martedì 14 febbraio 2012

News.pm_14.2.12. La retorica Galbanino alla verifica di fatti e dati. - 1) Marco Fortis: Per quanto riguarda il 2009, è stato possibile appurare che, nonostante la grave crisi internazionale, l'Italia risultava prima esportatrice mondiale di 249 prodotti (per un valore complessivo di circa 71 miliardi di dollari), seconda esportatrice di 347 prodotti (56 miliardi) e terza esportatrice di altri 387 beni (48 miliardi). Le eccellenze del made in Italy si completano con altri 610 prodotti in cui il nostro Paese nel 2009 figurava quarto o quinto tra gli esportatori a livello mondiale (per altri 78 miliardi di dollari di export).---2) La sgommata all'estero della rossa a due ruote non è certo una bella notizia per l'Italia. Come non lo era per Parmalat, o Bulgari. L'azienda di Borgo Panigale è un pezzo pregiato del distretto di grandi creatori di motori che sta fra Bologna e Modena. Insieme a Ferrari, Maserati, Lamborghini. Gran turismo eccezionali che già parlano in parte tedesco (Lamborghini appartiene ad Audi). Ora le velocissime Ducati.---3) Sulla passerella primavera 2012 della Gianfranco Ferré sfilano forme geometriche e asimmetriche, ma la sorte della maison si gioca altrove. A fine marzo il confronto fra i commissari straordinari e il nuovo proprietario Paris Group di Dubai arriverà in un'aula del Tribunale di Isernia.---4) La Bce ha immesso recentemente oltre 500 miliardi di liquidità in Europa: finora le banche italiane hanno usato questo denaro, in parte, per ricomprare i loro stessi bond, con redditizi buy back, e in parte per acquistare titoli di Stato (anche se il premier le sollecita a fare di più).---5) Isabella Bufacchi: Saranno venti giorni di fuoco, tra domani e il 5 marzo, per la Grecia e anche per i titoli di Stato italiani.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: L’isola in testa alle regioni del Sud
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: La Gallura precipita nella recessione
I primati globali del made in Italy
Made in Italy, anche la Ducati in vendita          
Retromarcia su Ferré
Riaccendete quel motore
Venti giorni per capire le prospettive sul debito
L'Eurogruppo non si fida, il sì definitivo può slittare
Crisi: Grecia, oggi consiglio ministri
Germania, indice Zew al top da aprile
Portogallo: recessione sempre piu' profonda. Pil 4* trim -2,7%
Kosovo: Serbi nord votano per referendum contro Pristina



LA NUOVA SARDEGNA - Economia: L’isola in testa alle regioni del Sud
14.02.2012
CAGLIARI. La grande industria non abita più in Sardegna ma il tessuto delle piccole imprese tiene. Lo dimostra l’analisi del Centro studi Sintesi, realizzata per il Sole 24 Ore, mettendo insieme i dati ufficiali di un quinquennio, 2007-2011, durante il quale le cronache economiche si sono spesso rivelate un bollettino di difficoltà e di cassa integrazione. Un lustro in cui l’economia rallenta. Dall’analisi emergono le difficoltà del sistema sardo ma anche le grandi possibilità dell’isola se è vero che, nella graduatoria delle regioni, la Sardegna si è piazzata al decimo posto per dinamismo economico, precedendo la Puglia che pure aveva potuto contare su alcuni «distretti industriali» di peso. E la Sardegna che precede regioni altamente produttive come le Marche, il Friuli e la Valle d’Aosta, conquista la «leadership» tra le regioni del Mezzogiorno. Il dinamismo economico si manifesta - per il Sole 24 Ore - con un indice pari a 40,99 su 100 quando la media italiana si attesta al 46,04 con una punta dell’84,22 in Liguria e una minima dell’11,71 in Calabria. In realtà, la Sardegna si rapporta in maniera diversa rispetto alle otto variabili prese in esame dal Centro studi Sintesi: per produttività, (rapporto fra valore aggiunto e numero di addetti) è addirittura al sesto posto con 52,3 per l’indice 2007-2011 (media Italia 44,8); per il numero di imprese attive in rapporto agli abitanti al tredicesimo posto con 30,4 (media Italia 39); buona la propensione all’export dove guadagna la seconda posizione ma sappiamo che si tratta di un dato «drogato» dall’attività petrolifera della Saras, tanto da conquistare il primo posto per il grado di apertura commerciale (somma di import ed export rispetto al valore aggiunto). Siamo a metà classifica anche per il tasso di occupazione e per il rapporto delle sofferenze sui crediti alle imprese. «Le