giovedì 10 maggio 2012

pm_10.5.12/ I greci non onorano le cambiali, e’ storico. - Vittorio Da Rold: La situazione politica greca e i rapporti con l'Europa si fanno entrambi sempre più complicati.---La crisi del debito sovrano - aggiunge - non sara' sconfitta in un giorno...Non ci sono bacchette magiche. Abbiamo parlato tanto di eurobond e di leveraging - dice ancora la cancelliera in Parlamento - Tutte queste misure compaiono e scompaiono come strumenti miracolosi, mentre e' noto che non sono soluzioni sostenibili.

L'UNIONE SARDA - Economia: I sardi risparmiano più degli altri
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Pecorino taroccato, scoppia la rivolta
Merkel boccia gli Eurobond, "non sono soluzione sostenibile"
Grecia nel caos, verso nuove elezioni
Grecia: week-end di crisi in mega-yacht
In Germania saranno costruite 46 centrali a fonti fossili dopo l'addio all'atomo
Il Giappone spegne l'ultimo atomo e s'interroga sul futuro dell'energia
Cina: rallenta l'export ad aprile

L'UNIONE SARDA - Economia: I sardi risparmiano più degli altri
10.05.2012
La percentuale di reddito non speso è del 13,4%, superiore rispetto alla media (+0,8%) Le famiglie mettono da parte i soldi ma a imporlo è la crisi Con la crisi, nell'Isola, si diventa formichine. Per dirla in altre parole: le famiglie, sempre più a corto di denaro, non possono far altro che tirare la cinghia. Solo così si spiega perché cresce la percentuale di reddito accantonata dai sardi a fine mese. Con un ulteriore effetto: si aggrava il calo dei consumi.
L'INDAGINE La fotografia è stata scattata dal Centro studi L'Unione Sarda. «La propensione al risparmio, intesa come percentuale sul reddito disponibile, in Italia e con riferimento al 2010, è pari al 12,6%. In valori assoluti ogni famiglia ha risparmiato mediamente 5.123,22 euro», spiega l'indagine. L'ammontare complessivo del risparmio delle famiglie italiane è stato di poco superiore ai 128 miliardi di euro. Al contrario, in Sardegna la percentuale di risparmio sul reddito è del 13,4%, superiore rispetto alla media nazionale (0,8 punti percentuali in più). Ma c'è una particolarità: in valori assoluti il risparmio è inferiore alla media nazionale dato che è pari a 4.533,29 euro per famiglia (quindi 590 euro in meno). «La propensione al risparmio dei sardi», rileva Franco Manca, direttore del Centro studi L'Unione Sarda, «è mediamente superiore a tutte le regioni del Sud, ma anche a regioni come la Lombardia e il Piemonte. Nel complesso, l'ammontare del risparmio nell'Isola è stato di 3,1 miliardi di euro».
I CONSUMATORI «Questi numeri confermano che la crisi in Sardegna si sente più che in altre regioni», commenta Giuliano Frau, presidente dell'Adoc. «Infatti, si risparmia di più in percentuale perché si ha più paura del futuro. In ogni caso, l'ammontare messo da parte è inferiore alla media nazionale. E il motivo è semplice: gli stipendi da noi sono più bassi. Non è un caso», puntualizza Frau, «che sempre più famiglie stanno facendo la spesa nei discount e non nei market tradizionali». Discorso analogo per Giorgio Vargiu, responsabile dell'Adiconsum: «Con i redditi che scendono e con la recessione che morde, è ovvio che i sardi aumentano le loro quote di risparmio mensile. Bisognerebbe aumentare i redditi dei lavoratori e dei pensionati e non tartassarli come sta facendo il governo».
IL TERRITORIO Riguardo alle province sarde, la più risparmiosa è la provincia di Nuoro con il 14,7% del reddito disponibile, seguita dalla provincia di Sassari con il 14,6. L'Ogliastra si colloca in terza posizione con il 14,5% davanti alla provincia di Oristano (il 14,1%). La percentuale più bassa è del Medio Campidano con l'11,7%. Chiudono Carbonia-Iglesias (l'11,9%), Olbia Tempio (il 12,6%) e Cagliari (il 12,9%). In valore assoluto, Cagliari è in vetta con un ammontare pari a 5.079 euro per famiglia, mentre all'ultimo posto si trova il Sulcis con 3.323 euro per famiglia.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Pecorino taroccato, scoppia la rivolta
10.05.2012
Basta con l’agropirateria. Ieri, dal Cibus di Parma, l’ha proclamato il presidente del consorzio di tutela del Pecorino Romano. Oggi ribadiscono il loro punto di vista le organizzazioni agricole regionali, Coldiretti, Cia e Confagricoltura. «La denuncia fatta dal Consorzio di Tutela del Pecorino Romano sul caso di un formaggio "Romano" che ha etichette, parole e colori che richiamano all'italianità, trovato a Singapore, ma che è stato prodotto in Australia - dichiarano in una nota congiunta Coldiretti, Cia e Confagricoltura - è sicuramente un fatto positivo. D'altronde il compito del Consorzio di Tutela è proprio quello di tutelare la Denominazione!» Auspichiamo, pertanto che il Consorzio continui ad operare costantemente in questa direzione, dicono le tre organizzazioni «al fine di garantire la più ampia tutela alla DOP». Ormai i casi di contraffazione nel settore agroalimentare italiano si contano a decine. Tanto che del tema si è occupata recentemente la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni di contraffazione e della pirateria in campo commerciale che ha esposto i risultai dell’inchiesta in un convegno a Roma, a gennaio, e raccolto gli atti di quella indagine in un volume di otre trecento pagine. Oltre al “Romano” taroccato presente nei supermarket di Singapore, ricorda il documento di Coldiretti, Cia e Confagricoltura «si registrano anche un altro "Romano" prodotto nell'Illinois, negli Stati Uniti, con latte di mucca anziché di pecora, oppure altri formaggi e ricotte con Marchio "DolceVita" (Caciotta, Pecorino, Toscanella, Mascarpone, Mozzarella, Ricotta) prodotti in Romania con latte di Mucca e di Pecora; si tratta di prodotti che poi si trovano negli scaffali delle catene distributive nei mercati internazionali ma anche nazionale e regionale a fare concorrenza alla nostra produzione». «Siamo di fronte ad un inganno globale per i consumatori che causa danni economici e di immagine alla produzione ed al mercato del "vero Mady in Italy" - dicono Coldiretti, Cia e Confagricoltura - e siamo i primi a chiedere controlli seri perche i veri danneggiati sono i produttori che subiscono una concorrenza sleale. Le DOP e le IGP rappresentano il principale strumento comunitario per identificare e distinguere le produzioni legate ai territori e tutelarle dalle imitazioni, ma occorre che il sistema dei controlli e della vigilanza funzioni per scongiurare il rischio che prenda il sopravvento l'agripirateria»

