sabato 18 febbraio 2012

News/pm.18.2.12/ Unioncamere: Un terzo delle imprese italiane nate nel 2011 ha sede nel Mezzogiorno. A fondarle, in 3 casi su 4, sono uomini, oltre il 45% ha meno di 35 anni, e in 7 casi su 10 sono bastati 10.000 euro per partire. L'obiettivo, spesso, è quello di sottrarsi al circolo vizioso di disoccupazione e precariato.---Vendola: Il merito fondamentale del successo della Puglia nel mondo appartiene ai pugliesi, al loro talento e alla loro curiosità, a come nel corso del tempo sono stati capaci di interpretare il rapporto tra terra e mare, a come hanno guardato al mare non come una minaccia ma come un’occasione, una possibilità e a come hanno saputo coltivare cose antiche e cose moderne con una straordinaria sapienza senza disperdere l’antico e senza rifuggire dal moderno.

«Turismo, il successo della Puglia? E' merito dei pugliesi»
Uomo, giovane e senza aiuti dalle banche
Visco: 2012 sara' anno di recessione, caduta del Pil dell'1,5%
Se la banca finanzia se stessa
Visco: con avanzo primario 5% riduzione debito/pil superiore a regole Ue
Le colpe di Atene e quelle di Berlino
Atene mette a punto la legge che impone le perdite ai privati
Ticino. Crisi del debito e l’opportunità di aggirare il problema



«Turismo, il successo della Puglia? E' merito dei pugliesi»
MILANO -  “Il merito fondamentale del successo della Puglia nel mondo appartiene ai pugliesi, al loro talento e alla loro curiosità, a come nel corso del tempo sono stati capaci di interpretare il rapporto tra terra e mare, a come hanno guardato al mare non come una minaccia ma come un’occasione, una possibilità e a come hanno saputo coltivare cose antiche e cose moderne con una straordinaria sapienza senza disperdere l’antico e senza rifuggire dal moderno”.
Così il presidente della regione Puglia Nichi Vendola è intervenuto questa mattina alla Bit di Milano in una affollatissima conferenza stampa, moderata dalla giornalista Mariella Milani, per la presentazione di “Puglia, terra di racconti”, il concept scelto dall’assessorato al turismo per promuovere il prodotto Puglia 2012.
“Il segreto del successo della Puglia - ha continuato Vendola - sta nel lavoro svolto sin qui per la professionalizzazione del settore turistico e nell’idea che il turismo non è una particolare delega, bensì è l’incrocio di tutte le politiche pubbliche. Se valorizzi l’ambiente, valorizzi il tuo patrimonio artistico, culturale e storico, se sei in grado di accogliere il turismo in forme sostenibili (bad and breakfast, antiche masserie, circuito del turismo rurale) se rispetti ciò che trovi in termini di bellezza ma entri in un territorio che sfida il mondo intero sul terreno della modernità, se accade tutto questo vuol dire che cominci a sentire un profumo di Puglia. Noi lavoriamo ad una idea, quella cioè di uscire dalla dimensione del folclore e di smettere di pensare che il turismo è una cosa facile. Il turismo è una cosa complessa”.
E la parola turismo per Vendola va coniugata con la parola bellezza. “Noi abbiamo provato a mettere insieme queste due parole bellezza e turismo, bellezza e modernità, bellezza ed economia. L’idea che la modernità nel suo incedere vorticoso può anche ferire la bellezza oggi non è più accettabile. Di fronte alla crisi che sta strangolando l’Europa non possiamo pensare di farcela se non rimettiamo al centro dei modelli di sviluppo e di crescita economica, l’ambiente naturale, la storia, la natura, la memoria e soprattutto l’idea della bellezza. Oggi la bellezza è il tema delle politiche pubbliche. E la sfida futura è quella di mantenere in un costante equilibrio la modernità e la bellezza”.
