venerdì 3 agosto 2012

(1) III.VIII.MMXII/ Grazie al Consiglio Regionale della Puglia, grazie all’Assemblea Regionale Siciliana, grazie al Formez.===Sindrome salentina della fetta di torta, da spartire: la torta non esiste, neanche le briciole. Sciamn’.


La proposta: unire le province di Lecce Brindisi e Taranto nel Grande Salento
Un dramma: in aumento i brindisini senza lavoro
Trovare un impiego nel capoluogo è un’impresa quasi impossibile


La proposta: unire le province di Lecce Brindisi e Taranto nel Grande Salento
di Vincenzo Tondi Della Mura* e Stelio Mangiameli**
Il processo di riforma avviato dal Governo Monti sul riordino delle province può costituire una duplice possibilità per le province del Salento. Più che attardarsi sulla protesta campanilistica, di conseguenza, vale la pena considerare le reali potenzialità offerte dalla riform. Quanto al procedimento di riordino provinciale, la riforma mostra di considerare le proposte degli enti locali solo a condizioni che risultino condivise. In caso di mancato accordo, infatti, la regione dovrà avanzare un’autonoma proposta, la cui assenza legittimerà il Governo a bypassare le istanze territoriali, assumendo direttamente il parere della Conferenza unificata. Il tutto, all’interno di una rigidissima sequenza temporale. Quanto ai criteri di riordino, essi sono tali da stravolgere il sistema provinciale pugliese, prevedendo una dimensione territoriale non inferiore a duemilacinquecento chilometri quadrati e una popolazione residente non inferiore a trecentocinquantamila abitanti. Solamente Lecce e Foggia, di conseguenza, sono in possesso dei requisiti prescritti; risultano invece deficitarie le province di Brindisi, Taranto e Barletta-Andria-Trani. Quanto a Bari, la soppressione della provincia è conseguente alla contestuale istituzione della relativa città metropolitana.
Di qui le differenti ipotesi percorribili, particolarmente insidiose proprio per il Salento.

a) La prima ipotesi, vedrebbe la provincia di Lecce sopravvivere inalterata esclusivamente per il fortuito possesso dei requisiti richiesti. Essa, pertanto, si manterrebbe in splendido isolamento, indifferente ai sommovimenti provinciali contigui. L’ipotesi, tuttavia, sarebbe sconsigliabile. Divenuta inferiore per territorio e popolazione, la provincia di Lecce si dimostrerebbe incapace di fare sistema con i bisogni e gli interessi della provincia confinante; si troverebbe in competizione con la nuova provincia di Brindisi-Taranto, i cui confini potrebbero finanche estendersi, accorpando i comuni baresi decisi a non farsi assorbire dalla relativa città metropolitana.

b) La seconda ipotesi, per contro, vedrebbe la provincia di Lecce farsi parte attiva del proprio dissolvimento e del conseguente accorpamento con le due province di Brindisi e Taranto. In tal caso il sacrificio della rinuncia alla propria autonomia provinciale potrebbe essere compensato dall’attribuzione del ruolo di comune capoluogo della nuova provincia. L’ipotesi darebbe luogo a un’unica grande provincia. Essa avrebbe un considerevole potenziale competitivo per territorio (con Kmq 7.035), per popolazione (con 1.798.854 abitanti) e per enti comunali coinvolti (146); per adeguatezza, inoltre, potrebbe immediatamente elaborare un piano strategico di analisi del territorio, al fine d’individuarne le vocazioni naturali derivanti dalle risorse e dai beni culturali presenti. La pianificazione strategica potrebbe evidenziare le potenzialità derivanti dalla collocazione della provincia medesima nel contesto nazionale, europeo e mediterraneo. Da tale pianificazione, di conseguenza, potrebbe farsi derivare una programmazione delle opere da realizzare, per dare al territorio un sistema di infrastrutture che permettano la crescita e la qualità del sistema economico salentino.

