sabato 2 giugno 2012

pm_2.6.12/ Auf Wiedersehen Europa...

Maro' in tribunale a Kochi, fissata nuova udienza
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Salento ormai in agonia Pil cala del 5,1 per cento
Terremoto in Emilia: i provvedimenti del CdM
Bankitalia: "Quasi 3 milioni gli irregolari"
Crisi, da Bankitalia allarme sulle famiglie giovani: "Più vulnerabili e meno ricche"
Deutsche gioca sui prestiti Bce
Ticino. Federico Caffè economista fuori dal comune
Udin, oltrepadania. No al super sconto benzina: «Decisione sconcertante»

Maro' in tribunale a Kochi, fissata nuova udienza
I due militari italiani torneranno in aula il prossimo 18 giugno
02 giugno, 09:32
KOLLAM (INDIA) - Massimiliano Latorre e Salvatore Girone si sono presentati oggi in tribunale a Kollam per una udienza preliminare riguardante il processo che li vede coinvolti nella morte di due pescatori indiani. Il giudice P.D. Rajan ha ascoltato le richieste delle parti e fissato una udienza per il prossimo 18 giugno.
I due maro' sono giunti a Kollam da Kochi, dove risiedono nella Borstal School poco prima dell'udienza. Indossavano una impeccabile divisa bianca della Marina e sono stati salutati al loro arrivo in tribunale dai membri della delegazione italiana, coordinata dal console generale a New Delhi, Giampaolo Cutillo. L'avvocato dei maro', Rajendran Nair, ha illustrato al giudice alcune esigenze della difesa che riguardano la necessita' di acquisire numerosi documenti che fanno parte dell'impianto accusatorio, ed inoltre l'importanza che la corte nomini traduttori perche' Latorre e Girone non parlano l'inglese. Inoltre l'avvocato Nair ha ricordato che e' pendente presso la Corte suprema di New Delhi una petizione italiana che discute la giurisdizione indiana su quanto avvenuto il 15 febbraio scorso nelle acque al largo del Kerala, per cui varrebbe la pena attendere quell'udienza (prevista per il 26 luglio) prima di entrare nel vivo del processo di Kollam. Il magistrato ha comunque rilevato che il processo deve ancora verificare i fatti accaduti e che la discussione puo' comunque cominciare il 18 giugno.
All'inizio del pomeriggio (la fine della mattina in Italia) un altro giudice verifichera' la bonta' dei documenti e delle garanzie raccolte dal team italiano per la concessione della liberta' dietro cauzione (bail), che potrebbe divenire effettiva gia' oggi.
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Salento ormai in agonia Pil cala del 5,1 per cento
di Davide Stasi
LECCE - Una lenta agonia in attesa della ripresa. L’economia salentina non vede ancora la luce e registra, ancora una volta, valori negativi. Gli ultimi dati della Camera di commercio di Lecce sono sconfortanti. Perché vedono il Salento «precipitare» del 5,1 per cento in termini di prodotto interno lordo. Una percentuale alta, altissima, se si pensa alle conseguenze occupazionali e non solo.
E’ questo il segnale che la recessione, in provincia di Lecce, morde ancor di più che altrove. Il dato regionale, infatti, è meno 0,7 per cento. Quello nazionale è addirittura in controtendenza: più 1,7 per cento.
Il Salento sembrerebbe, così, sull’orlo del precipizio. A meno che ognuno non faccia la propria parte. Ed in fretta. Questo, in sintesi, il messaggio venuto fuori dalla decima Giornata dell’economia, celebrata ieri mattina, nella sala consiliare dell’ente camerale, al quale hanno preso parte rappresentanti istituzionali e politici, presidenti e direttori delle associazioni di categoria, segretari delle organizzazioni sindacali, vertici degli istituti di credito locali. Erano presenti tutti i soggetti a vario titolo coinvolti ed in tanti hanno preso la parola per illustrare le cause della crisi.
