lunedì 2 luglio 2012

am_2.7.12/ Roberto Perotti: Questa donna sottovalutata, senza pretese intellettuali, che con molto snobismo centinaia di commentatori italiani ritengono un politico insignificante e "senza visione", è la vera vincitrice del summit. Un giorno, finita l'ubriacatura retorica e la partigianeria di questi anni, i libri di storia riconosceranno il ruolo fondamentale che ha avuto nel salvare l'Europa, bilanciandosi tra la crescente e giustificata irritazione dei suoi elettori e le pretese spesso irrealistiche dei suoi partner europei.

«Cittadini e lavoratori nel governo dell'Aqp» Vendola: Acquedotto del Sud
La salute? Un lusso 30mila materani non possono curarsi
Perché la vincitrice è Angela Merkel
Ma i tedeschi hanno più debito degli italiani
Francia: Parigi abbassa le stime di crescita 2012 e 2013
Fiat, 5 stabilimenti Iveco in Europa
Svizzera. Obvaldo boccia un'altra volta l'italiano

«Cittadini e lavoratori nel governo dell'Aqp» Vendola: Acquedotto del Sud
di BEPI MARTELLOTTA
BARI - Un nuovo modello di governo per il più grande acquedotto d’Europa, una governance che spalanchi le porte della stanza dei bottoni (il cda dell’Aqp) alla cittadinanza attiva e ai lavoratori. E un colosso pubblico, l’Acquedotto pugliese, che ridefinisca la sua mission, non più relegata ai confini regionali e allo scambio/acquisto di acqua tra Basilicata, Campania e Puglia, ma allargata all’intero bacino idrografico del Mezzogiorno.
Nichi Vendola, poco prima di chiarire con Di Pietro a Roma i contorni del nuovo centrosinistra chiamato alla sfida delle politiche della prossima primavera, lancia in videoconferenza a Bari un progetto epocale per la più grande azienda pubblica meridionale. Un disegno che, da un lato, apre ulteriormente le porte al popolo del referendum che ha chiesto la pubblicizzazione dell’acqua e, dall’altro, traccia una strada per l’intero Meridione che, probabilmente, sarà chiamato a guidare da ministro nel possibile, futuro governo del centrosinistra del 2013.
«La missione è compiuta» scandisce il governatore, ricordando i numeri del successo di un’azienda data per decotta nel 2005 e nota alle cronache per «dare da mangiare più che da bere». Ora, trasformato il «pachiderma» in «un’azienda modello», spiega, si tratta dare una svolta. «Il Sud va concepito come unità sistemica nel governo dell’acqua, come ho più volte espresso nel parere in sede Ue: l’unità di misura non deve più essere il confine di una regione, ma l’intero bacino idrografico meridionale. L’acqua è pubblica, non è dell’Aqp ma delle Regioni sorelle da lei attraversate».
Una rivoluzione, se si pensa ai negoziati su oneri e onori, costi e benefici dell’approvigionamento, tra le regioni. Ma non è finita: «si è chiuso un ciclo, dunque il tema che pongo ora alla maggioranza - dice Vendola - è un nuovo modello di governance. Finita la politica di risanamento dell’azienda e delle reti, è tempo di inglobare due attori fondamentali della società: i lavoratori e i cittadini che hanno fatto sentire la loro voce col referendum». Se qualcuno pensa che si tratti di una nuova lottizzazione di posti, sottolinea il governatore, «troverà in me un muro».
Qui non si parla di sostituire questo o quel manager, come pure lasciano intendere le interrogazioni sui vertici Aqp del capogruppo Pd Decaro. «Quelle sono questioni di dettaglio, cui saranno fornite risposte trasparenti. Qui si tratta di costruire insieme un nuovo modello e, raggiunto il traguardo del risanamento, tagliare il nastro di uno nuovo». Lavoratori Aqp e cittadini, dunque, nel board della società di diritto pubblico: non un azionariato popolare (che implicherebbe la cessione da parte del proprietario, la Regione, delle quote societarie), ma una governance alla «tedesca», con sindacati e cittadinanza coinvolti nei processi decisionali delle grandi aziende. Quanto ai cittadini, che hanno fatto sentire a gran voce la richiesta di una pubblicizzazione dell’acqua, «non immagino la costruzione di un “mostro” con micro-rappresentanti di associazioni» (della serie: il comitato Acqua bene comune che siede ai vertici), piuttosto a «gruppi organizzati » della società, già rappresentanti dai sindaci nella proprietà della rete, che governano l’azienda.
