sabato 12 maggio 2012

pm_12.5.12/ La sincerita’ di Angela. - Ci sono 80 milioni di cittadini in Germania, siamo il Paese piu' grande (dell'Ue, ndr) -ha detto la Merkel- ma se vogliamo ottenere qualcosa nel mondo, allora abbiamo bisogno non solo di noi stessi. Ecco perche', l'Unione europea, con i suoi 500 milioni di cittadini e' semplicemente una cosa molto, molto buona, ha sottolineato la cancelliera.---Merkel risponde: Si, e' quello che credo, perche' sappiamo dalla creazione della repubblica federale di Germania che una buona relazione franco-tedesca e' semplicemente molto importante, per i due Paesi.

Crisi: Merkel, possibile partenariato con Hollande
Crisi: Merkel, la Germania ha bisogno dell'Europa
Ticino. Voglia d’imporre e non di negoziare
Venezia, padania. Fiaccolata dei venetisti, il questore: «È vietato inneggiare ai Serenissimi»

Crisi: Merkel, possibile partenariato con Hollande
12 Maggio 2012 - 13:30
 (ASCA) - Roma, 12 mag - Per la cancelliera tedesca Angela Merkel e' possibile un partenariato stabile con il presidente francese eletto Francois Hollande, malgrado il suo sostegno al rivale Nicolas Sarkozy. Lo afferma la stessa cancelliera tedesca. Alla domanda, rivolta durante il video-podcast settimanale, di un ''possibile partenariato stabile con il nuovo presidente francese'', Merkel risponde: ''Si', e' quello che credo, perche' sappiamo dalla creazione della repubblica federale di Germania che una buona relazione franco-tedesca e' semplicemente molto importante, per i due Paesi''.
red-ceg/did/

Crisi: Merkel, la Germania ha bisogno dell'Europa
ultimo aggiornamento: 12 maggio, ore 13:15
Berlino, 12 mag. (Adnkronos/Dpa) - La Germania ha bisogno dell'Europa e l'Unione europea e' forte abbastanza per superare l'attuale crisi. Questo il messaggio lanciato oggi dal cancelliere tedesco Angela Merkel nel suo podcast settimanale. "Ci sono 80 milioni di cittadini in Germania, siamo il Paese piu' grande (dell'Ue, ndr) -ha detto la Merkel- ma se vogliamo ottenere qualcosa nel mondo, allora abbiamo bisogno non solo di noi stessi. Ecco perche', l'Unione europea, con i suoi 500 milioni di cittadini e' semplicemente una cosa molto, molto buona", ha sottolineato la cancelliera.

Ticino. Voglia d’imporre e non di negoziare
 di Generoso Chiaradonna - 05/12/2012
Ci sono peculiarità culturali nazionali che emergono in occasione di eventi ritenuti catalizzanti per i più. Per questa ragione c’è chi si trasforma in commissario tecnico della nazionale di calcio quando ci sono i campionati mondiali o quelli europei e chi invece – interpretando altre peculiarità nazionali – diventa un esperto negoziatore di complessi trattati internazionali. Il Ticino, almeno in questo ultimo anno, sembra avere la seconda vocazione.
L’occasione è data dall’ipotesi molto concreta che Berna e Roma si siedano presto al tavolo delle trattative per appianare le divergenze fiscali che negli ultimi anni hanno avvelenato i rapporti diplomatici. Rapporti, indipendentemente dall’assetto istituzionale dei rispettivi Paesi o da chi in quel preciso momento storico è chiamato a reggerne le sorti politiche, sono costretti dalla geografia, dalla storia e dalla cultura a essere di buon vicinato.
Sul futuro tavolo negoziale ci saranno almeno quattro fronti aperti: la revisione della Convenzione contro la doppia imposizione (Cdi) secondo gli standard Ocse (è la stessa Svizzera ad aver aperto su questo punto il 13 marzo del 2009 con almeno una sessantina di nazioni con la quale ha ri-firmato i vecchi accordi); il riordino del protocollo sul ristorno delle imposte dei lavoratori frontalieri (parte integrante della Cdi); un eventuale accordo Rubik per regolarizzare i capitali italiani illegalmente espatriati in Svizzera e i relativi redditi futuri (sulla falsariga di quelli firmati con Gran Bretagna, Germania, Austria e in attesa di ratifica); infine, l’annosa questione delle black list interne al diritto italiano che considerano la Svizzera un paradiso fiscale (la prima black list data 1992).
Fatta questa doverosa premessa, veniamo agli improvvisati negoziatori nostrani: politici, industriali, imprenditori e banchieri. Tutti questi cercano di portare acqua al proprio mulino e la cosa strana ben prima di sedersi a qualunque tavolo negoziale. I politici cercano di prendersi la paternità dell’eventuale successo delle trattative ancora in fieri e fanno risalire l’origine – tutti, chi più chi meno – all’ormai famoso e per certi versi patetico ‘blocco dei ristorni dei frontalieri’ la cui quota destinata ai Comuni di frontiera, per costoro, deve per forza di cosa scendere.
Gli industriali e gli imprenditori, ancora prima di capire quale sarà la strategia della controparte, mettono le mani avanti e puntano allo stralcio immediato della Svizzera dalle black list italiane facendo sottilmente intendere che se fosse stato per loro ‘il blocco’ non lo avrebbero avallato come invece è poi avvenuto. L’avallo, è ben inteso.
I banchieri, dal canto loro, cercano di preservare la piazza finanziaria locale assumendo preventivamente la difesa d’ufficio di chi ha portato illegalmente i capitali in Ticino e dicendo che – per quanto riguarda l’Italia – è inimmaginabile che la tassa liberatoria una tantum sul capitale che la clientela dovrebbe pagare per continuare a usufruire dell’anonimato sia ben distante da quanto stipulato con Gran Bretagna, Germania e Austria. Ricordiamo che con questi ultimi Paesi si sono fissate convenzionalmente aliquote che vanno dal 25 al 40% del capitale, a seconda della durata del ‘soggiorno’ in Svizzera dello stesso.
Ora, in una trattativa di qualunque genere, il risultato deve andare bene a tutte le parti in causa. In latino c’è un detto – noto anche a chi non mastica la lingua di Virgilio – che dice: ‘Do ut des’ che tradotto in italiano suona più o meno così: ‘Do affinché tu dia’.
Se le trattative con l’Italia partono già con tutti questi obiettivi dichiarati (abbassare la quota di ristorno; aliquota una tantum sul capitale molto più bassa di quelle concesse agli amici tedeschi e inglesi; stralcio della Svizzera dalle black list) che cosa si è disposti a dare in più affinché l’Italia dia, per parafrasare il motto latino?
L’impressione vera è che in realtà, almeno da parte ticinese, non si voglia nessun accordo per continuare a tuonare contro tutto e tutti. Contro Berna che come al solito non ci ascolta e contro Roma troppo distante culturalmente da noi e soprattutto troppo furba.
Sarà poi vera questa distanza? E la furbizia, se tale è, si trova soltanto dall’altra parte della frontiera? Dubbi lecitissimi destinati a sciogliersi soltanto con il successo delle trattative fortissimamente volute da Berna e non da Bellinzona.
In fondo la vecchia Convenzione attualmente in vigore a fronte del ristorno del 38,8% delle imposte dei frontalieri riconosce, nero su bianco, la non cooperazione amministrativa per l’evasione fiscale, ma soltanto per la frode. Era quella la concessione strappata dai negoziatori svizzeri all’Italia oltre quarant’anni fa e non l’esenzione dai dazi doganali del formaggio svizzero come qualcuno vuol far credere. In questi ultimi decenni chi ha guadagnato di più da quell’accordo? I Comuni italiani di frontiera o la piazza finanziaria locale?