In sostanza, se tutte le forze politiche, economiche e sociali del territorio facessero quanto gli compete, forse si farebbe un passo in avanti per intravedere qualche spiraglio di luce.
Il campanello d’allarme è «risuonato» e, anche in questa occasione, le istituzioni hanno manifestato la propria disponibilità ad affrontare i problemi ancora irrisolti. A cominciare dal credito che vede contrapporsi, da un lato, il mondo imprenditoriale e, dall’altro, le banche, costrette ad osservare regole sempre più rigide per tenere sotto controllo i propri bilanci.
Una frattura apparentemente insanabile. E di certo non aiuta l’attuale clima di incertezza e sfiducia vissuto dalle imprese.
Tuttavia, non mancano i segnali positivi. Due, in particolare. Il primo è l’aumento del numero delle aziende: 939 in più nel confronto tra il 2010 e il 2011. Questo a dimostrazione di una certa vitalità e voglia d’impresa, nonostante i tempi che corrono.
Anche se qualcuno potrebbe obiettare che «fare impresa», oggi, rappresenta solo l’«ultima spiaggia», anziché essere un indicatore della ripresa. Per i disoccupati, ad esempio, non ci sarebbero alternative.
La seconda nota positiva è la decrescita delle ditte individuali a vantaggio delle società di capitali. Questo presuppone l’avvio di un processo di irrobustimento del tessuto economico provinciale, in quanto, questa forma giuridica è «solida dal punto di vista organizzativo e gestionale, nonché la più onerosa».
Non entusiasma, però, il sondaggio effettuato dall’ente camerale su un campione di imprenditori leccesi. Per il 2012, infatti, il 16,5 per cento degli intervistati, «per far fronte alle problematiche aziendali riscontrate in questi anni», prevede ulteriori diminuzioni di personale. Per fortuna, l’80 per cento pensa di mantenere inalterato il numero di addetti. Soltanto il tre per cento si dice ottimista e crede di assumere nel corso dell’anno.
Troppo poco per recuperare terreno rispetto ad altri territori che, pur soffrendo la crisi, «galleggiano», almeno, a ridosso dell’asticella che delimita i valori positivi da quelli negativi.
Gli ultimi dati disponibili sulla nati-mortalità delle imprese, riferiti al primo trimestre, riportano un saldo negativo di meno 572 aziende.
In questo dato, però, sono «contabilizzate» anche le cessazioni del mese di dicembre. E’ naturale che chiuda in rosso. Tant’è che, analizzando i dati mensili, si evidenziano i saldi negativi del mese di gennaio (meno 660 imprese) e febbraio (meno 243), mentre il mese di marzo chiude con più 329 unità.
Occorre attendere i dati del secondo trimestre per sapere se il segno negativo è dovuto alle consuete cessazioni di fine anno oppure a dinamiche di carattere economico. Al 31 marzo, le imprese registrate ammontano a 72.253 con un aumento, rispetto al primo trimestre del 2011, pari allo 0,28 per cento, mentre le localizzazioni (le filiali di imprese già censite) sono 83.284. Un bel numero per una provincia che conta circa 800mila abitanti.

Terremoto in Emilia: i provvedimenti del CdM
30 Maggio 2012
Il Consiglio dei Ministri odierno, dopo aver osservato un minuto di raccoglimento per commemorare le vittime del terremoto del 29 maggio, ha approvato:
1. l’estensione dello stato di emergenza alle Province di Reggio Emilia e Rovigo. Al Presidente della Regione sono affidati i compiti di Commissario per la ricostruzione. Ai Sindaci dei Comuni colpiti dal sisma sono affidate le funzioni di Vice Commissari;
2. L’istituzione di una giornata di lutto nazionale per lunedì 4 giugno;
3. Un decreto ministeriale di rinvio dei versamenti fiscali e contributi a settembre;
4. L’applicazione di un decreto legge che prevede:
- la concessione di contributi a fondo perduto per la ricostruzione e riparazione delle abitazioni danneggiate dal sisma, per la ricostruzione e la messa in funzione dei servizi pubblici (in particolare le scuole), per gli indennizzi alle imprese e per gli interventi su beni artistici e culturali;
- l’individuazione di misure per la ripresa dell’attività economica. In particolare sono previsti un credito agevolato su fondo di rotazione CDP e sul fondo di garanzia MedioCredito Centrale;
- la delocalizzazione facilitata delle imprese produttive nei territori colpiti dal terremoto;
- la proroga del pagamento delle rate del mutuo e la sospensione degli adempimenti processuali e dei termini per i versamenti tributari e previdenziali, degli sfratti.