statistiche», diceva con un paragone azzardato Salvatore Cafiero, storico direttore della Svimez, «sono come il costume da bagno, il bikini: quello che mostrano è importante ma ciò che nascondono è l’essenziale». Luca Murgianu, presidente della Confartigianato, rileva ad esempio il dato sulle imprese: «C’è un’emorragia. Negli ultimi tre anni abbiamo perso 1.863 aziende. Nel 2011 il saldo negativo è stato da record: 800 attività non hanno retto alla crisi». L’anno di grazia - rileva Confartigianato - è stato il 2008 quando il saldo tra nascita e mortalità delle imprese artigiane segnava 43.018 aziende attive. Da quel momento, però, s’è iniziata l’emorragia. Infine c’è la conferma che la Sardegna non è una regione per giovani: penultimo posto (prima della Campania) per il mix lavoro, imprenditoria e istruzione.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: La Gallura precipita nella recessione
14.02.2012
 OLBIA. L’economia che incantava è finita all’incanto, la Gallura è in recessione. Le massaie forse non avevano bisogno dei numeri per capirlo, il borsellino è più sensibile degli indici di borsa. Il dato tecnico si limita a confermare i numeri di un sistema in affanno. Il pil pro capite, quanto guadagna un cittadino, nel 2010 era di 24 mila euro, oggi è di 19 mila euro. Si è tutti un po’ più poveri. Ma a leggere la crisi della locomotiva Gallura non si deve guardare solo al prodotto finale, a quanto rimane in tasca a ogni cittadino. Per scoprire quanta sabbia sia finita nel motore bisogna osservare le performance della macchina produttiva. Il mondo delle imprese. Il tasso di crescita delle aziende è passato da 1,19 a 0,95 in 24 mesi. E poco conta se è il più vitale di una Sardegna agonizzante. «Siamo primi tra gli ultimi - spiega Mirko Idili, segretario provinciale della Cisl -. La Gallura vive una profonda recessione. I dati mostrano un’economia che torna indietro. Le imprese sono a crescita zero e se il dato viene paragonato al 2010 si ha un decremento. Il pil pro capite in due anni è crollato da 24 mila a 19 mila euro. La maggiore mortalità si ha tra le piccole imprese, gli artigiani. Sono loro quelle più deboli davanti al sistema bancario che ha chiuso i rubinetti». Alla debolezza strutturale delle imprese si deve aggiungere la crescita della popolazione che in Gallura è del 14 per cento, nella Sardegna è al 3. «Ma aumentano solo i residenti - dice -, la presenza dello Stato diminuisce. Gli uffici vengono smontati, le forze dell’ordine restano troppo poche, cancellati anche i tribunali. La politica deve mettere anche questo aspetto sul tavolo quando chiede maggiore attenzione e più finanziamenti». Idili lancia l’allarme anche sugli altri indicatori dello stato di salute dell’economia del territorio. «Ma quello che ci sconforta di più è l’emergenza occupazione - continua Idili -. Il tasso di disoccupazione sfiora il 15 per cento. Quello giovanile è da allarme rosso supera il 30 per cento». Un altro indice del vortice in cui è risucchiato il sistema produttivo è la crescita senza fine della cassa integrazione. «Quella ordinaria è diminuita dell’8 per cento, ma la straordinaria è cresciuta del 48 per cento e quella in deroga del 41 - continua il segretario -. Un segno che non lascia dubbi della forte crisi che vive il sistema imprenditoriale. È indispensabile lanciare un piano per il lavoro. Il Comune, la Provincia e la Regione devono sedersi intorno a un tavolo e concertare delle misure che incentivino l’occupazione». Ma per consentire di superare anche uno degli altri pesi fondamentali che zavorrano le imprese, l’accesso al credito, Idini ha anche una proposta forte. «In questi anni le banche hanno chiuso i rubinetti del credito - conclude Idini -. È indispensabile consentire alle imprese di avere liquidità. Le banche hanno ottenuto denaro fresco a tasso agevolato dalla Banca centrale europea. Ma non lo distribuiscono alle aziende. Preferiscono tenerli sotto il materasso della Bce. Creiamo noi un istituto di credito cooperativo. Che conceda alle imprese prestiti a tassi agevolati». Ma per Idili bisogna superare il gap infrastrutturale. «In questi anni il grande sviluppo dell’economia della Gallura e la sua forza economica hanno compensato le carenze di strade, porti, infrastrutture. Ora la crisi mette a nudo le fragilità di un territorio che ha bisogno di tutto».

