mercoledì 22 febbraio 2012

News/pm.22.2.12/ Vendola: Noi in Puglia stiamo provando a passare dalla evocazione della crescita come un mantra retorico alla concretezza di specifici progetti. Ora, poiché il Governo dispone di una enorme quantità di risorse finanziarie comunitarie non spese (il PON Competitività) potrebbe sostenere con noi questo strumento e sfidare il sistema di impresa. Sarebbe una concreta misura per la crescita. L'unica che ci interessa: la crescita del lavoro.---Ticino, Ronny Bianchi: A noi viene spontanea una domanda. Ma per la Grecia non sarebbe stato meglio dichiarare subito il fallimento e ricominciare da quasi zero, come hanno già fatto altri Paesi? Dietro l’angolo c’era (c’è?) la Cina che aspettava solo l’occasione per intervenire – a prezzi discount – insegnando all’Europa cos’è l’economia globale. Perché una cosa pensiamo di averla capita: l’Europa (ma non solo) è ben lungi dall’aver compreso che c’è una profonda differenza tra interessi privati (quelli delle banche) e pubblici.

Vendola: sull’ar.18 è isteria di Confindustria
Francia, -0,4% mese su mese inflazione gennaio
Bankitalia, crollo a fine 2011 degli investimenti esteri in titoli italiani
Forte domanda per i bond Efsf
L'Europa dimostra di esserci e così «aiuta» anche l'Italia
Ticino. Crisi greca, difficile capire



Vendola: sull’ar.18 è isteria di Confindustria
BARI - «In Puglia, alle piccole imprese, conviene crescere» afferma il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola commentando la presentazione dell’incentivo mirato alla crescita e al consolidamento delle piccole imprese. «La Regione Puglia – ha continuato Vendola – lancia una sfida importante e chiede al governo nazionale di condividerne l’obiettivo e di impegnarsi nella promozione dell’incentivazione mirata alla crescita dimensionale delle imprese che sono al di sotto dei 15 dipendenti. Mettiamo in campo - ha detto Vendola - una vera politica industriale e di incentivazione, del tutto assente fino ad ora nell’agenda dei governi nazionali che si succedono. Cerchiamo così di tirarci fuori dalle secche sterili dei dibattiti nazionali sull'articolo 18 o di quelli locali sulla de-crescita felice come fattore di discontinuità. E concentriamoci sulla scommessa vera per il futuro, quella cioè sulla crescita sostenibile e “conveniente” delle imprese.
«Sull’articolo 18 è ben nota la mia posizione - ha ribadito Vendola - quale presidio di civiltà del lavoro. Tuttavia, la Regione Puglia ha voluto considerare le posizioni di una parte dei commentatori e di economisti che individuano nell’articolo 18 uno degli ostacoli ai processi di crescita delle imprese. Si tratta di un’opinione tutta da dimostraree, ciononostante, piuttosto che alimentare il pregiudizio contro il fattore lavoro, abbiamo ritenuto di utilizzare la leva degli incentivi per valorizzarlo il lavoro».
«La Puglia, - ha spiegato il governatore - con la scelta di incentivare la crescita dimensionale delle piccole imprese con bandi a sportello, quindi con politiche industriali stabili nel tempo, ha dunque compiuto una vera e propria scelta politica che va ben oltre quella tecnica. L’aver individuato e promosso questo ulteriore incentivo selettivo significa dunque provare concretamente a promuovere piuttosto che la continua precarizzazione dei rapporti di lavoro (co.co.pro, tirocinanti, borsisti, somministrati,etc) la crescita stessa dell’azienda. Chiediamo agli imprenditori cioè di scommettere con noi sul fattore lavoro come fattore di crescita. In un mondo perfetto, sarebbe più utile ragionare su queste misure piuttosto che sulla battaglia ideologica dell'abolizione dell'art.18. Ci siamo stufati di ragionare sui luoghi comuni, di vivere in un orizzonte solo virtuale che non tiene conto dei dati concreti della crisi. In cui si capovolge la logica e si può dichiarare che ‘licenziare' serve a 'crescere'. E così nuovamente il liberismo si autopropone come 'riformismo' e trova solo molte adulazioni e poche riflessioni. Noi in Puglia stiamo provando a passare dalla evocazione della crescita come un mantra retorico alla concretezza di specifici progetti. Ora, poiché il Governo dispone di una enorme quantità di risorse finanziarie comunitarie non spese (il PON Competitività) potrebbe sostenere con noi questo strumento e sfidare il sistema di impresa. Sarebbe una concreta misura per la crescita. L'unica che ci interessa: la crescita del lavoro».
E dopo le accuse della Marcegaglia al sindacato, Vendola attacca: «La pressione della Confindustria per cancellare l’art. 18 ha ormai toccato vertici di oltranzismo ideologico e isteria stilistica» Occorre rispondere con una grande mobilitazione per difendere il mondo del lavoro e i suoi diritti».