Tra le ragioni del successo della Puglia, Vendola ha evidenziato “l’aver investito nella modernizzazione dl sistema infrastrutturale, l’aver promosso l’immagine della Puglia, ad esempio, sul tema delle energie sostenibili, l’aver attratto i giovani con l’industria del cinema, della musica” mentre per il futuro Vendola ha evidenziato la necessità di entrare nei mercati esteri.
“Siamo in contatto permanente con le strutture del mercato tedesco – ha continuato Vendola - con quelle americane, vogliamo sfondare con la Russia e con il Brasile. Cerchiamo insomma di farci conoscere nel mondo e di fare in modo che il mondo venga ad arricchirci non solo economicamente ma anche con il dono delle tante culture”.
Vendola ha poi ringraziato i due turisti eccellenti e testimoni della Puglia, Giorgio Forattini e Roberto Vecchioni. Forattini ha voluto donare una sua vignetta che rappresenta se stesso con il cuore rosso trafitto dalla bellezza della Puglia. “Sono molto contento - ha detto Vendola - che Forattini sia venuto e che possa esercitare il suo mestiere e sono contento anche quando mi prende in giro. Il potere ha bisogno di un'opera permanente di dissacrazione”.
Poi Vendola ha voluto ricordare come le canzoni sui viaggi e quelle “galoppanti” di Roberto Vecchioni (“un amico della Puglia, oltre che mio”) siano state “decisive” per la sua educazione sentimentale. Alla conferenza stampa presente anche anche Amalia Grè “una voce che travalica i confini regionali” definita da Vendola “un gesto di amore e di bellezza”.
“Quella che presentiamo alla BIT è una Puglia a tutto tondo” ha ricordato l’Assessore Regionale al Turismo Silvia Godelli nel suo intervento introduttivo. “Vogliamo mostrare la doppia anima della Puglia: quella tradizionale fatta di storia, arte, cultura, paesaggi e quella moderna, supportata da una rete infrastrutturale eccellente e da una qualità dell’accoglienza che anno dopo anno ha trasformato la nostra regione in un punto di riferimento imprescindibile dell’immaginario collettivo”.
Citando alcuni dati, l’assessore Godelli ha ricordato come nel 2011 la Puglia abbia superato i 3 milioni di presenze, con un trend in continua crescita che l’anno scorso ha raggiunto quota 8%, mezzo punto in più rispetto al 2010. Un mercato che non solo consolida le posizioni della domanda turistica tradizionale come Germania, Francia e Regno Unito, ma che vede profilarsi all’orizzonte nuovi Paesi di provenienza come la Russia (+ 40%) e i cosiddetti Paesi BRICS, ovvero Brasile, India, Cina e Sudafrica.
E di eccellenze nel settore agroalimentare che hanno una ricaduta notevole sul turismo ha parlato l’Assessore Regionale alle Politiche Agroalimentari Dario Stefàno. “ Siamo particolarmente orgogliosi” ha sottolineato Stefano “ di aver portato qui a Milano la rete di circa 70 masserie didattiche, che parlano di una Puglia di qualità attraverso le proprie tradizioni culinarie ed enogastronomiche, saperi e sapori di una straordinaria biodiversità, diventata elemento catalizzatore di flussi turistici. “I turisti – ha concluso Stefàno - scelgono la Puglia anche perchè qui trovano quegli elementi di grande tradizione agricola legati alla natura e alla terra”.
In conferenza stampa anche il Presidente del Consiglio regionale pugliese Onofrio Introna e il presidente della quarta commissione consiliare Sviluppo economico e turismo Aurelio Gianfreda.

Uomo, giovane e senza aiuti dalle banche
Ecco l'identikit del neoimprenditore
Il Centro studi di Unioncamere traccia il profilo delle imprese nate nel 2011. In molti casi si tratta di piccole attività, senza dipendenti al di fuori dei propri fondatori e talvolta nate come risposta a precariato e disoccupazione. Cresce la partecipazione degli under 30
MILANO - Un terzo delle imprese italiane nate nel 2011 ha sede nel Mezzogiorno. A fondarle, in 3 casi su 4, sono uomini, oltre il 45% ha meno di 35 anni, e in 7 casi su 10 sono bastati 10.000 euro per partire. L'obiettivo, spesso, è quello di sottrarsi al circolo vizioso di disoccupazione e precariato  E' quanto emerge dall'indagine del Centro studi di Unioncamere su un campione di circa 9mila imprese attive nate nel corso del 2011 rappresentativo di circa 176mila "vere" nuove imprese iscritte nel corso dell'anno.