- la deroga del Patto di stabilità, entro un limite definito per i Comuni, delle spese per la ricostruzione.
A copertura di questi interventi è stato deciso l’aumento di 2 centesimi dell’accisa sui carburanti per autotrasporto così come l’utilizzo di fondi resi disponibili dalla spending review.
Il decreto legge del Governo segue ai primi interventi di soccorso predisposti ieri dal Comitato operativo della Protezione Civile, che aveva già operato per gli eventi sismici dei giorni scorsi dal 20 maggio al 23 maggio. Il Comitato ha potenziato i Centri operativi per la gestione dell’emergenza con l’attivazione di un nuovo Centro Coordinamento Soccorsi a Bologna, che si aggiunge a quelli già attivi. Il Capo del Dipartimento, accompagnato da un team di esperti, ha avviato un sopralluogo nei territori colpiti dal sisma. Contestualmente le strutture operative del servizio nazionale della protezione civile continuano ad operare nel territorio con un ulteriore potenziamento delle forze. Le strutture di accoglienza già attive sul territorio sono state potenziate ciascuna del 20% per un totale di ulteriori 1250 posti letto. L’eventuale restante fabbisogno assistenziale sarà soddisfatto con il ricorso alle strutture alberghiere presenti nel territorio regionale.

Bankitalia: "Quasi 3 milioni gli irregolari"
Sono il 12,3% del totale, vincono i servizi
Dalla Relazione annuale emerge che il sommerso è presente soprattutto nell'agricoltura e nel commercio. Nell'industria il peso è marginale al 6,6% e risente del fattore edilizia dove gli addetti "atipici" sono 218mila
MILANO - Le unità di lavoro irregolari nel 2010 hanno sfiorato quota tre milioni (2,96 milioni) toccando il 12,3% del totale: è quanto emerge dalla Relazione annuale di Bankitalia secondo la quale se si guarda alle persone (senza considerare i doppi lavori compresi nelle unità di lavoro) i sommersi sono 2.549.000, pari al 10,3% del totale. I settori dove è più forte il lavoro sommerso restano agricoltura (quasi un quarto del totale) e i servizi (13,5%) mentre l'industria si limita al 6,6% di sommerso.
l dato sulle unità di lavoro irregolari è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni, ma l'incidenza percentuale sul totale dell'occupazione è cresciuta perché sono diminuiti gli occupati. Se quindi le unità di lavoro irregolari sono passate da 2.941.000 nel 2009 a 2.959.000 nel 2010 l'incidenza sul totale è passato dal 12,1% al 12,3%. Se si guarda alle persone fisiche irregolari il dato è rimasto stabile (da 2.554.000 a 2.549.000) con un incidenza rimasta stabile al 10,3%.
Le unità di lavoro irregolari - secondo le tabelle contenute nell'appendice della Relazione annuale - si concentrano nei servizi (2,2 milioni su 2,9 milioni) e in particolare nel commercio, gli alberghi e i ristoranti (1,2 milioni di unità irregolari e il 18,7% del totale del comparto). Il dato è qui molto superiore per le unità di lavoro rispetto alle persone (solo 1,7 milioni di irregolari, 445mila delle quali nel commercio, alberghi e 
ristoranti) probabilmente    perchè in questi settori è molto
frequente il doppio lavoro (quindi operano persone che hanno un lavoro irregolare ma arrotondano con un secondo lavoro in nero).
