giovedì 21 giugno 2012

pm_21.6.12/ Carmela Formicola: Già ascoltare ogni giorno notizie di Pordenone alla signora Camilla, donna cresciuta sulle marine joniche care ad Albino Pierro, cominciava a dar fastidio. Sacrosanta ora di pranzo, quando tutti si riuniscono a desinar dinanzi al rassicurante Tg 3 regionale, Camilla e la sua famiglia, a Pisticci - piana meravigliosa di agricoltura fiorente, campi baciati dal sole, alberi carichi di frutti - erano costretti a nutrirsi delle immagini della grande industria metallurgica e navale fiore all'occhiello del ricco e laborioso Nord Est.

America’s Cup, il consuntivo: 98 ore in tv e 36 milioni in cassa
Vogliono il canone dai defunti ma ai lucani danno il telefriuli
Consumi: siamo tornati ai livelli del '98
Tariffe, altri rincari a luglio
Ticino. Ecco ciò di cui abbiamo bisogno

America’s Cup, il consuntivo: 98 ore in tv e 36 milioni in cassa
Nessun dato su crescita del Pil e occupazione dopo le regate. Ma c’è ritorno d’immagine
NAPOLI — Impatto economico diretto degli eventi di America's Cup tenuti a Napoli in aprile: 16,2 milioni di euro. Effetto indiretto: 19,8 milioni. Totale dell'impatto economico stimato: 36 milioni. Queste sono, in estrema sintesi, le cifre che domani l'Acn e gli enti locali che ne fanno parte insieme all'Unione industriali renderanno pubbliche in sede di bilancio finale della manifestazione. Un bilancio nel quale, alla voce spese, la relazione presenta la somma di 12,2 milioni, dei quali 5 per i diritti dell'evento e il resto per opere pubbliche (4 milioni), piano eventi (1,2 milioni), allestimento del Villaggio (1,2 milioni) e piano comunicazione (0,8 milioni). Non sono prese in considerazione le uscite collaterali, per esempio le maggiori spese del Comune per vigili e trasporti.

RICAVI E SPESE - Tornando alla «Stima dell'impatto economico teorico», come è definito nella relazione che mette insieme i dati forniti dalla società di consulenza Deloitte e quelli rilevati durante l'evento dai ricercatori dell'Università Parthenope, in che modo sono state calcolate le entrate? Considerando «ricavi e spese aggiuntive legate all'acquisto di beni e servizi, benefici per l'economia locale (per esempio occupazione, turismo, attrazione di investimenti)». E come si è arrivati a calcolare un effetto diretto di 16,2 milioni? Valutando il totale della spesa attribuibile all'evento effettuata da quattro categorie di persone che hanno contribuito: i team in gara (300 mila euro), lo staff Acea (600 mila), i 352 giornalisti (200 mila) e gli spettatori (15,1 milioni). Ma quanti erano questi ultimi? Secondo le rilevazioni e la stima dei ricercatori della Parthenope, che hanno svolto analisi di tipo statistico, gli spettatori rientrano in un intervallo tra 485 mila e 530 mila. La relazione finale, però, precisa che le rilevazioni hanno preso in considerazione «solo una parte degli accessi al villaggio, presentando in tal senso dei limiti ai fini del conteggio complessivo».

OSCILLAZIONE - Quindi considera il dato elaborato dalla Parthenope «prudenziale» e spinge la forbice fino a un'oscillazione tra 535 mila e 775 mila spettatori. Anche a supporto di tale ipotesi, la relazione della Deloitte presenta i dati relativi al settore trasporti e alberghiero. Il primo dice che a Capodichino nell'aprile 2012 si è registrato un aumento del traffico di passeggeri internazionali del 7 per cento circa, corrispondente a 14 mila persone, sullo stesso mese dell'anno precedente. Il trend ha avuto seguito nel mese di maggio, quando gli arrivi internazionali sono cresciuti di 12,3 punti percentuali, corrispondenti a più di 30 mila passeggeri, rispetto al 2011.