Anche nel 2011, sono stati Sud e Isole a dare vita alla quota prevalente di nuove iniziative imprenditoriali (30,9%), seguite a breve distanza dal Nord Ovest (28,6%). Incidenze minori spettano al Centro e al Nord Est (rispettivamente, 21% e 19,5%). Nella maggior parte dei casi (88,7%), le imprese neo-nate sono caute e non avvertono la necessità di assumere personale, impegnate come sono ad attendere i primi riscontri da parte del mercato. Circa un'impresa su dieci prevede di aumentare gli occupati, ma la quota sale sensibilmente tra quelle con più di 10 addetti (raggiungendo il 19,6%).
Le opportunità del "fare impresa" sono colte sempre più frequentemente dai giovani: l'incidenza degli under 30 è pari al 26,4% (2 punti in più rispetto al 2010) e un ulteriore 19,1% di neo-imprenditori si colloca nella fascia di età tra i 31 e i 35 anni. I giovani hanno generato nel 2011 poco meno della metà delle nuove imprese, mentre il restante 54,5% è da  attribuire agli ultra 35enni, che si avvalgono principalmente dell'esperienza e del proprio background tecnico-professionale per trovare stimoli all'avventura imprenditoriale. Si sono ulteriormente ridotti gli spazi per le donne, che presidiano settori specifici come i servizi alle persone, il turismo, l'agricoltura e le attività commerciali. Poco meno della metà (48,9%) dei neoimprenditori proviene da una scuola secondaria superiore, una quota in crescita rispetto ai dati 2010. Anche l'incidenza di quanti si sono fermati alla scuola dell'obbligo è in aumento (supera un quarto dei casi) e, di conseguenza, sono in riduzione i neo-imprenditori con qualifica professionale e con laurea, cui corrispondono quote intorno al 12%.
Visto che l'investimento per dare avvio a una nuova attività non supera i 10mila euro nel 72,1% dei casi (quota che si amplia, raggiungendo il 75,3%, per i giovani), i nuovi imprenditori fanno affidamento prevalentemente su mezzi propri: infatti, scelgono l'autofinanziamento 8 imprenditori su 10, affiancando a questo i prestiti di parenti o amici e, in seconda battuta, i prestiti bancari. Invece, la motivazione prevalente è da ricercarsi nella necessità di trovare uno sbocco lavorativo per quanti precedentemente si trovavano nella condizione di disoccupati, studenti, casalinghe e collaboratori a progetto, che complessivamente rappresentano il 22,4% dei nuovi imprenditori, con un'incidenza in aumento di 1,5 punti sul 2010. "L'impresa è e resta una grande opportunità soprattutto per i giovani - sottolinea il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - non è la soluzione alla disoccupazione, ma è una concreta e solida chances per dare corpo alle giuste aspettative di soddisfazione professionale".
(18 febbraio 2012)

Visco: 2012 sara' anno di recessione, caduta del Pil dell'1,5%
Il governatore di Bankitalia al Forex di Parma 'Storico crollo del credito a imprese a dicembre'
18 febbraio, 12:11
PARMA - ''Il 2012 sara' un anno di recessione''. Lo afferma il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco intervenendo al Forex di Parma che ricorda le previsioni dell'istituto centrale di una caduta del Pil prevista dell'1,5%. Secondo Visco ora ''bisogna guardare avanti'' per tornare a un'espansione del reddito nel prossimo anno.