Il lavoro irregolare è molto frequente anche in agricoltura (321mila unità di lavoro irregolare pari al 24,9% del totale) per circa 372mila persone coinvolte (non tutte evidentemente impegnate a tempo pieno). Se si guarda alle persone in agricoltura sono irregolari il 37,4% del totale, oltre una su tre. L'industria resta un settore nel quale il lavoro sommerso è residuale con 419mila unità di lavoro irregolare e il 6,6% del totale. Ma il dato risente del lavoro irregolare nelle costruzioni: in edilizia infatti le unità di lavoro irregolari sono 218mila (l'11,3% del totale) mentre nell'industria in senso stretto sono 202.000 (il 4,6% del totale).
Nelle tabelle si evidenzia che le unità di lavoro irregolari sono prevalentemente dipendenti (2,3 milioni a fronte di 657mila indipendenti) con il 13,4% di irregolarità tra i dipendenti e il 9,6% tra gli indipendenti.
(02 giugno 2012)

Crisi, da Bankitalia allarme sulle famiglie giovani: "Più vulnerabili e meno ricche"
Roma, 2 giu. (Adnkronos) - Famiglie giovani meno ricche e più vulnerabili. E' l'effetto della crisi, che ha invece aumentato la concentrazione della ricchezza finanziaria nel 10% delle famiglie più ricche e 'anziane': più del 60% del totale delle attività finanziarie è detenuto da nuclei con capofamiglia over 55. E' il quadro che delinea la relazione annuale di Bankitalia.
I dati dell'Indagine sui bilanci delle famiglie italiane confermano l'evidenza macroeconomica: tra il 2008 e il 2010 la ricchezza netta è rimasta pari a circa 8 volte il reddito disponibile. Tale rapporto è invece diminuito nel medesimo periodo da 5,4 a 5,1 per i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni, a fronte dell'aumento registrato per le altre classi di età. Le famiglie giovani detengono strutturalmente un patrimonio inferiore al resto della popolazione; il divario si è tuttavia accentuato negli ultimi anni, soprattutto a causa della diversa dinamica della componente finanziaria.
La concentrazione della ricchezza finanziaria è aumentata durante la crisi: la quota di attività finanziarie posseduta dal 10 per cento delle famiglie più ricche è salita, tra il 2008 e il 2010, dal 44 al 47 per cento. Più del 60 per cento del totale delle attività finanziarie è detenuto da nuclei con un capofamiglia di età superiore a 55 anni, mentre ha continuato a ridursi la quota posseduta da quelli con capofamiglia di età inferiore a 35 anni (meno del 4 per cento nel 2010, oltre dieci punti percentuali più bassa di quanto osservato nella prima meta' degli anni novanta).
Non solo, le famiglie giovani sono anche quelle che hanno meno propensione all'investimento finanziario. Nel 2010, prosegue l'analisi di Via Nazionale, l'80 per cento del portafoglio dei nuclei con capofamiglia giovane era detenuto sotto forma di depositi, una percentuale più elevata di quella dell'intero campione, pari al 54 per cento.
Anche gli indicatori di vulnerabilità sono peggiorati in misura più marcata per i nuclei con capofamiglia giovane: tra questi ultimi, la quota di quelli che non hanno attività finanziarie liquide sufficienti a garantire un tenore di vita al livello della soglia di povertà per almeno sei mesi in caso di perdita del reddito ha raggiunto nel 2010 il 17 per cento, quasi quattro punti in più rispetto al 2008; per il campione nel suo complesso sia l'incidenza sia l'aumento sono stati inferiori (10 per cento nel 2010, dal 9 nel 2008).

Deutsche gioca sui prestiti Bce
di Alessandro Plateroti
Per far irritare i tedeschi, basta accusarli di speculare sulla crisi dei Paesi periferici dell'euro: dalla cancelliera Angela Merkel ai vertici della Bundesbank, reazioni sdegnate e gesti di rabbia sono la risposta immediata a chi fa loro notare che più la crisi si trascina più i tassi tedeschi scendono, con enormi risparmi sul costo della raccolta e sul servizio del debito.