I primati globali del made in Italy
Marco Fortis
Quando mi capita di parlare con colleghi o personalità politiche stranieri e racconto loro che l'Italia è prima, seconda o terza nell'export mondiale in quasi mille prodotti, la reazione è quasi sempre di incredulità. Eppure è così.
Marco Fortis
Nel 2011 l'export italiano in valore è tornato ai livelli del 2008. Un risultato davvero importante se si considera che i record di allora furono raggiunti in un periodo in cui il commercio internazionale era gonfiato dalle "bolle" di domanda di tanti nostri Paesi clienti che acquistavano più di quanto non potessero permettersi (dagli USA alla Spagna, dalla Gran Bretagna alla Russia, da Dubai alla Grecia stessa). I risultati di export dello scorso anno, invece, sono stati conseguiti in un periodo grigio. Esportare con successo in simili condizioni poco favorevoli è segno di capacità ed intraprendenza: doti che certamente non mancano alle imprese italiane, che hanno saputo innovare, accrescere la qualità dei loro prodotti, arricchendoli anche di maggiori contenuti di servizio, nonché conquistare nuovi mercati.
 Ciò non significa che la produzione industriale italiana vada bene. Infatti, nel 2011 il suo livello è rimasto praticamente lo stesso del 2010. Ma ciò è dovuto principalmente alla perdurante debolezza della domanda interna e non ad un deficit di competitività del made in Italy sui mercati internazionali.
 L'export, dunque, è una strada su cui insistere, nonostante il made in Italy sia stato spesso considerato in declino, anche e soprattutto in patria, quasi con una sorta di autocompiacimento che ha nuociuto assai all'immagine internazionale del nostro Paese, facendoci forse perdere anche qualche punto di spread in più del dovuto. Salvo poi scoprire, sempre a posteriori e a danno fatto, che il declino non c'era.
 Insistere significa capire che, nonostante la concorrenza dei Paesi a basso costo, possiamo essere ancora vincenti nel tessile, nell'abbigliamento, nella concia, nelle calzature, nei mobili, nelle piastrelle ceramiche, negli occhiali, nei gioielli, se produciamo prodotti di eccellenza: quell'eccellenza che gli stessi nuovi ricchi del mondo vogliono perché i cinesi e gli indiani abbienti desiderano il "made in Italy" e non il "made in China" o il "made in India". Insistere significa valorizzare di più i nostri prodotti alimentari e i nostri vini. E significa anche accrescere i nostri investimenti nelle innumerevoli nicchie dei prodotti in metallo, della meccanica, dei mezzi di trasporto, della chimica, della carta e della gomma-plastica in cui in questi anni abbiamo conquistato centinaia di leadership. In particolare, la meccanica è diventata la nostra punta di diamante. Con un surplus con l'estero che nel periodo gennaio-ottobre 2011 ha toccato i 39,1 miliardi di euro, solo del 2% inferiore al record storico del gennaio-ottobre 2008. Abbiamo fatto meglio persino dei tedeschi che rispetto ai livelli pre-crisi restano ancora sotto del 3,7 per cento.
 Ma quante sono oggi realmente le leadership del made in Italy? Per rispondere a questa domanda, la Fondazione Edison, insieme alla società di consulenza GEA, ha svolto un'approfondita analisi dell'export italiano nel quadro mondiale, basata su 5.517 prodotti: quelli, cioè, in cui la classificazione HS 1996 suddivide in modo estremamente dettagliato il commercio internazionale. L'obiettivo dell'Osservatorio GEA-Fondazione Edison è stato quello di identificare il numero dei primi, secondi, terzi, quarti e quinti posti detenuti dall'Italia nell'export mondiale mediante un particolare algoritmo, che ha permesso la costruzione di un «Indice delle eccellenze competitive nel commercio internazionale», detto Indice Fortis-Corradini dal nome dei suoi autori.
