 professionisti. Si lavora anche di diplomazia: «È in fase avanzata il confronto tra Mibac e Unesco – dice Francesco Caruso, ambasciatore consigliere speciale dell'organizzazione che fa capo alle Nazioni Unite – per stendere entro un anno una nuova mappa dei rischi». E creare le premesse per l'apporto dei privati: l'asse tra l'Unione industriali del capoluogo partenopeo, presieduta da Paolo Graziano, e il consorzio di imprese edili francesi Epadesa è un primo passo. Ed è un metodo elogiato dallo stesso ministro Barca. A inizio marzo dovrebbe tenersi nel capoluogo un incontro tra le due organizzazioni: «Puntiamo - spiega Maurizio Di Stefano, presidente di Icomos e fra gli ideatori del progetto - a colmare il gap di infrastrutture turistiche di cui soffre il territorio al di fuori delle mura degli scavi e a devolvere una quota dei proventi al ministero per la salvaguardia del sito». Epadesa ha fatto sapere che è pronta a investire un minimo di 20 milioni l'anno per dieci anni.
 Ci si chiede che cosa abbia determinato lo scempio. Luca Zan, docente di Scienze aziendali dell'Università di Bologna: «La riforma del '97 che concedeva alla soprintendenza autonomia finanziaria è nata monca ed è stata tradita». Quindici anni fa il Mibac diede ai siti vesuviani la facoltà di gestire in autonomia i proventi del botteghino (per il 2011, 21 milioni più 1,8 milioni da incassi sui servizi aggiuntivi), «ma i 711 lavoratori della soprintendenza - precisa Zan - continuavano a risultare dipendenti del ministero, fatto che ha reso impossibile un efficientamento delle risorse umane». Poi, scelte gestionali poco felici: «L'abolizione del city manager - spiega il professore - 70 milioni di proventi della soprintendenza che il ministero ha speso in maniera centralistica con scelte opinabili; la stagione commissariale che ha insistito sul marketing trascurando la conservazione; l'accorpamento delle soprintendenze di Napoli e Pompei». Adesso si ricomincia da 105 milioni.
Il botteghino
Nel 2011 sono stati introitati 21 milioni, più 1,8 milioni da incassi sui servizi aggiuntivi

Vendola e i fondi europei «Ora la priorità è Taranto»
di BEPI MARTELLOTTA
«Io non difendo il sudismo, difendo il Sud». Nichi Vendola è entusiasta dell’arrivo del titolare della Coesione territoriale Fabrizio Barca a Bari. Mercoledì terranno una conferenza stampa congiunta, prima del convegno della Cgil. Le frizioni delle scorse settimane sulla spesa dei fondi comunitari sono state appianate, il premier Monti ha staccato l’assegno di 400 milioni per il porto di Taranto e tutto lascia ben sperare per la Puglia da questo governo. A patto che....
Presidente, eravamo al «ferro e fuoco» tra lei e Barca, poi la pace. Cos’è accaduto?
Abbiamo subìto per lungo tempo un racconto malevolo sulla spesa comunitaria: il pregiudizio nordista, portato alla sua forma esasperata da Tremonti, ha coperto tutto, affondando nella palude anche le buone pratiche. Ho detto a Barca che siamo disponibili a metterci in discussione e affrontare il cammino. Non lo siamo a subire pregiudizi, luoghi comuni, campagne diffamatorie né ad impiccarci alla retorica sudista, che impedisce qualsiasi cambiamento. Il ministro, in tal senso, ha dimostrato una grande capacità di collaborazione e ascolto. Ed eccoci qui.
Sin qui i chiarimenti «politici», ma sul piatto delle Regioni restano o no le famigerate nuove regole sulla spesa?