«Non è possibile che la più grande azienda pubblica dei pugliesi - dice Vendola - non coinvolga cittadini e lavoratori nella responsabilità della sua gestione». Si completerà così, spiega, il disegno di pubblicizzazione dell’ac - qua che la Puglia porta avanti da ben prima delle recenti battaglie referendarie. «Il cuore della mia scommessa era dimostrare che una grande azienda pubblica può non essere un carrozzone clientelare, un deposito di sprechi e corruzione. Ebbene, ci siamo riusciti».
Dopo le estati dell’emergenza idrica a Taranto sono partiti gli appalti sulla ricerca perdite, i cantieri con cui ammodernare la rete, il telecontrollo e i nuovi contatori. Ora, a Conza, il prossimo 6 luglio si taglierà l’ultimo nastro: l’atteso potabilizzatore dell’acqua che arriva dal Sele, un cantiere da 50 milioni di euro. E, lo stesso giorno, a Capo Sele sarà inaugurato il cantiere della galleria Pavoncelli (110 milioni di euro). Il bilancio Aqp? «Rischiava il default dopo i ricorsi dei consumatori contro il caro-tariffe. Il 2011 si è chiuso con un bilancio in attivo di 41 milioni e - rimarca - l’avvio della riduzione delle tariffe per le fasce deboli». Insomma, il terreno è stato ben arato, ora è tempo di completare quel progetto con un nuovo governo e una «nuova» azienda: l’Acquedotto meridionale.

La salute? Un lusso 30mila materani non possono curarsi
di EMILIO SALIERNO
Sono circa 30mila i materani che non possono curarsi perchè non hanno soldi. Farmaci o prestazioni sanitarie, per loro, sono un miraggio. Il dato è diffuso dai pensionati della Cgil (Spi). Angelo Eustazio, segretario del sindacato, dice che «questa situazione grida vendetta ed interroga i soggetti politici, istituzionali e sociali sul peggioramento dei livelli si assistenza, di cura e di prevenzione. L’ulteriore conferma, a livello generale, arriva dal calo della spesa sanitaria pubblica mentre, contemporaneamente, si registra un incremento consistente della spesa sanitaria privata. La sanità pubblica appare come un gigante incapace di adeguarsi alle nuove domande, ai bisogni ed alla necessità di assicurare l’accesso alle condizioni di benessere e di salute per gli anziani, dei bambini e della non autosufficienza. L’invecchiamento della popolazione richiedeva un mutamento del modello sanitario così come storicamente si è realizzato che purtroppo non c’è stato. Esso, invece, è rimasto uguale nella sua struttura organizzativa a fronte del cambiamento della domanda unito alla riduzione dei trasferimenti di risorse finanziarie da parte dello Stato. E aumenta l’uso dei farmaci antidepressivi come effetto del disagio sociale e dell’incertezza sul futuro.