Merkel boccia gli Eurobond, "non sono soluzione sostenibile"
(AGI) - Berlino, 10 mag. - La cancelliera tedesca, Angela Merkel boccia la proposta di creare degli eurobond, definendola una "soluzione non sostenibile". "Abbiamo parlato tanto di eurobond e di leveraging - dice la cancelliera in Parlamento - Tutte queste misure compaiono e scompaiono come strumenti miracolosi, mentre e' noto che non sono soluzioni sostenibili".
ALLARME SU CRESCITA TRAINATA DA DEBITI La cancelliera tedesca, Angela Merkel lancia l'allarme sui rischi di una crescita economica trainata dall'aumento del debito pubblico. "Una crescita trainata dal credito - dice la Merkel nel corso di un discorso in Parlamento - ci rispedirebbe all'inizio della crisi e per questo non la vogliamo". La riduzione del debito e la crescita, spiega la Merkel, sono i "due pilastri" della strategia per combattere la crisi. "La crisi del debito sovrano - aggiunge - non sara' sconfitta in un giorno... Non ci sono bacchette magiche. "Abbiamo parlato tanto di eurobond e di leveraging - dice ancora la cancelliera in Parlamento - Tutte queste misure compaiono e scompaiono come strumenti miracolosi, mentre e' noto che non sono soluzioni sostenibili". "C'e' solo una cosa che e' sostenibile: accettare il fatto che la crisi attuale e' un processo lungo e difficile, che risolveremo solo se attaccheremo la crisi alle sue origini, che sono i debiti orrendi e la mancanza di competitivita' di alcuni paesi europei". (AGI) .