La pianificazione territoriale della nuova provincia salentina, inoltre, potrebbe realizzare una viabilità integrata fra le attuali tre province, mettendo in comunicazione porti e aeroporti e dotando il territorio di una logistica adeguata, soprattutto per il trasporto delle merci e delle persone. La vocazione ambientale della nuova provincia, infine, potrebbe essere collegata a una rete di salvaguardia tanto delle produzioni agricole di pregio, quanto dei beni culturali e ambientali, anche al fine di implementare l’attrazione turistica.
A ben vedere, l’ipotesi ricalcherebbe l’esperienza dell’antica provincia di Terra d’Otranto. Essa fu disarticolata dal Fascismo con l’istituzione delle province di Taranto (1923) e Brindisi (1927) solamente per ragioni di regime, che infine condussero al controllo centrale dell’amministrazione pubblica locale e all’abolizione dell’elettività delle cariche degli enti locali. Per altri versi, l’ipotesi verrebbe incontro alle esigenze sottese al progetto della Regione Salento. Pur dimostrandosi costituzionalmente discutibile e politicamente impraticabile, detto progetto ha il merito di avere contribuito alla diffusione di un sentimento di positiva appartenenza alle tradizioni identitarie dell’intero territorio, ponendo le premesse per un’orgogliosa comprensione della relativa vocazione socio-economica e, dunque, per l’avvio di un effettivo e adeguato sviluppo territoriale.
L’ipotesi di una Provincia di Terra d’Otranto, o del Grande Salento si pone in ideale continuità con le istanze territoriali storiche e con le più recenti aspettative sociali. Essa si configura come la più adeguata a una riorganizzazione territoriale, diversamente destinata a risolversi in un’occasione perduta di sviluppo sociale, culturale ed economico.
* Ordinario di Diritto costituzionale, Università del Salento
** Ordinario di Diritto costituzionale, Univ. Teramo - Direttore ISSiRFA-CNR

Un dramma: in aumento i brindisini senza lavoro
di PIERLUIGI POTÌ
Tasso di disoccupazione nuovamente vicino alla soglia del 28%. I piccoli passi in avanti registrati a fine 2011 e nel primo trimestre 2012 (con percentuali scese al di sotto del 27,4%) sono già un lontano ricordo e in appena 90 giorni l’esercito dei “senza impiego” si è rafforzato, passando dalle 73.788 unità riscontrate al 31 marzo 2012 alle 75.820 di fine giugno, come si evince dal consueto prospetto analitico di dati elaborato dall’Osservatorio del Mercato del Lavoro della Provincia di Brindisi. Un incremento significativo sia in termini percentuali (+0,65%), sia sotto l’aspetto numerico (2.032 brindisini che hanno perso il lavoro in tre mesi, oltre 22 al giorno!!!) che lancia segnali davvero inquietanti. Nel dettaglio, i disoccupati maschi sono 32.729 (con una percentuale, rapportata ad una popolazione attiva di 132.930 unità, pari al 24,62%), mentre 43.091 sono donne (su 138.211 “arruolabili”, con una percentuale del 31,18%).
Analizzando il dato comune per comune, San Pancrazio Salentino si conferma la realtà con i maggiori problemi occupazionali: i senza impiego sono ben 2.269 su un totale di popolazione attiva di 6.487 (pari al 33,14%). Nella speciale graduatoria, segue Brindisi (che sale dal terzo al secondo posto) con 19.033 disoccupati su 60.050 (31,70%), poi Torchiarolo (1.159 su 3.692, pari al 31,39%), Mesagne (5.667 su 18.440, con un 30,73%), Francavilla Fontana (7.616 su 25.021, pari al 30,44%) e Ceglie Messapica (4.094 su 13.582, pari al 30,14%). Sotto la soglia del 30%, tutti gli altri comuni e, precisamente: Cellino San Marco (1.312 su 4.425, pari al 29,65%), San Pietro Vernotico (2.656 su 9.130, pari al 29,09%), Latiano (2.882 su 9.975, pari al 28,89%), Oria (2.841 su 10.290, pari al 27,61%) e via via discorrendo sino ai dati più bassi di Fasano (6.038 su 27.274, pari al 22,14%), Carovigno (2.523 su 11.101, pari al 22,73%) e, soprattutto, Torre Santa Susanna che si conferma al di sotto del 20% (per la precisione, 19,81%) con 1.750 disoccupati su 8.835 “ar ruolabili”. Per quanto concerne il dato inerente il tasso di disoccupazione nel comune capoluogo, si evince che delle 19.033 persone che hanno dichiarato l’immediata disponibilità al lavoro, 7.908 sono maschi (su un totale attivo di 29.171, pari al 27,11%), 11.125 sono donne (su un totale di 30.879, pari al 36,03%).
Quanto alle fasce d’età, i più penalizzati restano i soggetti compresi nell’arco temporale “45-54 anni” (3.407, pari al 17,9%), seguiti da “35-39” (2.773, con una percentuale del 14,56%), “30-34” (2.669, pari al 14.02%), “o l t re 55” (2.598, pari al 13,64%), “25-29” (2.573, pari al 13,51%), “20-24” (2.313, pari al 12,1%) e “40-44” (2.172, pari al 11,41%). La fascia d’età compresa tra i 45 e i 54 anni prevale anche nel dato complessivo della provincia (13.301 su 75.820, con una percentuale del 17,54%), mentre al secondo posto ci sono gli “over 55” (11.558, con una percentuale del 15,24%). Tempi duri, insomma, per chi è alla ricerca di un lavoro. E le prospettive future, non certo rosee, non lasciano presagire repentini cambiamenti di rotta.