ALBERGATORI - Quanto agli alberghi, le rilevazioni di Str Global per l'Osservatorio Aica dicono: «Analizzando il tasso di occupazione medio delle camere d'albergo registrato nelle principali città italiane emerge un trend estremamente negativo, fatta eccezione per Napoli e Venezia, entrambe sede dell'evento Acws. Con riferimento alla città di Napoli si rileva una variazione positiva di circa 2,6 per cento in controtendenza alla media nazionale (-8,7 per cento)». Che nei giorni della manifestazione ci fosse un gran movimento è innegabile, ma il dato sulle presenze negli alberghi è controverso. Gli albergatori, infatti, subito dopo la fine dell'evento di aprile si sono lamentati di non aver lavorato a pieno regime. Comunque, la conclusione della relazione, per la verità non molto chiara, è che l'impatto dell'America's Cup è valutabile in un +10,7 per cento.

IMPATTO ECONOMICO INDIRETTO - Ancora meno chiaro, almeno a chi è sprovvisto di strumenti scientifici adeguati, il modo in cui è stato calcolato l'impatto economico indiretto, cioè la «Somma delle reazioni provocate dall'impulso di partenza (definita sulla base delle relazioni intersettoriali del sistema produttivo)». Insomma sarà necessaria qualche spiegazione per comprendere come si è arrivati alla valutazione di quasi 20 milioni.

RITORNO D’IMMAGINE - Molto meno controverso è il capitolo relativo al ritorno d'immagine, che costituiva il dichiarato obiettivo per la città. Napoli ha beneficiato di 98,1 ore di trasmissioni su 29 canali tv di tutto il mondo (9 dei quali in italiani) per un audience complessiva di 75 milioni di telespettatori (49 in Italia), senza calcolare il dato di Russia e Germania, non disponibile. Da questo punto di vista la riuscita dell'iniziativa è indiscutibile. Lo sport «tira» sempre, infatti, l'amministrazione comunale punta proprio in questa direzione. E la relazione, non a caso, inquadra l'operazione America's Cup in uno scenario nel quale rientrano altre manifestazioni di grande richiamo: la Coppa Davis, le regate del prossimo anno, il Giro d'Italia 2013 e la Volvo Ocean Race del 2014. E trae la conclusione che «l'impatto economico del ritorno di immagine per Napoli sarà stimabile solo in un arco di tempo più lungo, sulla base di quanto la città riuscirà a migliorare la sua attrattività verso investimenti futuri e a generare un circolo virtuoso di spesa e un conseguente incremento del Pil».

GRANDE EVENTO - I numeri elencati sembrano soddisfacenti, a parte forse la necessità di qualche chiarimento. E non c'è dubbio che ai napoletani e a tutti coloro che sono arrivati in città in quei giorni le regate sono piaciute. Proprio la conclusione di Deloi, però, contraddice le premesse che stavano alla base di tutta l'operazione. Nel «Progetto strategico Grande Evento America's Cup World Series» varato il 15 febbraio dalla Regione Campania, infatti, si leggeva: «Ragionando (...) in termini quantitativi e sulla base della metodologia utilizzata dalla Deloitte per stimare i ritorni economici e sociali degli eventi di America's Cup, si può stimare che il Grande Evento, unicamente nei periodi di regata, possa comportare ritorni complessivi per 73,5 milioni di euro, con un incremento del Pil regionale di circa 61 milioni di euro, generando nuova occupazione, diretta e indiretta, per 1.370 unità». Sul ritorno complessivo, se quest'anno è stato di 36 milioni, i conti presentati quadrano, visto quello previsto è poco più del doppio e che le spese per la prima edizione sono state circa un terzo. Ma il Pil è aumentato o no in conseguenza dell'America's Cup? Quanto ai 1.370 nuovi occupati, di quelli nel consuntivo non c'è traccia.
Angelo Lomonaco

