giovedì 12 aprile 2012

am_12.4.12/ Il criterio della cozza. - La Commissione europea non intende piu' fare distinzioni fra paesi potenziali candidati e paesi formalmente candidati all'adesione, nell'assegnare i fondi necessari a preparare questi paesi a fare il loro ingresso nell'Ue.---Giuseppe Timpone: Male, malissimo l’ultima asta dei BoT conclusasi da poco.---La disoccupazione cresce dello 0,1% in Austria (al 4,2%) e Lussemburgo (al 5,2%), dello 0,2% in Italia (al 9,3%) e in Portogallo (al 15%); +0,3% in Spagna (al 23,6%, il più alto dell'area Ocse). Scende invece dello 0,1% in Finlandia (7,4%) e Olanda (4,9%). Il tasso rimane stabile negli altri paesi dell'area.

Maro', Italia incassa appoggio G8
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Taranto. «Trasferimento delle cozze ecco i criteri che seguiremo»
Allarme disoccupazione, in Italia è al 9,3%
Male asta BoT, rendimenti raddoppiati rispetto a marzo
«L'uscita dalla crisi? Ancora molto lontana»
Torino, padania. Elkann, viaggio Fiat-Chrysler appena iniziato
Ue: Bruxelles, fondi preadesione anche a potenziali candidati
La Bosnia minaccia la Croazia “europea”
La maratona è vinta: la Russia è nel Wto

Maro', Italia incassa appoggio G8
Ma e' nuovo giallo sulla perizia delle armi
11 aprile, 21:31
(ANSA) - TRIVANDRUM (INDIA), 11 APR - L'Italia incassa l'appoggio del G8 sulla vicenda dei maro' ma e' nuovo giallo sulla perizia balistica che, secondo gli indiani, inchioderebbe i due fucilieri del San Marco. A bordo della nave italiana Enrica Lexie infatti, riferiscono all'ANSA fonti della Marina militare italiana, non c'erano quei fucili 'Beretta ARX 160' che secondo i periti indiani avrebbero esploso i proiettili che hanno ucciso i due pescatori del Kerala.
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Taranto. «Trasferimento delle cozze ecco i criteri che seguiremo»
di Maria Rosaria Gigante
TARANTO - Anzianità di concessione e/o regolarizzazione, numero di addetti, ampiezza degli spazi a disposizione precedentemente nel primo seno a Mar Piccolo, eventuali ulteriori concessioni in altre aree. Saranno i criteri fondamentali che consentiranno nei prossimi giorni la suddivisione e la distribuzione dei 369 mila metri quadrati reperiti nella rada di Mar Grande per trasferire temporaneamente gli impianti di mitilicoltura del primo seno di Mar Piccolo dove, dalla scorsa estate, l’attività è interdetta a causa dell’inquinamento da diossine e pcb.
Si tratta di un trasferimento che dovrebbe essere temporaneo in attesa della bonifica in Mar Piccolo. L’opera - zione trasferimento pare essere ormai davvero ai limiti temporali nel senso che, per garantire che il seme attualmente nel primo seno non venga inquinato, occorre che sia trasferito nei prossimi giorni, prima che il frutto raggiunga dimensioni tali da schiudersi. La partita alquanto delicata del trasferimento - che ha visto tensioni e preoccupazioni tra gli stessi operatori - è ora tutta nelle mani del comandante dei Vigili Urbani, Michele Matichecchia, a cui dopo l’incarico di dirigente delle Attività produttive è stato attribuito, da una settimana appena, anche quello di responsabile del Centro Ittico tarantino.
«Stiamo stabilendo i criteri per il trasferimento a Mar Grande - dice Matichecchia -. Tutto con grande trasparenza e senza alcuna discrezionalità. Non ci sarà bisogno di ribadire tali criteri in una delibera in quanto già la delibera di giunta di trasferimento temporaneo delle attività in Mar Grande prevedeva che la competenza sarebbe stata del Centro Ittico. Quindi, non appena i criteri saranno stati del tutto definiti, presumo entro giovedì (domani - ndr), pubblicheremo ogni cosa. Non sarà neppure un bando, ma una comunicazione. Daremo, quindi, cinque giorni di tempo perché chi sia interessato produca regolare domanda».
Quale al momento la situazione? «Ci sono pervenute cinque istanze, tre delle quali di mitilicoltori che avevano regolare concessione in Mar Piccolo e che da subito potrebbero trasferirsi in Mar Grande. In realtà sono 20 le cooperative individuate tra quelle regolarmente concessionarie nel primo seno, ma di queste solo 10 hanno manifestato interesse al trasferimento. Di queste 10, dunque, solo 3 hanno già formalizzato la richiesta».