Francia, -0,4% mese su mese inflazione gennaio
Il tasso di crescita dell'inflazione in Francia a gennaio si è attestato al -0,4% mese su mese e al +2,3% anno su anno (invariato mese su mese, +2,7% anno su anno il consenso di un gruppo di economisti contattati da Dowjones Newswires). Lo ha reso noto l'ufficio di statistica spiegando che i prezzi degli alimenti sono aumentati dello 0,1% mese su mese e del 3,5% anno su anno.

Bankitalia, crollo a fine 2011 degli investimenti esteri in titoli italiani
(Adnkronos) 
ultimo aggiornamento: 22 febbraio, ore 11:07
Roma - (Adnkronos) - Dai dati del supplemento al bollettino statistico di Bankitalia si rilevano disinvestimenti netti per 23,5 miliardi da parte dei non residenti, compensati, però, dagli acquisti dei residenti

Forte domanda per i bond Efsf
Una forte domanda, quella registrata ieri all'asta dell'Efsf, il fondo salva-Stati europeo. Ad essere collocati sono stati bond a sei mesi per 1,99 miliardi di euro. Offerto un tasso dello 0,1908%, in flessione rispetto allo 0,2664% dell'asta precedente. A colpire è stato soprattutto il rapporto di copertura, pari a 3,12: un numero che conferma quanto sia stato forte l'interesse degli investitori per l'emissione dei bond del veicolo sovranazionale europeo.
Ma questo è anche il segnale di quanto il mercato - anche in virtù dell'accordo per il secondo piano di salvataggio della Grecia - appaia un più rilassato delle scorse settimane sul futuro dell'Eurozona. L'asta ha ricevuto una buona domanda e i prezzi sono rimasti nei livelli del mercato secondario», spiega Giuseppe Maraffino, strategist di Barclays Capital.
Il dato è incoraggiante anche in prospettiva. L'Efsf intende raccogliere 24 miliardi di euro entro l'anno nell'ambito dei pacchetti di salvataggio di Irlanda e Portogallo. Ma è previsto che la facility offra dei suoi bond a breve scadenza ai creditori ellenici. Nel complesso, le emissioni dell'Efsf sono garantite dagli Stati membri fino a 780 miliardi di euro mentre la capacità di finanziamento è possibile fino a un massimo di 440 miliardi.
«Continuiamo con il nostro programma di titoli a breve termine in modo da rispettare i nostri impegni finanziari e fornire agli investitori opportunità regolari in tutta la curva dei rendimenti», ha commentato il vice ad dell'Efsf Christophe Frankel.
A testimoniare l'interesse degli investitori stranieri per le obbligazioni del fondo è anche un'altra notizia: il Giappone ha comprato in asta il 5% dei bond offerti ieri, pari a 100 milioni di euro, come confermato da un funzionario governativo nipponico.
Non è la prima volta. Già nella precedente asta di gennaio, il Tesoro giapponese acquistò fino a 120 milioni di euro, pari all'8% dell'emissione. Investendo parte delle sue riserve straniere in bond denominati in euro, il Giappone, il principale investitore straniero mondiale dietro la Cina, ha comprato debito dell'Efsf in ogni asta tenuta dal fondo Efsf a partire da gennaio 2011. (L. D.)
 22 febbraio 2012