Stiamo ragionando sulla necessità di far precedere all’invio di documenti tecnici da parte del governo la cabina di regia, che nella scorsa occasione abbiamo, invece, tenuto all’indomani delle proposte varate dal ministero. Il chiarimento, e alcune correzioni apportate, è però stato fondamentale: abbiamo avuto contezza del fatto che le risorse derivanti dalle eventuali sanzioni sul mancato rispetto dei nuovi target di spesa rimarrano nelle singole Regioni del Sud e non verranno dirottate alle Regioni del Centronord. L’equivoco è stato rimosso. Quanto ai nuovi target di spesa, il livello del 40% da ottemperare già entro maggio prossimo è stato corretto con un target pari al 20% entro giugno, mantenendo l’80% ad ottobre e il 100% a dicembre, data entro la quale si dovrà certificare l’80% degli impegni dell’anno successivo. Più di tutto, è fondamentale il principio che se le Regioni effettueranno ri-programmazioni dei progetti di spesa che «tirano» meno, non ci sarà alcuna revoca automatica della quota di co-finanziamento. La Puglia sin dall’inizio, insieme ad altre Regioni, ha respinto un approccio di tipo quantitativo al problema della spesa comunitaria e le sanzioni - «se non spendi, ti taglio» - vanno purtroppo in quella direzione.
Rimossi gli ultimatum, come si procederà?
Verificheremo, d’intesa col governo, passo dopo passo i capitoli di spesa che necessitano di riprogrammazione. Le scadenze dei target, così concepite, ora non sono più contenitori di sanzioni automatiche, ma punti di monitoraggio delle inefficienze e delle buone pratiche. In tal modo, non solo evitiamo il disimpegno della quantità di risorse ma tuteliamo la qualità degli obiettivi. Era quello che auspicavamo: criteri più flessibili e maggiore rispetto per gli impegni di spesa già presi dalle Regioni e che rischiavano, se stoppati, di mandare in default i Comuni. Si terrà conto, a ridosso delle scadenze, di quelli giuridicamente vincolanti. Detto questo, ora dobbiamo cercare di andare oltre.
Si spieghi.
Parliamo di una programmazione concepita nel 2007. È un’era geologica fa. Oggi il Paese vive problemi drammatici in termini di credito alle imprese, come denuncia il governatore di Bankitalia, e in termini di micro-credito e incentivi allo sviluppo, quale il prestito d’onore. A maggior ragione, non possiamo limitare il dibattito ai target di spesa: abbiamo il dovere di riconvertire l’intera partita della programmazione nazionale. Il Quadro strategico nazionale va ripensato, con programmi regionali coerenti nell’utilizzo delle risorse: penso alla progettazione integrata delle città o dei trasporti, così come al rafforzamento della sanità territoriale e dell’infrastrutturazione sociale. La Puglia sta uscendo da un pesante piano di rientro sanitario e ha dinanzi, come il resto del Paese, una crisi socio-economica drammatica.
Cos’altro intende chiedere al ministro?
Abbiamo beneficiato di tre delibere Cipe a cavallo tra il governo Berlusconi e quello attuale, per un ammontare di 1,8 miliardi, dedicate a infrastrutture, ricerca e dissesto idrogeologico. Sono opere pubbliche di importanza strategica ma sono ancora monche delle procedure attuative. Chiederemo a Barca di concordare un crono-programma di tutti gli atti amministrativi perché quelle opere vengano cantierizzate. La Puglia non ha problemi di liquidità di cassa, a differenza di altre Regioni del Sud: saremmo in grado di anticipare le risorse che lo Stato mantiene «congelate», ma occorre un deciso intervento sui vincoli del Patto di Stabilità. Dobbiamo uscire dalla tenaglia che ci impedisce di spendere per evitare le sanzioni, altrimenti anche le risorse previste per i Fas rimarranno sulla carta. Oggi ne discuterò con il partenariato negli Stati generali delle costruzioni, auspico un forte impegno del governo in tal senso.
L’agenda è fitta.
E non è finita. Ho registrato con grande soddisfazione l’impegno repentino del governo nel commissariamento del porto di Taranto, propedeutico alle opere per 400 milioni. Ma Taranto ha bisogno di un segnale ancora più forte.
Cosa immagina per Taranto?