Vogliono il canone dai defunti ma ai lucani danno il telefriuli
di CARMELA FORMICOLA
Già ascoltare ogni giorno notizie di Pordenone alla signora Camilla, donna cresciuta sulle marine joniche care ad Albino Pierro, cominciava a dar fastidio. Sacrosanta ora di pranzo, quando tutti si riuniscono a desinar dinanzi al rassicurante Tg 3 regionale, Camilla e la sua famiglia, a Pisticci - piana meravigliosa di agricoltura fiorente, campi baciati dal sole, alberi carichi di frutti - erano costretti a nutrirsi delle immagini della grande industria metallurgica e navale fiore all'occhiello del ricco e laborioso Nord Est.
Niente decoder, niente tg Regione. Cosa accade qua intorno? Mistero. Però certi in Liguria sanno tutto della sagra della 'nduja e qualche campano si è appassionato al notissimo campionato di tamburello di Castellaro Lagusello. Questo manda in onda il Tg3, che volete? L'assenza del decoder ti fa sprofondare nella notte dell'ignoranza. Però con la parabola puoi vedere la Nbc e Al Jazeera. È come se conoscessi Obama ma non il tuo vicino di casa.
La famigliola di Pisticci, ad ogni modo, pativa da tempo la dittatura dell'etere, e già covava un discreto malumore sui disguidi delle tecnologie. Ma la Rai aveva in serbo ben altro, per loro. E un giorno accade che bussano alla porta per notificare una bella cartella esattoriale: il canone Rai non pagato. Che già pagare l'abbonamento per vedere i Tg3 altrui qualcuno c'avrebbe da ridire, il problema è che a non pagare il canone sarebbe il padre di Camilla, il signor Marco Antonio, che riposa in pace dal 1986. Un classico: voler intascare le tasse anche dai morti.
Nei tempi nuovi del digitale e del satellite, della comunicazione che viaggia senza fili e senza barriere da un capo all'altro del mondo e rimbalza da video a portatili a cellulari a tavolette, in questo futuro nel quale siamo sbarcati, la Rai - e quel braccio armato che si chiama Equitalia - non hanno ancora aggiornato gli elenchi degli abbonati. Non hanno nemmeno ratificato l'ennesima disdetta, non hanno archiviato l'ennesimo certificato di morte inviati ancora cinque anni fa da Camilla che disperatamente tentava di far capire che suo padre era morto, che l'abitazione dove aveva vissuto era chiusa e che il televisore in quell'abitazione era ormai inesorabilmente spento. Niente. La Rai, tramite Equitalia, vuole 144,90 euro, da Marco Antonio o da chi per lui. L'innovazione s'arrende alla burocrazia.
Ora la signora Camilla, disorientata dalla subdola crisi di identità instillata dalla videocrazia, stava per versare l’obolo al grido del vecchio detto: «Ancje Dio al è furlan; sa nol pae vuei, al pae doman», che significa «Anche Dio è friulano, se non paga oggi, paga domani». Poi, guardando i cieli azzurri, sentendo scorrere il fluire lento e dolce delle latitudini meridiane, si è ricordata di essere lucana, nella terra dove «lo spirito del silenzio sta nei luoghi della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto... divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati».
Lo «spirito del silenzio» ha ripreso il sopravvento. Spegniamo la tivvù. Meglio leggere Sinisgalli.

Consumi: siamo tornati ai livelli del '98
21 Giugno 2012 - 10:51
 L'allarme della Confcommercio: ''L'Italia e' piu' povera''.
(ASCA) - Roma, 21 giu - Nel 2012 il Pil procapite torna ai livelli del 1999, i consumi procapite ai livelli del 1998: un balzo all'indietro di quasi 15 anni. Sono i disarmanti dati forniti dall'ufficio studi di Confcommercio.
 Nella relazione all'assemblea annuale della confederazione, il presidente Carlo Sangalli ricorda che ''stando alle valutazioni d'impatto cifrate dal Programma di Stabilita', le manovre correttive determineranno, tra il 2012 ed il 2014, una riduzione cumulata del prodotto interno del 2,6%''.
 L'impatto delle manovre correttive rafforzate dal 'salva-Italia', ''pesa come un macigno, tanto sulla congiuntura, quanto sulle prospettive di medio termine, Secondo Sangalli ''e' questa, purtroppo, la fotografia di un'Italia piu' povera, decisamente piu' povera. In cui si fa ancora piu' profondo il divario tra Nord e Sud. In cui fioccano chiusure di imprese e fallimenti. In cui cresce soltanto la disoccupazione. E' questo, purtroppo il bollettino di guerra della recessione. E' una guerra che miete le sue vittime''.
 In piu' gli aumenti dell'Iva rischiano di rappresentare un ulteriore freno ai consumi reali per circa 38 miliardi di euro. La Confcommercio ritiene invece vi siano le condizioni per realizzare economie di spesa, che consentano di bloccare, per l'ultimo trimestre di quest'anno, l'aumento programmato delle aliquote.
 Per Sangalli ''va poi fatto di tutto per derubricare definitivamente l'ipotesi di ricorrere all'inasprimento dell'Iva come clausola di salvaguardia dei saldi della manovra 'salva-Italia'''.
red/int