Accanto a queste ci sono gli abusivi, coloro ai quali è stata data l’opportunità di venir fuori dalla condizione di precarietà e regolarizzare ogni cosa. Nel frattempo - aggiunge Matichecchia - l’intera area di Mar Grande da adibire alla mitilicoltura è stata suddivisa in campi da 50 metri quadrati. Multipli di questi saranno proporzionalmente ripartiti ai diversi mitilicoltori secondo calcoli definitivi che sarà possibile determinare una volta chiuso il termine per presentare regolarmente istanza di concessione. «In ogni caso - dice ancora Matichecchia - saremo noi a individuare e ripartire l’area da assegnare, sempre seguendo le regole che stiamo definendo. Non sarà possibile, dunque, che ognuno scelga l’area in cui trasferirsi ed installare i propri impianti».
11 Aprile 2012

Allarme disoccupazione, in Italia è al 9,3%
ultimo aggiornamento: 11 aprile, ore 12:45
Roma - (Adnkronos) - Sale dello 0,2% rispetto al 9,1% di gennaio. Nell'area Ocse resta stabile all'8,2%. In Spagna è al 23,6%.
Roma, 11 apr. (Adnkronos) - La disoccupazione nell'area Ocse resta stabile all'8,2% a febbraio. In Italia invece sale dello 0,2% al 9,3% rispetto al 9,1% di gennaio. Il tasso per l'area euro cresce dello 0,1%, per l'ottavo mese consecutivo, al 10,8%, rimanendo su livelli record dall'inizio della crisi.
La disoccupazione cresce dello 0,1% in Austria (al 4,2%) e Lussemburgo (al 5,2%), dello 0,2% in Italia (al 9,3%) e in Portogallo (al 15%); +0,3% in Spagna (al 23,6%, il più alto dell'area Ocse). Scende invece dello 0,1% in Finlandia (7,4%) e Olanda (4,9%). Il tasso rimane stabile negli altri paesi dell'area.

Male asta BoT, rendimenti raddoppiati rispetto a marzo
Giuseppe Timpone - 11 aprile 2012
Male, malissimo l’ultima asta dei BoT conclusasi da poco. Il Tesoro ha collocato tutti gli 11 miliardi di euro in titoli a 3 mesi e a 12 mesi, a fronte degli 8,25 miliardi in scadenza. Come era nelle previsioni, i rendimenti hanno risentito negativamente del clima glaciale sui mercati finanziari nelle ultime sedute, ma nessuno si attendeva un esito così negativo. In particolare, il Tesoro ha emesso 8 miliardi con scadenza 12 aprile 2013, al prezzo di 97,231 e per un rendimento del 2,840% contro l’1,405% di appena un mese fa. Il rapporto di copertura è stato stabile a 1,382. In sostanza, i rendimenti sono più che raddoppiati da marzo ad aprile, quando fino a ieri ci si attendeva un rialzo al 2% massimo, ossia  in linea con il dato sul “grey market”.
I BoT a tre mesi, con scadenza 16 luglio 2012, sono stati collocati per un imposto complessivo di 3 miliardi e a un prezzo di 99,685, per un rendimento dell’1,249%, contro l’appena 0,492% di un mese fa. Il rapporto di copertura in questo caso è stato di 1,516 da 2,234.
Anche sul segmento a tre mesi, che non viene trattato sul mercato secondario, si è registrato, quindi, un netto rialzo dei tassi, che quasi triplicano, rispetto al dato di 30 giorni prima. Gli analisti sottolineano come adesso ci sia qualche preoccupazione sull’asta dei BTp di domani, che già in sé presentano un profilo di rischio più alto dei titoli a breve scadenza. La speranza è in buona parte affidata alla scadenza entro il prossimo lunedì di 16 miliardi di titoli di stato, che dovrebbero essere reinvestiti. Tuttavia, qualora il risultato all’asta di domani dovesse essere negativo, in termini di domanda, nonostante questo dato, allora potrebbe scattare un allarme Italia sui mercati.
Ad oggi, da Crédit Agricole si fa notare come il Tesoro non abbia registrato alcuna difficoltà nel collocare i suoi titoli, malgrado l’aumento dei rendimenti. Inoltre, questi ultimi sarebbero ben lontani dai massimi raggiunti a novembre e questo lascia margine alla speranza.
E sul mercato secondario, lo spread tra i BTp a dieci anni e i Bund tedeschi della stessa scadenza stringe dai 400 punti dell’apertura ai 369 punti circa; quasi un paradosso, ma che riflette un’attesa evidentemente negativa che il mercato aveva di quest’asta odierna italiana.
A pesare sul collocamento incidono diversi fattori. Il primo si chiama Spagna. I mercati temono che Madrid non riuscirà a mantenere fede agli impegni di risanamento fiscale, visto che il deficit viaggia intorno all’8%, contro un obiettivo del 5,3% del pil concordato con Bruxelles.
Altro motivo di pessimismo riguarda poi proprio l’Italia, con un’economia reale in caduta libera, in buona parte proprio a causa delle cure fiscali del governo Monti, che all’estero iniziano ad essere guardate con diffidenza, dato l’impatto negativo che stanno avendo su produzione e occupazione, con ripercussioni potenzialmente negative sui conti pubblici, i quali potrebbero persino peggiorare, anziché migliorare.