L’introduzione di forme di compartecipazione alla spesa sanitaria, attraverso l’introduzio - ne dei ticket, aggiunge ulteriori difficoltà e si configura come una vera e propria tassa sulla salute, moralmente inaccettabile, finendo di alimentare ancora di più le disuguaglianze tra ricchi e poveri, tra chi si può curare e chi invece deve rinunciare. Un degrado ed un arretramento del sistema sanitario che si consuma nel più assoluto silenzio». Lo Spi fa appello a tutte le componenti della società materana per salvaguardare il diritto alla salute. Ma la nostra sanità presenta altri problemi. «Basti pensare che nell’ospedale di Matera - sottolinea Eustazio - la prenotazione di una mammografia completa di visita, richiesta oggi, verrebbe effettuata a distanza di diciotto mesi. Anche un ecodoppler, prenotato oggi, verrebbe effettuato ad aprile del 2013. E in questo modo, si costringono le persone, non potendo aspettare i tempi della sanità pubblica, a rivolgersi alla sanità privata, se ne hanno la disponibilità economica, e nel giro di 48 ore sono nelle condizioni di effettuare l’esame diagnostico. Vorremmo conoscere le misure allo studio dei dirigenti dell’Asm per ridurre drasticamente i tempi delle liste d’attesa facendoli rientrare entro limiti fisiologi compatibili con la condizione di disagio delle persone. Altrettanto importante è dare seguito alle dichiarazioni reiterate dell’assessore regionale alla sanità Martorano sull’apertura del confronto con i sindacati finalizzato ad apportare modifiche significative ai provvedimenti sui ticket, introdotti a luglio 2011, in applicazione della manovra correttiva del Governo Berlusconi. In particolare chiediamo correttivi sia per quanto riguarda la farmaceutica, elevando la soglia di esenzione, sia introducendo, per la diagnostica, il meccanismo della esenzione per le fasce di reddito medio-basso con la modulazione dei ticket per i redditi medio-alti».

Perché la vincitrice è Angela Merkel
di Roberto Perotti
Il summit di Bruxelles è stato unanimemente considerato come una vittoria del buon senso europeo sulla protervia e l' ottusità tedesche. In realtà, la Merkel ha concesso qualcosa, ma ha ottenuto molto di più di quanto non appaia.
Questa donna sottovalutata, senza pretese intellettuali, che con molto snobismo centinaia di commentatori italiani ritengono un politico insignificante e "senza visione", è la vera vincitrice del summit.
Un giorno, finita l'ubriacatura retorica e la partigianeria di questi anni, i libri di storia riconosceranno il ruolo fondamentale che ha avuto nel salvare l'Europa, bilanciandosi tra la crescente e giustificata irritazione dei suoi elettori e le pretese spesso irrealistiche dei suoi partner europei.
Il summit ha deciso tre cose. Primo, il fondo salva-Stati non avrà precedenza nel rimborso dei prestiti, evitando così di spaventare i compratori del debito del Paese assistito. La Merkel avrebbe perso perché questo equivale a rilassare le condizioni imposte al Paese assistito, e a far assumere più rischi ai Paesi creditori. Di fatto, però, la Merkel non ha fatto alcuna concessione sostanziale. Tutti sanno che è impensabile che il fondo salva-Stati non venga rimborsato: se non avvenisse, sarebbe la fine del fondo, l'unico prestatore cui possono appigliarsi i paesi del Sud Europa.
Secondo, in futuro i Paesi virtuosi - e solo questi - potranno accedere ai prestiti del fondo salva-Stati senza ulteriori condizoni oltre a quelle contenute nei vari documenti firmati ogni anno. La Merkel avrebbe perso perché rinuncia al principio che i Paesi assistiti devono sottoporsi a condizioni gravose. In realtà, la Merkel aveva applicato questo principio, e giustamente, ad un Paese chiaramente insolvente e quasi ingovernabile come la Grecia. Con Paesi come Italia e Spagna, che hanno dimostrato di rispettare o quasi i saldi di bilancio convenuti, l'ultima cosa che desiderava era di entrare nelle minuzie dei loro bilanci pubblici. Il summit evita ai governi di Italia e Spagna l'umiliazione politica di essere controllati da una troika, ed evita alla Merkel di aprire un vaso di Pandora che non le interessa. Ma con questa innocua concessione la Merkel ottiene una enorme vittoria: per un po', non si parlerà più di aumentare la potenza di fuoco del fondo salva-Stati.
