sabato 28 luglio 2012

(2) XXVIII.VII.MMXII/ Taras, Giacomo Rizzo: Non può esserci un bivio per la magistratura tra la tutela del posto di lavoro e la tutela dell’ambiente. Esiste - ha sottolineato il procuratore Giuseppe Vignola - l'obbligatorietà dell’azione penale e la necessità di perseguire i reati.

Procuratore generale: «L'Ilva di notte violava le prescrizioni»
L’allarme dei periti al pm: «L’Ilva truccava le analisi»
Paralisi alla Regione: legge sui tagli bloccata dall'Ars          
I comuni fanno cassa con le multe, anche raddoppiati obiettivi di gettito 2012

Procuratore generale: «L'Ilva di notte violava le prescrizioni»
di Giacomo Rizzo
TARANTO - «I fumi hanno ucciso e non c’era alternativa al sequestro». Parla il procuratore generale della Corte d’Appello di Lecce e alle sue spalle un monitor diffonde le immagini dei veleni delle ciminiere. Di giorno il cielo si oscura. Di notte ha un effetto contrario. «Non può esserci un bivio per la magistratura tra la tutela del posto di lavoro e la tutela dell’ambiente. Esiste - ha sottolineato il procuratore Giuseppe Vignola - l'obbligatorietà dell’azione penale e la necessità di perseguire i reati». L’inchiesta antismog è culminata nel sequestro dell’intera area a caldo dello stabilimento Ilva di Taranto, e nella notifica degli arresti domiciliari nei confronti di otto tra dirigenti ed ex dirigenti dell’azienda, a partire dal patron Emilio Riva.
«Il lavoro dei periti - ha aggiunto Vignola - è stato ineccepibile: non c'era altra strada se non il sequestro, non c'era possibilità di adottare altri provvedimenti». Alla conferenza stampa hanno partecipato anche il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, il sostituto procuratore generale della Corte di appello di Lecce-sezione di Taranto, Ciro Saltalamacchia, i pm Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile e il comandante del Noe di Lecce Nicola Candido.
I dati emersi dalle consulenze (chimica e medico-epidemiologica) disposte dal gip Patrizia Todisco sono stati definiti «terrificanti». In 13 anni di osservazione, dal 1998 al 2010, «sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali (30 per anno), ovvero l’1.4% della mortalità totale, la gran parte per cause cardiache». È quanto ha sottolineato il perito Francesco Forastiere durante la sua audizione nel corso dell’incidente probatorio.
«Quello del gip Todisco - ha ammesso il procuratore Vignola - è un provvedimento estremamente sofferto e la sofferenza si coglie in ogni rigo. Le responsabilità politiche, amministrative, eco nomiche non spetta a noi cercarle. Abbiamo operato nel recinto delimitato dal Codice».
Il procuratore generale ha censurato il comportamento dell'Ilva che «di giorno rispettava le prescrizioni imposte, ma di notte le violava», e questo - ha osservato ancora Vignola - «è confermato da rilievi fotografici eseguiti per 40 giorni nel corso dell’inchiesta».
Tre procedimenti giudiziari, scaturiti dalle denunce di privati, ambientalisti e dal primo cittadino di Taranto Ezio Stefàno («qua - scriveva il sindaco-pediatra - muoiono le persone, c’è pericolo per i bambini»), sono stati riuniti in un unico fascicolo. L’obiettivo era quello di consacrare i dati sull’inquinamento in un incidente probatorio, strumento che permettere di raccogliere la prova prima del processo e nel contraddittorio tra le parti. «Ricordo i morti sul lavoro di Marghera e Genova. I nostri morti - ha puntualizzato Vignola - non sono di serie B, hanno diritto di essere tutelati».
Il procuratore di Taranto Franco Sebastio ha ricordato che «da parte della difesa dell’azienda non è stata espletata fino ad oggi alcuna concreta attività difensiva. Ad esempio, nessuna controperizia che contestasse le relazioni tecniche». Se qualche indagato, ha affermato il procuratore, «dovesse chiedere di rivedere le misure, la richiesta sarà esaminata da noi con massima attenzione e coscienza». Sebastio ha precisato inoltre che eventuali richieste «devono arrivare da soggetti legittimati processualmente», ricordando che la fase di attuazione del decreto di sequestro preventivo degli impianti dell’area a caldo del siderurgico non è ancora concretamente iniziata.