Non ultimo, continua a fare discutere il dossier Grecia, con i dubbi crescenti tra gli operatori sul rispetto degli obiettivi di risanamento fiscale imposti dalla Troika (UE, BCE e FMI).
Ma la novità negativa di queste ultime sedute è l’ostentazione di un certo pessimismo da parte degli analisti finanziari e i commentatori americani, i quali ritengono che la soluzione sul debito dell’Eurozona sia lungi dall’essere risolta e guardano con preoccupazione alla situazione dell’economia di alcuni stati, Italia compresa, che sarebbe in via di peggioramento, anche e soprattutto per una sorta di “overshooting”, ossia di un eccesso di misure di austerità intraprese dai governi nazionali.
Ad indebolire la prospettiva di un ritorno alla normalità sui mercati finanziari ci sono poi le polemiche all’interno della BCE, con i tedeschi che alzano la testa contro le misure del governatore Mario Draghi, in particolare, annunciando la loro contrarietà su eventuali altre aste Ltro, per pompare liquidità ulteriore in favore delle banche.
L’ultimo intervento in tal senso era stato del componente tedesco del board della BCE, Joerg Asmussen, il quale aveva affermato che il mercato non dovrebbe attendersi una terza asta di prestiti a rubinetto all’1%, paventando una specie di veto della Germania se Draghi dovesse decidere in questa direzione.
Il riaccendersi dello scontro tra Berlino e Francoforte allarma i mercati, perché evidenzia la debolezza della struttura monetaria europea, nei fatti lungi dall’essere unica e condivisa.
Ad ogni modo, Piazza Affari, dopo avere ripiegato in terreno positivo, a metà seduta è in deciso rialzo, dopo il tonfo di ieri, a +2,22%, segnale che i mercati avrebbero interpretato positivamente l’esito dell’asta di oggi.
Anche dalla Banca d’Italia si fa notare come il rialzo dei rendimenti sia dovuto essenzialmente alle tensioni nell’Eurozona. Fattore esterno, quindi, ma che potrebbe essere sostenuto anche dall’incapacità del governo Monti di adottare una riforma compiuta del mercato del lavoro, come rivela l’intesa per la modifica solo parziale dell’articolo 18.
Insomma, c’è la sensazione che i mercati finanziari abbiano iniziato a comprendere che la politica del governo tecnico è basata solo su nuove tasse e balzelli, ma non su riforme strutturali dell’economia, di cui non si vede nemmeno l’ombra.

«L'uscita dalla crisi? Ancora molto lontana»
INTERVISTA. Parlano gli «economisti-critici» Marco della Luna e Andrea Mazzalai
 «Anni per rimediare i dissesti della finanza e danni alla democrazia»
11/04/2012 e-mail
Marco della Luna
La crisi è tutt'altro che finita. Serviranno molti anni per uscire dal mare magnum dei dissesti finanziari, ammesso che le cure adottate siano giuste. E ne uscirà ferita la democrazia: le redini della crisi sono e saranno sempre più nelle mani di organismi sovranazionali non eletti e dotati di enormi poteri. È la visione comune di due economisti, Marco della Luna e Andrea Mazzalai, le cui figure ricordano quella del Grillo parlante. Già a metà del primo decennio del duemila descrivevano su blog e libri esattamente ciò che sarebbe accaduto dal 2007. Che probabilità ha la cura del Governo Monti di avere successo? Della Luna. «Monti non ha mai inteso salvare l'Italia riformandola e liberandola dalle sue caste. Monti, al contrario, si regge su una coalizione di interessi di casta: partitocrazia e grandi burocrati. L'economia reale e la domanda interna languivano per carenza di liquidità. Monti gliene ha tolta ancora, colpendo i redditi e portando la pressione a un livello tale che l'economia non potrà rialzarsi. Ha colpito in particolare l'edilizia, settore che fa ripartire i cicli economici. Per non parlare dell'Unione Europea, che vorrebbe che l'Italia costituzionalizzasse il pareggio di bilancio e riducesse il proprio debito pubblico di almeno 45 miliardi all'anno, un vero e proprio salasso del Paese». Mazzalai. «Lo Stato ha affrontato il problema sprechi, ma ha completamente ignorato i costi della politica e del pubblico impiego, ricorrendo all'uso sistematico della tassazione. Occorrerà valutare gli effetti del calo delle spese e la dinamica delle entrate, quella dell'Iva in particolare. A preoccupare è semmai la nuova battuta d'arresto della produzione industriale, attesa tra il 5 e il 7% e la conseguente frenata del Pil». Esploderanno a breve altre «bolle» o si va verso una stabilizzazione della crisi? Mazzalai. «L'Italia ha fortunatamente evitato bolle