Terzo, il fondo salva-Stati potrà ricapitalizzare direttamente le banche, senza passare attraverso prestiti ai Paesi sovrani che gonfierebbero il debito pubblico di questi ultimi. La Merkel avrebbe perso perché rinuncia al principio del «Paesi sovrani prestano solo a Paesi sovrani», a lei caro perché i prestiti a Paesi sovrani sono più controllabili. In realtà, ancora una volta, non solo la Merkel ha concesso poco di sostanza, ma ha anche piantato i semi di una possibile vittoria futura. C'è molta ambiguità nel documento ufficiale: esso parla sia di "ricapitalizzazione" sia di "assistenza finanziaria". Se il fondo salva-Stati ricapitalizzerà direttamente le banche, si accollerà i rischi di un azionista ma anche una quota di controllo, e potrebbe voler imporre condizioni su azionisti, obbligazionisti e management. Solo che, a differenza del Tarp americano, dietro ci sono 17 governi, non uno: una situazione molto difficile da gestire. Più probabilmente, il fondo salva-Stati presterà ad un ente fuori bilancio, che poi ricapitalizzerà le banche. In questo caso ancora una volta l'onere di ripagare il prestito peserà in ultima istanza sul contribuente spagnolo. Che il prestito non appaia nel debito pubblico spagnolo ufficiale fa un a differenza di nome, ma non di sostanza.
In cambio di tutto questo, la Merkel ha guadagnato il principio della sorveglianza europea. Nell'orgia di retorica europeista di questi anni, tutti hanno brindato. Ma più Europa significa meno sovranità. A parole è facile accettarlo, ma i problemi sorgeranno quando ci si renderà conto che, realisticamente, non si tratterà di cedere sovranità al Lussemburgo o a Cipro, ma... alla Germania. È probabile - ed auspicabile - che la Merkel vorrà usare l'ente di sorveglianza europeo per far passare il principio sacrosanto che gli azionisti e gli obbligazionisti delle banche devono partecipare nelle perdite, così come con la Grecia ha fatto passare il principio sacrosanto che i creditori degli stati sovrani devono accettare un haircut. Cosa succederà allora se l'ente di sorveglianza europeo dovesse decidere che il Governo italiano o il fondo salva-Stati possono prestare 5 miliardi a una certa banca italiana, come è successo in questi giorni, solo dopo averne penalizzato azionisti e creditori? Abbiamo già visto cosa è successo quando l'European Banking Authority ha costretto le banche italiane a fare il mark-to-market del debito pubblico italiano: tutti in Italia hanno gridato a una congiura franco-tedesca. Dove finirà tutto l'entusiasmo per l'Europa?
1 luglio 2012

Ma i tedeschi hanno più debito degli italiani
di Marco Fortis
Nel 1999 soltanto tre Paesi Ue (Italia, Belgio e Grecia) avevano un debito pubblico superiore all'80% del Pil e solo un altro (Bulgaria) sopra il 70%. Nel 2013, invece, secondo le ultime proiezioni della Commissione, vi saranno nove economie con debiti pubblici oltre l'80% (Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania) e altre tre sopra il 70% (Cipro, Malta, Austria). Inoltre, secondo l'Fmi, il debito pubblico Usa nel 2013 sarà balzato al 113% del Pil.
Il tutto senza considerare i debiti degli Stati federali (molti dei quali, come la California, versano in gravi difficoltà finanziarie), altrimenti il debito Usa risulterebbe già oggi superiore a quello del nostro Paese.
Nel 2013 il debito pubblico italiano sarà pari a 1.988 miliardi di euro. Quello tedesco sarà di 2.082 miliardi, quello francese di 1.946 miliardi e quello inglese di 1.532 miliardi di sterline, che al cambio attuale significano circa 1.900 miliardi di euro. Da notare, che i debiti pubblici di Francia e Gran Bretagna in valore assoluto venti anni fa erano poco più della meta di quello italiano e quello tedesco era inferiore. Mentre ora i debiti dei quattro maggiori Paesi europei sono sostanzialmente simili tra loro, con quello tedesco una spanna sopra gli altri.
Questi dati dimostrano inequivocabilmente che ormai l'Italia non è più la pecora "nera" del debito pubblico europeo e mondiale. Eppure, nel 2013 pagheremo interessi sul debito per la ragguardevole cifra di 91 miliardi di euro: 36 miliardi in più della Francia, che ha un'esposizione statale uguale a quella italiana, 21 in più della Gran Bretagna, che si sta avvicinando ai nostri livelli di indebitamento, e 27 in più della Germania, il cui debito è più alto di quello italiano.
