sabato 14 aprile 2012

am_14.4.12/ In oltrepadania il binge drinking produce il Big Pil, che tu manco se ti sbronzi te lo sogni.---Paul Kreiner: Il governo italiano ha venduto la sua quota di partecipazione ad un colosso lattiero-caseario rumeno. Una notizia che non sembra proprio esaltante, dietro alla quale però si nasconde un affare da un miliardo di dollari e una truffa al consumatore a livello internazionale, che quotidianamente miete vittime anche tra i clienti dei supermercati tedeschi.

Dati di Sintesi del Conto del Settore Statale - febbraio 2012
La truffa dei cibi Made in Italy
Crisi: Grecia, in calo introiti alberghi di Atene (-19,1%)
Il sistema Rubik conquista Vienna
Bozen oltrepadania. Altoatesini campioni dello sballo
Kosovo: tensione a nord, si mobilitano ex combattenti Uck

Dati di Sintesi del Conto del Settore Statale - febbraio 2012
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze comunica i dati di sintesi del conto del settore statale del mese di febbraio 2012.
Fabbisogno del settore statale del mese di febbraio 2012
Milioni di euro      
 Formazione del fabbisogno      
 Entrate  30.247
 Spese     37.645
 di cui: spesa per interessi          10.796  
 Fabbisogno (-) / Disponibilità (+)        -7.398   
 Copertura    
 Totale     7.398    
 Titoli a breve termine          8.430
 Titoli a medio-lungo termine      -13.215
 Titoli esteri    320
 Altre operazioni (1)      11.863
(1) Comprendono la raccolta postale e la variazione del conto di disponibilità.
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In conformità al programma Special Data Dissemination Standard (SDDS) del Fondo Monetario Internazionale, il calendario delle pubblicazioni dei dati sopraesposti è disponibile sul sito (Collegamento a sito esterno http://
dsbb.imf.org).
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Roma, 13 aprile 2012