immobiliari come la spagnola, molto più drammatica di quanto si crede. Nonostante i crolli, in Spagna le case sono ancora sopravvalutate del 30% e così è anche in Regno Unito, Francia e in buona parte dei paesi nordici. Quanto all'uscita dalla crisi, il mio pensiero va subito al Giappone, mai realmente ripresosi dai dissesti degli anni '90. In pratica, si navigherà a vista tra molti “stop and go” per almeno un decennio». Della Luna. «Siamo sinceri: con la finanziarizzazione del debito pubblico, la cessione della sovranità monetaria e di politica economica, la globalizzazione imperante e i vincoli di bilancio, non è possibile perseguire alcun tipo di ripresa. Allo Stato non resterà che il progressivo prelievo della ricchezza dei cittadini attraverso le tasse per tentare di far quadrare i conti». Solo ora lo Stato scende in guerra contro l'evasione fiscale. Sarà una svolta? Della Luna. «Non è che chi evade le tasse sottragga o distrugga ricchezza: il denaro c'è sempre, solo che lo spende l'evasore e non lo Stato. Quindi la domanda è: chi spende meglio il denaro per gli interessi della collettività? Il lavoratore - artigiano, imprenditore, libero professionista - o lo Stato, quindi i politici? L'evasore utilizza il denaro non versato allo Stato reimmettendolo nel circuito produttivo attraverso l'acquisto di beni. Al contrario, il denaro raccolto con l'aumento del gettito dall'inasprimento della lotta all'evasione finirebbe soprattutto ad alimentare una spesa pubblica in buona parte clientelare, parassitaria e improduttiva». Quali prospettive nel breve termine? Mazzalai. «Non faccio previsioni. In compenso ho una certezza: la finanza mondiale sta lentamente sequestrando la democrazia e la politica. Si studiano provvedimenti che influiscono in maniera sensibile sulle famiglie e sui progetti di vita di milioni di esseri umani sulla base del famigerato spread e delle dinamiche speculative dei titoli pubblici di ogni Paese». Della Luna. «Fare previsioni è oggi impossibile: troppe variabili in gioco. Facile che l'Italia diventi la periferia di uno stato mondiale, impoverita e a sovranità limitata, obbediente ad organismi sovrannazionali non elettivi e autoreferenziali e gestita da capitali prevalentemente esteri. Entro l'anno, tuttavia dovrebbe crescere la liquidità grazie anche ad una certa iniezione della Fed e ciò dovrebbe garantire un po' di ripresa, sia pure effimera».
 Alessandro Azzoni

Torino, padania. Elkann, viaggio Fiat-Chrysler appena iniziato
Il 2012 per Exor sara' un anno all'insegna della prudenza e della semplificazione
11 aprile, 14:15
TORINO - ''Siamo convinti che il viaggio di Fiat-Chrysler sia appena cominciato: continueremo a raccoglierne i frutti nei prossimi anni''. Lo afferma John Elkann nella lettera agli azionisti di Exor. ''Abbiamo la grande fortuna di avere Sergio Marchionne alla guida: e' riuscito a fare meraviglie'', aggiunge Elkann.
PER 2012 PRUDENZA E NUOVE SEMPLIFICAZIONI - Il 2012 per Exor sara' un anno all'insegna della prudenza e della continua semplificazione. Lo afferma John Elkann nella lettera agli azionisti della finanziaria. ''I dati sui consumi, soprattutto in Europa, continuano ad essere deboli'', aggiunge Elkann.
FUORI EUROPA 62% RICAVI MAGGIORI SOCIETA' - E' realizzato fuori Europa il 62% dei ricavi delle maggiori societa' di Exor. Lo dice il presidente John Elkann nella lettera agli azionisti. Gli Stati Uniti rappresentano il 27% dei ricavi del gruppo e sono il primo mercato per fatturato aggregato.

Ue: Bruxelles, fondi preadesione anche a potenziali candidati
Proposte nuove regole, processo allargamento ora piu' lungo
11 aprile, 17:16
 (ANSAmed) - BRUXELLES, 11 APR - La Commissione europea non intende piu' fare distinzioni fra paesi potenziali candidati e paesi formalmente candidati all'adesione, nell'assegnare i fondi necessari a preparare questi paesi a fare il loro ingresso nell'Ue. Sui nuovi ''fondi di pre-adesione'' all'Ue ''vogliamo rimuovere questa distinzione'' ha detto oggi Stefano Sannino, direttore generale della DG allargamento della Commissione Ue, oggi al Parlamento europeo.
 Sannino ha spiegato che per il futuro la Commissione Ue intende rivedere lo strumento dei fondi di pre-adesione, per renderlo piu' efficace. Il processo di allargamento dell'Unione europea ''e' in una fase diversa - ha spiegato Sannino - rispetto al passato'' e ora bisogna considerare l'uso di questi fondi anche ''per un periodo piu' lungo rispetto alle attese''.