«Voglio vedere – ha concluso il magistrato, che da pretore condannò i vertici dell’ex Italsider già nel luglio del 1982, e sempre per emissioni nocive – se finalmente si può arrivare ad una conclusione positiva e accettabile, non perfetta ovviamente, in relazione ad una attività di controllo che la magistratura ha iniziato 30 anni fa». Sognando le nuvole bianche.

L’allarme dei periti al pm: «L’Ilva truccava le analisi»
di Massimiliano Scagliarini
Non c'è solo quella che una sentenza di Appello del 2004 definiva «un'abile opera di maquillage». C'è, soprattutto, ciò che oggi viene descritto come «una chiara attività ostruzionistica» per bloccare i controlli che avrebbero dovuto accertare il rispetto delle leggi sull'inquinamento. Ma - scrive il gip Patrizia Todisco nelle 303 pagine di ordinanza che hanno condotto 8 persone agli arresti domiciliari - alle costose misure strutturali che avrebbero risolto il problema una volta per tutte, l'Ilva ha preferito soluzioni di facciata, scorciatoie che si tramutano a volte in «mistificazioni». Vere e proprie prese in giro che hanno pesato, e non poco, nella decisione dei magistrati di arrestare i Riva e i loro top manager.
Va forse ricordato che secondo le perizie lo sversamento di polveri causato oggi dagli otto parchi minerali dell’Ilva è risultato «paragonabile rispetto a quanto rilevato nel corso della campagna di monitoraggio condotta nel 1999»: detto in altri termini, negli ultimi 12 anni - secondo i consulenti della procura - il vento ha continuato a spandere carbone e coke esattamente come al solito. In quanto alle diossine ed ai furani, l’inquinante più pericoloso emesso dal camino E312 e forse quello più pericoloso di tutti, nel febbraio scorso l’azienda ha dichiarato durante il processo che non è mai stato installato il sistema di monitoraggio in continuo: c’è il controllo delle polveri, del cloruro di idrogeno, del floruro di idrogeno, del biossido di zolfo, del monossido di carbonio ma non delle sostanze più pericolose di tutte.
Ed ecco perché il gip parla di «gravissimo comportamento» dei responsabili dell'acciaieria in occasione dei controlli del maggio 2011 al camino E312. Nell’informativa inviata dall'Arpa alla procura di Taranto si prefigurano possibili complicità dei tecnici del Cnr, tanto pesanti da far esprimere al gip «seri dubbi» sulla validità dei dati sulle emissioni forniti dall'Ilva. «Dopo un primo tentativo vanificato dalla circostanza che il macchinario utilizzato dal laboratorio incaricato da Ilva del Cnr-Iia di Monterotondo era spento (nonostante numerosi tentativi non si riusciva a riavviarlo), ed un secondo tentativo vanificato dal cattivo uso dei macchinari rilevato dai tecnici Arpa, tale laboratorio (quello del Cnr, ndr), dopo avere comunicato la data del 20.05.2011 per le successive analisi, inopinatamente procedeva nei giorni precedenti ad eseguire tali analisi». Ai tecnici dell'Arpa viene insomma consegnato un fogliettino con i numeri in regola, senza possibilità di verifica: «Era richiesto (dal dottor Esposito dell’Arpa) di visionare i dati grezzi relativi a tutti gli autocontrolli che la società Ilva aveva commissionato al Cnr Iia. Dai documenti esibiti risultava che i report relativi a tali analisi erano stati prodotti da strumentazione Hrms modello Thermo Dfs che non risultava al 20.05.2011 presente nei laboratori CNR-Iia. Una successiva nota del Cnr chiariva che tali analisi erano state effettuate in altre strutture tecniche senza specificare quali». Ripetiamo: su quei campioni, analizzati chissà dove e chissà da chi, si formano i dati di emissione di diossine e furani che dovrebbero garantire i tarantini sull’assenza di pericoli per la loro salute.
