martedì 15 maggio 2012

pm_15.5.12/ Morale allarmante: dentro o fuori, con o senza tutor, la Grecia sara’ sempre e comunque in deficit economico e finanziario; un po’ come Slovenia, Croazia, paesi baltici, Ungheria Portogallo ecc. - Fabio Pavesi: Per Moody's a questo punto i rating delle banche italiane sono ora tra i più bassi nei paesi dell'Europa avanzata e riflettono - avverte l'agenzia in una nota - la vulnerabilità di queste banche a contesti operativi sfavorevoli in Italia e in Europa. Per l'agenzia pesano non solo le avverse condizioni di mercato con il Paese in recessione e le misure di austerità che deprimono la domanda interna, ma anche la scarsa qualità dell'attivo e le difficoltà di accesso al mercato del funding.---In Italia il numero degli immigrati è di tre volte superiore rispetto all’inizio del secolo, ma la crisi economica in pochi mesi ne avrebbe fatti rientrare in patria un milione.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Allevatori in piazza, riattivare l’export delle carni suine sane
Allarme dell'Istat: l'Italia è in recessione. Pil a -0,8%, mai così male dal 2009
Moody's declassa 26 banche italiane
Il numero degli stranieri in Italia è triplicato in dieci anni
La minaccia e i bluff della Grecia
Grecia, Juncker: "Deve restare in Europa". Proseguono negoziati per nuovo governo
Ocse, 11 milioni di giovani disoccupati in Europa
Ticino. Exxon e le api: storie di breve periodo
Federazione Russa. L'Ue modello per la Russia

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Allevatori in piazza, riattivare l’export delle carni suine sane
15.05.2012
SASSARI Una selva di bandiere gialle ha attirato ieri mattina l’attenzione nello spazio antistante la Camera di Commercio. Sotto i gazebo un gruppo di uomini in camice bianco guidati da Antonello Salis, imprenditore nel settore dei salumi, affetta salsicce, pancetta e prosciutti profumatissimi. Al megafono il direttore di Coldiretti Sardegna spiega che «Ora basta, sono 34 anni che il problema della peste suina attende una soluzione. B isogna trovare una soluzione. Il comparto suinicolo isolano è al collasso, soprattutto dopo che l’Ue ha bloccato le esportazioni di carni e insaccati suini sardi. Ci sono un migliaio di suini infetti, ma ce ne sono circa 200 mila sani. Eppure le aziende sane e certificate non possono esportare». «Chiediamo allo Stato italiano– ha detto Saba– e alla Regione una azione seria di lotta alle pesti suine. Chiediamo anche l’avvvio immediato di processi di valorizzazione delle produzioni suinicole isolane e lo sblocco delle esportazioni e il ripristino del corridoio sanitario per le carni sarde sane e certificate». Per la tutela della razza sarda si chiera anche l’associazione nazionale allevatori suini che chieda alla Regione di non far morire il settore. Chiunque venga in Sardegna non può non notare come negli aeroporti isolani ci siano cartelli che vietano di portare fuori dall’isola carni e insaccati di suino sardi. « Facciamo tutti finta di non sapere– ha detto Antonellio Salis – che molti sardi hanno salumi nascosti nei bagagliai delle auto che si imbarcano . Se fossero tutte carni infette avrebbero riempito di peste suina tutta l’Europa».«Ho mille maiali e subisco duemila controlli l’anno – dice Emanuele Mura, allevatore di Samugheo– Ai miei maiali non dò neanche farmaci di sintesi, li curo con la medicina omeopatica. Nella mia azienda gli animali sono sani eppure non posso venderli. Mi sembra una situazione paradossale. E’ come se in un paese ci fossero mille auto ma guidarle sono 300 con la patente e 600 senza. Se ci sono incidenti o problemi alla circolazione, però, ne piangono quelli che hanno la patente. Vi sembra normale?»Drammatica la situazione che vive Gianleonardo Pisano di Austis. «Ho la passione dell’allevamento– dice– e dopo aver tenuto in passato qualche maiale in nero, dopo un viaggio in Spagna, mi sono convinto a fare le cose in regola puntando sui suini di razza autoctona. Avevo mille speranze ed eccomi qui. Proprio quando pensavo di ampliare l’allevamento mi trovo a combattere la Psa. C’è illegalità? Si, perchè la gente non ha fiducia nelle istituzioni. Come dar loro torto?» Non si perde d’animo Antonello Sale di Banari che, per ora ha diversificato il proprio allevamento, lanciando sul mercato con grande successo gli hamburger e le salsicce fresche di pecora. Nel miniconvegno che segue il sit in si confrontano posizioni diverse tra i diversi allevatori isolani (ieri mattina nella sala convegni della Camera di Commercio era presente tutta la suinicoltura sarda). Per Luca Saba, che sottolinea l’importanza della mobilitazione e sollecita l’assessore regionale all’Agricoltura, Oscar Cherchi (presente alla parte finale della manifestazione) a trovare soluzioni rapide e concrete. E Cherchi ricorda che oggi alle 18, insieme all’assessore regionale alla sanità, sottoscriverà, cone le organizzazioni agricole un protocollo d’intesa per la eradicazione della peste suina nell’isola.