Venezia, padania. Fiaccolata dei venetisti, il questore: «È vietato inneggiare ai Serenissimi»
Sabato sera a Venezia la fiaccolata dei venetisti, la polizia li diffida
VENEZIA - L’assalto al campanile di San Marco, per loro, fu un «eroico gesto». Per la questura veneziana, invece, quello che avvenne la notte tra l’8 e il 9 maggio di 15 anni fa fu un atto di violenza, poi condannato dalla magistratura. Perciò: sì alla fiaccolata commemorativa, ma guai a inneggiare ai Serenissimi, pena una denuncia per apologia di reato. Gli indipendentisti di Veneto Stato e i responsabili di «Xoventù Independentista» sono avvertiti: il questore Fulvio Della Rocca non tollererà intemperanze. La fiaccolata, che sabato alle 20.30 partirà dalla stazione di Venezia Santa Lucia, non potrà passare per l’area marciana e, soprattutto, i partecipanti non potranno inneggiare a quel gruppo di Serenissimi che per i venetisti rappresenta il simbolo della lotta per l'indipendenza. «Marciate sì, ma senza nominarli, è il monito delle istituzione italiane - si arrabbiano quelli di Veneto Stato - è incredibile, soprattutto perché è il 15. anniversario dell’eroico gesto, segno che dopo tutto questo tempo la loro idea fa ancora paura a chi si oppone alla libertà della Nazione Veneta».
I venetisti dicono che si atterranno alle regole, anche se non mancherà una protesta organizzata contro la questura e le istituzioni: «Invitiamo soci e simpatizzanti a partecipare alla fiaccolata silenziosa, che ora assume anche un connotato politico e di rabbia per questa indecente decisione. Prima della marcia distribuiremo, oltre alle fiaccole, magliette e bandane contro la censura di Stato». Alla marcia non saranno ammesse bandiere di partito: anche i leghisti simpatizzanti, quindi, sono avvisati. Ben vengano soltanto i vessilli con il leone di San Marco.
Tra venetisti e leghisti, storicamente, non corre buon sangue: nelle intenzioni degli otto Serenissimi del Tanko (il trattore corazzato usato per l’assalto al campanile) c’era anche la volontà di contestare l’appartenenza del Veneto alla Padania. «Gli 8 patrioti veneti Gilberto Buson, Cristian Contin, Flavio Contin, Antonio Barison, Luca Peroni, Moreno Menini, Fausto Faccia, Andrea Viviani - spiega Stefano Danieli, portavoce di "Xoventù" - avrebbero voluto ripristinare la sovranità della Serenissima, ma erano consapevoli che non sarebbe finita così. La loro missione doveva terminare il mattino seguente, di fronte alle televisioni di tutto il mondo. Fu lo Stato a reprimere violentemente quella manifestazione pacifica con l’intervento delle teste di cuoio». Per rendere onore agli 8 Serenissimi, Xoventù ha organizzato quindi la fiaccolata di sabato sera. Ma il questore Della Rocca avverte: «I Serenissimi hanno commesso dei reati, per cui non accetteremo striscioni o voci che inneggino alla loro impresa. Abbiamo autorizzato la manifestazione a patto che si rispettino queste regole. La legge punisce l’apologia di reato e chi uscirà dagli accordi pagherà con una denuncia».
Davide Tamiello

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