La truffa dei cibi Made in Italy
di Paul Kreiner – 13 aprile 2012
Pubblicato in: Germania
[Stuttgarter Zeitung]
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Il governo italiano ha venduto la sua quota di partecipazione ad un colosso lattiero-caseario rumeno. Una notizia che non sembra proprio esaltante, dietro alla quale però si nasconde un affare da un miliardo di dollari e una truffa al consumatore a livello internazionale, che quotidianamente miete vittime anche tra i clienti dei supermercati tedeschi.
Infatti Lactitalia – così si chiama la società che si trova a Timisoara – produce latticini utilizzando nomi di origine italiana come “Dolce Vita”, “Toscanella” o “Pecorino”. Di fatto questi prodotti non hanno assolutamente niente a che fare con l’Italia: il latte viene dalla Romania e dall’Ungheria. Il caseificio, denuncia con veemenza la associazione di contadini italiana Coldiretti, sfrutta illegalmente i colori della bandiera italiana. Lo Stato italiano, a cui apparteneva tramite la Banca Export Simest il dodici per cento di azioni di Lactitalia, è complice in questa falsità. Anche perché lavorare in Romania ormai può essere più conveniente che in Italia si tratta quindi di concorrenza sleale a danno dei produttori nazionali.
I contadini italiani hanno potuto almeno per una volta intervenire contro Lactitalia, dato che sono impotenti contro il resto della molto più redditizia truffa internazionale delle etichette. I nomi italiani sono più attraenti perché sono di moda, per lo stile di vita, per le vacanze e forse la sana “dieta mediterranea”, i produttori di generi alimentari vendono i loro prodotti in tutto il mondo sempre più sotto nomi italiani. Per farli sembrare più convincenti, stampano molte delle loro confezioni con parole italiane e nomi più o meno fantasiosi (“Condimento Aceto Balsamico”), mantenendo il tricolore della bandiera nazionale, ed ecco che nessuno si accorge che, il formaggio affettato Monteverdi arriva dai dintorni di Monaco di Baviera ed il cliente del discount acquista la mozzarella Lovilio che non arriva da uno sperduto paesino del sud, ma dalla Foresta Bavarese accanto.
Le associazioni italiane dei contadini sono in subbuglio
Le associazioni degli agricoltori italiani sono in subbuglio non solo contro i falsari internazionali, ma anche contro gli “agro-pirati” nelle proprie industrie agroalimentari e contro una legge europea che fa passare per legale qualsiasi tipo di camuffamento. Si prenda per esempio la vicenda della passata di pomodoro. Si tratta di una delle insostituibili materie prime della cucina italiana – però l’ingrediente base oggi matura in gran parte sotto il sole cinese. A seguito del’ultimo allarme che ha attraversato il paese, l’associazione industriale dei produttori si è affrettata ad assicurare che i prodotti cinesi non sono assolutamente commercializzati in Italia, ma vengono esportati in altri paesi.
“In Asia e in Africa”, ha aggiunto il portavoce dell’organizzazione – ma ha anche detto che la Germania è considerata al sicuro, paese in cui in fondo, c’è il più alto numero di acquirenti di prodotti italiani. 153’358 tonnellate di conserva di pomodori importate dall’Italia nel 2010, di cui 121’000 tonnellate provenienti dalla Cina, tre quarti dei quali sono state ulteriormente destinate fin dall’inizio all’esportazione. E’ sufficiente in questi casi – secondo la legislazione dell’Unione Europea – solo “un ultimo passo sostanziale nella trasformazione”, e il prodotto può essere messo in vendita come italiano: riempire un container di lattine di prodotti alimentari basta per essere a posto con la legge.
Quanto all’olio d’oliva la situazione è simile. Quattro bottiglie su cinque non contengono l’”italiano” extra vergine, l’etichetta e il nome di fantasia lo promettono ma di fatto si tratta di un miscuglio di oli provenienti da tutto il mondo, in particolare dalla Spagna e Tunisia. Lo ha scoperto la associazione Coldiretti, che, anche se obbligatorio dal 2009, è possibile rintracciare le indicazioni geografiche di provenienza sulle bottiglie semmai “solo con il microscopio” .
L’Italia, il più grande esportatore mondiale di olio di oliva, non produce sul suo territorio nemmeno la quantità che consuma. La produzione è stata nel 2011 di 483’000 tonnellate; nello stesso anno il paese ha esportato 364’000 tonnellate. In Tunisia, dicono gli esperti, si può produrre un chilo di olio per 10 centesimi, in Italia, il costo si aggira tra i quattro e i cinque euro. Ecco spiegato perchè la maggior parte dei produttori spagnoli hanno acquistato diversi marchi italiani di fama. Perché l’olio d’oliva, venduto sotto il nome spagnolo ai clienti finali, permette di offrire prezzi molto più bassi di quello “italiano”.
La vittoria nel caso Lactitalia è solo un successo momentaneo
Nella sua relazione sull’ “agro mafia”, l’istituto di ricerca Eurispes parla di un paradosso: da un lato, l’Italia ha registrato in Europa molti marchi di qualità a “denominazione di origine protetta” e ad “indicazione geografica protetta”, più di ogni altro paese – tre volte quanto la Germani – e dall’altro, la stessa Italia si dà molto da fare nell’occultare la vera provenienza dei prodotti di largo consumo. Secondo l’Eurispes tre su quattro cosce di maiale, che poi vengono vendute come il prelibato “prosciutto crudo, made in Italy”, provengono dall’estero, il 91 per cento delle quali dal Cile, a Modena roccaforte del prosciutto questa settimana, sono state confiscate 90’000 cosce di maiale per mancanza di certificazione e danni alla salute.
La pasta “italiana” è prodotta in gran parte con grano duro proveniente dall’America (dal Canada, Messico, USA) e persino nelle mozzarelle prodotte in Italia, i due terzi del latte (68 per cento) provengono da Francia, Germania o Austria, senza che i clienti lo sappiano. Ma perché preoccuparsi? L’industria alimentare italiana è in crescita con buoni profitti, mentre il resto del paese è caduto in recessione. Le uniche persone del settore che stanno soffrendo sono gli agricoltori che non riescono a resistere a questo tipo di concorrenza.
La vittoria nella vicenda Lactitalia è solo un successo momentaneo, il che significa che di fatto non ha nessun significato. Alla fine: la Lactitalia rumena, che colpisce al fianco la produzione italiana con la sua concorrenza sleale – resta comunque italiana.
[Articolo originale "Der Schwindel mit italienischer Nahrung" di Paul Kreiner]