Allarme dell'Istat: l'Italia è in recessione. Pil a -0,8%, mai così male dal 2009
Roma, 15 mag. (Adnkronos/Ign) - L'economia italiana è in recessione. Lo comunica l'Istat che ha diffuso la stima preliminare del Pil del primo trimestre del 2012. Rispetto al trimestre precedente il prodotto interno lordo, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è infatti diminuito dello 0,8%, mentre rispetto allo stesso periodo del 2011 è calato dell'1,3%. Confermata dunque la recessione del Paese, visto che il Pil italiano è negativo per il terzo trimestre consecutivo.
Secondo l'Istituto di statistica, tra gennaio e marzo del 2012 l'economia italiana ha segnato la contrazione più marcata dal primo trimestre del 2009, quando il calo sul trimestre precedente era stato del 3,5%. La flessione dello 0,8% segue, infatti, il -0,7% del IV trimestre 2011 ed il -0,2% del terzo trimestre 2011. Il risultato congiunturale, si legge ancora nella nota Istat, è la sintesi di un aumento del valore aggiunto dell'agricoltura e di una diminuzione del valore aggiunto dell'industria e dei servizi. Inoltre, il primo trimestre del 2012 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto sia al trimestre precedente sia al primo trimestre del 2011.
Per quanto riguarda invece la variazione tendenziale (-1,3%), per avere un dato peggiore bisogna risalire al quarto trimestre 2009, quando il calo del Pil, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, era stato del 3,5%.
Non meno negative le previsioni per il 2012: il pil acquisito per l'anno in corso è pari a -1,3.
Nello stesso periodo il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,5% negli Stati Uniti ed è diminuito dello 0,2% nel Regno Unito. In termini tendenziali, il Pil è aumentato del 2,1% negli Stati Uniti ed è rimasto stazionario nel Regno Unito.

Moody's declassa 26 banche italiane
Fabio Pavesi
 In una giornata difficile per i titoli del credito in tutta Europa è arrivata a tarda sera la bocciatura di Moody's per le banche italiane. Ben 26 istituti hanno subito il taglio da parte dell'agenzia di rating e per tutte l'outlook è negativo. E così i rating a lungo termine sono oggi di Baa3 per Mps (era Baa1) e Banco Popolare. Per Ubi banca il rating a lungo termine è stato portato a Baa2 dal precedente A3. Tra i big Intesa Sanpaolo è stata portata ad A3 da A2 così come UniCredit. Per Moody's a questo punto i rating delle banche italiane «sono ora tra i più bassi nei paesi dell'Europa avanzata e riflettono - avverte l'agenzia in una nota - la vulnerabilità di queste banche a contesti operativi sfavorevoli in Italia e in Europa». Per l'agenzia pesano non solo le avverse condizioni di mercato con il Paese in recessione e le misure di austerità che deprimono la domanda interna, ma anche la scarsa qualità dell'attivo e le difficoltà di accesso al mercato del funding.
