domenica 3 giugno 2012

am_3.6.12/ L’implosione di un oggetto volante non identificato

Caso Maro': i due militari sono stati scarcerati
Di Kerala i due garanti indiani
India, liberi i due marò pugliesi Monti: ora a casa
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Mpa, un congresso per decidere i vertici senza Lombardo
Soros spara a zero sulla Merkel
Ticino. La fine dell’isola felice?

Caso Maro': i due militari sono stati scarcerati
ultimo aggiornamento: 02 giugno, ore 18:27
New Delhi, 2 giu. (Adnkronos) - Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati scarcerati. Lo confermano fonti che hanno seguito la vicenda che vede coinvolti i due militari italiani in India.

Di Kerala i due garanti indiani
KOCHI (INDIA) - Sono due cittadini residenti in Kerala i due indiani che si sono presentati oggi come garanti del rispetto da parte dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone delle condizioni giuridiche e finanziarie poste nell’ordinanza di libertà su cauzione. Si tratta di Jyothy Kumar e di un suo amico, Raj Mohan, entrambi di Kollam, che per quanto riguarda la garanzia del pagamento dei 20 milioni di rupie (quasi 290.000 euro), hanno presentato proprietà attraverso i buoni uffici della UCO Bank indiana. In particolare Kumar è attivo nel settore immobiliare ed è uno dei proprietari della società Nj Properties di Kollam. «Sono venuto a sapere di questa storia da amici – ha detto - e conosco bene l’Italia anche perchè ho un cognato che lavora per una compagnia italiana operante nel settore della Difesa e basata a Dubai». «Siamo esseri umani – ha concluso – e ci dobbiamo aiutare reciprocamente. Mi hanno chiesto di intervenire nella vicenda dei due marò e ho detto sì. Sono molto contento di averlo fatto».

India, liberi i due marò pugliesi Monti: ora a casa
KOCHI (INDIA) – Era quello che più desideravano ed il fatto che la ritrovata libertà in India di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sia coincisa con la Festa della Repubblica ha avuto certamente per loro un sapore ancora più forte e beneaugurante. A salutare così la scarcerazione dei due fucilieri di Marina, stasera a Kochi, è stato il presidente del Consiglio Mario Monti.
E non è un caso che in mattinata l’applauso più caloroso tributato dai Fori Imperiali durante la sfilata per la festa del 2 giugno era stato per i due marò. «Un obiettivo importante della nostra azione è stato raggiunto – ha detto Monti -. Ma la conclusione finale che vogliamo, per la quale abbiamo lavorato fin dal primo giorno con determinazione nei confronti delle autorità indiane di ogni livello è il ritorno in Italia dei nostri militari».
Dopo aver atteso per l’intero giorno, il beneficio è scattato in serata ed in un attimo i due marò, salendo sull'auto scura che li attendeva, hanno messo tra parentesi i 104 giorni trascorsi in varie forme di carcerazione ed anche l'udienza in cui stamani la 'session court' di Kollam ha fissato per il 18 giugno il primo capitolo del processo che li coinvolge per la morte di due pescatori indiani.
Per la prima volta, i due hanno abbandonato le uniformi a cui sono attaccati e che hanno indossato scrupolosamente ogni giorno per ribadire il loro status di funzionari dello Stato italiano, adottando una tenuta semplice di jeans e t-shirt con cui hanno varcato la soglia dell’Hotel Trident di Kochi, sorridendo, congiungendo le mani e salutando il personale indiano che li accoglieva con un vibrante 'Namaste!'.
Non hanno rilasciato dichiarazioni, seguendo il prevedibile invito alla prudenza della delegazione italiana, ed hanno subito abbandonato la hall dell’albergo non in ascensore, ma attraverso le scale, affrontate con ampie falcate.
Da oggi la loro vita recupererà una parvenza di normalità, anche se fra le condizioni poste per il beneficio della libertà dietro cauzione (quasi 290mila euro, garantiti dalle proprietà di due cittadini keralesi) c'è quella di non allontanarsi oltre la zona di competenza del Commissariato di Kochi. Un’area che dovrà comunque sembrargli enorme se paragonata con i pochi metri in cui dovevano muoversi nelle guest-house di Kochi e Kollam e nel carcere di Trivandrum, dove hanno risieduto dal 19 febbraio.
Teso per tutta la giornata a causa del delicato passaggio dei marò davanti al giudice e delle sfibranti esigenze della burocrazia indiana per la concessione del 'bail' , il console generale a Mumbai, Giampaolo Cutillo, si è abbandonato dopo l'ingresso di Latorre e Girone in hotel ad un sorriso stanco ma soddisfatto che aveva il significato di 'Missione compiuta!'.
Serviranno ora alcuni giorni per tirare il fiato e riordinare le idee in vista del futuro processuale che per ora, ha detto l’avvocato Rajendran Nair, «si basa su un 'chargesheet' (dossier accusatorio) che noi smonteremo perchè contiene accuse, come quella di omicidio volontario, che non stanno nè in cielo nè in terra».
Lo stesso legale ha provato oggi a convincere il giudice P.D. Rajan a non fissare subito la prima udienza del processo di primo grado, visto che la Corte Suprema a New Delhi si accinge a discutere (il 26 luglio) una petizione italiana che sostiene l'incostituzionalità di tutto l’operato della polizia e della magistratura del Kerala. Ma il giudice ha disposto ugualmente l’apertura del dibattimento processuale che a suo avviso può svolgersi perchè riguarda la necessità di stabilire fatti e circostanze dell’incidente in mare del 15 febbraio, e non tocca questioni di principio di pertinenza dei giudici della Corte Suprema.
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Mpa, un congresso per decidere i vertici senza Lombardo
Tra i protagonisti del nuovo corso non ci sarà il presidente della Regione, ma come annuncia Nicola D'Agostino, dirigente e capogruppo all'Ars, ci saranno "giovani, donne ed esponenti del mondo del lavoro"
PALERMO. Un nuovo gruppo dirigente guiderà il Movimento per l'autonomia. Sarà il congresso regionale del Mpa, previsto a fine giugno, a nominarlo a conclusione di una road map che toccherà tutte le province con incontri e dibattiti. Tra i protagonisti del nuovo corso non ci sarà però Raffaele Lombardo, deus ex machina degli autonomisti. «Ma ne saranno protagonisti - annuncia Nicola D'Agostino, dirigente di punta del Mpa e capogruppo all'Ars - giovani e donne e, almeno per la metà, esponenti del mondo del lavoro e delle professioni».
 A Palermo, ieri, si è svolta una delle prime tappe di questo percorso. Un centinaio di persone tra esponenti politici, dirigenti ed eletti del Mpa, professionisti, imprenditori e docenti universitari si sono riuniti in un'hotel della città «interessati tutti a discutere e contribuire alla costruzione di un più forte movimento autonomista e riformatore», dice D'Agostino. «Nel valutare in positivo l'azione fino a oggi svolta dal governo regionale - afferma D'Agostino - si sono approfondite le tematiche legate alle maggiori criticità non ancora risolte e che dovranno far parte dell'agenda di governo dei prossimi mesi e del programma della prossima campagna elettorale». Per D'Agostino «anche il ruolo del nuovo Mpa dovrà essere completamente diverso dall'attuale, prevedendo dinamiche maggiormente in sintonia con le esigenze del territorio». «Militanti e dirigenti - sostiene - dovranno rendersi conto che vanno adottati comportamenti più consoni agli ideali del movimento, considerata la necessità di ritrovare la giusta sintonia con i cittadini a fronte delle nuove istanze che provengono dalla societa».