Crisi: Grecia, in calo introiti alberghi di Atene (-19,1%)
13 aprile, 12:35
(ANSAmed) - ATENE, 13 APR - Il ricavo medio per camera per notte negli alberghi di Atene a tre, quattro e cinque stelle è sceso del 19,1% a febbraio rispetto allo stesso mese dello scorso anno, arrivando a soli 36,50 euro. E' il dato che si evince da un sondaggio condotto per conto dell'Associazione alberghiera Atene-Attica e pubblicato dal quotidiano Kathimerini. In confronto, gli alberghi di Istanbul, la metropoli turca sul Bosforo, hanno goduto di un ricavo medio di 71 euro a camera, quasi il doppio di quello degli hotel ateniesi. Nella capitale greca il tasso di occupazione delle camere e' sceso del 16%, arrivando ad appena 41,3%. I prezzi delle camere degli alberghi di Atene sono risultati quelli piu' bassi tra le 10 citta' europee coperte dalla ricerca, con una media di 88,30 euro a notte dopo un calo del 3,7% dal febbraio 2011.(ANSAmed).

Il sistema Rubik conquista Vienna
Firmato ieri accordo con Berna
La Svizzera ha raggiunto ieri con l’Austria un accordo fiscale analogo a quello con Germania e Gran Bretagna. Il testo è stato firmato a Berna dalle ministre delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf e Maria Fekter. Prevede l’introduzione di un’imposta liberatoria, tra il 15 e il 38%, per regolarizzare i fondi austriaci depositati in Svizzera e non dichiarati, senza pagamenti anticipati da parte delle banche, come pure un prelievo alla fonte sui futuri redditi dei capitali (25%).
Il contribuente austriaco potrà dichiarare i suoi averi al fisco austriaco o optare per un’imposizione anonima. Quest’ultima sarà prelevata dalle banche elvetiche per essere riversata in Austria. Chi si rifiuta di regolarizzare i propri conti e depositi dovrà chiuderli. Berna ha già concluso trattati analoghi con la Germania e il Regno Unito e vorrebbe fare lo stesso con la Grecia. Le intese firmate finora dovrebbero entrare in vigore all’inizio del 2013. Devono ricevere l’avallo dei Parlamenti, tappa difficile soprattutto con la Germania, a causa dell’opposizione. La Svizzera vuole così dar prova di buona volontà senza intaccare il segreto bancario e evitando scambi automatici d’informazioni. La consigliera federale Widmer-Schlumpf ha voluto così sottolineare la serietà della strategia per la piazza finanziaria, si legge in una nota.
La prima tappa dell’accordo con Vienna prevede la regolarizzazione dei conti. Per chiudere con il passato è prevista un’imposta forfettaria sotto forma di pagamento unico. L’aliquota applicata (tra 15 e 38%) dipenderà dalla durata della relazione bancaria e dall’ammontare del patrimonio, iniziale e finale, in Svizzera. Questa forchetta è inferiore a quella convenuta con la Germania (da 21 a 41%). Per quanto riguarda la Gran Bretagna varia tra il 19 e il 34%, ma potrebbe essere portata al livello tedesco. Non è stato convenuto un pagamento anticipato da parte delle banche svizzere. Nell’intesa con la Germania sono previsti invece due miliardi di franchi e con la Gran Bretagna 500 milioni.
Per l’imposizione dei futuri redditi da capitale dei clienti delle banche elvetiche è stata fissata un’aliquota unica del 25%, corrispondente a quella austriaca sul reddito di capitali mobili. Contrariamente a quanto previsto con Germania e Gran Bretagna, questo accordo non interessa le successioni poiché l’Austria non conosce una simile imposta. Dato che le parti contraenti ritengono sufficiente la vigente procedura di assistenza amministrativa non sono state convenute ulteriori possibilità di richiesta d’informazioni.
Svizzera e Austria hanno inoltre deciso di eliminare importanti ostacoli ai servizi finanziari transfrontalieri, come pure di allentare le condizioni per la concessione di autorizzazioni bancarie in Austria. La commercializzazione di fondi viene semplificata. Entrambe le parti convengono che, per l’effetto esplicato, nel quadro dei redditi da capitali il sistema concordato equivale a lungo termine allo scambio automatico d’informazioni. L’Austria stima che sui conti bancari elvetici si trovino tra 12 e 20 miliardi di euro non dichiarati al fisco da suoi cittadini. Il Governo di Vienna ha già iscritto nei preventivi del 2013 introiti di un miliardo di euro come conseguenza dell’accordo.
14.04.2012