 Nulla che non si sapesse già. Stupisce per molti versi il particolare accanimento verso l'Italia. Come se le banche spagnole per le quali il Governo ha chiesto nuovi accantonamenti per 30 miliardi dopo i 50 chiesti a febbraio non patiscano nè la recessione (più profonda che in Italia) nè la crisi dell'immobiliare con prestiti in sofferenza per 184 miliardi, il 18% del Pil di Madrid.
 Ma tant'è. È tale e tanta la pressione sui titoli del credito che la bocciatura era in buona parte attesa. La stessa Moody's aveva annunciato il 15 febbraio l'avvio del processo di revisione dei rating per le banche italiane e il risultato con le tensioni delle ultime settimane non poteva che essere questo.
 Il taglio di Moody's è giunto in una giornata (l'ennesima) pesante per il settore bancario non solo italiano. Le fibrillazioni sulla crisi greca e la sconfitta alle elezioni regionali del partito della Merkel hanno dipinto un lunedì nero per le banche. Lo Stoxx 600 bancario ha chiuso con un -2,76% con le banche italiane, spagnole e francesi in prima fila nei ribassi. UniCredit ha lasciato sul campo il 4,91%; l'azione di Intesa Sanpaolo si è avvicinata alla soglia psicologica di un euro in virtù del calo del 3,55%; mentre Mediobanca (-2,16%) è sempre più vicina ai 3 euro (ieri ha chiuso a 3,16 euro lontana dai 4,6 euro del punto di minimo toccato dopo la crisi Lehman). Ma l'ondata di vendite non ha risparmiato neanche i big francesi: da Natixis (-5,46%) a SocGen che perso il 4,15% a Credit Agricole con un pesante -5,5%. Che poi il mercato tenda a liberarsi di Bankia con un tonfo del 9% non sorprende affatto. Bankia, la quarta banca spagnola ha dovuto chiedere soccorso sul fronte patrimoniale settimana scorsa inaugurando una nuova ondata di ricapitalizzazioni per le banche spagnole.
 Ma se il focolaio della crisi bancaria parte da Atene, tocca Madrid e Roma non si circoscrive solo ai famigerati Pigs. Ieri ha sofferto Deutsche Bank (-4%), ma sia le svizzere e le inglesi non sono state immuni dal contagio. Barclays ha ceduto il 6,4%, Rbs il 4,8%; Lloyds Bank il 5,4%. Tra le elvetiche giù Ubs del 3% e Credit Suisse del 2,6%.

Il numero degli stranieri in Italia è triplicato in dieci anni
La Penisola sfiora oggi il tetto dei 60 milioni di abitanti.
In Italia il numero degli immigrati è di tre volte superiore rispetto all’inizio del secolo, ma la crisi economica in pochi mesi ne avrebbe fatti rientrare in patria un milione. Secondo il censimento demografico  della popolazione effettuato a partire dal mese di ottobre 2011 dall’Istat, la Penisola conta 59,5 milioni di abitanti. Meno della Francia (65,35 milioni), ma comunque 2,6 milioni di persone in più rispetto al precedente censimento del 2001.
L’immigrazione è la causa principale della crescita demografica (+4% in dieci anni), la prima dopo vent’anni in cui il numero degli abitanti è rimasto praticamente immutato. Il numero di stranieri regolari è triplicato dal 2001, passando da 1 334 000 a 3 760 000. Dal 2,34% della popolazione di dieci anni fa sono passati al 6,35%.
La maggior parte degli immigrati vive in quattro regioni: Piemonte, Lombardia, Toscana e Lazio.  Con le sue industrie meccaniche e metallurgiche, Brescia è la città con la percentuale più alta di stranieri residenti (16).
Precarietà crescente
Questo censimento non rivela cosa è successo a circa 1,3 milioni di stranieri censiti in uno studio ufficiale pubblicato nel settembre 2011 con il titolo “L’importanza della popolazione straniera residente in Italia.” Lo stesso istituto Istat, fonte del sondaggio, aveva rilevato allora che erano iscritti all’anagrafe come residenti permanenti 4,57 milioni di stranieri, mentre 397 000 avevano un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di lavoro. “La mia impressione è che moltissimi siano tornati a casa” ha detto il professor Gian Carlo Blangiardo, dell’Istituto demografico ISMU. Sarebbe una conseguenza diretta della crisi, soprattutto nell’edilizia.