 Per quanto riguarda il 2009, è stato possibile appurare che, nonostante la grave crisi internazionale, l'Italia risultava prima esportatrice mondiale di 249 prodotti (per un valore complessivo di circa 71 miliardi di dollari), seconda esportatrice di 347 prodotti (56 miliardi) e terza esportatrice di altri 387 beni (48 miliardi). Le eccellenze del "made in Italy" si completano con altri 610 prodotti in cui il nostro Paese nel 2009 figurava quarto o quinto tra gli esportatori a livello mondiale (per altri 78 miliardi di dollari di export).
 Da tempo sosteniamo che migliaia di imprese medio-grandi, medie e piccole sono le protagoniste di questo successo che ci permette di competere con Paesi che possono schierare molti più gruppi di grandi dimensioni e di rilievo multinazionale rispetto all'Italia, ma che non possiedono la nostra capacità di essere flessibili ed operativi in centinaia di tipologie di prodotti, dalle caratteristiche "quasi sartoriali". È in questi ambiti di attività che emergono come fattori vincenti del made in Italy la creatività, l'innovazione, la qualità, il design e una spiccata "artigianalità industriale", cioè la capacità di realizzare beni quasi "su misura" per i clienti, ancThe in settori hi-tech come la meccanica o i mezzi di trasporto (si pensi alle macchine per imballaggio o agli yacht di lusso). La forza del "made in Italy", dunque, sta proprio nelle "nicchie" e nell'elevata diversificazione delle sue specializzazioni, che sono imperniate soprattutto sui macrosettori delle ormai note "4 A" (Alimentari-vini, Abbigliamento-moda, Arredo-casa e Automazione-meccanica-gomma-plastica).
 I primi posti che l'Italia possiede nell'export mondiale spaziano dalle macchine e dalle tecnologie per l'agricoltura e il tabacco ai prodotti alimentari e alle bevande (in cui primeggiamo a livello mondiale nell'export di pasta, derivati del pomodoro, insaccati, caffè torrefatto, vermut, aceti, mentre nei vini abbiamo un secondo posto di peso) sino a molti tipi di macchine per l'industria alimentare. I nostri primati proseguono nella moda (con molti prodotti del tessile-abbigliamento, della pelletteria, delle calzature, dell'occhialeria, della componentistica di questi settori e dei relativi macchinari industriali). Ed abbiamo molti primi posti anche nell'export mondiale di beni d'arredo per la casa, la cucina e l'ufficio nonché nei materiali e nei prodotti meccanici per il sollevamento e l'edilizia (su tutti i rubinetti e le valvole). L'Italia, inoltre, possiede molti primati nell'export mondiale di prodotti dell'industria della carta , nonché di prodotti dell'industria metallurgica (dai tubi in ferro e acciaio ai lavori in alluminio) ed ha primati importanti anche nelle tecnologie della metallurgia, nelle tecnologie del caldo e del freddo (attrezzature frigorifere per il commercio), nonché nelle macchine per lavorare il legno e i minerali non metalliferi come le pietre ornamentali e le ceramiche. Siamo primi esportatori mondiali anche di diverse tipologie di prodotti in metallo, di macchinari speciali della meccanica hi-tech (tra cui le macchine per imballaggio, vari tipi di macchine per lavorare i metalli e le materie plastiche). Deteniamo primati anche nell'export di beni per il divertimento e lo sport (dagli yacht ai fucili da caccia, sino a beni più di "nicchia" come le selle per bicicletta).
1.593
Esportazioni: i settori nelle prime cinque posizioni al mondo
SUL PODIO
 Rubinetteria, vini e turbine a gas. Sono queste (in alto) le tre nicchie su cui il made in Italiy vanta il primato mondiale dell'export. Settori di eccellenza in cui il nostro Paese totalizza nel complesso oltre 10 miliardi di dollari all'anno di esportazioni
 Guardando ai dati dell'export per categorie merceologiche, i primati sono molti altri. Secondo «l'Indice delle eccellenze competitive nel commercio internazionale» su 5.517 prodotti censiti, il nostro Paese è leader mondiale di export per 249 nicchie, per un valore di 71 miliardi di dollari. Per altri 347 prodotti è al secondo posto nel mondo e per 387 è in terza posizione. Sommando le nicchie in cui l'Italia ha almeno la quinta posizione nel mondo (1.593) si arriva a un valore dell'export di 253 miliardi di dollari all'anno.Ranking e trend BILANCIA COMMERCIALE Paesi del G20, anno 2010 (mld di dollari) per prodotti non alimentari.ESPORTAZIONI ITALIANE Dati mensili destagionalizzati, milioni di euro.

