sabato 14 aprile 2012

pm_14.4.12/ I pastori di Nuragus, paese di neanche mille anime al nord della provincia di Cagliari, sbarcano sul web. Grazie al progetto Nureid (acronimo di NURagus Electronic IDentification), fortemente voluto e sostenuto dall'amministrazione comunale, quaranta pastori (di età comprese tra i 35 e i 40 anni), le loro cinquemila pecore e i loro prodotti salperanno nel cyberspazio con una strategia ben precisa.---Nelle operazioni barra libre - così le chiamano a Madrid avvicinando la liquidità offerta dalla Bce alle bevute gratuite al bancone dei locali della movida - si sono accaparrate 316 miliardi sui 1.100 miliardi lordi complessivi messi in circolo dalla Bce.

Nuragus rilancia il proprio fare pastorale attraverso la rete
I consumi in Europa negli ultimi anni
La Spagna si aggrappa alla Bce

Nuragus rilancia il proprio fare pastorale attraverso la rete
I pastori di Nuragus, paese di neanche mille anime al nord della provincia di Cagliari, sbarcano sul web. Grazie al progetto Nureid (acronimo di NURagus Electronic IDentification), fortemente voluto e sostenuto dall'amministrazione comunale, quaranta pastori (di età comprese tra i 35 e i 40 anni), le loro cinquemila pecore e i loro prodotti salperanno nel cyberspazio con una strategia ben precisa.
 I  due obiettivi principali? Avviare collaborazioni scientifiche tese al miglioramento qualitativo dell'attività pastorale e di trasformazione (dalle carni ai formaggi) e puntare al reperimento di validi partner commerciali, preferibilmente all'estero. I mercati al centro del progetto sono quelli britannico e libanese e più in generale dell'area del Mediterraneo.
 Come in varie altre aree della Sardegna, l'economia di Nuragus è sempre stata fortemente agro-pastorale, pur subendo nel tempo varie trasformazioni che hanno visto dapprima prevalere le produzioni agricole (grano, fave, orzo, avena, vite e ortaggi), grazie alla particolare fertilità dei terreni, poi la nascita di realtà industriali (un caseificio e un pastificio, ora dismessi).
Le radicali trasformazioni economiche e sociali avvenute nel secondo dopoguerra, poi, determinarono una sostanziale trasformazione dell’economia tradizionale, con una contrazione delle coltivazioni agricole, a vantaggio dell’allevamento ovino, che sino agli anni ’60 era stato marginale.
 Con la crisi dell’agricoltura la pastorizia diventò l'attività più importante di Nuragus, a seguito anche dell'attività di selezione genetica operata nella prima metà del '900 dal professor Felicino Medda e tesa a ottimizzare le rese (non da tutti oggi ben vista, ndr) della popolazione ovina. Questo genere di specializzazione contribuì a fare della cittadina sarda il punto di riferimento (vi è attivo un centro arieti di razza sarda) per molti allevamenti dell'isola ma anche del continente, tant'è che qui annualmente si svolge la mostra-mercato della pecora di razza sarda, grazie alla quale la comunità pastorale di questa zona ha saputo tessere rapporti estesi sin oltre i confini nazionali. http://www.provendi.altervista.org/nureid/