“Per molti il progetto immigrazione si è rivelato un fallimento a causa della mancanza di lavoro” dice il professore. Soprattutto per i polacchi, per i rumeni e gli albanesi, il cui tenore di vita è migliorato nel loro Paese. “Aggiungete l’estrema mobilità di questi immigrati, che si si spostano in continuazione alla ricerca di un lavoro. Cresce la loro precarietà, costringendoli vivere ammucchiati fino a dieci persone in appartamenti piccolissimi e pagare l’affitto in nero: questi immigrati preferiscono rimanere nella clandestinità, fattore che falsa il censimento ” ritiene Paolo Ciani della comunità Sant’Egidio.
Molti capofamiglia hanno rispedito i familiari nel loro Paese d’origine. Un terzo degli stranieri che manca all’appello sarebbero donne. La maggior parte dei giovani nordafricani, che non considerano l’Italia come terra di accoglienza, prosegue a nord, verso la Francia o la Germania. Questo spiega perchè nessuno dei circa 40 000 tunisini sbarcati illegalmente a Lampedusa l’anno scorso è stata rimpatriata, come era previsto dopo sei mesi di soggiorno. La maggior parte ha attraversato il confine a Ventimiglia per trovare rifugio in Francia.
[Articolo originale "Italie : le nombre d'étrangers a triplé en dix ans" di Richard Heuzé]

La minaccia e i bluff della Grecia
STEFANO LEPRI
La cura di sola austerità nell’area euro è sconfitta, ad opera degli elettori di diversi Paesi e regioni. Su come integrarla, si apre ora una stagione di faticosi negoziati, forse di maldestri compromessi.
 Ma per la Grecia è urgente essere pronti a tutto. E occorre distinguere le realtà dalle minacce e dai ricatti che si incrociano in queste ore.
 Punto primo. La Grecia non è in grado di sopravvivere da sola; non più di quanto potrebbe ad esempio - per avere un’idea delle dimensioni - una Calabria separata dall’Italia.
 Senza aiuti dall’Europa e dal Fondo monetario, presto non avrebbe soldi né per pagare gli stipendi degli statali né per comprare all’estero ciò che serve ad andare avanti, tra cui alimenti e petrolio.
 Punto secondo. Dopo la ristrutturazione a carico dei privati, oggi circa la metà del debito greco è in mano all’Europa o al Fondo monetario. Quindi se la Grecia non paga, ci vanno di mezzo soprattutto i contribuenti dei Paesi euro, cioè noi tutti (in una stima sommaria, circa un migliaio di euro a testa).
 Punto terzo. Il ritorno alla dracma sarebbe vantaggioso solo nella fantasia di economisti poco informati, per lo più americani. Trapela ora che il governo Papandreou aveva commissionato uno studio dal quale risultava che perfino i due settori da cui la Grecia ricava più abbondanti introiti, turismo e marina mercantile, non sarebbero molto avvantaggiati da una moneta svalutata.
 Punto quarto. L’incognita vera è quali danni aggiuntivi, oltre al debito non pagato, una eventuale bancarotta della Grecia causerebbe agli altri Paesi dell’area euro (in primo luogo crescerebbero gli spread ). Di certo le conseguenze sarebbero asimmetricamente distribuite: più gravi per i Paesi deboli, in prima fila il Portogallo poi anche Spagna e Italia; meno gravi per la Germania.
 Non c’è risposta certa alla domanda presente nelle teste di tutti i ministri dell’Eurogruppo riuniti ieri sera a Bruxelles - se convenga di più sostenere la Grecia o lasciarla andare a fondo. A prima vista, almeno per l’Italia la solidarietà sembra meno costosa del diniego; eppure, guardando nel futuro, una Grecia non risanata diventerebbe una palla al piede.
