giovedì 5 aprile 2012

pm_5.4.12/ Ticino, Erminio Ferrari: Il carisma dei “rivoluzionari” volge presto in dannazione; e l’amore cieco dei seguaci li rende altrettanto ciechi nella disillusione. Per chi annuncia la distruzione del sistema e poi vi si accomoda, la colpa è doppia e la fine è spesso drammatica. Trattandosi di Bossi sarà anche sgradevole a vedersi.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Crac agricoltura, accuse alla Regione
Lavoro, Monti: Riforma storica. Su reintegro deciderà il giudice (VD)
Germania: Produzione industriale -1,3%
Ticino. Bossi leghista a sua insaputa

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Crac agricoltura, accuse alla Regione
05.04.2012
CAGLIARI Nulla è cambiato, purtroppo. L’agricoltura sarda era ed è in agonia. Dal 2010 a oggi, dati del Crel, un’azienda su due ha chiuso, o è andata in malora. Il disastro doveva e poteva essere evitato, dodici anni sono un’eternità, e invece è stato accettato, subito e metabolizzato. Dalla politica, prima di tutto, che continua a essere inchiodata su vecchi concetti, come lo sono i soliti interventi tampone per fronteggiare le emergenze e l’abuso dell’assistenzialismo. Il popolo delle campagne e degli allevamenti, ha provato a risollevarsi da soli, ma non ha trovato gli interlocutori che si aspettava. Adesso è in ginocchio, e ieri le associazioni più forti, Coldiretti, Confragricoltura e Cia, hanno lanciato un altro, l’ennesimo, grido d’allarme: «I problemi sono quelli di sempre. Eppure la Regione continua a considerare il nostro un lavoro marginale quando parla di Prodotto interno lordo. Tutti si mobilitano per l’industria o il turismo, mentre abbandonano il nostro settore a un destino infame», è stato detto da chi, senza più perdersi in inutili tattiche e cortesie, ha denunciato: «Questa è la nostra ultima chiamata. Se non arriveranno in fretta le risposte che ci aspettiamo, non possiamo far altro che ritornare in piazza, riportare i trattori nelle città, occupare quello che in passato abbiamo già occupato». La stagione dell’attesa e della sopportazione è finita da un pezzo, Che la situazione sia drammatica deve averlo capito in fretta anche la giunta Cappellacci. Proprio ieri l’assessore Oscar Cherchi ha convocato per martedì le associazioni: vuole aprire un «tavolo tecnico». In cui però da Elisabetta Falchi (Confagricoltura) a Luca Saba (Coldiretti), a Martino Scanu (Cia) cominciano a credere poco. Sono scottati dalle troppe delusioni e offesi da quotidiane provocazioni, per essere ancora ottimisti. «Come facciamo a credere ancora in un domani – ha detto Maurizio Onorato di Confagricoltura – se anche nell’ultima Finanziaria regionale, l’agricoltura è stata trattata come un parente povero?». A confermarlo sono gli stanziamenti: dai 240 milioni del 2011, il budget è sceso a 190 di cui l’80 per cento è destinato al funzionamento dell’apparato burocratico, mostruoso, e al funzionamento degli enti regionali. Per gli investimenti – ha sottolineato Francesco Erbì della Cia – restano ancora una volta le briciole ed è per questo «abbiamo a che fare con una classe politica inadeguata e incapace di fronteggiare la realtà: le imprese muoiono, o se siamo fortunati, non crescono. Oppure il valore aggiunto continua a crollare, con l’export diventato ormai un miraggio». Anche il mercato interno è in sofferenza: i consumi sono a picco. Eppure sarebbe bastato – hanno detto le associazioni – che in questi mesi ci avessero ascoltato per risolvere almeno uno dei soliti problemi. Che sono stati elencati, perché ormai tutti gli hanno mandati giù a memoria: la peste suina irrisolta, i pignoramenti inarrestabili, l’assurda lungaggine negli stanziamenti, la trafila per bandi spesso