I consumi in Europa negli ultimi anni
Rapporto "EuropaConsumi" elaborato dall'Ufficio Studi di Confcommercio. Più tempo libero e comunicazioni ma cresce l'incidenza delle spese obbligate.
ID doc: 74714 Data: 13.04.2012 (aggiornato il: 13.apr.2012)
Dal 1995 ad oggi aumenta la frazione di spesa destinata dai cittadini europei a consumi per il tempo libero (dall'11% al 12%), mezzi di trasporto e comunicazioni (dal 15% al 16%) e le spese per l'abitazione (dal 21% al 24%); diminuisce, invece, la quota di consumi per la cura del sé (dal 14% al 13,5%), quella per i pasti in casa e fuori casa (dal 25% al 23 %) e quella per l'acquisto di mobili, elettrodomestici e articoli di arredamento (dal 7% al 6%); in termini di spesa pro capite, escludendo il Lussemburgo che ha livelli di consumo decisamente superiori alla media, nel 2010, l'Irlanda è il Paese dove si spende di più per mangiare (4.602 euro), l'Olanda per la finanza personale (1.814 euro), la Danimarca per l'abitazione (5.967 euro), mentre i consumatori austriaci sono i più "spendaccioni" in ben quattro comparti di spesa: tempo libero (2.621 euro), comunicazioni e mezzi di trasporto (2.857 euro), cura del sé (2.754 euro) e mobili, elettrodomestici e arredamento (1.239 euro); rispetto alla media europea del totale dei consumi, pari ad un valore di oltre 13.800 euro pro-capite, le spese fisse per l'abitazione e per l'alimentazione, da sole, assorbono più dei due terzi per un importo pari a circa 6.500 euro pro-capite. Questi alcuni dei principali risultati che emergono dal Rapporto "EuropaConsumi" elaborato dall'Ufficio Studi di Confcommercio. Nonostante le differenziazioni di natura economica e sociale esistenti tra stati, l'analisi delle sette macrofunzioni di consumo nel complesso dei 27 paesi della Ue (tempo liberato, mobilità e comunicazioni, cura del sé, finanza personale, mobili, elettrodomestici e arredamento, spese fisse per l'abitazione, pasti in casa e fuori casa) evidenzia alcune linee di fondo che contribuiscono a caratterizzare un modello di consumo tendente sempre più ad una uniformità dei comportamenti di acquisto dei cittadini europei. Un primo aspetto da rilevare è il peso che ha assunto negli anni, dal 1995 al 2010, la spesa destinata alle attività del tempo libero; nella dinamica di questa funzione di consumo, ha avuto un ruolo rilevante un diverso utilizzo del fattore "tempo" nella ricerca quotidiana di maggiori spazi da dedicare a sé, alla famiglia, ai viaggi, alla cultura, concentrando gli impegni e introducendo flessibilità nei tempi di lavoro. Il tempo libero è diventato una vera e propria risorsa economica su cui investire sempre più. In questo contesto va letta, nel periodo considerato, la crescita della quota di spesa del tempo libero che, nella media UE a 27, è prossima nel 2010 al 12%, ma che raggiunge punte più elevate a Malta, Regno Unito e Austria. Se si escludono alcuni Paesi baltici e dell'Europa dell'Est, il processo di convergenza verso la realtà dei paesi più avanzati dell'Unione, dove questa quota è significativa, tende a rafforzarsi. Anche l'esigenza di maggiore mobilità e di abbattimento delle distanze, complice la tecnologia, ha favorito l'incremento della spesa per i mezzi ed i servizi di trasporto e le comunicazioni che si avvicina al 16% nella media, valore superato da molti paesi con una economia in fase di sviluppo quali la Bulgaria, la Lituania, l'Ungheria e la Slovenia. Una tendenza opposta si riscontra per alcune funzioni tipicamente time-demanding, come i pasti in casa e fuori casa che vedono ridimensionarsi la quota di spesa dal 25% al 23,3% nella media Ue a 27 paesi, con punte inferiori al 20% nei Paesi Bassi e in Danimarca, e superiori al 30% in Bulgaria, Romania, Spagna e Paesi Baltici. L'andamento di questa macrofunzione sconta tendenze contrapposte tra i consumi alimentari in casa, che sono generalmente fermi in quasi tutta Europa, mentre più consistente è la crescita dei consumi alimentari fuori casa, favorita dalla diffusione di nuovi stili di vita e dai consumi generati dai flussi turistici. Parallelamente ai pasti in casa e fuori casa, le quote di spesa delle macrofunzioni relative ad altri beni e/o servizi di tipo tradizionale subiscono una graduale riduzione. Nel settore relativo alla cura del sé, le quote di spesa passano da oltre il 14% del 1995 al 13,5% del 2010; relativamente ai mobili, elettrodomestici e articoli da arredamento, la quota sulla spesa totale si è ridotta anch'essa di circa un punto percentuale, passando da oltre il 7% del 1995 a poco meno del 6% nel 2010. Da notare, che nel 2010 in Italia, la quota di spesa relativa ai mobili, elettrodomestici e articoli da arredamento è pari al 7,2% del totale della spesa per consumi, valore tra i più elevati a livello europeo. Un'attenta considerazione merita la spesa relativa alla finanza personale, la cui la quota sul totale si aggira attorno al 6,6%. La fig. 1d mostra l'andamento assolutamente altalenante di questa macrofunzione, con cali evidenti in corrispondenza delle crisi finanziarie internazionali. Per quanto riguarda le spese obbligate connesse con l'abitazione, la quota relativa a questi beni e/o servizi è cresciuta costantemente, in media, passando da poco più del 20,6% del 1995 al 23,5% del 2010. Questo crescita regolare è stata determinata in parte dall'aumento del costo dei prodotti energetici e anche dall'andamento del mercato degli immobili. Analizzando i livelli di spesa pro capite per macrofunzione e Paese, si registra nella media europea un valore di oltre 13.800 euro; il Paese che spende mediamente di più è il Lussemburgo (circa 29.000 euro), all'estremo opposto si colloca la Bulgaria, che risulta essere il Paese con spesa media pro capite più bassa (circa 2.900 euro) nell'Unione Europea. Sotto il profilo delle singole macrofunzioni, a titolo esemplificativo, le spese fisse pro capite per l'alimentazione e per l'abitazione assorbono mediamente quasi 6.500 euro l'anno, circa il 47% del totale dei consumi. Per i paesi dell'Europa dell'est l'incidenza, pur in presenza di valori assoluti inferiori al dato medio, l'incidenza supera nettamente il 50%.