 Fa bene perciò ragionare sulle alternative; e occorre farlo in modo politico, dato che due crisi politiche qui si intrecciano, una dei meccanismi decisionali europei, un’altra dei partiti greci.
 Ad Atene, un sistema politico crolla, come nell’Italia di 20 anni fa, ma le scelte minacciano di polarizzarsi in modo più pericoloso. Occorre chiedersi se la sconfitta dei due ex partiti dominanti, Nuova Democrazia e socialisti, sia dovuta ai tempi troppo stretti del risanamento chiesto dall’Europa, o non soprattutto al modo iniquo e inefficiente con cui i sacrifici sono stati distribuiti tra i cittadini, proteggendo clientele e centri di potere.
 L’Europa aveva preteso tempi più stretti di quelli ritenuti opportuni dal Fmi proprio perché non si fidava dei politici greci in carica. Ora non se ne fidano più nemmeno gli elettori. I loro voti si sono spostati verso politici emergenti i quali però raccontano una bugia: che la Grecia può ricattare gli altri Paesi in modo più efficace, minacciando di trascinarli nel baratro se non apriranno di nuovo il portafoglio.
 Dal lato opposto, sta alla Germania e agli altri Paesi rigoristi dimostrare che il ricatto è vano perché nel baratro non ci cadremo. Ovvero, occorre che mettano le carte in tavola, specificando quali gesti di solidarietà compirebbero verso gli altri Paesi deboli nel caso ad Atene si formasse un governo deciso al braccio di ferro. Altrimenti dire ai greci «o mangiate questa minestra, o saltate dalla finestra» si rivelerebbe un bluff , come già tendono a ritenere i mercati.

Grecia, Juncker: "Deve restare in Europa". Proseguono negoziati per nuovo governo
Roma, 15 mag. (Adnkronos/Ign) - "Vogliamo mantenere la Grecia nell'euro". Così il presidente dell'Eurogruppo, Jean Claude Juncker, al termine della riunione. "E faremo tutto il possibile perché ciò accada", ha poi sottolineato, spiegando che "nessuno è contro questa posizione". Anzi, una uscita dalla moneta unica è un "non senso", anzi, "propaganda". "E' sbagliato questo modo di trattare Atene con continue minacce", ha detto.
Intanto proseguono anche oggi i negoziati in Grecia per la formazione di un nuovo governo. Prenderanno parte alle consultazioni tutti i partiti eletti in Parlamento lo scorso sei maggio, esclusa la forza di estrema destra di Alba d'oro, rende noto l'emittente televisiva privata Ant 1. L'incontro è stato fissato dal presidente Karolos Papoulias all'una di domani mattina (ora italiana). Secondo quanto precisano fonti della presidenza citate dall'agenzia di stampa ''Dpa'', il tentativo di Papoulias è sempre quello di cercare di formare un governo di tecnici.

Ocse, 11 milioni di giovani disoccupati in Europa
In Spagna e Grecia a casa uno su due. In Italia siamo al 35,9%
MILANO - Nell'area Ocse ci sono quasi 11 milioni di giovani senza lavoro, con un tasso di disoccupazione giovanile nella fascia 15-25 anni del 17,1%. Lo riporta l'organizzazione, in una nota emessa in occasione del vertice dei ministri del Lavoro del G20, con dati di marzo 2012.
IL CASO SPAGNA - La disoccupazione giovanile in Spagna e Grecia nei primi mesi del 2012 ha raggiunto rispettivamente il 51,1% e il 51,2%. In Italia la disoccupazione giovanile ha raggiunto il suo picco nel marzo 2012, al 35,9%, pari a 534 mila senza lavoro tra i 15 e i 24 anni.