 Caduta record del credito delle banche alle imprese a dicembre, afferma Visco, secondo cui "i prestiti alle imprese si sono contratti di 20 miliardi, una entità molto elevata nel confronto storico". I finanziamenti alle famiglie invece "sono solo leggermente calati". Le banche dovranno "dimostrare di saper svolgere bene la loro funzione" con una "acuita capacità selettiva". Secondo il Governatore cui "é cruciale che l'economia non entri in asfissia creditizia, deperendo e trascinando con sé anche" le stesse banche. Un ulteriore "ragionevole, irrobustimento della dotazione di capitale è alla portata del sistema bancario" italiano. Lo afferma il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco al Forex secondo cui "il processo di rafforzamento patrimoniale deve continuare" dopo lo sforzo degli scorsi anni.
La Banca d'Italia, prosegue Visco, sta per fornire alle banche "indicazioni volte a orientare le scelte" su politiche dei dividendi e remunerazione dei manager" che dovranno tenere conto delle necessità degli istituti di credito di rafforzare il capitale.
La Bce e le banche dell'Eurosistema continueranno "a garantire il proprio sostegno alla liquidità e all'attività di prestito delle banche" ma le "politiche nazionali devono continuare a "essere orientate alla stabilità e alla crescita".
L'esercizio dell'autorità europea Eba, che ha colpito fortemente le banche italiane, ha avuto una "sequenza sbagliata" ma ora le "esigenze di rafforzamento", "possono essere soddisfatte senza una contrazione dei finanziamenti all'economia". L'esercizio Eba, aggiunge Visco, doveva essere accompagnata dal lancio dell'Efsf e delle garanzie europee sulle nuove passività bancarie a medio e lungo termine.
Le norme di Basilea3 che impongono limiti più elevati e di qualità al capitale delle banche possono rappresentare "opportunità di crescita dimensionale" per le Pmi che godono di un trattamento "favorevole dei crediti". Per il governatore della Banca d'Italia crediti "a tassi relativamente contenuti" possono essere concessi a imprese ben capitalizzate e valutate in grado di sfruttare economie di scala o di diversificazione.
"Interventi incisivi sui costi potranno anche conseguire dalla semplificazione dagli assetti di governo societario", spiega Visco al Forex in relazione agli utili delle banche. Il Governatore evidenzia che "recuperi di redditività possono essere conseguiti con un miglioramento della qualità dei servizi offerti che consenta un'espansione e un riequilibrio dei ricavi".

Se la banca finanzia se stessa
di Carlo Carboni
Era da anni che non si avvertiva un così forte disagio degli imprenditori per le difficoltà d'accesso al credito come si manifesta nelle lettere che in questi giorni il Sole 24 Ore sta pubblicando. In alcune si legge un ruggito avverso, in altre, il sibilo lamentoso e acuto di una pentola a pressione che sta per rimanere a secco.
Il rapporto tra banche e imprese, soprattutto piccole e medie non è mai stato perfettamente armonico. Anzi, tutt'altro come risulta da innumerevoli indagini.
Tuttavia, oggi si complica: sia per l'emergenza che ci vede impegnati a contrastare una recessione, sia per il repentino passaggio dall'aura magica (e, in passato, misteriosa) del credito facile, alle difficoltà e alle chiusure mortificanti odierne. Si avverte il rischio di un duro colpo a una sinergia tra banca e impresa fondamentale per investire e crescere. Inoltre, rischia di acuirsi un contrasto nel cuore delle élite economiche dei nostri territori: gli imprenditori rimproverano alle banche il “braccetto”, sempre più corto, nel concedere credito.
Dal canto loro, i banchieri ribattono che gli imprenditori oggi investono e lavorano solo con denaro altrui e non sono disposti a rischiarne del proprio. Senonchè, anche le famiglie e soprattutto i giovani soffrono questa situazione di deficit di credito - e di credibilità – che, in molti casi, impedisce loro di soddisfare l'onesto bisogno di progettare un ciclo di vita ordinato.
 Le lettere al Sole 24 Ore, purtroppo, denunciano una carenza di “intelligenza contestuale” delle banche nel comprendere i rischi e le difficoltà che oggi alimentano le ansie dei nostri piccoli e medi imprenditori. Le fusioni e le verticalizzazioni non hanno fatto bene al rapporto fiduciario tra banche e territori, tra banche e imprese. In tempi di credit crunch, le imprese, al pari dei cittadini, non solo devono fare i conti con le inefficienze della PA, come nel caso - citato ieri da Alberto Orioli - dell'insolvenza da parte dello Stato di poco meno di 70 miliardi di euro nei confronti dei propri fornitori.