Made in Italy, anche la Ducati in vendita          
ROMA. Un altro pezzo pregiato di made in Italy sta per passare in mani straniere. Ieri, con una intervista al Financial Times, Andrea Bonomi, attuale proprietario della Ducati ha annunciato l'intenzione di vendere. «Ducati un'azienda perfetta, ma per un'ulteriore crescita ha bisogno del supporto di un partner industriale di classe mondiale». Le voci parlano di un interessamento della Bmw (che ha smentito) e quelli dell'indiana Mahindra. Tuttavia, a differenza del gruppo tedesco molto forte anche nelle due ruote, il costruttore di Nuova Delhi produce solamente automobili. E la traccia delle quattro ruote porta alla Mercedes che non ha commentato lasciando immaginare che le voci abbiano qualche concretezza.
La sgommata all'estero della “rossa a due ruote” non è certo una bella notizia per l'Italia. Come non lo era per Parmalat, o Bulgari. L'azienda di Borgo Panigale è un pezzo pregiato del distretto di grandi creatori di motori che sta fra Bologna e Modena. Insieme a Ferrari, Maserati, Lamborghini. Gran turismo eccezionali che già parlano in parte tedesco (Lamborghini appartiene ad Audi). Ora le velocissime Ducati.
Per Andrea Bonomi, comunque, un grande affare. Chiede un miliardo. Tre volte di più di quanto pagato sei anni fa. Nel frattempo l'azienda, sotto la sua gestione, ha ottenuto traguardi senza precedenti. La vittoria nel Moto Gp con Casey Stoner e l'ingaggio di Valentino Rossi. Certamente poco fortunato dal punto di vista sportivo. Eccezionale sul piano promozionale. Proprio l'anno scorso la Ducati ha toccato il record di vendite e fatturato sfruttando fino in fondo un'offerta di prodotti molto sofisticata: dalla “Diavel” (17 mila euro) alla 1199 (trentamila). Ha immatricolato quarantaduemila moto con un fatturato di 480 milioni (+20%). In un mese è tutto cambiato. La crisi economica penalizza il mercato delle due ruote. A gennaio la domanda in Italia è caduta del 23%. Per restare competitiva l'azienda dovrebbe crescere all'estero. Negli Stati Uniti, ormai diventato il primo mercato o in Germania che sta al terzo posto dopo l'Italia ma cresce al ritmo del 30%. Ma servono investimenti.

Retromarcia su Ferré
di Monica D'Ascenzo
Sulla passerella primavera 2012 della Gianfranco Ferré sfilano forme geometriche e asimmetriche, ma la sorte della maison si gioca altrove. A fine marzo il confronto fra i commissari straordinari e il nuovo proprietario Paris Group di Dubai arriverà in un'aula del Tribunale di Isernia. Motivo: la richiesta dei tre commissari (Stanislao Chimenti, Andrea Ciccoli e Roberto Spada) di sequestro preventivo del marchio come garanzia del rispetto del contratto di acquisto. Una mossa che ha lasciato sorpresa non solo la famiglia Sankari, ma anche i sindacati che vigilano sul mantenimento dei livelli occupazionali.
Ma quali erano gli impegni? Nel piano industriale del gruppo arabo si indicavano azioni di ristrutturazione, di ottimizzazione del portafoglio licenze, di concentrazione sul rilancio della prima linea oltre a un'imponente strategia di nuove aperture. Il tutto con un piano di investimenti complessivo di 26,4 milioni in tre anni. L'obiettivo era quello di stabilizzare i ricavi per tornare a crescere dal 2013 e riportare in positivo l'Ebitda con una crescita media annua del 43% tra 2012 e 2014.
Nell'autunno scorso poi l'uscita dell'a.d. Michela Piva, del business development director e del direttore della comunicazione della Gianfranco Ferré avevano allarmato i commissari, anche per i ritardi nel pagamento dei fornitori. In novembre Paris Group fa il punto della situazione con un nuovo documento presentato al ministero dello Sviluppo economico e consultato dal Sole 24 Ore, in cui viene evidenziato come al momento dell'acquisto tutte le divisioni del gruppo «realizzavano consistenti perdite», e che le carenze di fatturato erano stimate in 9,9 milioni a causa di 5,1 milioni di crediti insoluti di Itc, un milione di crediti insoluti di Gff e un valore di magazzino di 400mila euro contro i 4,2 milioni stimati inizialmente. Anche sul fronte dei fornitori sono state riviste le posizioni, tanto che il documento sottolinea: «Il cash flow era compresso a causa del basso livello di crediti recuperati, indice di un'incongruente indicazione nel carve-out, da coprire con impreviste iniezioni di cash aggiuntivo per 12,8 milioni in aggiunta al prezzo di acquisizione di 8 milioni».