Secondo il direttore della DG allargamento, il nuovo strumento di preadesione non prevedera' solo il monitoraggio dell'uso dei fondi, ma anche una valutazione delle performance dei vari paesi, individuando le buone pratiche fra i beneficiari. Altra priorita' per Sannino sara' quella di coordinare gli interventi con altri donatori, per ''evitare duplicazioni e sovrapposizioni''. I fondi di pre-adesione dell'Ue per il 2011 sono andati prevalentemente a Turchia e Serbia, seguite da Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo, Croazia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro e Islanda. (ANSAmed)

La Bosnia minaccia la Croazia “europea”
Gli standard Ue mettono in crisi l’export di Sarajevo. Il ministro Lagumdžija avverte: «Siamo pronti alla guerra economica»
di Mauro Manzin
TRIESTE. Un nuovo vulnus percorre i Balcani. E questa volta è colpa dell’Unione europea. Un paradosso? No, è quanto sta avvenendo tra Sarajevo e Zagabria in vista dell’adesione della Croazia all’Ue il 1 luglio del 2013. A disseppellire l’ascia di guerra è stato il ministro degli Esteri bosniaco Zlatko Lagumdžija dopo la sua visita a Zagabria: «Se le questioni irrisolte tra i nostri due Paesi non saranno risolte nei prossimi 15 mesi i rapporti bilaterali entreranno in una profonda crisi e uno dei suoi aspetti sarà una vera e propria guerra economica».
Il fatto è che l’ingresso della Croazia nell’Ue e la grossa impreparazione della Bosnia-Erzegovina (BiH) a questo evento determinerà grossi problemi al sistema economico di Sarajevo.
Già dal prossimo primo gennaio la Croazia metterà in atto una pesante limitazione (dettata dalle normative europee) sull’importazione dei prodotti “made in BiH”. E se si pensa che il 60% dei derivati del latte la Bosnia li esporta proprio in Croazia, il danno appare subito evidente al punto che migliaia tra contadini e addetti all’industria alimentare bosniaca potrebbero ritrovarsi senza lavoro.
La Bosnia-Erzegovina per adeguare il proprio sistema produttivo ai nuovi standard europei che saranno assunti dalla Croazia dovrebbe investire qualcosa come 40 milioni di euro. Senza dimenticare poi il problema dei confini. L’allestimento di un singolo valico con un paese comunitario costerà alle casse di Sarajevo 13 milioni di euro. Un prezzo decisamente troppo alto per la già disastrata industria bosniaca.
Così come, alla luce delle cifre, appare pretenziosa la richiesta di Sarajevo di creare 7 valichi di frontiera con la Croazia, mentre quest’ultima si accontenterebbe di due. E poi nei Balcani si sa che la questione sui confini è un punto debole e delicato tanto che gli analisti politici di Sarajevo sono convinti che con la Croazia si dovrà ricorrere a un arbitrato internazionale.
Lagumdžija è stato chiaro: «La Croazia vende alla BiH il 90% di quei prodotti che non riesce a piazzare su nessun altro mercato internazionale, e noi quei prodotti potremmo anche andare ad acquistarli altrove...». Il fatto è però che la Croazia è il principale partner commerciale della Bosnia. Il loro interscambio ammonta a 1,6 miliardi di euro all’anno.
A vantaggio, comunque, della Croazia. Un’altra questione da risolvere è poi quella relativa alla restituzione di alcune proprietà. La BiH dalla Croazia pretende l’ospedale di Cavtat, un hotel a Dubrovnik e un gruppo di immobili già di proprietà delle società Šipad ed Energoinvest. Così come la Bosnia chiede alla Croazia la soluzione del problema della sovranità sul porto di Plo›e contesa tra i due Paesi.
E come se non bastasse a rendere ancora più complessa la situazione ci si mette anche l’attuale sistema istituzionale della BiH di cui i croati sono profondamente insoddisfatti pretendendo di essere una delle entità costitutive del Paese, come lo sono i serbi e i bosgnacchi, e non solamente una tra le minoranze.
E a complicare il tutto ci si mette anche il terzo incomodo che si chiama Republika Srpska, l’entità serba della Federazione BiH, un tassello fondamentale nella vita politica e istituzionale della Bosnia. E in Croazia sanno bene che dipenderà proprio dalla Republika Srpska il futuro dei rapporti tra Zagabria e Sarajevo. Republika Srpska decisamente poco amata dalla Croazia, ma che ha nelle sue mani alcune carte fondamentali per i futuri giochi politici e diplomatici nella regione.
Il tutto mentre Sarajevo continua a chiedere un sollecito allineamento nelle organizzazioni euroatlantiche. Ma per la Bosnia, almeno per ora, il paradiso può attendere.

La maratona è vinta: la Russia è nel Wto
di Giovanni Dioguardi e Alessandro Di Simone
Il negoziato più lungo e difficile nella storia dell’Organizzazione mondiale del commercio: con queste parole, i tecnici di Ginevra hanno definito l’adesione della Russia al Wto, ufficializzata quasi a sorpresa lo scorso 16 dicembre in occasione dell’ottava Conferenza ministeriale. "Benvenuti nel Wto…finalmente”, recitava la maglietta indossata per le foto di rito da Pascal Lamy, direttore generale dell’Organizzazione, che ha paragonato l’ingresso della Russia a una maratona durata 18 anni e di cui solo oggi s’intravede il traguardo.