La Spagna si aggrappa alla Bce
Luca Veronese
 La dipendenza della Spagna dall'Europa cresce di giorno in giorno. Il debito netto delle banche iberiche verso la Banca centrale europea ha fatto segnare un nuovo record a marzo raggiungendo un totale di 227,6 miliardi di euro, in aumento di quasi il 50% rispetto ai 152,4 miliardi di febbraio. Con un esposizione pari al 63% di quella accumulata nei confronti della Bce da tutto il sistema bancario continentale.
 In grave difficoltà nel trovare risorse sul mercato e ancora indeboliti dalla crisi del settore immobiliare che ha lasciato pesanti buchi negli attivi di bilancio, gli istituti di credito spagnoli hanno fatto massiccio ricorso alle operazioni di finanziamento a tre anni effettuate dall'Eurotower a dicembre e a fine febbraio. Nelle operazioni barra libre - così le chiamano a Madrid avvicinando la liquidità offerta dalla Bce alle bevute gratuite al bancone dei locali della movida - si sono accaparrate 316 miliardi sui 1.100 miliardi lordi complessivi messi in circolo dalla Bce.
 «Non ci sarà un salvataggio. Non è possibile un salvataggio della Spagna. Non c'è l'intenzione di farlo, non è necessario e non ci sarà», ribadisce il premier spagnolo, il conservatore Mariano Rajoy. Ma è ormai evidente che solo il sostegno della Banca centrale - prima con l'acquisto di titoli del debito, poi con i prestiti a tre anni - ha consentito a Madrid di non fare la fine di Grecia, Irlanda e del vicino Portogallo. La Spagna non ha dovuto chiedere il salvataggio dell'Unione e del Fondo monetario, ma in molti sostengono che sia stata già salvata, seppure con gli strumenti di Mario Draghi e non attraverso le risorse del fondo salva-Stati di Bruxelles. «I numeri dimostrano che la situazione è ben più grave di quanto molti pensano. La Spagna avrebbe dovuto arrendersi al salvataggio delle istituzioni internazionali se la Bce non si fosse mossa in aiuto delle banche», dice Angel Laborda della Fondazione delle casse di risparmio.
 La Spagna dipende dall'Europa anche per ricominciare a crescere: il Pil che quest'anno dovrebbe contrarsi dell'1,7% non può contare sui consumi interni e deve quindi affidarsi alla ripresa continentale e alla domanda in arrivo dai suoi tradizionali partner commerciali. È tutta l'economia spagnola ad avere bisogno di supporto: secondo la Banca centrale di Madrid, il debito estero complessivo - pubblico e privato - accumulato dalla Spagna in questi anni di crisi ha raggiunto a fine 2011 il massimo storico di 1.775 miliardi di euro. Un record di certo superato con l'operazione a breve della Bce di febbraio. Il Paese da solo non ce la fa, il debito pubblico è aumentato anche se resta ancora intorno al 70% del Pil, sotto la media comunitaria. Ma le imprese, le famiglie e le banche sono esposte verso l'estero come mai in passato: è questa una delle grandi differenze con l'Italia che invece può contare su maggiori volumi di risparmio nazionale.
 I tagli, le tasse e anche le riforme che pure Rajoy ha fatto, seguendo le indicazioni di Bruxelles per ora non hanno dato risultati. «I mercati rimangono molto scettici. Annunciare piani di risanamento pesanti (per quanto siano realistici) non è sufficiente. Pensiamo - spiega Antonio Garcia Pascual di Barclays - che la Spagna per riconquistare credibilità sui mercati dovrà dimostrare la capacità di rispettare gli obiettivi sul deficit e di crescita. Saranno decisivi i dati sul primo trimestre».
 La debolezza delle banche si unisce a quella delle imprese e finisce per colpire le famiglie. Ora che gli investitori stranieri voltano le spalle alla Spagna - come dimostra la nuova crescita dei rendimenti dei bonos e il costante calo degli indici di Borsa - solo il soccorso della Bce sembra poter evitare il default.
 Per l'Europa la crisi spagnola diventa un esame senza precedenti e senza appelli. Con il board della Banca centrale europea diviso, e non è la prima volta, su come agire. «Vediamo segni di stabilizzazione sul debito sovrano, ma la Bce è pronta ad agire se necessario», ha assicurato anche ieri, Jörg Asmussen, membro tedesco dell'Esecutivo dell'Eurotower, facendo riferimento all'acquisto di titoli spagnoli sul mercato secondario. Mentre Klaas Knot, olandese del board della Bce, ha affermato ieri che «non ci sono buone ragioni per riprendere il programma di acquisto» e ha detto di sperare che gli acquisti di titoli di Stato di Paesi dell'Eurozona «non saranno più usati in futuro».

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