Paris Group, inoltre, sottolinea le perdite per le royalties pagate dai licenziatari in anticipo durante l'amministrazione straordinaria pari a un totale di 5,4 milioni. A queste si aggiungono gli incassi incerti dovuti al contratto siglato dai commissari con il licenziatario Lure, con sede nelle British Virgin Island, per la Cina e altri 14 territori. Paris Group, infine, stima le perdite dirette dovute al contratto con Lure in 6 milioni di vendite per i 13 negozi in franchisee della Ferré Milano trasferiti al licenziatario e in 800mila euro l'anno di royalties per la Gf Ferré e la Ferré Milano.
Sul fronte degli investimenti da parte di Paris Group, secondo indiscrezioni, a novembre il totale dichiarato era di 20,7 milioni, salito ora oltre i 23 milioni, con il pagamento di oltre il 75% dei fornitori. A questo si aggiunge il rafforzamento della rete di vendita con sei aperture a Dubai e «la chiusura del negozio non-strategico del brand Ferré Milano in Via della Spiga» con la vendita per 1,8 milioni, depositati in un fondo vincolato presso la Bpm.
Un nuovo incontro al ministero era stato ipotizzato il 9 febbraio scorso, ma è stato rimandato a data da destinarsi. Se l'incontro avvenisse prima di fine marzo la sorte della Ferré potrebbe non decidersi in un'aula di tribunale.
 14 febbraio 2012

Riaccendete quel motore
La Bce ha immesso recentemente oltre 500 miliardi di liquidità in Europa: finora le banche italiane hanno usato questo denaro, in parte, per ricomprare i loro stessi bond, con redditizi buy back, e in parte per acquistare titoli di Stato (anche se il premier le sollecita a fare di più).
È auspicabile che il prossimo imminente "rifornimento" non finisca nella speculazione carta su carta o parcheggiato nei forzieri della Bce, ma nella disponibilità delle imprese. Troppe sono frenate da un cinico blocco dei fidi; da un costo del denaro proibitivo per gli investimenti; da uno scandaloso Stato insolvente e mai pagatore. Servono le riforme, non c'è dubbio, ma serve anche che chi gestisce denaro lo impieghi. Con sana e prudente gestione, ma lo impieghi. (a.o.)
 14 febbraio 2012

Venti giorni per capire le prospettive sul debito
Isabella Bufacchi Saranno venti giorni di fuoco, tra domani e il 5 marzo, per la Grecia e anche per i titoli di Stato italiani. Il taglio del rating sovrano annunciato ieri notte da Moody's nei confronti dell'Italia e di altri 6 Paesi europei rischia infatti di surriscaldare un'atmosfera già rovente: il calendario degli appuntamenti europei incentrati sulla crisi greca sarà fittissimo nelle prossime tre settimane, come lo sarà del resto quello delle aste e dei maxi-rimborsi con BoT, BTp, CcT e CTz in scadenza per oltre 50 miliardi. La concomitanza dell'evoluzione del drammatico default greco con le emissioni del Tesoro ha contribuito a provocare dalla metà dell'anno scorso, in automatico, l'allargamento dello spread BTp-Bund e l'aumento dei rendimenti. Questa volta, invece, gli effetti perversi del contagio potrebbero risultare meno devastanti, tollerabili.
 L'andamento da inizio anno dei prezzi e dei rendimenti dei titoli di Stato italiani, sul mercato primario e secondario, si è mostrato molto resistente, quasi impermeabile alle pessime notizie provenienti dalla Grecia. Oggi lo spettro del default non pilotato di Atene o l'uscita dall'Eurozona di uno Stato in crisi di insolvenza sono considerati rischi molto più reali e concreti rispetto a due anni fa - ancorchè poco probabili -, il mercato sta iniziando a metabolizzarli e a scontarne l'impatto, senza però per questo mettere indiscriminatamente tutti gli Stati periferici sullo stesso piano. Così i rendimenti nell'asta dei BoT a 12 mesi hanno segnato anche ieri un ennesimo calo, questa volta mezzo punto in meno rispetto all'ultimo collocamento a gennaio.