Grecia nel caos, verso nuove elezioni
Vittorio Da Rold
 ATENE. Dal nostro inviato
 Al quartier generale di Syriza in piazza Eleftheria, ieri pomeriggio erano tutti convinti che oggi il loro leader, Alexis Tsipras, avrebbe rinunciato formalmente al mandato esplorativo per formare un Governo dei partiti anti-austerity, sebbene questi rappresentino il 66% dei voti espressi nel nuovo Parlamento. In serata è arrivata la conferma: «Non possiamo realizzare il nostro sogno di formare un governo di sinistra. Domani rimetterò il mandato al presidente della Repubblica», ha anunciato Tsipras. La "patata bollente" passa così a Evangelos Venizelos, il presidente del socialista Pasok che dovrebbe rinunciare ancor prima di iniziare.
 Naturalmente salvo sorprese, mentre Berlino ha ribadito che nulla è cambiato sulla linea del rigore e del rispetto dei patti appena sottoscritti. «Se la Grecia decide di uscire dall'euro, non possiamo costringerla». A dirlo con la consueta franchezza è stato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. «Saranno loro - ha detto Schäuble - a decidere se restare o no». Parole dure, a cui seguivano quelle di Guido Westerwelle, ministro degli Esteri tedesco, che affermava che «se la Grecia non continua con le riforme gli aiuti non saranno versati».
 Ieri intanto Tsipras ha lanciato una proposta provocatoria, chiedendo di poter incontrare il neo-presidente francese François Hollande oggi o domani, in occasione di una visita a Parigi per incontrare il leader della sinistra radicale francese Jean-Luc Melenchon. Tsipras avrebbe anche voluto incontrare il cancelliere tedesco Angela Merkel, ma le sue speranze sono sfumate sul nascere dopo che le richieste da lui avanzate in questo senso sono state respinte. Il cancelliere tedesco incontra soltanto capi di Stato e di Governo» è stata la secca risposta di un portavoce della Merkel. Da parte sua, un funzionario della presidenza francese ha peraltro affermato che il protocollo dell'Eliseo non consente incontri fra il capo dello Stato e leader di partiti politici.
 Intanto Tsipras ha incontrato i leader dei partiti rappresentati in Parlamento con l'esclusione dei neonazisti di Alba dorata. «Non c'è niente da fare: non abbiamo la maggioranza», ha detto Panos Kammenos, leader di Greci indipendenti (che ha ottenuto 33 seggi) dopo l'incontro con il leader della Sinistra radicale che sta conducendo le consultazioni. «Abbiamo constatato - ha detto - che non c'è il numero sufficiente di parlamentari anti-memorandum per costituire una maggioranza e quindi non si può andare avanti. Tutto è rinviato alla riunione dei leader con il capo di Stato Karolos Papoulias».
 Anche i socialisti del Pasok si sono rifiutati di entrare a far parte di una coalizione di governo con Syriza, visto che Evangelos Venizelos, numero uno del partito, è proprio l'ex ministro delle Finanze che ha firmato gli accordi che ora Tsipras chiede di respingere. La miglior soluzione per la Grecia, che si trova in una situazione «pericolosa», è un Governo di unità nazionale a favore della permanenza nell'euro. Venizelos, dopo i colloqui con il leader di Syriza Tsipras, ha proposto una collaborazione a formare l'esecutivo di emergenza. L'uscita dall'euro - ha avvertito Venizelos - significherebbe «povertà di massa».
 Ma il leader socialista, facendo uno sgarbo istituzionale, ha annunciato anche il suo prossimo incarico come premier designato, anticipando in tal modo il fallimento della missione affidata dal presidente Papoulias al leader della sinistra radicale, ancora impegnato nei colloqui con le altre formazioni.
 Inutile anche l'incontro tra il leader di Nea Dimokratia, Antonis Samaras, e Tsipras, l'ultimo della giornata. Il colloquio è durato meno di 15 minuti. Parlando successivamente ai giornalisti, Samaras ha detto che il leader di Syriza non vuole rivedere il Memorandum ma intende rifiutarlo del tutto. «Ma Nea Dimokratia - ha ricordato Samaras - è un partito filo-eupoeista e faremo di tutto per far rimanere la Grecia in Europa e nell'Eurozona». La situazione politica greca e i rapporti con l'Europa si fanno entrambi sempre più complicati.