L'Europa dimostra di esserci e così «aiuta» anche l'Italia
Per quanto goffa, intempestiva, più delle volte cacofonica e contraddittoria, l'Eurozona ha dimostrato ieri con l'accordo sul secondo pacchetto di aiuti alla Grecia che una rete di sicurezza per sostenere gli Stati in difficoltà, aderenti all'euro, c'è. È sicuramente una rete a maglie troppo larghe e che si lacera troppo facilmente. Ma c'è. Dall'inizio della crisi sul debito sovrano europeo, gli Stati appartenenti alla zona dell'euro tra i quali l'Italia hanno impegnato in assistenza finanziaria qualcosa come 300 miliardi di euro per i salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo.
Per contrastare la stessa crisi, garantendo la stabilità monetaria nell'Eurozona, la Bce e le 17 banche centrali nazionali della moneta unica hanno acquistato sul secondario 219,5 miliardi di titoli di Stato in euro, portando il totale degli interventi già in atto oltre quota 500 miliardi. Non da meno, l'Eurosistema si è reso disponibile a finanziare le banche all'1% per tre anni per importi illimitati con un surrogato del quantitative easing che potrebbe valere 1.000 miliardi. E c'è in arrivo il fondo salva-Stati permanente Esm con altri 500 miliardi disponibili, il quale, con una decisione attesa al Consiglio europeo del prossimo primo marzo, potrebbe aggiungersi alla potenza di fuoco residua dell'Efsf.
L'accordo raggiunto faticosamente ieri sulla Grecia è l'ultima dimostrazione di questo sforzo «corale», come l'ha definito ieri il presidente del consiglio Mario Monti: ed è anche da questo che ha tratto beneficio ieri lo spread tra BTp e Bund, restringendosi sull'annuncio relativo ai nuovi 130 miliardi di euro messi in campo per la Grecia.
Il rischio di implementazione delle operazioni che dovranno riportare il debito greco sulla traiettoria della sostenibilità resta elevatissimo. Ma non va dimenticato che quello della Grecia è tra i più grandi salvataggi di uno Stato sovrano di tutti i tempi, se non il più grande. Un groviglio di problemi strutturali e accidentali che ha messo in difficoltà persino il professionista mondiale dei salvataggi sovrani, il Fondo monetario internazionale.
Cosa può andare storto nelle prossime settimane, nei prossimi mesi o anni (i nuovi titoli di Stato greci proposti nel concambio con i sottoscrittori privati avranno scadenza 2042)? Un po' di tutto. Il Pil greco potrebbe tornare a crescere meno del previsto o molto più tardi di quanto programmato dagli Stati soccorritori. Il debito/Pil potrebbe stentare a centrare l'obiettivo del 120,5% per il 2020. L'esito delle elezioni in aprile potrebbe accrescere la destabilizzazione politica nel Paese. E gli impegni sull'austerity potrebbero andare disattesi. La proposta ai privati di scambio tra vecchi e nuovi titoli di Stato, con un haircut sul valore di mercato dei bond forse superiore al 75%, potrebbe fallire con un'adesione mediocre. E la Grecia, imponendo a tutti lo swap tramite l'esercizio dell'opzione contenuta nelle Clausole di azione collettiva applicate in via retroattiva, potrebbe far scattare il grilletto sui Credit default swap: provocando una nuova ondata di turbolenze sul rischio sovrano europeo.
Nel peggiore dei casi, la Grecia rischia di essere messa al bando o fuori dai confini dell'Eurozona, con ripercussioni inimmaginabili per i Paesi europei economicamente deboli oppure altamente indebitati.
Quel che succederà alla Grecia è però presto a dirsi. Sul futuro dell'Eurozona, invece, sulla bilancia inizia a pesare sempre più quel che è stato fatto piuttosto che quello che resta da fare, al netto degli interventi targati Fmi, del fiscal compact e del six pack. Per la Grecia: 80 miliardi nel primo pacchetto di aiuti; almeno 130 miliardi nel secondo pacchetto (tenuto conto di parte dei profitti realizzati dal Securities markets programme della Bce e dall'Eurosistema e del tagli sui tassi dei prestiti intergovernativi del primo pacchetto). Per il Portogallo: 52 miliardi, tra Efsf e Efsm. Per l'Irlanda: 40,2 miliardi, tra Efsf e Efsm. Per l'Efsf: una potenza di fuoco da 440 miliardi. Per l'Esm: una disponibilità finanziaria da 500 miliardi. Per la stabilità del sistema bancario e finanziario: 220 miliardi del Securities markets programme, due LTRO a tre anni della Bce per svariate centinaia di miliardi e obbligazioni bancarie garantite dagli Stati per altrettante svariate centinaia di miliardi.
 22 febbraio 2012