Al pari delle famiglie, gli imprenditori devono anche subire la stretta e gli alti tassi bancari di mutui, prestiti, sconfinamenti e quant'altro perché le banche sono, al momento, più propense a sfruttare rendite posizionali, come quella al descritta da Gros Pietro su Il Sole di due giorni fa: le banche, comprando titoli di Stato, in realtà finanziano sè stesse, visto il basso costo con cui ottengono denaro (dall'Eurotower) che possono comodamente investire in titoli pubblici ricavandone tassi più elevati di quelli debitori.
Soprattutto il disagio registrato sul campo evidenzia banche che difettano di ”intelligenza emotiva” con la clientela: in qualche modo, al credit crunch si associa il ritorno all'hard power, a una chiusura autoreferenziale a discapito del dialogo con la clientela. Le cronache ci descrivono imprenditori trascurati e a volte persino sbrigativamente liquidati da direzioni lontane che hanno perso il contatto con il territorio. Le grandi aggregazioni degli anni Novanta hanno spersonalizzato i rapporti. I direttori di filiale rispondono a direzioni generali lontane e il correntista scompare. Se nel mondo Occidentale industrializzato pre-glasnost era sufficiente che banche e finanza fossero un lubrificante per lo sviluppo del mondo industriale, oggi la competizione richiesta alle imprese dalla globalizzazione è sostenibile solo se banca e finanza si sentono parte trainante del motore, esercitano la responsabilità di classe dirigente nei territori, si assumono il ruolo di direttore di un'orchestra economica e imprenditoriale molto più variegata rispetto al passato.
c.carboni@univpm.it
 18 febbraio 2012

Visco: con avanzo primario 5% riduzione debito/pil superiore a regole Ue
18 Febbraio 2012 - 12:45
 (ASCA) - Parma, 18 feb - Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, promuove l'aggiustamento di finanza pubblica.
 ''Con una dinamica reale modesta, dell'ordine dell'1%, e con uno spread sui Btp decennali stabilmente al livello, comunque elevato, di 300 punti base, avanzi primari del 5% del Pil, come quello previsto per il 2013, garantirebbero una riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto maggiore di quella richiesta dalle nuove regole Ue''.
 Visco lo ha detto nel suo intervento al Congresso Assiom-Forex.
men/mau                   

Le colpe di Atene e quelle di Berlino
di Carlo Bastasin
La coincidenza nella lingua tedesca della parola "debito" con la parola "colpa" rende quasi insopportabile la condizione di un'umanità indebitata, in cui ogni bambino nasce con addosso una "colpa" di cui è innocente e che pagherà durante la vita. In questa visione piagata dall'ingiustizia, morale e realtà si confondono, etica dei fini ed etica della responsabilità si combattono, fino a produrre ciò che Franz Kafka lucidamente aveva previsto: la finzione diventa ordine mondiale.
 Le dimissioni del presidente della Repubblica tedesca, Christian Wulff, per un debito disinvolto, sarebbero un episodio marginale della politica deideologizzata, e subito diventata Casta, se non rappresentassero proprio la finzione, l'inceppo dell'ingranaggio attraverso il quale cerchiamo di costruire un ordine politico nei rapporti tra democrazie europee, suddivise tra creditori e debitori. Poche settimane prima che il mutuo facilitato ottenuto dalla moglie di un amico imprenditore diventasse pubblico, Wulff si era rivolto a una conferenza sollevando la questione morale nella crisi greca: «A chi dovremmo fare credito? A un familiare, a un vicino di casa, forse anche a chi deve rimettersi in piedi (...). Ma il creditore sarebbe immorale se ciò servisse solo a posporre l'insolvenza» del debitore.