incomprensibili, l’impossibilità di accedere al credito. Sono macigni che, alla fine, hanno «trascinato in fondo al pozzo» gli allevamenti e le industrie di trasformazione, l’ovicaprino, la filiera ortofrutticola. Senza che i vari consorzi da quello del latte agli altri per la tutela dei prodotti sardi facessero nulla tanto da essere indagini dalla magistratura. «Siamo esterrefatti – ha detto Luca Saba– per tutto quello che ci è stato scaricato addosso in questi anni. E lo siamo ancor di più dopo aver letto che la Regione stende invece i tappeti rossi ai colossi nazionali, come è capitato in questi giorni con la Barilla». Le associazioni dicono di aver sopportato anche troppo: la svolta, che si chiama programmazione per lo sviluppo, deve essere immediata. «Sul banco degli imputati – hanno detto – noi mettiamo l’assessore e l’inefficienza della macchina amministrativa. È impensabile che dall’altra parte del tavolo continuino a proporre per mesi questo o quel protocollo, per poi fare di testa loro. È accaduto con la peste suina, noi abbiamo presentato le nostre proposte per uscire da una maledizione che dura quindici anni, ma la Regione prima ci mette mesi per risponderci e quando lo fa poi s’impunta sulle virgole, invece di estirpare il male». Ecco qual è il problema: «Alla Regione vogliono tenere l’agricoltura sotto scacco. Eppure – ha detto Elisabetta Falchi – basterebbe che ascoltassero alcune delle nostre idee, e alcune sono realizzabili anche in tempi stretti, per uscire dall’emergenza». Adesso c’è l’appuntamento di martedì, sarà quello della svolta ? «Non dipende da noi, ma dalla buona volontà che l’assessore e gli altri ci metteranno».

Lavoro, Monti: Riforma storica. Su reintegro deciderà il giudice (VD)
Roma – LA riforma del mercato del lavoro rappresenta un ”impegno di rilievo storico per l’Italia”. E’ quanto ha sottolineato il presidente del Consiglio, Mario Monti, illustrando la riforma nel corso di una conferenza stampa. Una riforma, ha detto Monti, che ”intende realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di lavoro”, che garantirà “crescita sociale ed economica” e la “riduzione permanente del tasso di disoccupazione” e con la quale ”crediamo di aver raggiunto un punto di equilibrio”. Quanto alla flessibilità, ha spiegato il presidente del Consiglio, ”tema molto discusso, esce da questa riforma in modo molto equilibrato e sereno”. Il giudice potrà intervenire a tutela dei lavoratori in caso di “licenziamenti ingiustificati di carattere discriminatorio” ma, ha avvertito il professore, c’è “la necessità che i giudici del lavoro non entrino troppo in valutazioni che appartengono alla responsabilità del datore del lavoro”. Con la riforma, ha poi aggiunto, ”si è anche cercato di lottare contro forme di precarietà per quanto riguarda la flessibilità in entrata”.
Al ddl ha “veramente collaborato in modo collegiale tutto il governo” ha rimarcato il presidente del Consiglio. E il ddl “viene trasmesso oggi al Parlamento essendo state raggiunte, dentro il governo, quelle intese tipiche di un ddl approvato ‘salvo intese’”. La riforma è anche passata “al vaglio attento di Bersani, Casini e Alfano. Abbiamo raccolto la loro adesione e credo che questo, data l’autorevolezza dei tre leader, assicuri pur nel grande rispetto dell’insieme dei parlamentari un percorso sereno e per quanto possibile rapido”. L’auspicio infatti è di ”un iter approfondito ma anche spedito. In una riunione avvenuta ieri il governo si è assicurato la condivisione delle linee del progetto e anche delle linee dettagliate su alcuni aspetti sensibili, da parte dei leader politici che sostengono il governo e adesso guardiamo con rispetto e speranza” ai lavori del Parlamento.