 Il contagio tra Grecia e Italia si è indubbiamente indebolito. Ad allentarlo è stata l'operazione di rifinanziamento LTRO a tre anni decisa dal presidente della Bce Mario Draghi ma anche il mix di misure e riforme per il rigore di bilancio e per la crescita varate dal Governo Monti. L'Italia tuttavia non è ancora immune, non può considerarsi fuori dal pericolo di essere nuovamente contagiata dalla crisi greca.
 Nelle prossime settimane, come nei prossimi mesi, i mercati potrebbero essere costretti a fronteggiare nuovi, inquietanti colpi di scena provenienti da Atene: l'introduzione delle clausole di azione collettiva in via retroattiva nei titoli di Stato greci regolati dalla legge nazionale e l'esercizio delle stesse per imporre a tutti i creditori sottoscrittori privati un haircut sul 50% del valore facciale dei bond; l'attivazione dei credit default swap sul default greco, non ancora del tutto scongiurata; le ripercussioni del declassamento del rating della Grecia alla «D» oppure al «selective default», soprattutto sui titoli utilizzati come garanzie collaterali per i finanziamenti presso la Bce da parte delle banche greche; la mancata implementazione delle nuove misure di austerità ad Atene che servono a spianare la strada al secondo pacchetto di aiuti, e i possibili ritardi nell'erogazione dei prestiti necessari per evitare un default greco «disordinato». Tanto più i conti pubblici, l'andamento dell'economia, la tenuta sociale e politica in Grecia dovessero peggiorare, tanto maggiore dovrà essere il miglioramento della percezione e della fiducia del mercato in un'Italia che, nonostante il suo debito-Pil in area 120%, continua a prendere le distanze dal modello greco e a disegnare il suo profilo di sostenibilità.

L'Eurogruppo non si fida, il sì definitivo può slittare
Beda Romano
A poco più di 24 ore dall'Eurogruppo di domani, non si può ancora dire con certezza che i ministri della zona euro daranno il via libera al nuovo pacchetto di aiuti alla Grecia. Nonostante il voto di domenica, con il quale il Parlamento greco ha approvato un piano di austerità, i dubbi continuano ad aleggiare. Sullo sfondo c'è la richiesta di rispettare tutte le condizioni poste la settimana scorsa.
In una dichiarazione alla stampa ieri a Bruxelles, il commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha spiegato che il voto dei deputati greci dimostra «la determinazione del Paese a mettere fine a questa spirale di gestione insostenibile delle finanze pubbliche e perdita di competitività», che è stata creata con «il modello economico» seguito dalla Grecia fino al 2009. «L'Eurogruppo ha fissato determinate condizioni per l'adozione del secondo programma greco, e in questa luce il voto del Parlamento greco è un passo in avanti cruciale verso l'approvazione di questo secondo piano», ha sottolineato Rehn, dicendosi «sicuro che le altre condizioni, inclusa l'identificazione di 325 milioni ulteriori di economie, saranno completate entro il prossimo Eurogruppo», fissato per domani.
Il comunicato di Rehn contiene due parti. Con la prima il commissario si è rivolto al popolo greco, prendendo atto dei suoi sforzi, dicendosi dispiaciuto delle recenti tensioni sociali, e assicurando l'appoggio della Commissione nel ridare slancio all'economia. Con la seconda parte il commissario è tornato a esortare la classe politica greca a rispettare le sue promesse.
La Grecia è alle prese con l'ennesima corsa contro il tempo. Con il voto di domenica, la classe politica ha rispettato solo una delle condizioni espresse dall'Eurogruppo nella sua riunione di giovedì scorso. All'appello, come ha spiegato lo stesso Rehn, manca tra le altre cose una lettera scritta delle forze politiche greche che devono impegnarsi a perseguire le riforme anche dopo le prossime elezioni di aprile.
La questione non è banale. Nelle ultime ore, il leader di Nuova Democrazia, Antonis Samaras, ha avvertito che se verrà eletto primo ministro nelle prossime elezioni di aprile vorrà rinegoziare le misure di austerità imposte dalla troika, composta da Commissione, Fmi e Bce. La presa di posizione è stata accolta negativamente a Berlino.
«Modifiche al programma non possono esserci e non vi saranno», ha detto Angela Merkel. Dall'Aja l'impressione è che l'Eurogruppo di domani potrebbe non varare un accordo definitivo sul nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi. C'è il desiderio di toccare con mano le promesse greche, anche perché l'Olanda (come altri Paesi) dovrà chiedere al proprio Parlamento di esprimersi prima di sborsare il denaro.