IL TASSO - Il tasso di disoccupazione della zona Ocse è rimasto stabile all'8,2% nel mese di marzo. Questa stabilità - sottolinea tuttavia una nota dell'organizzazione - maschera un tasso in rialzo per alcuni Paesi compensato dal ribasso nel Nord America«. Il tasso di disoccupazione dei paesi della zona euro è salito di un decimo di punto al 10,9% a causa soprattutto degli incrementi di tre decimi di punto in Portogallo (15,3%) e Spagna (24,1%) e di due decimi di punto in Italia (9,8%). A marzo circa 45 milioni di persone erano senza lavoro nei Paesi Ocse, 800mila in più rispetto a marzo 2011 e 14,1 milioni oltre il dato di marzo 2008.

Ticino. Exxon e le api: storie di breve periodo
di Ronny Bianchi - 05/15/2012
La teoria del caos studia l’ipotesi che “un battito d’ali di farfalle in Cina può scatenare un tornado dall’altra parte del mondo”. Oggi sarebbe forse il caso di lavorare su un’ipotesi diversa: “la mancanza del battito d’ali delle api può scatenare la fine del mondo”. D’altronde sembra che Albert Einstein abbia affermato che senza api il nostro pianeta avrebbe solo 4 anni di vita.
Ma andiamo con ordine e iniziamo da un articolo di Federico Rampini, pubblicato su ‘Repubblica’ il 4 maggio.
Rampini ripercorre e commenta un libro (‘Private Empire’ del premio Pulitzer Steve Coll) appena uscito negli Usa, che indaga sulle attività della Exxon, la multinazionale del petrolio. Ebbene questa compagnia per anni ha svolto un’intensa attività ‘sotterranea’ per falsificare la scienza sul cambiamento climatico, finanziando le teorie negazioniste, influenzando l’opinione pubblica e interferendo nel dibattito politico americano. Per raggiungere i suoi obiettivi pare abbia speso oltre 100 milioni di dollari in 20 anni. Naturalmente a questa somma bisogna aggiungere i milioni indirizzati a sostenere le campagne dei politici favorevoli all’industria del petrolio e soprattutto alla stessa Exxon (vedi famiglia Bush, Dick Cheney e co.).
Fino a qui nulla di straordinario. Quasi tutte le grandi multinazionali adottano strategie simili di lobbying per ottenere favori dai politici. Il caso della Exxon è però ben più preoccupante perché i suoi dirigenti sono perfettamente a conoscenza del fatto che la loro strategia sta portando il pianeta al disastro ecologico, se non peggio. Exxon, infatti, ha elaborato studi interni – evidentemente mai resi pubblici – sul cambiamento climatico e sulle sue conseguenze, dove le attività petrolifere hanno un ruolo importante. Ma il profitto prima di tutto. Se fra 50 o 100 anni la Terra sarà un luogo invivibile per milioni di persone, non è un problema che riguarda il bilancio dell’azienda né tantomeno la remunerazione dei suoi dirigenti.
E non solo. I geologi della Exxon hanno studiato per anni come arricchire la compagnia proprio grazie al cambiamento climatico e il primo importante beneficio di questa strategia è il recente incontro con Putin per lo sfruttamento dei giacimenti sotto l’Artico, ora accessibili a seguito dello scioglimento della banchisa.
Passiamo ora al Ticino, ma il tema è continentale: la scomparsa delle api (meno 40% in Europa negli ultimi 10 anni). Attualmente il principale imputato è un acaro parassita che si chiama varroa. Quest’acaro entra nelle colonie delle api mellifere, tramite i fuchi, causandone indirettamente la morte perché trasporta malattie mortali. Si presume che sia arrivato dall’Estremo Oriente. Il problema è talmente importante che è stato creato in Svizzera un centro di ricerca internazionale, nella speranza di trovare una soluzione per sconfiggere questo distruttore di api.
Ma ci sono anche altre cause, altrettanto importanti. Alcuni studi hanno mostrato come l’uso intensivo di pesticidi (ad esempio il Cruiser della Syngenta), la crescente diffusione di campi elettromagnetici (ipotesi non verificata scientificamente), ma soprattutto i cambiamenti climatici possono avere delle conseguenze sulla vita delle api. L’irregolarità del clima sempre più accentuata, sconvolge la normale attività delle api perché interrompe il flusso di nutrimento dell’alveare causando danni e morte degli animali. Le ripercussioni non sono però limitate alla scomparsa di questo animale, ma ha conseguenze ben più vaste. L’80% delle specie vegetali per riprodursi dipende dall’impollinazione degli insetti.