Gli svantaggiosi tassi pagati dal nostro Paese riflettono, innanzi tutto, un deficit di credibilità dell'Italia, cresciuto a dismisura nell'estate-autunno dello scorso anno, a cui Monti sta cercando laboriosamente di porre rimedio nonostante i teatrini della nostra politica.
Ma, oltre a ciò, il differenziale sugli interessi a nostro sfavore è anche una conseguenza della rigida misurazione statistica del debito pubblico in rapporto al Pil. Tale rapporto, nel 90% dei casi, fornisce un'idea accettabilmente approssimativa, anche se non matematica (vedi Irlanda e Spagna), della sostenibilità attuale e futura del debito stesso. Ma nel restante 10% dei casi, come succede per Giappone, Belgio ed Italia, il debito/Pil è un parametro assai riduttivo e di ciò il nostro Paese farebbe bene a prendere coscienza anche per meglio argomentare la sua posizione a livello internazionale.
L'Italia, infatti, ha un patrimonio delle famiglie molto elevato che, anche solo limitatamente alla parte finanziaria, equivale a circa il 175% del Pil (il dato corrispondente è appena del 126% in Germania). Sicché il rapporto tra debito pubblico e ricchezza finanziaria netta privata fornisce un'idea più precisa della dimensione comparata del nostro debito statale che non il suo confronto con il Pil. Ciò non significa, ovviamente, che non debba essere avviata in Italia un'azione estremamente determinata di taglio della spesa pubblica improduttiva e degli sprechi che stridono con le virtù implicite nel nostro elevato stock di risparmio privato. Ma il rapporto debito/ricchezza cambierebbe parecchio la prospettiva di assegnazione dei rating dei debiti sovrani ed in particolare il rating italiano.
In questi giorni sulla stampa nazionale è stata rilanciata l'idea di un abbattimento del debito pubblico con varie modalità, ivi inclusa quella di una tassa patrimoniale sulle ricchezze più elevate. A nostro avviso il problema è mal posto. Non solo per le possibili conseguenze negative di una simile manovra sull'economia e sui movimenti di capitali. Ma, soprattutto, perché non si capisce per quale ragione la patrimoniale dovrebbe essere applicata unilateralmente solo da un singolo Paese, vale a dire il nostro. E ciò al semplice scopo di dimostrare alle altre economie e ai mercati che siamo capaci di ridurre drasticamente un puro rapporto simbolico, il debito/Pil, che nel caso dell'Italia è totalmente fuorviante circa la sostenibilità del debito stesso.
La riprova teorica di ciò si avrebbe qualora Monti sfidasse la Merkel ad introdurre una tassa patrimoniale in tutta l'Eurozona, eventualmente anche spalmabile su più anni. In Italia ciò comporterebbe sacrifici durissimi ma anche a Berlino, di fronte alla prova del fuoco, i cittadini tedeschi non riderebbero di certo. Che cosa accadrebbe, infatti, se tutti i Paesi della moneta unica decidessero di ridurre simultaneamente i propri debiti pubblici al livello del 60% del Pil mediante un prelievo sulla ricchezza finanziaria netta delle famiglie? In quel caso, come appare dalla tabella, anche dopo aver applicato una tassa patrimoniale relativamente più sostanziosa delle altre nazioni per abbattere il debito eccedente, l'Italia resterebbe tra le economie dell'Eurozona col più alto rapporto ricchezza/Pil, assieme al Belgio e all'Olanda. Più indietro vi sarebbero Francia, Austria e Germania. Questa ultima, in particolare, avrebbe una ricchezza finanziaria netta delle famiglie post tassa patrimoniale di 8 punti di Pil inferiore a quella delle famiglie italiane (senza considerare il patrimonio immobiliare, che nel nostro Paese è superiore).
Mentre nel caso dei Paesi "periferici" e della Spagna, il prelievo sulla ricchezza farebbe emergere lo stato effettivo delle difficoltà finanziarie di tali economie, dove il debito pubblico sta crescendo rapidamente a fronte di un netto ridimensionamento del patrimonio privato. Al punto che, dopo la teorica tassa patrimoniale, il già esiguo rapporto ricchezza finanziaria delle famiglie/Pil della Spagna si ridurrebbe al 51% (meno della metà di quello dell'Italia), quello dell'Irlanda scenderebbe al 15% e quello della Grecia andrebbe addirittura sotto zero.