Soros spara a zero sulla Merkel
«Hai solo tre mesi per salvare l'euro»
Il finanziere: «L'intransigenza dei tedeschi mette a rischio l'Unione. Ora serve una copertura Ue dei depositi bancari»
Dall'inviato FABIO SAVELLI
TRENTO – Tre mesi. Novanta giorni. Il conto alla rovescia per l’architettura – non solo monetaria – ma persino politica dell’Unione Europea è appena cominciato. «Tutto dipende dai creditori, dalla Germania di Angela Merkel e dalla Bundesbank. La loro intransigenza sta mettendo a rischio la stessa sopravvivenza di un oggetto fantastico. Quell' Unione Europea fondata sui principi della società aperta, democratica, pluralista e rispettosa dei diritti umani i cui nodi ora sono venuti al pettine, perché all’integrazione monetaria non ha fatto seguito una vera e propria integrazione politica». Parole e pensieri di Gorge Soros, guru della finanza speculativa, filantropo, famoso per aver lucrato sulle debolezze di lira e sterlina nel 1992 con uno degli hedge fund più conosciuti al mondo, il Quantum.

LA BOLLA – Incalzato dalle domande del giornalista del Corriere della Sera Federico Fubini al festival dell’Economia di Trento il miliardario di origine ungherese si è prodigato in una lectio magistralis di economia internazionale elargendo consigli, suggerimenti, invettive nei confronti della classe dirigente europea, non sempre illuminata, soprattutto incapace di gestire la crisi dell’Eurozona e tale da suscitare la recente riprovazione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama che venerdì in campagna elettorale nel Minnesota ha tentato di attribuire all’Unione Europea la frenata della crescita mondiale suffragata dal dato preoccupante della disoccupazione americana di nuovo in risalita. «Quell’oggetto fantastico (l’Unione europea, ndr. ) - ha spiegato Soros – ha funzionato in un primo momento perché i tedeschi erano alle prese con l’unificazione e ha avuto la massima realizzazione con il trattato di Maastricht. Ma il giocattolo si è rotto quando si è capito che i tedeschi non erano disposti a condividere l’eccessivo indebitamento degli altri paesi europei. Ecco perché la ricetta è una sola e non può che adottarla anche la Merkel: un sistema comunitario a copertura dei depositi delle banche per impedire la fuga da capitali dall’area Euro».