Quasi il 10% della produzione agricola mondiale dipende da questo servizio ecologico. Il suo valore monetario è stimato a 153 miliardi di euro. (http://www. picolturangrisani.it).
Ma cosa centra la Exxon con le api? Naturalmente non c’è un collegamento diretto perché il problema è globale. Exxon è un esempio evidente di come gli interessi economici diretti e immediati non si fermano davanti a nulla. Naturalmente, lo stesso vale per molte altre multinazionali che, pur essendo coscienti dei danni che stanno causando, proseguono imperterrite nella loro ricerca del profitto.
Forse però sarebbe utile ricordarsi che senza le api, ci rimangono 4 anni di vita e questa è una previsione di breve periodo tanto cara a Exxon e soci.

Federazione Russa. L'Ue modello per la Russia
15 maggio 2012
Simona Pizzuti, Russia Oggi
Il rettore della European University di San Pietroburgo, Oleg Kharkhordin, analizza i rapporti tra la Federazione e il Vecchio Continente
I rapporti tra l'Unione Europea e la Federazione non sono sempre stati all'insegna della cooperazione e soprattutto dell'integrazione, ma l'Ue rappresenta un modello per il progetto di Unione Euroasiatica che Putin ha intenzione di sviluppare.
È stato il rettore della European University di San Pietroburgo, Oleg Kharkhordin, a spiegare il progetto del neoeletto Presidente a RussiaOggi, a margine del suo intervento alla conferenza “The State of the Union, una riflessione sullo stato della Ue”, organizzato a Firenze dallo European University Institute di Fiesole il 9 e 10 maggio 2012.
Nel panel dedicato al nuovo assetto globale e al ruolo dell'Europa nel contesto che prende vita, è emerso che l'Unione Europea deve rinegoziare i propri rapporti commerciali e politici con le potenze economiche emergenti, i Brics, tra i quali la Russia sta assumendo un ruolo sempre più centrale, essendo diventata il terzo partner commerciale del Vecchio Continente, dopo Stati Uniti e Cina.
L’Europa, allora, deve ritagliarsi un nuovo ruolo per proteggere le migliori pratiche, per restare leader del know-how e per mettere in rilievo i rapporti di governance locale con l’Eurasia.
Ed è proprio il know-how europeo a fare da ponte con la Russia, interessata a imparare dall'Europa a costruire la propria Unione politica e commerciale. “A gennaio 2012 è stato creato lo Spazio Economico Comune che include  la Bielorussia ed il Kazakhstan – ha spiegato il rettore Kharkhordin –. Sono i Paesi più forti e i più interessati a sviluppare un mercato comune sul modello europeo con la libera circolazione delle merci e della forza lavoro”.
Secondo Kharkhordin lo sviluppo passa necessariamente dalle infrastrutture ed è anche su questo fronte che l'Europa rappresenta una best practice da imitare, soprattutto a livello subregionale e municipale. “Le forze democratiche della Russia vedono le città come luoghi dove la vita può realmente cambiare grazie allo sviluppo delle infrastrutture – ha aggiunto il rettore – . La Russia e l’Europa hanno in comune una tradizione di comunità autonome e alcune città, proprio come succede in Europa, possono sviluppare il settore del bilancio partecipativo, come è stato fatto nella città di Kirov che ha beneficiato anche di finanziamenti della Banca Mondiale”.
Se il legame tra la Russia e l'Europa si rinforza dal punto di vista economico e commerciale, lo scambio  e l'integrazione culturale continua a essere carente. Oleg Kharkhordin sostiene che l'ostacolo principale è la mancanza di circolazione delle élites culturali, supportato in questa riflessione dal Direttore esecutivo del Consiglio europeo per le relazioni internazionali Mark Leonard. “Se la politica estera europea fallisce – ha affermato Leonard -  non è per mancanza di capacità, ma per mancanza di ambizioni intellettuali e obiettivi comuni”.


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