Certo, attribuire alla Germania un destabilizzante disegno occulto per guadagnare alle spalle dei «deboli» è forse eccessivo, ma sta di fatto che più peggiorano le condizioni di credito di Italia e Spagna più migliorano quelle della Bundesrepublik, i cui tassi di interesse sui Bund sono ormai prossimi allo zero.
Di questa situazione, ovviamente, beneficiano soprattutto le aziende e le banche tedesche, cha al contrario dei concorrenti italiani e spagnoli hanno la possibilità di rivolgersi al mercato dei capitali con un costo della raccolta davvero irrisorio: i bond corporate tedeschi pagano tassi di pochi punti percentuali. Senza contare che gli stessi istituti tedeschi hanno potuto attingere a piene mani anche dall'assegnazione illimitata di fondi della Bce all'1%: finanziamenti quasi-gratis che erano stati concepiti per aiutare le banche europee più in difficolta, insomma, sono finiti anche nelle casse di chi non ne aveva certamente bisogno. E proprio qui viene il problema.
Ieri abbiamo infatti appreso che la Bafin, la Consob tedesca, ha tentato di impedire a UniCredit di prendere in prestito miliardi di euro di liquidità dalla sua controllata in Germania. Nessuna legge impediva o impedisce a UniCredit una simile procedura - la banca italiana opera in Germania attraverso la rete di Hvb, che è a tutti gli effetti una banca tedesca - eppure la Bafin si è messa di traverso: raccogliendo denaro in Germania e poi trasferendolo in Italia, era la tesi dell'Authority, UniCredit metteva a repentaglio la sicurezza del risparmio tedesco. Il blitz della Bafin, fortunatamente, è stato bloccato dalla Banca d'Italia. Ma ciò che rende il fatto più paradossale e forse grottesco è che mentre l'authority tedesca dava lezioni agli italiani, proprio la più grande banca tedesca, Deutsche Bank, utilizzava le sue filiali italiane e spagnole per farsi prestare di nascosto soldi a tasso super-agevolato dalla Bce per poi trasferirli chissà dove. Un bel giochetto davvero, questo, della cui esistenza si è appreso soltanto grazie ai bilanci depositati dalle due «filiali disagiate», che nel complesso si sono fatte prestare dalla Bce circa 9 miliardi di euro rimborsabili in tre anni con tasso 1%. In particolare, Deutsche Bank Italia ha preso in prestito 3,5 miliardi di euro, mentre Deutsche Espanola ha messo in cassa 5,5 miliardi di euro. Dove sono finiti questi soldi? Sono rimasti in Italia e Spagna a beneficio dei clienti e delle imprese o sono tornati in Germania? Ovviamente, non lo sapremo mai: interpellata da Bloomberg in Germania, la Deutsche Bank si è rifiutata di fornire spiegazioni e commenti. Ma a rendere ancora più sgradevole la posizione tedesca non è l'arroganza, ma soprattutto la menzogna, la mistificazione dei fatti. In un incontro con gli analisti in 2 febbraio scorso, infatti, fu lo stesso amministratore delegato Joseph Ackermann ad affermare che la banca non avrebbe probabilmente fatto ricorso ai prestiti straordinari della Bce per evitare il rischio di «danni reputazionali», una tesi poi sostanzialmente ribadita il 26 aprile scorso dal direttore finanziario del gruppo bancario tedesco Stefan Krause: «Abbiamo preso una cifra piccola, davvero irrisoria - disse Krause agli analisti - per esigenze di cassa in Europa continentale». I casi sono due: o Spagna e Italia si sono spostate verso nord sulla cartina geografica, o i soldi presi in prestito nei due Paesi dell'Europa meridionale sono finiti altrove. Auf Wiedersehen Europa...
 2 giugno 2012

Ticino. Federico Caffè economista fuori dal comune
di Ronny Bianchi - 06/02/2012
Il 25 aprile 1987, Federico Caffè, uscì da casa e non vi fece più ritorno. Nessun seppe più nulla e il suo corpo non fu mai ritrovato.