LA REALIZZAZIONE – Se la ricetta non è di per sé innovativa, Soros ha fatto però intravedere barlumi di luce su una crisi della moneta unica tale da aver ormai aggredito la crescita mondiale, con i paesi emergenti incapaci di fungere da locomotiva: «Abbiamo tre mesi di tempo per invertire la rotta, il problema è di natura bancaria e di concorrenza, non è di natura fiscale, e prima o poi dovranno capirlo anche in Germania». L’implosione dell’Euro – cui il default della Grecia sarebbe la prima fortissima avvisaglia – non gioverebbe neanche a Berlino perché imporrebbe il ritorno del marco e penalizzerebbe le esportazioni tedesche. Sullo sfondo le politiche di austerity intraprese dai paesi più indebitati che stanno soffocando la crescita per un’imposizione fiscale ormai ampiamente sopra i livelli di guardia: «Non si può continuare così all’infinito», ha precisato Soros. Soprattutto perché la conseguenza è che i movimenti euro-scettici prendano maggior vigore nelle consultazioni elettorali provocando «l’implosione di un oggetto fantastico».

Ticino. La fine dell’isola felice?
 di Marco Chiesa - 06/02/2012
C’era una volta la Svizzera. Un’isola felice al centro dell’Europa che poteva vantarsi di essere un Paese dove la sicurezza dei cittadini rappresentava un valore aggiunto rispetto alle nazioni confinanti. All’estero erano ormai diventati leggendari la tranquillità, l’ordine e la serenità che regnavano all’interno della Confederazione. Poi è giunto un fattore che ha sconvolto il nostro quieto vivere e rovinato l’immagine di Paese sicuro, cancellando nel giro di pochi anni la percezione di sicurezza oggettiva e soggettiva degli abitanti.
segue a pagina 30
Il fattore decisivo è stato il voto del giugno 2005 che ha sancito l’entrata della Svizzera nello spazio Schengen e il relativo smantellamento dei controlli sistematici alle frontiere. Questa scelta democratica ha portato, di buono, l’utilizzo del sistema Sis (Sistema Informatico Schengen) che potrebbe permettere l’arresto di criminali stranieri già segnalati in altri Paesi. Il problema dunque non sta in questo strumento che, anche se non avessimo approvato l’ingresso nell’area Schengen, sarebbe stato comunque favorevole sia per la Svizzera che per l’Unione europea, ma nel presidio delle frontiere. Le promesse che i declamati controlli di “retrovia” sarebbero stati più efficaci ed efficienti rispetto alla presenza al valico delle Guardie di confine, sono infatti andate completamente deluse. A comprova di quanto sopra basti pensare alla preoccupante recrudescenza dei crimini nel nostro cantone e nel resto del nostro Paese.
Al momento del voto su Schengen, solo l’Udc e pochi altri, facili profeti, si erano opposti alla sua approvazione. Da allora l’unico fattore a essere diventato eurocompatibile è stato quello del tasso di criminalità, con valori che ormai avvicinano in tutto e per tutto quelli del resto del Vecchio Continente. Anzi, in alcune zone di frontiera particolarmente esposte, come ad esempio quella di Ginevra con i suoi numerosi valichi incustoditi, i fatti parlano di una situazione particolarmente fuori controllo. Nei primi mesi di quest’anno dalla città di Calvino è giunto un forte grido d’allarme da parte delle autorità, di fronte a dati che parlano di un’esplosione delle statistiche della delinquenza: 300-400 clandestini maghrebini sono stati riconosciuti colpevoli di più di 6’200 delitti nel periodo 2008-2011. Ciò equivale a 30 reati alla settimana. In particolare i reati riguardanti il codice penale, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica, sono aumentati del 6% nell’ultimo anno rispetto a quello precedente. Ma se Atene piange, Sparta non ride, in quanto anche dalle nostre parti abbiamo dovuto registrare un sensibile incremento del turismo del crimine. Di recente pubblicazione, una per tutte, la notizia del fermo di un cittadino rumeno, residente nella regione Lazio, che intendeva portare in Svizzera tutto il necessario per praticare la clonazione di carte di credito ai bancomat, il cosiddetto skimming. Senza dimenticare la ventina di rapine in meno di due anni ai danni di distributori di benzina e uffici cambi del Mendrisiotto, una delle ragioni che hanno portato al deposito da parte del nostro consigliere nazionale Pierre Rusconi di una mozione che chiede di rescindere l’accordo di Schengen.
Questi episodi, riprendendo i concetti iniziali, mi portano a concludere che lentamente stiamo perdendo un nostro vantaggio competitivo, una di quelle condizioni quadro irrinunciabili per il benessere della nostra nazione, la sicurezza della popolazione. In buona sostanza si tratta di un lavoro civile di decenni, operato da più generazioni, gettato letteralmente alle ortiche, cui si aggiunge anche la beffa dei costi enormemente superiori rispetto a quanto previsto inizialmente (185 milioni di franchi nei primi due anni, invece dei 7,4 annui annunciati). Se vogliamo tornare a essere quelli che eravamo prima del 2005, dobbiamo ridiscutere questa adesione e rimettere le Guardie di frontiera ai valichi e, senza dubbio, potenziare gli effettivi. Investire sulla nostra sicurezza equivale a investire nel nostro futuro, permettendoci di ritornare a essere quel Paese invidiato da tutti, quello del c’era una volta.

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