Oltre all'impegno scritto dei partiti greci e a nuovi tagli da 325 milioni di euro, l'Eurogruppo discuterà anche di un eventuale aumento del pacchetto di aiuti. Alcuni diplomatici non escludono che i ministri possano decidere di dare il via libera condizionato alla ristrutturazione del debito greco, anche a causa dei lunghi tempi tecnici dell'operazione, ma aspettando prima di chiudere il negoziato. Un Eurogruppo è già previsto per il 20 febbraio.
 14 febbraio 2012

Crisi: Grecia, oggi consiglio ministri
Trovare 325 milioni entro Eurogruppo domani
14 febbraio, 10:36
 (ANSA) - ATENE, 14 FEB - Riunione del Consiglio dei Ministri oggi pomeriggio ad Atene: la squadra del premier Lucas Papademos devono decidere azioni immediate per attuare il piano di austerità approvato dal Parlamento. In particolare, c'e' da capire dove trovare i 325 milioni di euro che domani dovranno essere presentati all'Eurogruppo. Quella cifra, parte del pacchetto di misure da 3,3 miliardi da attuare nel 2012, dovrebbe venire da tagli ai ministeri, "non alle pensioni", ha detto ieri il portavoce del governo.

Germania, indice Zew al top da aprile
A febbraio sale a 5,4 punti da -21,6 di gennaio
14 febbraio, 11:23
(ANSA) - ROMA, 14 FEB - L'indice Zew che misura le aspettative sull'economia tedesca e' salito a febbraio a 5,4 punti da -21,6 di gennaio, toccando i massimi dallo scorso aprile e superando nettamente il -11,8 previsto dagli economisti.
 Il sottoindice relativo alle condizioni economiche attuali migliora a 40,3 da 28,4 del mese scorso.

Portogallo: recessione sempre piu' profonda. Pil 4* trim -2,7%
14 Febbraio 2012 - 11:34
 (ASCA) - Roma, 14 feb - Il combinato disposto tra rallentamento dell'economia globale e misure di austerita' spinge il Portogallo sempre piu' in recessione. Nel 4* trimestre il Pil ha registrato una contrazione pari a -2,7% rispetto al corrispondente trimestre del 2010.
 Per l'intero 2011 il Pil lusitano ha subito una contrazione pari a -1,5% rispetto a +1,4% del 2010. Lo comunica l'istituto nazionale di statistica.
 L'economia portoghese dovrebbe andare persino peggio nel 2012 con una contrazione del Pil pari a -3%.
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Kosovo: Serbi nord votano per referendum contro Pristina
Ma anche contro Ue e Belgrado; seggi aperti per 2 giorni voto
14 febbraio, 09:34
(ANSAmed) - BELGRADO, 14 FEB - Contro il governo di Pristina, contro l'Unione europea e contro lo stesso governo di Belgrado che lo aveva sconsigliato, i serbi del nord del Kosovo hanno iniziato stamani a votare un referendum che propone il rifiuto delle autorità kosovare, consultazione che si prolungherà oggi e domani. Il referendum, che intende anche denunciare le concessioni fatte da Belgrado a Pristina sotto la pressione dell'Ue, si tiene nelle quattro maggiori municipalità serbe del nord del Kosovo: oggi e domani a Zvecan, Zubin Potok e nel settore serbo di Kosovska Mitrovica, nella sola giornata di domani a Leposavic. Sono state stampate 35 mila schede sulle quali si potrà rispondere con un sì o un no alla domanda "Accettate le istituzioni della cosiddetta Repubblica del Kosovo installata a Pristina?". Un quesito dalla risposta ovvia e scontata in partenza.
 Gli 82 seggi nei quali si può votare sono stati aperti alle 07:00 e chiuderanno alle 19:00. Il presidente serbo, Boris Tadic, e le altre autorità serbe hanno più volte chiesto ai serbi del nord di rinunciare a una tale consultazione, definita inutile, controproducente e dannosa per gli interessi della Serbia, impegnata a migliorare l'atmosfera generale e ad allentare le tensioni in vista della decisione che ai primi marzo il Consiglio europeo prenderà sulla concessione o meno a Belgrado dello status di Paese candidato alla Ue.(ANSAmed).

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