 La tentazione dell'analogia va resistita. Il sospetto di ipocrisia, di una personalità ritentiva e forse micragnosa, accompagnano Wulff - in un corteo mediatico vigoroso e sanguinolento - dove lui stesso voleva accompagnare la Grecia: fuori dal castello di Bellevue e fuori dalla comunità politica. Un'opinione pubblica molto reattiva ha mal digerito, più del privilegio, le scuse di Wulff, che sfidavano l'intelligenza prima ancora dell'etica: un'imprenditrice ha investito su di me. Non sono stati i 40 euro al mese risparmiati sul mutuo a indignare, ma la scoperta che il suo moralismo era vuoto e valeva solo nei confronti degli altri.
 La domanda che ci pone la capacità reattiva della società tedesca è se noi italiani siamo assuefatti dal malcostume denunciato dalla Corte dei Conti nei giorni scorsi. Se inoltre davvero non ci sia un legame tra autodisciplina finanziaria e desiderio di onestà. E infine se saremo in grado di aiutare i tedeschi a capire che non è necessaria la categoria della colpa altrui per sentirsi onesti. Come accade a un giornale tedesco che accusa Wulff di aver accettato comportamenti «da padrinaggio siciliano».
L'analogia tra Wulff e la Grecia va resistita perchè diverse sono le responsabilità di un individuo da quelle delle istituzioni, così come diverse sono le conseguenze che se ne traggono. Le colpe di Wulff non sono le stesse dei governi greci, così come le sue dimissioni non sono un modello per l'uscita di Atene. Wulff si è dimesso perchè l'uomo non poteva più coincidere con l'istituzione della presidenza tedesca che Angela Merkel definiva come un compito di orientamento valoriale.
 Una descrizione che la stessa cancelliera aveva tradito privilegiando l'elezione di Wulff a quella del dissidente Joachim Gauck. Era un'occasione unica per segnalare alla politica il valore della dissidenza anzichè solo quello della cattura del pubblico consenso. Wulff d'altronde non è il primo presidente che conclude il mandato in modo traumatico. Segno che nel confondere valori e potere anche il sistema tedesco è preda di un disorientamento. Ora l'indicazione del prossimo capo della Repubblica entra nel gioco delle campagne elettorali, un altro sistema di sconfitta del dissenso, che tutt'al più rivelerà la preferenza della cancelliera per la prossima coalizione di governo dal 2013.
 Per affrontare la crisi di Berlino, la cancelliera Merkel ha dovuto annullare una visita internazionale, a Roma, in cui avrebbe discusso il salvataggio della Grecia, ma Roma e Berlino hanno annunciato con ottimismo che un accordo verrà trovato per il prestito. Forse la logica dell'interdipendenza si sta facendo strada. Il debito d'altronde ha assunto una categoria morale che Nietzsche definiva addirittura la più originaria e antica nel rapporto tra esseri umani. Forse non è un caso che per costruire un argine la politica abbia bisogno di de-umanizzarlo, sottraendone il controllo a sé stessa, con regole costituzionali o patti sovranazionali. Non c'è nulla di post-democratico in questo.
Gli errori degli uomini sono antichi quanto lo sforzo di correggerli: la «continua revisione» che Karl Popper identificava con l'essenza stessa della democrazia. Questo riguarda anche l'Europa. Quando i partner creditori chiedono di influenzare la politica greca in fondo non fanno che far valere il principio democratico secondo cui la tassazione (in questo caso il trasferimento di denari prelevati ai contribuenti degli altri paesi) richiede rappresentanza. Siamo su una scala della democrazia priva di precedenti.