Bozen oltrepadania. Altoatesini campioni dello sballo
L'ultimo rapporto Istat vede la provincia in vetta al "binge drinking"
sballo, giovani, alcol
di Fabio Zamboni
BOLZANO. L'Alto Adige alza il gomito più di altre province: secondo i dati Istat diffusi in questi giorni sull'«uso e l'abuso di alcol in Italia» è in testa alla classifica nazionale per quanto riguarda due aspetti: il "binge drinking", ovvero il consumo di 6 o più bicchieri in un'unica occasione, e nel numero di persone che nel 2011 hanno consumato alcol almeno una volta al giorno fuori dai pasti (Bolzano ha il 70,2 per cento, Trento il 61,6, mentre la media italiana è del 49,5).
Nel "binge drinking", dunque, nella sbaraccata una tantum, nessuno purtroppo ci batte: altoatesini e trentini fanno registrare la percentuale più alta, a livello nazionale. E la nostra regione è seconda solo alla Valle d'Aosta per comportamenti a rischio nell'assunzione di alcol. I dati, preoccupanti, confermano le dimensioni di un problema da tempo noto: il consumo di alcol da parte dei giovani altoatesini, in misura ancora maggiore per questi ultimi.
«Ma bisogna fare una distinzione - precisa Peter Koler, responsabile del Forum Prevenzione altoatesino -: il numero di giovani e giovanissimi che consuma alcol è in diminuzione, mentre è in aumento il numero degli "eccessi", delle trasgressioni sporadiche che portano alla rissa, all'intervento delle forze dell'ordine anziché degli organi di prevenzione». Comunque l'Alto Adige ha dei tristi primati in questo campo: «Se siamo in vetta alla classifica del binge drinking e del bere fuori dai pasti, dobbiamo anche sottolineare che in altre categorie
siamo agli ultimi posti: ad esempio nella guida in stato di ebbrezzae nel consumo da parte dei giovanissimi,
degli 11-12enni. Per quanto riguada il binge drinking, siamo in testa perché questa è un'abitudine dell'area tedesca e alpina. I dati invece sul consumo fuori dai pasti è discutibile come criterio: per qualcuno è più grave bere una birra fuori dai pasti che tre bicchieri di vino a pasto. Mi sembra una classifica discutibile».
Qualche iniziativa nuova in tema di prevenzione? «Il 24 aprile presenteremo i nuovi moduli e alcuni nuovi aspetti della campagna di prevenzione in Alto Adige. Per tenersi meglio informati, basta andare sul sito www.bereresponsabile.it». L'indagine diffusa ieri dall'Istat su "L'uso e l'abuso di alcol in Italia" riporta cifre che distinguono anche per sesso. La classifica dell'uso di alcol al di fuori dei pasti ad esempio, offre cifre ancora più alte se si tiene conto del riparto per sesso: i maschi, in particolare, toccano il 77,9% in Alto Adige e il 72,9% in Trentino. Più basse, invece, le cifre relative a chi beve sempre durante il pasto, sia i maschi che le femmine: in questo caso a primeggiare sono i campani.
In generale, il consumo di alcol nel corso del 2011 è risultato più alto nelle regioni del Centro-Nord, in particolare quelle dell'arco alpino. Con forti differenze di genere: quasi un uomo su due consuma alcol anche fuori dal pasto, mentre per le donne la proporzione scende a quasi una su tre.

Kosovo: tensione a nord, si mobilitano ex combattenti Uck
13 aprile, 17:45
(ANSAmed) - BELGRADO, 13 APR - Gruppi di ex combattenti dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), la formazione di guerriglieri indipendentisti albanesi che negli anni novanta combatte' contro la Serbia, si sono detti pronti a mobilitarsi a difesa della popolazione albanese nel nord del Kosovo, se non dovessero farlo il governo di Pristina, la Kfor (Forza Nato in Kosovo) e la missione europea Eulex.
 Nel darne notizia, la tv pubblica serba (Rts) ha precisato che la presa di posizione degli ex combattenti e' da collegare alla recente uccisione di un kosovaro albanese e al ferimento dei suoi familiari in un attentato dinamitardo nel settore nord (abitato da serbi) di Kosovska Mitrovica. Un episodio definito ''un attacco terroristico ad opera delle strutture parallele serbe e di organizzazioni criminali e terroristiche serbe infiltrate in Kosovo''.
 ''Noi, ex combattenti dell'Uck, abbiamo deciso di prendere l'iniziativa e di proteggere la popolazione albanese locale'', si legge in un comunicato firmato dai responsabili di tre associazioni che raggruppano ex militanti dell'Uck.
 Nel nord del Kosovo resta alta la tensione interetnica fra la popolazione serba, maggioritaria in quella parte del paese, e i kosovari albanesi. (ANSAmed)


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