Qui vive il più grosso caso di inquinamento di Stato, determinato dai fumi dell’Italsider tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90. Dobbiamo fare i conti con questo passato, ma anche indicare una prospettiva per la città, puntando sulla diversificazione produttiva. Taranto ha un credito enorme nei confronti dello Stato e vive da decenni in uno strangolamento, nonostante le misure prese da quando si è insediato il mio governo: da un lato il «ricatto» della produzione dell’industria pesante, a cui sono legati i destini di sopravvivenza di 20mila famiglie, dall’altro la tutela della salute e dell’ambiente, compromessi da quell’opzione produttiva. Il tema della bonifica di Taranto è una grande questione nazionale e, per questo, chiediamo al governo un impegno straordinario. Le risorse per il porto rappresentano un primo tassello, la possibilità di assegnare una prospettiva economica nella logistica e nell’interscambio col Mediterraneo, ma abbiamo il dovere, Stato e Regione, di istituire un tavolo per la definizione di un nuova era, che faccia della salute e dell’ambiente a Taranto la bussola di un nuovo ciclo produttivo. Nell’immediato, un segnale fondamentale sarebbe l’istituzione di un grande Centro di ricerca nazionale sull’ambiente e sulla salute.
Da presidente di Regione i suoi rapporti col governo Monti appaiono distesi. Ma da leader di Sel?
Penso di esser riuscito a vivere con equilibrio questi due ruoli. Come governatore ho sempre cercato di esprimere con lealtà il massimo grado di leale collaborazione, anche col governo Berlusconi. Considero l’art. 18 la cartina di tornasole decisiva per il giudizio su questo governo, ma questo non mi impedisce di poter condividere progetti specifici per la Puglia col ministro Fornero.
In Puglia, però, sembra di essere in perenne campagna elettorale, soprattutto nel centrosinistra. Che succede?
Ognuno legittimamente coltiva gli spazi politici che ritiene necessari, ma dovremmo evitare tutti di dare l’immagine di una classe politica proiettata altrove. Abbiamo un anno drammatico da vivere e la politica è innanzitutto confronto con la dimensione reale dei problemi che abbiamo dinanzi. Si continua a parlare di mie dimissioni anticipate e di candidature al mio posto: abbiamo il dovere di smetterla tutti e, piuttosto, di impegnarci a rompere i salvadanai per poter spendere risorse e combattere questa povertà che monta come un’onda cattiva sul Paese. Il problema non sono le «poltrone», ma la coesione sociale di un Paese in recessione.

Matera. «Ascensori nei Sassi? Pronti alle barricate»
di Donato Mastrangelo
«Se l’Amministrazione comunale farà gli ascensori nei Sassi noi saremo costretti a fare le barricate». Lo sostiene Pio Acito, esponente della sezione cittadina di Legambiente che ritorna così sul progetto inserito nel Pum, il Piano urbano della mobilità. Giù le mani dal centro storico, dunque, per Legambiente che insieme ad altre associazioni e a privati cittadini, ha presentato nei giorni scorsi le osservazioni in merito al Pum, con particolare riferimento ai tre ascensori che dovrebbero essere ubicati negli antichi rioni e al sistema ettometrico nei pressi dell’area del castello Tramontano. Oggi, la data era stata differita di qualche giorno, scadono i termini per le osservazioni da presentare all’Amministrazione, dopodichè verrà dato corso all’iter con i passaggi all’esame della Commissione apposita e quindi il Piano verrà sottoposto all’esame del Consiglio comunale che dovrà deliberare sulla sua approvazione o meno. Tre gli ascensori previsti nel Piano della mobilità urbana: uno che da via San Potito porterebbe a Porta Pistola, l’altro da piazza Duomo a via Fiorentini e, infine un elevatore che partirebbe da vico Lombardi sino a scendere giù nei Sassi. Il sistema ettometrico, invece, dalla zona del boschetto salirebbe sino al castello Tramontano. Legambiente chiede che l’Amministrazione comunale si apra al confronto sulla questione prima di procedere con qualsiasi intervento. «Gli interessi dei residenti dei Sassi - afferma Acito - sono differenti da quelli degli operatori turistici. I primi hanno a cuore la qualità della vita e quindi non sono spinti dall’interesse del maggior guadagno ma soltanto dalla tutela degli antichi rioni. Per questo motivo prima che possa essere sperperato denaro chiediamo che l’ente locale ci ascolti». Non c’è solo un problema di forma ma anche di sostanza che spinge Legambiente ad essere contraria allìinstallazione degli ascensori nel centro storico. «Si interverrebbe su zone già interessate da frane come già dimostrato da indagini geologiche che la stessa Amministrazione comunale ha effettuato in passato. Uno dei tre siti oggetto dell’intervento è stato interessato da ben cinque frane di cui una riscontrata la scorsa primavera. L’ascensore previsto nei pressi di Porta Pistola, inoltre, sbucherebbe addirittura in una navata di quella che è conosciuta come l’antica chiesa di Santa Maria all’Ospedale Vecchio. Ma tanto in questa città - sottolinea Acito - siamo già stati abituati a vedere annesse chiese e monumenti di pregio storico-artistico a strutture turistiche private con il beneplacito delle amministrazioni locali. Se questo è il sistema efficace per portarci alla candidatura di Matera 2019 non c’è certo da stare allegri!». Sulla questione degli ascensori nei Sassi era intervenuta nelle scorse settimane pure l’associazione Mutamenti a Mezzogiorno che aveva chiesto all’Amministrazione di destinare «i circa 4 milioni di euro previsti per gli ascensori per completare il restauro di beni culturali diffusi e megliorare l’accessibilità pedonale negli antichi rioni».