 L'ultimo paradosso ereditato dalla vicenda di Christian Wulff riguarda infatti proprio i limiti della dimensione "domestica" della politica. La dimensione a cui Berlino si appella senza tregua ripetendo l'ordine di adempiere ai "compiti di casa", con il ritiro entro le mura nazionali dei diritti e dei doveri. L'ordine suona come un'altra beffa se si pensa che è proprio dentro le mura di casa che tanti politici nazionali ritengono di aver ogni diritto di violare l'etica.
cbastasin@brookings.edu
 18 febbraio 2012

Atene mette a punto la legge che impone le perdite ai privati
Vittorio Da Rold
 ATENE. Dal nostro inviato
 Il Governo Papademos, che oggi si riunisce in un Consiglio dei ministri, sta mettendo a punto una normativa sulle clausole di azioni collettive, una legge che potrebbe essere utilizzata per imporre retroattivamente le perdite (haircut) ai grandi investitori privati rappresentati dall'Iif di Charles Dallara e Jean Lemierre di Bnp Paribas, investitori che non dovessero accettare lo swap sul debito del Private sector involvement (Psi), un elemento che fa parte del secondo pacchetto di salvataggio del Paese deciso al summit Ue del 26 ottobre a Bruxelles.
 Alcuni hedge fund americani infatti si sarebbero opposti allo swap "volontario" costringendo così il Governo greco di Lucas Papademos a varare le clausole di azioni collettive che imporrebbero anche a loro l'adesione allo scambio che prevede perdite del 50% del valore facciale, il pagamento diretto del 30%, forse in bond garantiti dall'Efsf, e nuove emissioni trentennali per il 70% a un tasso del 3,6%, il che equivale a una perdita complessiva del 70% del capitale investito. A differenza del caso argentino del 2001, pari a 95 miliardi di dollari di default, nel caso greco i piccoli risparmiatori, che detengono 16 miliardi circa di bond sui circa 216 in mano ai privati, non sarebbero coinvolti nello swap.
 La legge sulle clausole collettive potrebbe essere varata nei prossimi giorni dal Parlamento greco. Per approvare il Psi c'è però bisogno di una maggioranza qualificata di creditori istituzionali (banche e fondi) del 75%. La clausola collettiva, scatta infatti solo al raggiungimento di questa maggioranza. Non c'è però alcun coinvolgimento dei piccoli investitori. La procedura è molto simile a quella di un concordato preventivo (previsto dall'articolo 160 della legge fallimentare italiana).
 L'offerta di scambio dovrebbe essere formalizzata nei prossimi giorni. Per far scattare la clausola, quindi, dicono fonti locali, si dovrà prima raggiungere la maggioranza qualificata e per la tempistica si dovranno leggere i termini dell'offerta definitiva di swap. I ministri dell'Eurozona puntano alla data del 20 febbraio per risolvere questo problema e dare il via libera al secondo piano di salvataggio.
 Ieri intanto si è appreso che nei giorni scorsi 43 deputati del Pasok hanno fatto un'interrogazione parlamentare rivolta al ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, per sapere se la società di consulenza Black Rock, incaricata di un'analisi contabile sullo stato del sistema bancario greco, in vista anche dello swap e della successiva ricapitalizzazione delle banche elleniche, abbia terminato il lavoro, se sia possibile rendere pubblico il rapporto stesso e se la revisione abbia compreso nella sua indagine anche i beni bancari detenuti off-shore. Se non fossero stati verificati i beni off-shore allora il rapporto sarebbe gravemente carente.

Ticino. Crisi del debito e l’opportunità di aggirare il problema
 di Silvano Toppi - 02/18/2012
Lo si voglia credere o no, nonostante le concessioni e gli accordi o i passaggi da liste nere a liste grigie o imbiancate, non ci siamo ancora tolti di dosso l’etichetta di “paradiso” che promuove e accoglie l’evasione fiscale europea o americana. Tanto più che l’“inferno fiscale” (l’indebitamento) imperversa altrove e rinfocola il convincimento (o la giustificazione) che nei forzieri svizzeri va trovato il peccato originale e forse la salvezza.
Agli Stati Uniti, imbufaliti per la sicumera delle banche svizzere che hanno imparato poco o niente, si offrono paginate di informazioni bancarie criptate con la promessa di sciogliere l’enigma se accetteranno un accordo definitivo, ponendo pure termine alla sequela di procedimenti penali. Sa un po’ di espediente dell’ultima ora, tragicomico. Con l’Unione europea, dove l’approccio bilaterale (v. l’accordo con Germania, sempre in bilico) non è visto di buon occhio, si sta ritentando l’accordo fiscale globale, accompagnandolo, quasi per diluirne la portata, ad altri accordi sensibili, come quello sull’energia.