Tariffe, altri rincari a luglio
Aumenti per gas (+2%) e luce (+1,5%). Benzina, prezzi fermi in attesa degli sconti del weekend
ROMA. Ancora rincari sulle bollette degli italiani a partire da luglio. Li anticipa, in attesa delle decisioni ufficiali sulle tariffe dell'Autorità per l'Energia, attese a fine giugno, il centro studi Nomisma Energia: «Prevediamo per il gas un incremento del 2%, mentre per la bolletta dell'elettricità la nostra previsione è di un aumento dell'1-1,5%», spiega il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli al Gr Rai. «Dall'1 luglio gas e elettricità dunque aumenteranno ancora per effetto dei prezzi delle materie prime registrati nei mesi passati».
 Se queste previsioni saranno confermate dall'Autorità dell'Energia, dunque, nuovi rincari per le famiglie italiane: «Ancora aumenti purtroppo - spiega Tabarelli - ma già da ottobre vedremo riduzioni: il calo delle quotazioni del petrolio porterà a riduzioni di tariffe nel quarto trimestre sul gas e anche un pò sull'elettricità».
 Il presidente di Nomisma Energia prevede buone notizie a breve termine, intanto, per gli automobilisti: «I prezzi dei carburanti stanno scendendo perchè a livello internazionale il prezzo del petrolio finalmente cala, si trascina al ribasso anche il prezzo internazionale della benzina, e pertanto - anticipa Tabarelli - alla pompa avremo delle riduzioni nei prossimi giorni di 5-10 centesimi». Per Tabarelli, dunque, i prezzi dei carburanti potrebbero scendere «sotto 1,8 per la benzina e sotto 1,7 per il gasolio».
 Intanto sulla rete carburanti prosegue e domina la calma. Anche ieri infatti le compagnie lasciano invariati i prezzi raccomandati; stabili pertanto anche quelli praticati sul territorio. Fanno eccezione le no-logo, rimbalzate per ritornare ai livelli che hanno anticipato il week-end dei supersconti sul self-service. E proprio per mettere un pò di fieno in cascina in vista di un altro fine settimana di forte competizione (ad Eni, Esso e Q8 si dovrebbero aggiungere anche altre compagnie) si deve questa immobilità. Immobilità non giustificata, infatti, da quotazioni internazionali sempre deboli (la benzina, in particolare, è tornata al di sotto di quota 900 $/ton) e da margini lordi che permangono su livelli di gran lunga superiori alla media dei tre anni precedenti, con picchi di quasi 5 centesimi per la verde. I prezzi medi nazionali sono a 1,822 euro/litro per la benzina, 1,708 per il diesel e 0,811 per il Gpl. Punte massime per la verde a 1,899 euro/litro, gasolio a 1,745 e Gpl a 0,839.

Ticino. Ecco ciò di cui abbiamo bisogno
di George Soros - 06/20/2012
È ormai chiaro che la crisi dell’euro è stata determinata dalla cessione del diritto di stampa della moneta da parte degli Stati membri alla Banca centrale europea. I paesi dell’Ue, così come le autorità europee, non hanno infatti capito cosa avrebbe comportato tale cessione.

Con l’introduzione dell’euro, i regolatori hanno permesso alle banche di acquisire somme illimitate di obbligazioni statali senza mettere da parte alcun capitale azionario, mentre la Bce ha ridotto il prezzo dei titoli di Stato di tutta l’eurozona in ugual misura. Le banche commerciali hanno trovato vantaggioso accumulare le obbligazioni dei Paesi più deboli per guadagnare qualche punto base extra, il che ha portato a una convergenza dei tassi di interesse in tutta l’eurozona.
In questo contesto, la Germania, in difficoltà a causa del peso della riuni?cazione, ha implementato una serie di riforme strutturali diventando più competitiva, mentre altri Paesi hanno goduto invece del boom immobiliare e dei consumi sulla spinta del credito a basso tasso di interesse, diventando così meno competitivi.