Questo esercizio, basato su una tassa patrimoniale "simulata", dimostra che l'Italia - credibilità del Paese e della sua classe politica a parte - ha oggi un debito pubblico del tutto simile, quanto a sostenibilità, ai debiti di altre economie ritenute più "virtuose". Se si rapporta il debito pubblico alla ricchezza finanziaria privata e non al Pil, i titoli italiani non dovrebbero essere considerati meno sicuri di quelli di Germania e Francia. Il nostro Paese, in aggiunta, ha attualmente una politica di bilancio più rigorosa di quella della stessa Germania, ma i Btp e i BoT continuano a non essere adeguatamente "premiati" dai mercati. Forse anche per un deficit di comunicazione che è soprattutto interesse di noi italiani colmare al più presto.
 1 luglio 2012

Francia: Parigi abbassa le stime di crescita 2012 e 2013
(AGI) -Parigi , 1 lug. - La Francia rivede al ribasso le stime della crescita per il 2012 e il 2013 per l'aggravarsi della crisi economica globale. In un'intervista a Le Figaro', il ministro delle Finanze, Pierre Moscovici, prevede che per l'anno in corso la crescita si fermera' allo 0,4% dal precedente 0,7%. L'annuncio formale sara' fatta mercoledi' in una riunione di governo. "Per il 2013, come tutti sanno non raggiungeremo l'1,7%. Pertanto scommettiamo su una forbice tra 1 e l'1,3%...(questi numeri) sembrano piu' credibili",

Fiat, 5 stabilimenti Iveco in Europa
chiusi entro anno 1.075 lavoratori a casa
Intanto Marchionne loda il premier per l'accordo di Bruxelles: «Capolavoro Monti, scongiurato disastro»
Iveco chiuderà 5 stabilimenti in Europa entro l'anno: saranno interessati 1.075 lavoratori. Lo ha reso noto Alfredo Altavilla, amministratore delegato di Iveco, durante la presentazione del nuovo camion Stralis.
IL PIANO - «Saranno coinvolte 1.075 persone - ha confermato Altavilla - stiamo negoziando con i sindacati. L'obiettivo è chiudere entro l'anno». Si tratta di stabilimenti in Austria, Germania e Francia. Quattro chiusure (Weisweill, Gorlitz, Graz, Chambery) riguarderanno il settore dell'antincendio, che verrà d'ora in poi concentrato a Ulm. Contemporaneamente sempre a Ulm sarà chiuso l'impianto che produceva i mezzi pesanti, che saranno ora concentrati a Madrid. Al contempo nel nuovo polo di Madrid dedicato ai mezzi pesanti sono previsti 1.200 posti di lavoro, di cui 500 entro il 2012.
MARCHIONNE - A margine della presentazione del camion Iveco «Stralis» Sergio Marchionne ha commentato l'accordo di Bruxelles ottenuto dal premier Monti: «Scongiura un disastro che la gente ha assolutamente sottovalutato. Monti è stato veramente un grande, ha fatto un capolavoro che a livello internazionale non credo abbiamo mai avuto nessun altro capace di farlo». «Il problema c'era, era grande», ha aggiunto Marchionne secondo il quale è uno sbaglio parlare di sconfitti o vincitori. «Quell'accordo lì è stato fatto per il bene dell'Europa, non a favore di un Paese o di un altro - ha detto - Chi fa discorsi di campanilismo sbaglia alla grande, si vanno ad aizzare reazioni che è meglio evitare. Bisogna ringraziare tutti quelli che si sono rimboccati le maniche».