“No” ha poi risposto Monti a chi gli chiedeva se intendesse commentare le affermazioni di Antonio Di Pietro secondo cui il governo avrebbe suicidi sulla coscienza. Per evitare al massimo ogni rischio di tensione sociale occorre “senso della misura da parte di chi ha responsabilità pubblica. Questo sta dietro al mio secco no” sono state le parole del professore che ha però replicato alla dichiarazione del leader dell’Idv secondo il quale il premier ha detto bugie sostenendo che la crisi è finita. ”Non ho mai detto che la crisi è finita” ha puntualizzato il presidente del Consiglio. ”Quello che ho detto parlando a un pubblico internazionale – ha spiegato riferendosi ai suoi interventi nel corso del viaggio in Asia – è che la crisi nell’eurozona è quasi finita e che l’Italia ha contribuito”.
 Nel corso del suo intervento il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha evidenziato che il dialogo sulla riforma ”è stato sincero, anche di diverse ore a tu per tu con i leader sindacali”, replicando anche a Luigi Angeletti che ieri aveva parlato di licenziamento per la titolare del Welfare: “Gli italiani vedranno se questo ministro merita il licenziamento per giusta causa…”. Argomento sul quale anche Monti è tornato rispondendo a una domanda dell’Adnkronos. “Sulla base della Costituzione vigente della Repubblica italiana, una persona che presiede questo governo di cui il ministro Fornero fa parte, potrebbe neppure se preso da follia licenziarla” ha dichiarato il presidente del Consiglio.
 Durante la conferenza stampa c’è stata una piccola gaffe del ministro che ha confuso ddl con dl, nella presentazione del provvedimento. ”Bisogna farlo vedere. Il decreto legge esiste, esiste” ha detto Fornero. Il disegno di legge, ha quindi spiegato mostrando il testo, è all’esame del Presidente della Repubblica che ”lo firmerà se gli piace”.
 Quindi l’articolo 18, che ”è stata una grande conquista” del passato ma è necessario ”adeguarsi ai cambiamenti del mondo anche traendo vantaggi ed evitando svantaggi, senza chiuderci” ha affermato Fornero. ”Le economie più fossilizzate hanno il più alto tasso di disoccupazione” ha rilevato, mentre ”tutte le economie che hanno un basso tasso di disoccupazione strutturale sono economie in cui i flussi in entrata e in uscita sono molto più rilevanti”.
 Entrando nel dettaglio, il ministro ha spiegato che per i licenziamenti economici sarà previsto un indennizzo pari a 12/24 mensilità e in caso di “manifesta infondatezza” o meglio, come suggerisce il premier Monti, per “manifesta insussistenza” del licenziamento per motivi economici “il giudice può decidere il reintegro”.
 BERSANI. “Quell’ articolo non e’ scritto conla mia penna ma e’ un passo avanti importantissimo e rispondealle ansia che si stava diffondendo in milioni di lavoratori”. Cosi’ Pier Luigi Bersani ha commentato la riforma alla luce delle modifiche sui licenziamenti economici, auspicando ora “un percorso celere in Parlamento con perfezionamenti”.
Fonte ADNKRONOS

Germania: Produzione industriale -1,3%
Dato febbraio e' peggio di stime di un -0,5%
05 aprile, 12:20
(ANSA) - ROMA, 5 APR - Cala piu' del previsto la produzione industriale tedesca a febbraio. Segna una flessione dell'1,3% rispetto a gennaio, contro stime di un -0,5% e dopo un rialzo dell' 1,2% il mese precedente (dato rivisto in calo da +1,6%). Su base annua, l'indice - corretto per effetto di calendario - ha registrato una diminuzione dell' 1%.

Ticino. Bossi leghista a sua insaputa
di Erminio Ferrari - 04/05/2012
«Denuncerò chi ha utilizzato i soldi della Lega per sistemare la mia casa». Ecco: del Bossi finto dottore, finto Braveheart, finto statista, finto Ben Gurion padano, finto uomo tutto d’un pezzo, finto pagano e finto baciapile, finto marito fedele, finto uomo del popolo, finto alleato di questo o di quello, finto rivoluzionario; di tutte queste finzioni e delle numerose altre che sarebbe davvero noioso elencare, sapevamo.