Poi è arrivato il crollo del 2008 e i governi si sono trovati a dover salvare le loro banche. Alcuni di loro si sono trovati nella posizione dei Paesi in via di sviluppo con un eccesso di indebitamento in una valuta sulla quale non avevano il controllo. L’Europa si è quindi divisa tra Paesi creditori e debitori, rispecchiando in tal modo la divergenza delle prestazioni economiche.

Quando i mercati ?nanziari hanno scoperto che le obbligazioni statali, presumibilmente prive di rischio, potevano in realtà ?nire in un default forzato, hanno deciso di alzare vertiginosamente il premio di rischio. Questa mossa ha reso le banche commerciali potenzialmente insolventi a causa del peso di tali obbligazioni sul loro bilancio, provocando le cosiddette crisi gemelle del debito sovrano e del sistema bancario.

L’eurozona sta ora riproducendo le modalità utilizzate dal sistema ?nanziario globale per risolvere le crisi del 1982 e del 1997, simili a quelle attuali. In entrambi i casi, le autorità internazionali in?issero misure austere ai Paesi periferici per proteggere i Paesi centrali, e ora la Germania sta inconsapevolmente svolgendo lo stesso ruolo.

I dettagli sono diversi, ma l’idea di base è la stessa, ovvero lo spostamento da parte dei creditori di tutto il peso degli aggiustamenti sui Paesi debitori, con l’elusione da parte del “centro” della propria responsabilità nei confronti degli squilibri. È interessante notare che i termini “centro” e “periferia” sono rientrati nell’uso quasi inavvertitamente. Tuttavia, nella crisi dell’euro, la responsabilità del centro è persino maggiore rispetto al 1982 o al 1997, per aver progettato un sistema monetario difettoso senza correggerne i difetti. Negli anni 80, l’America latina si trovò a subire un “decennio perduto”, un destino simile attende ora l’Europa.

All’inizio della crisi, un crollo dell’euro sembrava inconcepibile. Gli attivi e passivi denominati nella moneta unica erano talmente intrecciati che un eventuale fallimento avrebbe portato a un tracollo incontrollabile. Ma, con il progredire della crisi, il sistema ?nanziario è stato ride?nito sempre di più su base nazionale, una tendenza che ha preso slancio soprattutto negli ultimi mesi, mentre l’operazione di ri?nanziamento a lungo termine della Bce ha permesso alle banche di Spagna e Italia di acquistare le proprie obbligazioni statali e ottenere un ampio spread. Allo stesso tempo, le banche hanno preferito liberarsi degli asset al di fuori delle frontiere nazionali, mentre i risk manager tentano di trovare una corrispondenza tra attivi e passivi a livello nazionale piuttosto che collettivamente all’interno dell’eurozona.

Se questa situazione dovesse continuare per diversi anni, un crollo dell’euro diventerebbe possibile senza tuttavia implicare un tracollo generale, ma lascerebbe comunque un enorme credito da parte dei Paesi debitori, che sarebbe senza alcun dubbio difficile da recuperare per gli Stati creditori. Oltre ai trasferimenti e alle garanzie intergovernative, il 30 aprile scorso le richieste di rimborso inoltrate alle banche centrali dei Paesi periferici all’interno del sistema Target2 risultavano pari a 644 miliardi di euro (804 miliardi di dollari), e la somma continua ad aumentare in termini esponenziali a causa della fuga di capitali.

La crisi continua quindi a crescere e le tensioni all’interno dei mercati ?nanziari hanno raggiunto nuovi picchi. Particolarmente signi?cativo è il fatto che il Regno Unito abbia registrato i pro?tti storicamente più bassi pur avendo mantenuto il controllo della sua valuta, e che il premio di rischio sulle obbligazioni spagnole abbia raggiunto un nuovo picco.