Ci si illude molto. La proposta sbocciata in questi giorni di rendere obbligatoria ai clienti esteri delle banche una dichiarazione in cui si attesti che i loro depositi sono stati dichiarati al fisco del Paese di provenienza è una «svizzerata» alla quale è difficile prestar fede: non tanto per l’inganno a portata di conto, quanto per lo scarico troppo comodo di responsabilità.
E allora? C’è da credere a Fulvio Pelli quando dice che non è la morale (il peccato originale, l’evasione) di cui ci si preoccupa, anche se si finge di partire da lì, quanto piuttosto dell’incasso da estorcere in ogni modo.
Non si tratta di difendere la Svizzera o tanto meno la Piazza finanziaria svizzera che si è messa essa stessa il cappio al collo e deve uscire dalle troppo facili rendite di posizione in cui si è trastullata per decenni (l’ha ammesso in un interessante «Controluce» un banchiere perspicace, il presidente della Bsi, Gysin). Senza cercarsi una fuga per la tangente, si dovrebbe insistere maggiormente, proprio da parte della Svizzera, negli organismi internazionali (Fmi), sull’ipocrisia generale che mantiene e alimenta tutto il sistema dei paradisi fiscali, pure americani o inglesi, senza voler adottare qualche mossa radicale che metta alle strette la finanza grigia o nera e che dia nello stesso tempo un sostanzioso contributo al problema del debito degli Stati. Insomma, due piccioni con una fava.
Traduciamo in termini semplici. Attualmente si valuta a 10.000 miliardi di dollari la somma detenuta nei «Paesi a fiscalità privilegiata», cioè nei paradisi fiscali. Tutto ciò avviene mediante operazioni di 400 banche, di quasi duemila fondi speculativi (hedge funds), di due milioni di società di comodo o di copertura. Questo enorme ammasso di capitali aumenta annualmente di 1.200 miliardi di dollari nonostante le imprecazioni di tutti i governi contro i paradisi fiscali. Infatti, sono tutti capitali che sfuggono alla fiscalità degli Stati e sono la dimostrazione lapalissiana che la crisi del debito non è tanto una crisi della spesa pubblica, come si pretende di far passare, ma è soprattutto una crisi delle entrate e delle strategie predatrici dei paradisi fiscali.
Partiamo pure dal presupposto che non si può imporre a un paradiso fiscale di non esserlo se non modificando le convenzioni fiscali internazionali, un esercizio difficile perché entra in gioco la concorrenza fiscale a cui tutti sono avvinghiati nella speranza di tornare a crescere. La crisi del debito, che è poi quella che induce a pretendere più soldi dalla Svizzera, offre però l’opportunità di aggirare il problema. In maniera talmente semplice che, forse proprio per questo, la politica non vuole tenerne conto. Con un trattato internazionale (ad esempio nell’ambito del Fondo monetario) si decide che saranno pagati nella loro integralità solo i crediti i cui detentori finali, persone fisiche o beneficiari ultimi delle persone morali (società, gruppi eccetera) saranno identificati. È chiaro che agli aventi diritto al credito (o interessi ecc.) rimarrà sempre la scelta o di non farsi riconoscere (ma non riceveranno niente) o di farsi riconoscere (e saranno retribuiti). È vero, non è ancora una scelta etica ma di calcolo economico. Avrebbe però due vantaggi: mettere alla prova gli Stati, rendendoli un po’ meno ipocriti anche in casa propria; depurare almeno in parte l’economia mondiale dai circuiti di riciclaggio di fondi accumulati grazie all’evasione e alla frode fiscali, ai traffici delittuosi, alla corruzione. Il meccanismo sarebbe comunque più realista ed efficace della proposta di una autodichiarazione fiscale liberatoria che sembra affascinare alcuni partiti; per un semplice motivo: toccherebbe il portafoglio.

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