Ticino. Crisi greca, difficile capire
di Ronny Bianchi - 02/22/2012
Dopo dodici ore di trattative l'Eurogruppo ha dato il via libera al prestito di 130 miliardi al governo greco (vedi dettagli nelle pagine di economia di ieri). Che questo però sia il punto finale del tormentone greco non è per nulla scontato. In una vignetta di alcuni anni fa del quotidiano ‘laRepubblica’, Bucchi, scriveva “il mondo è talmente complesso che nemmeno gli stupidi riescono più a capirlo”. Non possiamo che annoverarci tra gli stupidi perché diversi elementi del caso greco ci sembrano incomprensibili.
Iniziamo dal presente. Negli ultimi giorni gli esperti si sarebbero resi conto che le cose si complicano a causa del peggioramento della situazione economica greca che renderebbe difficile la riduzione del debito pubblico al 120% entro il 2020 (dall’attuale 160%). Basterebbe leggere regolarmente le previsioni congiunturali di istituti di prestigio come Ocse, Fmi o Banca mondiale, per capire che fare previsioni oltre l’anno è un’impresa impossibile, figuriamoci su otto anni e per un Paese come la Grecia. Com'è possibile che gli esperti dell'Eurogruppo non si siano accorti che la crisi e il piano di austerità imposto alla Grecia, stavano innescando il terzo o quarto anno consecutivo di crescita negativa del Pil. Non appariva una valutazione così difficile: in fondo si trattava solo di avere delle elementari conoscenze di contabilità nazionale. Se il reddito non aumenta perché consumi e investimenti sono sotto zero, come si può pretendere di avere i surplus di bilancio necessari a ridurre il debito? Evidentemente gli esperti ragionano con parametri a noi imperscrutabili.
Probabilmente hanno pensato che imponendo tagli ai bilanci statali, pretendendo licenziamenti, amputazioni alle pensioni, ristrutturazioni delle aziende pubbliche, incrementando la disoccupazione, si sarebbe potuto far entrare nelle casse dello Stato greco i soldi necessari. A noi stupidi, sorge, però il dubbio che abbiano visto troppi film di Harry Potter.
Anche il fatto che oggi sono tutti concordi nel ritenere che la Grecia abbia vissuto per anni al di sopra delle sue possibilità, risulta difficile da capire.
Osiamo chiedere: ma quando è stato elaborato il lungo dossier per l'entrata della dracma nella moneta unica, nessuno si è accorto che i greci potevano andare in pensione dopo 14 anni, che nella pubblica amministrazione gli impiegati erano in esubero rispetto alle necessità, che lo Stato stava spendendo (ad esempio per le Olimpiadi) più del consentito, o che il debito pubblico in rapporto al Pil non rispettava i parametri dell’adesione alla moneta unica (come, d’altronde, per l’Italia)? Che si siano chiusi due occhi per dare una lezione alla vicina Turchia, che oggi se la passa bene senza l'Europa, mentre i greci sono alla fame?
E la famosa Goldman Sachs, che ha aiutato il governo a falsificare i bilanci? Perché non è sul banco degli imputati di un qualche tribunale europeo? Perlomeno, alla fine, anche le banche che volevano lucrare sul debito greco – e che, di fatto, hanno impedito che la crisi si risolvesse subito con un’ottantina di miliardi – hanno dovuto arrendersi all’evidenza e concordare uno sconto di 100 miliardi.
A noi viene spontanea una domanda. Ma per la Grecia non sarebbe stato meglio dichiarare subito il fallimento e ricominciare da quasi zero, come hanno già fatto altri Paesi? Dietro l’angolo c’era (c’è?) la Cina che aspettava solo l’occasione per intervenire – a prezzi discount – insegnando all’Europa cos’è l’economia globale.
Perché una cosa pensiamo di averla capita: l’Europa (ma non solo) è ben lungi dall’aver compreso che c’è una profonda differenza tra interessi privati (quelli delle banche) e pubblici. Il progetto europeo, rimane una sfida interessante, ma bisogna imparare a giocarla con altre carte che non sono quelle di bottega.

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