Ma il Bossi finto Scajola un po’ ci ha sorpresi. È capitato insomma che qualcuno gli ha pagato i lavori in casa “a sua insaputa”. Ma gli scherzi finiscono qui.
Perché l’ignominiosa parabola discendente di questo vitellone di provincia assurto a ministro della repubblica, con il potere di far nascere o cadere governi, di trascinare decine di migliaia di persone lungo un fiume per inventarne il mito, non può essere risolta in aneddotica – “così fan tutti” – né essere sostituita agli interrogativi imbarazzanti che la politica e la società italiana devono pur porsi.
Riassumibili in una domanda: quale era il guasto – e di quale gravità – che ha consentito la nascita e l’eccezionale sviluppo di un movimento – verrebbe da dire un’ideologia, ma applicata a Bossi sarebbe un’esagerazione – come quello della Lega Nord. Per essere chiari: la Lega ha coltivato e cavalcato un discorso pubblico razzista, meschino, greve, incolto e violento, intercettando disagi, vizi e frustrazioni reali di parte della popolazione. L’altra politica ha finto di non capire o non ha capito del tutto la portata dirompente del vitalismo bossiano, e ha smarrito il contatto con i territori e le classi che più subivano i cambiamenti epocali dell’economia e lo smarrimento dei riferimenti ideali del secolo scorso.
Al progetto si è sostituito il rancore, e la sinistra ne porta una grande responsabilità (raddoppiata dal cinismo con cui D’Alema cercò di “recuperarla”, definendo la Lega “una costola della sinistra”). Alla destra, quella di avere blandito, foraggiato e associato a un’impresa di governo la Lega, nei vent’anni più grotteschi della storia repubblicana. Alla superbia lombarda – culturale, imprenditoriale, ecclesiale – quella di avere barattato Testori, Strehler, Turati, Martini con un “Va’ pensiero” avvinazzato. A milioni di italiani, quella di avere riso come beoti alla ferocia verbale di Bossi e dei suoi, e di averli anche votati per “fargliela vedere a quelli là”.
Ora la finzione sembra andare in pezzi. Il familismo amorale che un sociologo americano analizzò negli anni 50 del Novecento, torna nelle cronache di questi giorni, con il parentado di Bossi al posto dei contadini della Lucania. E non è solo questione del Bossi che tiene famiglia, ma di un esteso sistema di appropriazione e riproduzione di privilegi. Sfrontato e senza misura; impudente e imprudente, se è vero che i soldi della Lega sono passati anche nelle mani della ’ndrangheta (caro ex ministro dell’Interno Maroni). Nella sua corsa al controllo del territorio, la Lega non ha trascurato nessuno dei metodi impiegati dai partiti della cosiddetta prima repubblica (con i quali condivise del resto l’infallibile fiuto per la grana: 200 milioni di lire della tangente Enimont, nella fattispecie) la cui caduta costituì la sua fortuna.
Che un Bossi messo a nudo, più di quanto abbia fatto la malattia, possa recuperare a sé la Lega e impedirne lo sfacelo è ora dubbio. Il carisma dei “rivoluzionari” (come pretendeva di essere) volge presto in dannazione; e l’amore cieco dei seguaci li rende altrettanto ciechi nella disillusione. Per chi annuncia la distruzione del sistema (dal cappio in parlamento aPadania libera) e poi vi si accomoda, la colpa è doppia e la fine è spesso drammatica. Trattandosi di Bossi sarà anche sgradevole a vedersi.
Via lui, la Lega cesserà di essere ciò che è stata, ammesso che gli sopravviva. Gli ultimi arrivati e i compagni della prima ora non lo valgono, e i minchioni (la definizione è del milanesissimo Carlo Emilio Gadda) per i quali Bossi ha sempre ragione, non professeranno la stessa fede per i suoi pallidi replicanti (e le loro patetiche esortazioni al “ritorno alle origini”). Poco male, potremmo dire, se non per i germogli di razzismo, pusillanimità, livore cresciuti nel campo seminato dal Bossi originale. I loro frutti, oltre alle “esigenze personali” dei suoi familiari, l’Italia andrà avanti a pagarli a lungo.

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