Confagricoltura: “dopo il maltempo caro carburanti nelle campagne”
Roma – “QUELLA del caro-carburanti è la nuova emergenza nelle campagne, una situazione oggettivamente insostenibile per le aziende agricole, che pone seriamente a rischio le coltivazioni e gli allevamenti”. Lo sottolinea Confagricoltura in relazione ai nuovi record delle quotazioni dei carburanti che si avvicinano rapidamente ai 2 euro al litro. “Un’annata particolarmente fredda come l’attuale costringe a riscaldare maggiormente serre e stalle – osserva Confagricoltura -. Da una parte si è dovuto aumentare il consumo di gasolio agricolo anche del 30%, dall’altro il suo prezzo è in crescita vertiginosa senza controllo. In un anno (febbraio 2011 – gennaio 2012) le quotazioni del gasolio agricolo sono cresciute del 10,27%; ma in soli quindici giorni, dal 30 dicembre 2011 al 15 gennaio 2012, gli aumenti sono stati del 4% circa. E purtroppo proseguono incalzanti”.
 “Crescita dei consumi e rincari dei prezzi è un mix micidiale che le aziende agricole non riescono a sostenere – spiega Confagricoltura -. Senza contare gli aumenti di spesa per trasporti e consegne”. “Oltre tutto – osserva Confagricoltura – i rincari dei carburanti sono destinati inevitabilmente a pesare sull’inflazione, innescando nuovi rialzi dei prezzi al consumo degli alimentari freschi, come l’ortofrutta, il cui trend è invece in calo dopo gli aumenti congiunturali dovuti al maltempo”.

Monti, da finanza non sempre bene Italia
Da professori nessuna deferenza verso mondo finanziario
20 febbraio, 13:35
(ANSA) - ROMA, 20 FEB - ''Dispiace andare contro la nozione elegante e piacevole di salotto buono, ma pensiamo che in passato abbia qualche volta tutelato il bene esistente e consentito la sopravvivenza un po' forzata dell'italianita' di alcune aziende, impedendo la distruzione creatrice schumpeteriana e non sempre facendo l'interesse di lungo periodo''. Cosi' Mario Monti ha chiarito che i professori non hanno ''deferenza'' verso il mondo della finanza.

Grecia: Papademos chiede aiuto ai privati, "ma mancano 5, 5 mld "
(AGI) - Bruxelles, 20 feb. - Il primo ministro greco, Lucas Papademos, ha chiesto a banche e fondi di investimento una svalutazione maggiore del previsto dei titoli di stato ellenici in loro possesso. Lo riferiscono fonti diplomatiche, nelle ore che vedono l'Eurogruppo riunito per decidere sul nuovo piano di salvataggio per Atene. Secondo la fonte, sarebbero attualmente in corso i colloqui tra Papademos e i creditori privati, che hanno finora accettato un 'haircut' pari al 50%. Tale intesa, secondo le nuove stime della 'troika', sarebbe pero' insufficiente a portare il debito greco al 120% del Pil entro il 2020, come chiesto da Ue e Fmi come condizione necessaria per poter versare altri aiuti. Nei dettagli mancherebbero all'appello circa 5,5 miliardi di euro.