E mica è finita qui. Nel 2007, nel corso di un sopralluogo allo stesso camino E312, al direttore provinciale dell’Arpa, Gioacchino Di Natale viene segnalato il fax con cui un sindacalista della Fiom, Francesco Rizzo, denuncia «notevole presenza di polveri altamente inquinanti» nel parco minerali (la zona di stoccaggio del carbone). Era accaduto che la materia prima in arrivo dai nastri trasportatori non veniva bagnata come sarebbe stato opportuno, generando dunque un nuvolone di polvere nera che Di Natale fa in tempo a fotografare. Salta fuori, dalle parole di Rizzo, che «la bagnatura solitamente non è effettuata per specifiche necessità di processo in quanto l’umidificazione dell’agglomerato non è opportuna per il successivo utilizzo del materiale in altoforno», e che anche la bagnatura delle strade veniva ridotta al minimo per via di «un ordine di servizio del direttore dello stabilimento che vieta in particolare la bagnatura delle strade asfaltate».
Gli ispettori si spostano verso i capannoni per leggere con i loro occhi questo ordine di servizio. Ed ecco cosa relaziona Di Natale ai magistrati: «Nel corso della constatazione è sopraggiunto il capo reparto dell'area parchi, ing. Marco Andelmi, il quale ha chiesto di essere informato circa la motivazione del sopralluogo in corso in quell'area dell'impianto. L'ing. Andelmi ha respinto successivamente le affermazioni del sig. Rizzo precisando che tutte le operazioni di bagnatura previste sono costantemente realizzate ed ha chiesto di potersi recare nuovamente presso lo stock-house n. 4 per constatare anch'egli lo stato di emergenza ambientale riferito. Il sig. Rizzo ha quindi condotto nuovamente tutti i presenti presso il punto di vista del cumulo allo stock-house n. 4. Si è potuto osservare che le strade asfaltate, percorse precedentemente e risultate completamente asciutte, durante il tragitto di ritorno si presentavano opportunamente bagnate da autocisterne. Dal confronto con lo scenario precedentemente osservato si è potuto constatare che l'operazione ha apportato evidenti benefici in termini di riduzione della polverosità indotta dalla movimentazione dei mezzi».

Paralisi alla Regione: legge sui tagli bloccata dall'Ars          
Ancora uno stop per la norma che dovrebbe cancellare 2 mila regionali. Il presidente della commissione Bilancio, Savona: "Va data priorità a precari, Ast e isole minori". L'assessore Armao: "In questo modo, il rischio bancarotta si avvicina"
di GIACINTO PIPITONE
PALERMO. «La situazione mi sembra molto complicata»: Riccardo Savona, presidente della commissione Bilancio dell’Ars, fotografa così lo scontro fra Parlamento e governo sulla norma che dovrebbe introdurre tagli per almeno 150 milioni agganciati a una riduzione del personale regionale. Misure impopolari che i deputati non vogliono varare in campagna elettorale. La norma deve essere approvata entro lunedì notte dall’aula perchè martedì Lombardo si dimetterà interrompendo la legislatura.
Ma da mercoledì a ieri la legge non ha fatto neppure un passo in commissione, dove il tempo scade oggi. Il testo che riproduce la spending review nazionale sta a sua volta paralizzando l’iter di altre due norme: l’assestamento di bilancio e la legge omnibus, che contengono stanziamenti per precari, bus pubblici e collegamenti marittimi. È su queste pressa invece il Parlamento. Savona si fa interprete del pressing: «Mi sembra sia più urgente pensare alle tante emergenze che stanno scoppiando. Dalla crisi dell’Ast ai precari senza dimenticare i dissalatori per le isole minori». Provvedimenti che in campagna elettorale danno un vantaggio a dispetto di misure impopolari come il taglio di duemila dipendenti regionali, con annesso abbattimento di buoni pasto, e la riduzione di 15 milioni nel finanziamento dell’Ars.