L’economia reale dell’eurozona è in declino, mentre la Germania continua a prosperare, il che signi?ca che le divergenze si stanno ampliando. Anche le dinamiche politiche e sociali stanno portando verso la disintegrazione. L’opinione pubblica, come risulta evidente dai recenti risultati elettorali, si oppone sempre di più alle misure di austerità e questa tendenza continuerà molto probabilmente ?no a un’inversione di politica. Bisogna pur concedere qualcosa.

A mio avviso, le autorità hanno una ?nestra di tre mesi per correggere i loro errori e invertire le tendenze attuali. Questo richiederebbe l’attuazione di misure straordinarie per tornare a delle condizioni il più vicino possibile alla normalità, in conformità con i trattati vigenti che potrebbero poi essere rivisti in un clima più tranquillo per evitare nuovi squilibri.

È difficile, ma non impossibile, individuare alcune misure straordinarie in grado di soddisfare questi requisiti. Tali misure dovrebbero poter contrastare contemporaneamente i problemi bancari e del debito sovrano, senza tuttavia trascurare la diminuzione delle divergenze nella competitività.

L’eurozona ha bisogno di un’unione bancaria: uno schema di assicurazione-deposito per contenere la fuga di capitali, una fonte europea di ?nanziamento per la ricapitalizzazione delle banche e un sistema di supervisione e regolamentazione per tutta l’eurozona. I Paesi altamente indebitati avrebbero poi bisogno di un alleggerimento dei costi ?nanziari che potrebbe essere attuato in diversi modi. Il problema è che tutte le modalità possibili richiedono il sostegno attivo della Germania.

Ecco dove è l’ostruzione. Le autorità tedesche stanno lavorando affannosamente per avanzare una serie di proposte in tempo per il vertice dell’Unione europea previsto per ?ne giugno, ma tutti i segnali stanno a indicare che offriranno solo le misure minime sulle quali è possibile raggiungere un accordo tra le varie parti, il che implicherebbe, ancora una volta, un allentamento solo temporaneo.

Siamo comunque a un punto di ?essione. La crisi greca rischia di arrivare al culmine in autunno anche nel caso in cui le elezioni dessero il mandato a un governo disposto a rispettare gli attuali accordi della Grecia con i suoi creditori. Per allora, anche l’economia tedesca sarà indebolita, tanto che sarà ancora più difficile per la cancelliera Angela Merkel persuadere l’opinione pubblica tedesca ad accettare nuove responsabilità a livello europeo.

Riuscendo a impedire un incidente simile a quello della bancarotta della Lehman Brothers, la Germania sarebbe sicuramente in grado di evitare il crollo dell’euro, ma l’Ue diventerebbe molto diversa dalla società aperta che un tempo animava l’immaginazione delle persone. La divisione tra Paesi debitori e creditori diventerebbe permanente e la Germania avrebbe un ruolo dominante, mentre i Paesi periferici diventerebbero l’hinterland depresso.

Un contesto simile solleverebbe inevitabilmente dei sospetti rispetto al ruolo della Germania in Europa, ma qualsiasi paragone con il passato tedesco è del tutto inappropriato. La situazione attuale non è dovuta a un piano premeditato, bensì alla sua mancanza. Si tratta di una tragedia di errori politici. La Germania è una democrazia ben funzionante con la stragrande maggioranza che propende per una società aperta. Nel momento in cui i tedeschi verranno a conoscenza delle conseguenze, si spera non troppo tardi, vorranno senza dubbio correggere i difetti del progetto dell’euro.

È chiaro ciò di cui abbiamo bisogno: un’autorità ?scale europea in grado e disposta a ridurre il peso del debito dei Paesi periferici, e un’unione bancaria. La cancellazione del debito potrebbe assumere altre forme rispetto agli Eurobond, sempre condizionate al rispetto dei termini del trattato di stabilità da parte dei Paesi debitori. Il ritiro totale o parziale della cancellazione del debito nel caso della mancata conformità dei termini del trattato sarebbe una protezione efficace contro un eventuale rischio morale. Spetta alla Germania provare di essere all’altezza delle responsabilità di leadership che sono ricadute su di lei per il suo stesso successo.
*George Soros è presidente del Soros Fund Management e dell’Open Society Institute / Traduzione di Marzia Pecorari / Copyright: Project Syndicate, 2012 / www.project-syndicate.org

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