Grecia, accordo nella notte. Via libera agli aiuti
Dopo 12 ore di discussione i 17 ministri dell'eurogruppo hanno dato il via al secondo pacchetto di aiuti ad Atene
MILANO - Ci sono volute 12 ore di discussione (e un'altra per scrivere il lungo e complesso comunicato finale) perchè i 17 ministri delle Finanze dell'Eurogruppo decidessero il varo del secondo pacchetto di aiuti internazionali per sostenere i conti pubblici di Atene. La conferenza stampa è cominciata poco dopo le cinque, con il presidente Jean Claude Juncker che ha augurato il «buongiorno» ai giornalisti, prima di annunciare una decisione che «garantisce il futuro nell'Euro della Grecia». Il nuovo programma prevede aiuti per 130 miliardi e, assieme alle ulteriori rinunce dei creditori privati per un totale di 107 miliardi, farà scendere il rapporto fra debito pubblico e Pil dall'attuale 160% a poco più del 120% nel 2020. I detentori privati di obbligazioni greche, con i quali il premier Lucas Papademos ha trattato «fino all'ultimo», come aveva anticipato prima della riunione il ministro delle Finanze greco Evangelos Venizelos, rinunciano al 53,5% del valore nominale dei loro titoli (oltre il 70% ai valori attuali), consentendo così una riduzione di circa 100 miliardi dell'ammontare complessivo del debito pubblico; mentre anche gli interessi sui prestiti del primo pacchetto di aiuti, 110 miliardi decisi nel 2010, saranno tagliati per agevolare le autorità greche e la Bce rinuncerà ai profitti sui titoli del debito greco acquistati negli ultimi due anni redistribuendoli alle banche centrali nazionali che li gireranno ai rispettivi governi perche ' questi possano abbassare gli interessi del primo prestito.
SORVEGLIANZA RAFFORZATA - Atene dovrà sottostare a una sorveglianza «rafforzata», che prevede la presenza permanente della troika e l'inserimento nella Costituzione di una norma sulla priorità dei pagamenti delle scadenze del debito. «È molto importante - ha commentato al termine della riunione il presidente della Bce Mario Draghi - che l'attuazione del programma da parte di Atene sia adeguatamente monitorata». Quanto al ruolo del Fondo monetario, il direttore generale Christine Lagarde ha spiegato nella conferenza stampa che «l'Eurogruppo si aspetta che sia significativo: lo decideremo alla prossima riunione del Consiglio di amministrazione nella seconda settimana di marzo». Lagarde ha ricordato i progressi compiuti durante la riunione di oggi: «alle 14,30 di oggi sembrava che con gli aiuti il rapporto debito/Pil al 2020 non potesse essere inferiore al 129% e siamo scesi al 120,5%, ieri sembrava che il pacchetto dovesse essere ben oltre 130 miliardi e invece siamo a 130». «Un bel risultato», lo ha definito il presidente del Consiglio Mario Monti, secondo il quale la decisione della notte scorsa ha dimostrato che «l'Europa è anche in grado di funzionare». La troika, rappresentata nella riunione notturna ai più alti livelli con Draghi, Lagarde e il vicepresidente della Commissione Ue Olli Rehn, assieme ai partner dell'Euro e agli impegni di Atene hanno quindi scongiurato il rischio di fallimento in occasione della prossima scadenza del 20 marzo, quando la Grecia dovrà rimborsare 14,5 miliardi.
PAPADEMOS SODDISFATTO -  Il premier greco Lucas Papademos si è detto «molto soddisfatto» del piano di aiuti da 237 miliardi concesso dai partner europei e dai creditori privati. «Siamo molto soddisfatti», ha detto Papademos al termine del lungo negoziato a Bruxelles. Il premier ha quindi ammesso che la piena attuazione dell'accordo raggiunto nella notte dipenderà dalla capacità di Atene di attuare il programma di risanamento economico concordato «per tempo e in maniera efficace». Quindi ha aggiunto: «Sono convinto che il governo che si insedierà dopo le elezioni (di aprile) sarà ugualmente impegnato a rispettare appieno il programma, perchè è nell'interesse del popolo greco».

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