Oggi, a 25 anni dalla sua scomparsa, in piena crisi economica, si ritorna a discutere del pensiero di questo importante economista keynesiano, che fu maestro, tra gli altri, dell’attuale direttore della Banca centrale europea, Mario Draghi. Le sue analisi sono drammaticamente attuali.
Di seguito presentiamo alcuni passaggi pubblicati in ‘Di un’economia di mercato compatibile con la socializzazione delle strutture ?nanziarie’, pubblicato per la prima volta sul ‘Giornale degli Economisti’, settembre-ottobre ’71 e ripresi dal sito www.sbilanciamoci.info. “Da tempo sono convinto che la sovrastruttura ?nanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei Paesi (...)
 (...) capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori in un quadro istituzionale che di fatto consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro peculi. Esiste una evidente incoerenza tra i condizionamenti di ogni genere che vincolano l’attività produttiva reale dei vari settori agricoli industriali, di intermediazione commerciale e la concreta licenza di espropriare l’altrui risparmio che esiste per i mercati ?nanziari.
Un rilievo del genere non trae origine da fatti episodici o da insufficienze istituzionali attribuibili a carenze legislative.
Si tratta di una costatazione originata dalla persistenza evidente, nell’ambito delle strutture ?nanziario-borsistiche, di un capitalismo aggressivo e violento, che non sembra avere nulla in comune con lo ‘spirito di responsabilità pubblica’ rilevabile come componente di una moderna strategia oligopolistica nell’ambito dell’attività produttiva industriale.
(…) Esercita tuttora un anacronistico fascino (e ha, soprattutto, deleterie possibilità di azione) il manipolatore spregiudicato di titoli di varia specie sui mercati ?nanziari interni e internazionali. Si tratta di una smagliatura logica, il cui esame presenta un interesse non minore delle raffinate analisi intorno alla composizione ottimale del portafoglio in condizioni varie di incertezza. (Non) si dà minor prova di ‘provincialismo’ ( posto che i dibattiti economici debbano svolgersi sulla base di addebiti del genere) allorché si prospettano gli assetti istituzionali ‘altrui’ dei mercati ?nanziari e borsistici come modelli ideali verso i quali si dovrebbe tendere. Qui veramente si è in presenza di informazioni insufficienti o di una congenita tendenza a vedere il paradiso nell’inferno degli altri.
(...) La capacità del pubblico di ‘esporsi a delusioni speculative [nelle parole di Galbraith] è esemplificata (...) dalla crescente influenza esercitata sul pubblico da cronisti o improvvisati esperti finanziari che, con l’ausilio dei moderni mezzi di informazione, sono in grado di orientare decisamente il mercato nel senso da essi suggerito.
(...) È certamente sorprendente che, in un periodo nel quale è ben nota la pressione esercitata in varie forme sulle preferenze dei consumatori, in vista di condizionarle, in?uenzarle e indirizzarle nelle direzioni volute, si prospetti il mercato ?nanziario come quello nel quale la ‘sovranità del risparmiatore’ avrebbe possibilità di affermarsi. Che, anche nel settore ?nanziario, l’inesperienza degli operatori sia manipolata con forme sottili di suggestione e di propaganda (...), che l’azione pubblicistica svolta in questo campo sia necessariamente di tipo persuasivo, dato che nessuno possiede le informazioni occorrenti per un’attendibile valutazione dell’andamento futuro dei mercati ?nanziari, che l’intermediazione specializzata miri in sostanza a soddisfare esigenze in larga parte arti?ciose che essa stessa concorre a creare, sono aspetti che non andrebbero ignorati.
(...) L’operare quotidiano di Borsa, a prima vista, sembra identi?carsi con il meccanismo automatico delle forze di domanda e offerta ma, in realtà, le cose stanno in modo diverso. [Come ha osservato Baumol] ‘Il meccanismo automatico non è lasciato a se stesso; c’è un uomo nascosto nel meccanismo e che in effetti lo fa muovere. Poiché questa è, in essenza, una delle funzioni principali di chi opera come specialista nel mercato di Borsa’.