Il gruppo di lavoro incaricato di valutare la candidatura russa si insediò infatti nel lontano 1993, appena pochi mesi dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, quando il Wto si chiamava ancora Gatt (General agreement on tariffs and trade) e la Russia era un’ex superpotenza sull’orlo del default che sembrava aver imboccato inesorabilmente il viale del tramonto.
Dopo l’ingresso della Cina (datato 2001), la Russia era l’unico grande paese escluso dall’organizzazione di Ginevra. All’epoca, l’efficacia della Wto sembrava messa pesantemente in discussione dallo stallo dei negoziati del Doha Round e da un sistema di veti incrociati che avevano reso irraggiungibile un accordo ambizioso sulla riduzione delle barriere al commercio.
A rallentare le trattative non è stata solo la difficile transizione del paese verso un’economia di mercato. Quando gli scogli apparentemente più grandi - i negoziati bilaterali con Unione Europea e Stati Uniti - erano ormai superati, la Georgia ha posto il proprio veto per ritorsione al conflitto armato scoppiato nell’estate 2008 [carta] e culminato con l’occupazione dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud da parte delle truppe di Mosca.
Venuto meno il "no" georgiano, affinché l’ingresso di Mosca nel Wto diventi effettivo manca solo la ratifica da parte della Duma, che dovrà avvenire entro il prossimo 23 luglio. Il governo russo avrà poi ulteriori trenta giorni per notificare a Ginevra l’avvenuta ratifica. Da quel momento, il Wto potrà contare ufficialmente il suo 154esimo membro.
Geopolitica dell’adesione
Dmitrij Medvedev ha definito l’ingresso come uno dei risultati più importanti conseguiti dalla sua presidenza negli ultimi anni. Secondo il Cremlino, essa risponde ad un duplice ordine di obiettivi: sul fronte interno, servire gli interessi nazionali; su quello globale, stabilizzare il panorama mondiale degli scambi. Gran parte della stampa russa ha incensato il completamento del percorso negoziale, sul cui esito fino a pochi mesi fa venivano espressi dubbi persino dal ministro dello Sviluppo economico El’vira Nabiullina.
I maggiori attori della scena internazionale si sono prudentemente allineati dietro le formule di rito di benvenuto al club. L’area geopolitica su cui gli effetti dell’adesione si riverbereranno in maniera più evidente è l’Unione Europea, già adesso primo partner commerciale della Federazione. Il commissario europeo al Commercio Karel De Gucht si è detto convinto di un sostanziale incremento dell’interscambio euro-russo: le imprese europee si aspettano fino a 3,9 miliardi di euro di maggiori esportazioni.
Non sono tuttavia mancate le frizioni dell’ultimo momento. Sfruttando l’entusiasmo del risultato raggiunto, l’Ue avrebbe, secondo il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, cercato di “forzare la mano” sugli impegni assunti dalla Russia, suscitando il risentimento del capo della diplomazia di Mosca che il 21 marzo scorso ha addirittura adombrato - come extrema ratio - una possibile marcia indietro sulla ratifica dell’accordo.
Posizioni più controverse sono state espresse dagli Usa. L’ambasciatore americano a Mosca Michael McFaul - ideologo del reset nelle relazioni russo-statunitensi e inviso al Cremlino per il suo aperto sostegno a gruppi d’opposizione e Ong più o meno eterodirette - ha affermato piuttosto sgarbatamente che l’accesso al Wto rappresenta “un dono” non tanto per i russi, quanto “per gli agricoltori, per i lavoratori e per i produttori americani”.
Ciò tuttavia a condizione che si proceda all’abrogazione dell’emendamento Jackson-Vanik, misura concepita nel 1974 per ostacolare le normali relazioni commerciali con i paesi imponenti restrizioni alle libertà personali (tra cui quella di emigrare). Inizialmente rivolto contro l’Unione Sovietica, esso impedirebbe oggi la concessione alla Russia dello status di "permanent normal trade relations", interpretazione statunitense del concetto di "nazione più favorita" su cui poggia l’architettura Wto. Gli effetti dell’ingresso sarebbero quindi vanificati.
L’accesso all’Organizzazione di Ginevra garantirà inoltre una maggiore integrazione anche a livello di Unione doganale con Bielorussia e Kazakhstan, fungendo nei piani del Cremlino come volano per l’ingresso degli altri due paesi in orbita Wto e per il rafforzamento del ruolo di guida della Russia fra gli Stati dell’ex Unione Sovietica.
Non mancano, tuttavia, grosse tensioni interne. Il movimento Rossija protiv Vto (Russia contro il Wto), con ramificazioni operative nelle principali città della Federazione, ha lanciato diverse campagne mediatiche contro l’accesso, raccogliendo interventi di personaggi di primo piano nel mondo accademico (fra tutti Boris Kagarlickij, direttore dell’Istituto per la globalizzazione e i movimenti sociali). Il movimento supporta anche un’iniziativa referendaria promossa da diversi economisti e personaggi politici russi, fra i quali Konstantin Babkin, influente deputato di Novgorod nonché presidente di Rosagromaš, importante associazione dei produttori di macchine agricole.