Oggi il cammino della legge sarà reso più difficile da una mossa che Savona ha annunciato ieri: «Ho convocato in commissione i sindacati dei regionali per chiedere loro
proposte migliorative del testo». Ne è nato un braccio di ferro perchè Armao ha posto paletti sugli altri due testi, quelli più cari ai deputati. La copertura finanziaria - 13 milioni - della norma che garantisce gli stipendi a novembre e dicembre ai 22 mila precari dei Comuni e ai 6.500 Asu è stata data sottraendo risorse agli enti locali. I deputati, soprattutto del Pdl, hanno scosso il capo. Altre misure sarebbero finanziate con un
taglio di 20 milioni all’Irfis. Mossa che ispira la dietrologia di Savona e di Marianna Caronia: «Se alla guida dell’istituto fosse andato Armao, non sarebbero mai stati tagliati tanti soldi».
L’assessore ha quindi chiesto in aula di fermare la votazione sui due testi cari ai deputati: se ne riparlerà lunedì, quando si voterà su tutti i disegni di legge. Si attiverà quindi una trattativa a 360 gradi e potrebbero essere inserite alcune misure della spending reviw nel testo sull’assestamento tecnico. Avviando quindi un percorso di risanamento che verrebbe consegnato come una road map al prossimo governo. Intanto Armao ieri ha messo in guardia dai rischi parlando per la prima volta di default: «Vedo delle resistenze all’Ars nell’approvazione di questa legge. Faccia appello al senso di responsabilità del Parlamento perché bisogna dare un segnale ai mercati e risposte agli input del governo Monti». Armao guarda con preoccupazione alle mosse delle agenzie di rating che stanno aggravando il giudizio sull’affidabilità finanziaria della Regione: «Se il rating calerà ancora - spiega l’assessore all’Economia - si verificheranno le condizioni previste dai contratti sui derivati (sorta di prestiti, ndr) stipulati con alcune banche. In pratica, gli istituti di credito potrebbero costringere la Regione a restituire subito 950 milioni. Allora sì, ci sarebbe un rischio default. I deputati devono capire che ciò si verificherebbe in campagna elettorale e avrebbe effetti più devastanti dei tagli». Pur registrando il silenzio di Lombardo, Armao trova al suo fianco il vicepresidente Massimo Russo: «Qualcuno non ha consapevolezza delle difficoltà. Non ci sono più quattrini, bisogna tagliare le spese». Ma per Maurizio Bernava «è urgente l'approvazione di norme che affrontino il problema della revisione della spesa, anche se tardiva ed imposta dall'intervento di Monti. La Cisl considera la proposta di Armao solo una tappa iniziale, peraltro dagli effetti economici irrisori rispetto alla voragine di bilancio».
http://www.gds.it/gds/sezioni/politica/dettaglio/articolo/gdsid/206162/

I comuni fanno cassa con le multe, anche raddoppiati obiettivi di gettito 2012
ultimo aggiornamento: 28 luglio, ore 15:37
Roma - (Adnkronos) - Indagine dell'Adnkronos sui bilanci di previsione dei comuni, che aggiorna le stime per l'anno in corso. Da Milano a Piove di Sacco (Pd), in media si punta ad un incremento del 20%, ma in alcuni casi, pur di pianificare il pareggio di bilancio, si arriva a un + 50%.
Roma, 28 lug. (Adnkronos) - Nelle grandi città e nei piccoli comuni. Da Milano a Piove di Sacco (Pd), senza eccezioni. Le multe si confermano la voce di entrata più gettonata per far quadrare i conti. Anzi, le aspettative delle amministrazioni crescono: l'obiettivo di gettito per il 2012 è ovunque più alto, in qualche caso raddoppiato rispetto al 2011. E' quanto emerge da un'indagine dell'Adnkronos sui bilanci di previsione dei comuni, che aggiorna le stime per l'anno in corso.
La previsione dell'incasso, indicata ufficialmente nel bilancio di previsione approvato dal consiglio comunale, viene infatti costruita partendo dal dato dell'anno precedente e puntando ad un incremento percentuale, in nessun caso inferiore al 10%. In media è del 20%, ma si registrano vere e proprie acrobazie contabili nei comuni in cui, pur di pianificare il pareggio di bilancio, si arriva a raddoppiare la cifra dell'anno precedente.