Svizzera. Obvaldo boccia un'altra volta l'italiano
Con 36 voti contro 39 la lingua di Dante è lasciata fuori dalle aule
di Davide Adamoli
Nell’autunno scorso era stato abolito l’italiano dal liceo di Sarnen quale opzione specifica. Questa volta è invece dal Gran Consiglio obvaldese è stato rifiutato un postulato che chiedeva la sua introduzione come disciplina fondamentale (in ossequio all’obbligo per tutti i licei svizzeri di offrire, oltre alla lingua madre la scelta fra due diverse lingue nazionali). Abbiamo chiesto al professor Domenico Sperduto, Presidente dell’Associazione svizzera dei professori di italiano di spiegarci cosa sta dietro questa seconda bocciatura della lingua di Dante.
Qual è la differenza fra questi due tipi di insegnamento?
La differenza sta nel numero d’ore di insegnamento: ambedue le possibilità garantiscono l’insegnamento dell’italiano durante tre anni. Come opzione specifica il numero d’ore era maggiore, eppure, anche come disciplina fondamentale, l’offerta è interessante: anche qui l’insegnamento sarebbe partito da zero, e avrebbe permesso ai ragazzi di raggiungere un buon livello, fino ad avere dei contatti con la letteratura.
Come si spiega questo secondo rifiuto obvaldese?
Pur trattandosi di una forma di insegnamento meno impegnativa, il Parlamento, o meglio i partiti che hanno la maggioranza sia nel Gran Consiglio che nel Governo cantonale hanno seguito la linea dettata dall’Esecutivo. Contrariamente a San Gallo, a Obvaldo i gruppi parlamentari non hanno deviato dalla posizione assunta dal Governo, che ha chiuso la porta all’italiano rifacendosi agli accordi esistenti fra il Semicantone e Lucerna [oggi chi volesse avere l’italiano come disciplina fondamentale dovrebbe frequentare uno dei due licei lucernesi che offrono questa possibilità... a 45 minuti di treno da Sarnen]. In questo modo, tuttavia, il liceo di Sarnen continua a non rispettare quanto previsto dall’ordinanza federale di maturità, che chiede che accanto alla lingua madre si dia la scelta fra due lingue nazionali…
Eppure, a guardar le cifre, quando a Sarnen l’italiano era offerto come opzione specifica non incontrava un grandissimo successo.
Non è così vero: in effetti fra le cinque opzioni offerte a Sarnen il latino riscuoteva ancora meno adesioni, e la terza opzioni, nell’ordine di preferenza degli studenti (fisica e applicazioni della matematica) aveva in media un solo allievo in più rispetto all’italiano. Quindi siamo lì. L’italiano a nord delle Alpi riscuote spesso un buon successo, ma per questo deve poter essere offerto: solo dove c’è gli allievi possono sceglierlo. E non conta neanche il fatto che il liceo di Sarnen sia piccolo: quello di Trogen (Appenzello esterno) non ha molti allievi in più, eppure lì si offrono sia l’italiano che il francese, e la nostra lingua non ha meno successo rispetto a quella transalpina.
Ora tutti, Parlamento e Governo obvaldesi compresi, guardano a Berna e ai lavori dell’apposito gruppo che sta studiando come garantire l’applicazione delle disposizioni sulla presenza delle lingue nazionali nei diversi licei.
Sì, la Commissione federale di maturità e l’apposito gruppo di lavoro (nato dopo che un sondaggio ha messo i luce il basso livello di presenza dell’italiano nei licei svizzero-tedeschi) dovranno soprattutto giudicare l’idoneità di questi accordi intercantonali, che ad esempio nella Svizzera centrale fanno sì che solo in due licei lucernesi si dispensi l’italiano come materia fondamentale, garantendo, per così dire, le spalle a tutti gli altri licei della regione. Il giudizio su questi accordi è importante per l’italiano, ma non solo: pensi un po’ cosa accadrebbe se ad esempio Ginevra abolisse la scelta fra tedesco e italiano (in favore di questo secondo), dicendo che chi è interessato al tedesco può frequentare il liceo a Morges, o Losanna… In gioco c’è l’effettivo plurilinguismo svizzero, quello vero, nelle scuole. In Ticino voi offrite in tutti i licei francese e tedesco, perché nel resto del Paese non si dovrebbero offrire due lingue nazionali, come previsto dalla legge?
30.06.2012

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