Nel quadro parlamentare si sono detti contrari all’adesione i comunisti guidati da Zjuganov (che hanno sfiorato il 20% alle elezioni parlamentari di dicembre), i nazionalisti dell’Ldpr di Žirinovskij (11,7%) e i moderati di Spravedlivaja Rossija (13,2%) - il cui leader Mironov ha ripetutamente evidenziato i rischi di perdita di controllo su settori strategici per l’industria del paese.
Proprio sul tema della sovranità si sono concentrati gli attacchi più feroci di media ed opinionisti. Da più parti è stato avanzato il sospetto che l’apertura del mercato e la revisione delle politiche protezioniste in diversi settori (agricoltura in primis) siano funzionali ad interessi di marca statunitense - potenza egemone in ambito Wto, secondo i russi. Dietro la piena integrazione nel circuito multilaterale degli scambi, si celerebbe l’interesse degli Usa a “bloccare” gli strumenti tradizionalmente impiegati dalla Russia per perseguire i propri fini politici, economici e - fino a pochi anni fa - sociali. Ne sarebbe prova in particolare l’obbligo - previsto nei capitolati dell’accordo - di riallineare i prezzi dell’energia a parametri di mercato e non a istanze politico-strategiche.
Resistenze e settori protetti
La lentezza dei negoziati non è stata determinata solo da opportunità politiche, ma anche da particolari “sensibilità” su cui le parti si sono date battaglia. Il sostegno dello Stato all’agricoltura è stato certamente un nervo scoperto. Arkadij Zločevskij, presidente dell’Unione cerealicola russa, ha fornito stime catastrofiche dell’impatto dell’accesso: le perdite annuali per l’industria del grano potrebbero ammontare a 56 miliardi di rubli.Sul cerealicolo ha impatto anche la ristrutturazione della suinocoltura. Il settore è minacciato dalla riforma del sistema di quote all’import di carni suine e dal calo dei dazi sui suini vivi. Babkin, il combattivo presidente di Rosagromaš, ha previsto che l’import di prodotti alimentari dall’estero passerà dal 45% al 70% del consumo totale.
Proprio per placare questi timori si è pubblicamente speso perfino Vladimir Putin, ricordando come tali settori possano godere di tutele particolari e di sistemi di contingentamento. La Russia si è comunque assicurata la possibilità di continuare a sovvenzionare l’agricoltura direttamente fino al 2015 per una somma di 9 miliardi di dollari.
Altra criticità che si è protratta per tutto il negoziato ha riguardato il settore automobilistico. L’industria russa non è in grado di reggere la concorrenza dei produttori stranieri, motivo per cui per le autovetture è stato previsto un processo di riduzione daziaria particolarmente esteso nel tempo (fino al 2019). Gli analisti si aspettano scarse ripercussioni benefiche sul prezzo di vendita delle automobili, essendo le riduzioni daziarie compensate dagli aumenti di costo di materie prime e componentistica. L’adesione, tuttavia, non dovrebbe generare distorsioni nei progetti di investimento di diverse case automobilistiche, considerati strategici per lo sviluppo del settore in Russia. La Hyundai, ad esempio, ha in progetto di passare dalle 120 mila auto prodotte l’anno scorso a circa 200 mila per il futuro.
Più in generale, i vertici politici della Federazione si sono espressi a più riprese sulla possibilità di sostenere settori industriali eventualmente colpiti da conseguenze negative dell’adesione. Il vicepremier Igor’ Šuvalov ha assicurato che dall’ingresso nel Wto “tutti usciranno vincitori, e non ci saranno sconfitti”. Il capo negoziatore, nonché direttore del Dipartimento negoziati commerciali presso il ministero dello Sviluppo Economico, Maksim Medvedkov, ha rassicurato l’opinione pubblica ed alcuni settori produttivi ricordando la possibilità di utilizzare un’ampia gamma di strumenti di difesa commerciale, dai dazi supplementari alle restrizioni qualitative all’import.
Impegni assunti dalla Russia in sede di adesione
Le principali riforme che la Russia si è impegnata ad intraprendere in sede di adesione riguardano l’apertura del mercato interno e l’aumento del proprio livello di integrazione nel sistema multilaterale degli scambi. Ciò implicherà tra l’altro una riduzione dei dazi e delle tariffe applicate all’import di prodotti stranieri (da un livello attuale del 10% si passerà al 7,8%), l’accesso facilitato al mercato dei servizi e il rispetto delle norme che regolano il commercio internazionale e che tutelano la proprietà intellettuale.
Non figurando fra i membri del Wto, il governo di Mosca aveva potuto finora aumentare i livelli di protezione del mercato domestico senza per questo incorrere in alcuna violazione delle norme internazionali. Dietro l’obiettivo di far fronte alla crisi o favorire il trasferimento tecnologico, le autorità russe avevano adottato misure di politica commerciale in molti casi palesemente in contrasto con le regole dell’Organizzazione. Non a caso, un’analisi della Commissione Europea identifica nella Russia il secondo paese del G-20 ad aver varato il maggior numero di misure protezioniste dall’inizio della crisi nel 2008: 71 su un totale di 424.