Emblematici i dati delle grandi città. A Milano è del 12,8% la previsione di aumento delle entrate per le sanzioni emesse dalla Polizia Locale rispetto al 2011, passano da 93 milioni di euro del consuntivo 2011 ai 105 milioni previsti per il 2012. Il comune di Bologna ha invece inaugurato la stagione della 'tolleranza zero' sulle multe non pagate. Non a caso, dopo i cali registrati nei due anni precedenti, nelle previsioni di bilancio del Comune è previsto un deciso aumento del gettito proveniente dalle violazioni al codice della strada: 52,4 mln per il 2012. In linea Firenze, con multe per oltre 51 mln nel bilancio preventivo 2012.
Passando ai comuni più piccoli, calano ovviamente i numeri assoluti ma è il rapporto con gli abitanti a rendere i dati significativi. Trento, 117mila abitanti, e Cittadella (Pd), 20mila abitanti, hanno più o meno lo stesso obiettivo, a 2 mln di euro. Il gettito preventivato dal comune di Pistoia, 90mila abitanti, è di tre volte superiore, pari a 6 mln. Ad Avezzano (Aq), 40mila abitanti, si punta a 1,1 mln; a Parma, 188mila abitanti, si vogliono incassare 11,4 mln.
E in molti casi, viste le previsioni troppo ottimistiche, a metà anno, più o meno in questo periodo, è il caso di accelerare con le multe per centrare il target fissato. Emblematico il caso di Pavia: l'obiettivo indicato in un documento consegnato dal comune alla polizia locale, a inizio anno, fissa un incremento delle multe per il 2012 del 20% rispetto al 2011.
Nei comuni ancora più piccoli spesso la situazione diventa quasi paradossale. A Orbetello, 15mila abitanti, è rilevante lo scarto rispetto all'anno scorso: per il 2012 sono previste più multe per 253mila euro. Piove di Sacco (Pd), 19mila abitanti, vede più che raddoppiata la previsione di incassi da multe: al capitolo destinato alle sanzioni del codice della strada, sono indicati proventi per 690 mila euro. L'anno scorso erano 350 mila. Nel piccolo comune vicentino di Piovene Rocchette le multe sono diventate un vero e proprio 'caso'. Il sindaco Maurizio Colman ha denunciato quello che ritiene un vero e proprio sabotaggio, per ragioni sindacali, da parte degli agenti della sua polizia locale che avrebbero volutamente operato per non raggiungere il target fissato. Su un bilancio che ammonta complessivamente a 5.576.512,55 euro complessivi, i proventi stimati delle contravvenzioni ammontano a 980mila euro.
I numeri nazionali, del resto, sono inequivocabili. In Italia, in media, negli ultimi tre anni, sono state staccate ogni anno circa 14 mln di multe, 1.600 all'ora. I ricavi, sommando quelli assicurati dalle polizie locali (circa 1,6 miliardi di euro) e da quelle nazionali, Polstrada e Carabinieri (circa 400 milioni di euro), portano nelle casse dello Stato circa 2 miliardi di euro all'anno. Una cifra che si traduce in un tassa occulta di 35 euro per ogni italiano, che nelle grandi città diventa di almeno 100 euro.
C'è poi il problema dell'impiego delle risorse che arrivano dalle multe. La legge, nello specifico l'articolo 208 del Codice della Strada, prevede che almeno il 50% dei proventi vadano reinvestiti in attività a favore della sicurezza e della prevenzione degli incidenti stradali. Una prescrizione che viene spesso disattesa.
Anche in questo caso, andando a verificare nei bilanci, si trovano comportamenti virtuosi e meno, tanto che poi in sede di bilancio consuntivo si evidenziano macroscopiche violazioni della legge. A Trezzo sull'Adda (MI), il comune destina 70.000,00 dei proventi derivanti da sanzioni amministrative pecuniarie per violazione alle norme del Codice della Strada, stimati per l'esercizio 2012 in 140.000 euro, alla manutenzione delle strade e alla sicurezza stradale. A Monza, la Polizia locale ha rinnovato il parco auto e ha pagato sei Alfa Romeo 159 station wagon, una stazione mobile e uno scooter elettrico con i proventi delle sanzioni previste dal codice della strada.

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