Grecia: week-end di crisi in mega-yacht
Dov'è la crisi? «Non qui» mi risponde un operaio greco intento a rifornire di gasolio il capiente serbatoio di una barca di 28 metri pronta per uscire in mare aperto che sembra una tavola blu. Siamo a Glifada, il porticciolo a sud di Atene vicino al Pireo e quando si avvicina il week-end è tutto un fermento di ritocchi di vernice, lavori e rifornimenti di acqua e carburante perché stanno per arrivare i proprietari, per niente colpiti dalla crisi economica.
I ricchi greci vivono a Kolonnaki, il centro di Atene o a Kifissia, la nuova Beverly Hills della capitale, un quartiere fatto solo per famiglie facoltose in perfetto stile americano, shopping center, verde curato e viali ordinati e puliti. Prezzi stratosferici ma avverte un cartello all'ingresso dei negozi che una quota del prezzo pagato per acquistre un capo o un gioiello va per sensibilizare l'opinione pubblica sulla difesa dell'ambiente. Il Tennis club "Politia" e il ristorante alla moda Golden Phonix a Kifissia sono al completo e bisogna prenotare per trovare un posto.
Intanto la barca al porto di Glifada è pronta per salpare nel week-end di enensima crisi politica del paese, si chiama "Just for Fun", "solo per divertirsi", ed è già tutto un programma di vita mentre il paese va allegro verso la bancorotta. Anche le altre barche hanno nomi esotici: Dolce&Dolce, Lucifar, Anastasia, Game, May be not. Se volessi affittarne una per un giorno i prezzi varierebbero da 2.500 dollari in su, ma prima della crisi chiedevano 4mila dollari. Insomma un affare.
Per parcheggiare la barca invece si accontentano di 800 euro al mese, molto meno del vicino porticciolo di Kalamaki, molto più caro: 3mila euro al mese ma più vicino ad Atene e controllato da un servizio di vigilanza lungo il perimetro esterno. Molti proprietari di yachte battenti bandiera greca si sono stancati di pagare anche questi prezzi "stracciati" e hanno trasferito la mega-barca in Turchia o in Montenegro, dove i prezzi ovviamente sono più bassi.
Una prova di come la crisi greca colpisca duro gli strati più poveri o chi vive di reddito fisso (impiegati e pensionati) ma lascia indifferenti chi le tasse non le hai mai pagate e sa come dribblare i controlli del fisco che evidentemente al porto di Glifada o di Kalamaki non ci è mai venuto. E' proprio questa disparità sociale a rendere insopportabile l'austerità europea: chi già pagava prima continua a pagare ancora di più e chi negli ultimi quaranta anni ha considerato le tasse un optional continua a farlo senza problemi.
 10 maggio 2012

In Germania saranno costruite 46 centrali a fonti fossili dopo l'addio all'atomo
Entro il 2020 previsti investimenti per 60 miliardi di euro e 42 GW di potenza
L'addio all'energia atomica della Germania sarà compensato, più che dalle rinnovabili, da moderni impianti alimentati a fonti fossili. È quanto evidenzia uno studio dell'Associazione delle industrie produttrici di energia (Bdew), secondo  cui il Governo di Berlino ha già autorizzato la costruzione entro il 2020 di 69 centrali elettriche, per una potenza complessiva di 42 GW (la capacità complessiva tedesca attuale si aggira sui 155 GW) e un volume di investimenti di oltre 60 miliardi; ulteriori 15 impianti, inoltre, sono in fase di progettazione.
Più nel dettaglio, sono previsti 23 parchi eolici offshore e 10 centrali idroelettriche a pompaggio, ma anche ben 29 nuove centrali termoelettriche a gas e 17 impianti a carbone. Su 69 nuove centrali, dunque, ben 46 sfrutteranno fonti fossili.
Hildegard Mueller, presidente della Bdew, ha spiegato alla Fiera di Hannover che, a causa dell'uscita dal nucleare, verranno meno entro il 2022 altri 12 GW, che dovranno essere compensati. Nel 2011 il fabbisogno tedesco di energia è stato di 541 miliardi di Kwh, con una riduzione dello 0,1% rispetto all'anno precedente, risultato ottenuto grazie all'aumentata efficienza energetica delle industrie tedesche, che hanno assorbito il 46% della richiesta. Un altro 26% è andato a coprire il fabbisogno energetico delle famiglie, mentre il restante 23% è servito per far funzionare il commercio e i servizi.