Il rispetto degli obblighi assunti in sede Wto dovrebbe invece determinare una maggiore integrazione della Russia nell’economia globale, attraverso un sensibile miglioramento dell’ambiente nel quale esportatori e investitori stranieri operano. Questo presuppone intanto un periodo di implementazione che per alcuni settori (in primis l’automotive) si estenderà per diversi anni, oltre alla piena e puntuale realizzazione da parte delle autorità russe delle riforme promesse.
L’appartenenza al club di Ginevra non esclude a priori l’insorgere di controversie commerciali o l’adozione di misure lesive del libero commercio. Tuttavia, l’adesione offre alle imprese e ai paesi che si sentano danneggiati da politiche protezionistiche gli strumenti e le sedi legali a cui quali far ricorso in caso di sospetta violazione degli obblighi.
La Russia nel Wto: un volano per la modernizzazione
Nonostante i rischi e le perplessità che puntualmente accompagnano le adesioni al Wto, quella russa potrebbe rivelarsi decisiva per il paese non solo da un punto di vista quantitativo (incrementi negli scambi commerciali e nei flussi di investimento con l’estero), ma soprattutto sotto il profilo qualitativo. Si tratta infatti di una sorta di imprimatur, crisma di ufficialità alle scelte strategiche e alla direzione intrapresa da un paese verso un’economia di mercato.
Gli obblighi assunti in sede negoziale, se correttamente implementati, potrebbero rendere più efficienti settori oggi pesantemente sostenuti dai sussidi pubblici. Lo stesso Putin ha citato più volte l’esempio dell’agricoltura, dove le sovvenzioni dirette dovrebbero lasciare il passo ad investimenti nell’ammodernamento delle infrastrutture, nelle bonifiche e nello sviluppo delle comunità rurali, interventi potenzialmente ben più efficaci rispetto al mero sussidio.
La regolamentazione e la standardizzazione delle misure di politica commerciale, rendendo la Russia più “aperta” agli scambi internazionali, dovrebbero inoltre generare una pressione su diversi settori (come quello metallurgico) a scalare la catena del valore. In questo modo, le produzioni si collocherebbero su un livello più elevato, potenzialmente meno accessibile per l’agguerrita concorrenza asiatica.
Tra le principali conseguenze attese, l’adesione al Wto darà uno stimolo allo sviluppo di un sistema industriale più moderno e competitivo, contribuendo ad avviare una diversificazione dell’economia e spingendo la Russia fuori dal Dutch disease che lo espone pesantemente alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime. Secondo alcune stime preliminari della Banca mondiale, nel medio periodo l’ingresso nel Wto potrebbe determinare un aumento del pil russo compreso fra l’1 e il 3%, mentre nel lungo periodo l’incremento potrebbe raggiungere anche l’11%.
Nel medio termine, inoltre, dovrebbero attenuarsi bizantinismi burocratici e pratiche vessatorie nei confronti degli operatori internazionali, contribuendo a migliorare il clima degli affari del paese e favorendo in questo modo maggiori investimenti di imprenditori stranieri.
Focus Italia
È indubbio che ciò possa tradursi in un aumento delle opportunità d’affari anche per le imprese italiane, che negli anni hanno saputo costruire con la Russia una partnership economica ed industriale di primo piano. A beneficiare in misura maggiore delle riduzioni tariffarie conseguenti all’ingresso nel Wto, saranno alcuni fra i settori di punta del made in Italy come il tessile-abbigliamento, le calzature, l’arredo-casa e alcuni prodotti alimentari; settori che attualmente sono gravati dai picchi daziari russi (livelli compresi fra il 15% e il 25%). D’altra parte, comparti per i quali è prevista una flessione dei dazi meno consistente, quali chimica e meccanica, prevedono già un livello di protezione tariffario relativamente basso.
La composizione merceologica del nostro export verso la Russia, unita alla forte specializzazione delle imprese italiane nei beni di consumo ad alto valore aggiunto, potrà quindi determinare in prospettiva vantaggi maggiori per le nostre imprese nel confronto con quelle degli altri paesi europei, il cui export si concentra invece in prevalenza nei beni strumentali.
Al di là delle pur importanti riduzioni daziarie sui prodotti importati dall’estero, la conseguenza forse più importante che riguarda l’adesione della Russia al Wto è rappresentata dagli impegni assunti su materie come certificazioni, procedure doganali, investimenti, licenze all’import o tutela della proprietà intellettuale. Per quanto comportino benefici di difficile quantificazione soprattutto nel breve periodo, tali provvedimenti pongono infatti le basi per una maggiore e più incisiva presenza delle nostre imprese sul mercato russo, anche da parte di quelle di piccola e media dimensione.

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