(...) Anziché come soggetto che operi in condizioni competitive, egli va correttamente analizzato come monopolista, o oligopolista, in grado di amministrare i prezzi rispetto al gruppo (concorrenziale) degli operatori che gli sono di fronte quali venditori o compratori.
La conseguenza ultima è che ‘i prezzi ai quali si perviene sui mercati ?nanziari e le quantità di titoli vendute ed acquistate non sono ottimali dal punto di vista sociale (...). Ne deriva così un insieme signi?cativo (anche se non de?nitivo) di elementi informativi che dovrebbero relegare nel novero dei ‘miti’ la concezione della Borsa come guardiana dell’efficienza”.

Udin, oltrepadania. No al super sconto benzina: «Decisione sconcertante»
Le critiche del presidente del settore (Confcommercio) dopo la scelta della giunta. «Errore gravissimo che cancella risorse considerevoli e farà chiudere molti»
UDINE. «Un errore gravissimo, un atteggiamento sconcertante». Pio Traini tuona contro la Regione Fvg che ha cancellato lo sconto aggiuntivo di 6 centesimi sull’acquisto della benzina verde sul territorio. Una decisione, secondo il presidente regionale di Confcommercio «che avvia il nostro comparto verso una rapida scomparsa. Nell’attesa di sapere finalmente quante risorse arriveranno da Roma per questa partita, chiediamo a gran voce che si decida una volte per tutte di sostenere un settore strategico per la comunità regionale».
 Ma, in questa vicenda, non si tratta solo di una perdita di posti lavoro. «La Regione, grazie all’extrasconto, negli ultimi mesi aveva visto rientrare risorse considerevoli su Iva e accise – ricorda Traini –. Sarebbe stato dunque opportuno che la giunta Tondo, pur nella consapevolezza della rigidità del bilancio, avesse prolungato la misura di incremento degli sconti che così bene aveva funzionato da febbraio a maggio».
 Un atteggiamento, insiste Traini, «che si aggiunge all’aumento da 2 centesimi deciso dal governo nazionale per l’emergenza terremoto: le aziende di distribuzione carburanti sono state usate un’altra volta come bancomat».
 Secondo Confcommercio Fvg, «la Regione dovrebbe fare dietrofront e reinvestire i maggiori introiti di Iva e accise per proseguire con un provvedimento che si è rivelato virtuoso per tutti: per le casse pubbliche, i cittadini e una categoria in grande sofferenza come quella dei gestori di impianti di carburante. Gestori – sottolinea Traini – che hanno sopportato una doppia tassazione nel momento in cui, per assecondare la delibera regionale e offrire al cliente un prezzo alla pompa inferiore a quello sloveno, hanno accettato di abbassare il loro margine. E, nel contempo, hanno pure fatto pressione, con successo, sulle compagnie petrolifere per una ulteriore riduzione di prezzo».
 A scanso di equivoci, va ribadito che lo sconto “normale” rimane comunque in vigore, e non è più una misura che scade alla fine del mese. Da gennaio a maggio la Regione ha speso circa 700 mila euro al mese per abbassare il prezzo del litro alla pompa ed evitare la fuga di automobilisti e trasportatori in Slovenia. L’obiettivo è riuscito parzialmente, perché le file ai distributori oltre confine sono una realtà quotidiana ed è facile prevedere aumenteranno nelle prossime ore.
 Il punto nodale della situazione è il rapporto con il Governo. L’esecutivo di Mario Monti, dopo un lungo e insistito pressing delle Regioni di confine, ha deciso di stanziare 20 milioni di euro per sostenere Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte. Una scelta miope: il governo, infatti, ha eliminato l’emendamento dei parlamentari Fvg sulla benzina – che portava la compartecipazione della Regione dal 30 al 36% –, regalando 230 milioni l’anno tra accise e Iva. Tutti soldi che gli automobilisti della nostra regione porteranno in Slovenia.


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