Il Giappone spegne l'ultimo atomo e s'interroga sul futuro dell'energia
Tokyo per la prima volta dal 1970 è senza elettricità prodotta dal nucleare: come cambierà il mix delle fonti?
Quale sarà il futuro dell'energia in Giappone? Sono in tanti a domandarselo dopo la chiusura dell'ultimo reattore nucleare ancora funzionante sull'arcipelago nipponico. Per la prima volta dal 1970, quando entrò in attività l'impianto di Tokai, il Paese si troverà senza l'apporto dell'atomo, che finora ha coperto oltre un terzo dei consumi elettrici del Sol Levante. Sabato scorso, infatti, i tecnici dell'Hokkaido Electric Power hanno avviato le procedure per disattivare la terza unità della centrale di Tomari. Così i 54 reattori presenti in Giappone sono tutti spenti, come conseguenza del disastro che ha colpito Fukushima l'11 marzo 2011.
I pesantissimi danni causati dallo tsunami, l'emergenza per le fughe radioattive, i dubbi sulla sicurezza delle centrali ormai obsolete: tutto questo ha fatto scattare la molla dell'avversione all'atomo. Tanto che il Governo si è visto costretto a bloccare progressivamente i diversi reattori, per operazioni di controllo e manutenzione; queste ultime sono previste ogni 13 mesi ma lo stop alla produzione di energia atomica potrebbe essere molto più lungo del solito. Addirittura definitivo? A Tokyo oltre 5.000 persone hanno manifestato contro il nucleare. Inoltre, nessuno degli impianti fermati è stato finora riattivato: dopo le verifiche e il via libera dell'Autorità per la sicurezza nucleare, serve il consenso delle autorità locali. Peccato che comuni e prefetture continuino a ritardare le autorizzazioni per ripristinare il funzionamento delle centrali, anche nell'area di Fukui, la più nuclearizzata del mondo con 14 impianti su una superficie paragonabile a quella di Roma.
Il Governo, a questo punto, teme che il Paese rimanga al buio durante l'estate, con i picchi dei consumi elettrici provocati dai condizionatori. Nel 2011, il Giappone aveva evitato i black out dopo Fukushima riducendo la domanda energetica e concentrando le attività industriali di notte e nei fine settimana. Il problema è come sopperire all'energia atomica mantenendo la sicurezza e stabilità del sistema elettrico nazionale. Ci sono due strade possibili: più combustibili fossili e più fonti rinnovabili. Nell'immediato, bisognerà aumentare costantemente i consumi di carburanti tradizionali e inquinanti come petrolio, gas e olio combustibile, bruciati nelle centrali termoelettriche.
Già lo scorso anno, per esempio, la domanda nipponica di Lng (gas naturale liquefatto) è cresciuta del 56%; l'altra possibilità è puntare sulle fonti alternative e sull'efficienza energetica, come chiedono le associazioni ambientaliste. Ci sono già alcuni maxi progetti nel solare, come l'impianto da 70 MW a Kagoshima; ma fotovoltaico, eolico e altre tecnologie verdi hanno bisogno di un'attenta pianificazione e investimenti cospicui per raggiungere una capacità sufficiente a compensare l'addio all'atomo. Servirà un boom delle installazioni con incentivi generosi, sulla scia di quanto avvenuto in alcuni mercati europei.
Le fonti fossili rimarranno comunque indispensabili. Basta guardare la Germania, che ha deciso di chiudere tutti i suoi reattori entro il 2020, togliendo così parecchi GW di potenza dal mix complessivo delle fonti. Il Governo sta pensando di costruire 69 centrali per rimpiazzare quelle nucleari, di cui 46 alimentate da gas e carbone, oltre a una ventina di parchi eolici offshore e una decina d'impianti idroelettrici a pompaggio.

Cina: rallenta l'export ad aprile
10 Maggio 2012 - 08:38
 (ASCA) - Roma, 10 mag - La Cina registra un miglioramento del surplus commerciale ad aprile ma esportazioni e importazioni rallentano vistosamente. Il saldo con l'estero sale a 18,4 miliardi di dollari per effetto di importazioni praticamente ferme a 144 miliardi mentre l'export registra una crescita del 4,9% a 163 miliardi con una dinamica praticamente dimezzata rispetto alla media degli ultimi tre mesi.
did/

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