Trovare un impiego nel capoluogo è un’impresa quasi impossibile
BRINDISI - Se aumentano i “senza impiego”, in maniera inversamente proporzionale - e... fisiologica (la matematica, del resto, non è una opinione) - diminuisce il tasso di occupazione. Così, mentre nel primo caso la “lancetta” si è spostata in su di una percentuale pari allo 0,65%, nel secondo è scesa, sebbene soltanto (e per fortuna) dello 0,06%. Il tasso di occupazione, infatti, è passato dal 26,03% del 31 marzo 2012 al 25,97% del trimestre successivo, frutto dei 70.403 “fortunati” che hanno un impiego su una popolazione attiva pari a 271.141 unità. Il comune più “prolifico” è Erchie che vanta 1.985 occupati su un totale di “arruolabili” pari a 6.475 unità, con una percentuale del 30,66%. Oltre la soglia del 30% ci sono anche Cellino San Marco (30,08%, con 1.331 occupati su un totale di 4.425) e Latiano (30,04%, con 2.996 occupati su 9.975). Poco sotto, troviamo Mesagne con il 29,27% (5.397 su 18.440), Villa Castelli con il 28,79% (1.821 su 6.326), Carovigno con il 28,52% (3.166 su 11.101), San Pietro Vernotico con il 27,63% (2,523 su 9.130), San Pancrazio Salentino con il 27,33% (1.871 su 6.847) e Francavilla Fontana con il 27,27% (6.823 su 25.021). Dall’altra parte della graduatoria c’è il 23,82% di Ostuni (4.962 su 20.830), mentre fanalino di coda è Brindisi con appena il 23,03%: su un totale di 60.050 “ar ruolabili” gli occupati sono 13.829, di cui 7.960 maschi (27,29%) e 5.869 donne (19,01%).

La fascia d’età con maggiori chance resta quella compresa tra i 45 e i 54 anni (13.644 con una percentuale del 19,73%), la più penalizzata quella compresa tra i 20 e i 24 anni (6.874, pari al 9,76%). C’è, infine, il dato relativo agli avviamenti e alle cessazioni di imprese. Per quanto concerne il primo aspetto, al 30 giugno 2012 gli avviamenti sono 60.715, di cui 26.251 inerenti il settore agricoltura (il 43,24% del dato complessivo), 4.590 l’industria manifatturiera (7,56%), 3.146 le costruzioni (5,18%) e 26.728 le altre attività (44,02%). Quanto alle cessazioni, sono - sempre al giugno 2012 - 40.872, di cui 19.039 relative all’agricoltura (pari al 46,58%), 4.159 l’in - dustria manifatturiera (10,18%), 3.012 le costruzioni (7,37%) e 14.662 le altre attività (35,87%). [p. potì]




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