martedì 28 agosto 2012

(1) XXVIII.VIII.MMXII/ Matati


L'UNIONE SARDA - Economia: Spesa troppo lenta, fondi a rischio
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Crescono i prezzi dei mangimi, allevatori al collasso
Spagna: economia accelera recessione secondo trimestre -0,4%
Spagna,crollano depositi banche a luglio
La Serbia si scopre sull’orlo del default


L'UNIONE SARDA - Economia: Spesa troppo lenta, fondi a rischio
28.08.2012
I soldi ci sono ma non vengono spesi. Migliaia di progetti non sono stati pagati e le imprese agricole, ormai al collasso, attendono i fondi europei per poter portare avanti la loro attività. È un quadro drammatico quello tratteggiato da Copagri Sardegna che lancia l'allarme: «Senza un'accelerazione nella spesa da parte della Regione, rischiamo di perdere 51 milioni di euro di fondi comunitari», spiega il presidente Ignazio Cirronis. Sembra un'assurdità, eppure è proprio questo che, a giudizio dell'associazione di categoria, rischia di accadere in Sardegna.
SOTTO ACCUSA AGEA E ARGEA Sotto accusa Argea, l'agenzia regionale per la gestione degli aiuti in agricoltura, e Agea, l'istituto omologo gestito dal governo nazionale. La prima si occupa dell'istruttoria dei progetti, la seconda dell'erogazione dei finanziamenti. A coordinare le due agenzie c'è «un meccanismo lento, burocratico e farraginoso che fa sì, per esempio, che circa dieci milioni di pagamenti decretati da Argea non siano ancora stati ancora liquidati da Agea», sottolinea Cirronis. Eppure l'entità delle risorse in campo richiederebbe ben altra attenzione. «Nei primi sei mesi dell'anno la Regione ha speso fondi Ue per poco meno di 24 milioni di euro, neanche quattro milioni di euro al mese», sottolinea Cirronis. Tabelle alla mano, hanno fatto peggio della Sardegna soltanto la Basilicata e il Molise.
OLTRE 50 MILIONI A RISCHIO «Se il trend dovesse rimanere invariato, alla fine dell'anno la Regione avrà realizzato un'ulteriore spesa di circa venti milioni, il che significa che perderebbe oltre 51 milioni di euro di fondi comunitari», spiega il presidente di Copagri. Poter contare su quei soldi è un fatto assolutamente fondamentale per le aziende: come dimostra il rapporto dell'istituto nazionale di economia agraria, infatti, quasi la metà delle aziende nazionali ha ottenuto, nel 2010, ricavi inferiori ai costi sostenuti, e soltanto grazie ai fondi comunitari è stato possibile chiudere in attivo i bilanci. «L'incidenza dei contributi Ue sul reddito netto è pari al 15-20%. Cifra che raddoppia in Sardegna, dove nelle aree più sofferenti è stata pari al 30%», dice ancora Cirronis. «È in gioco il futuro del settore agro-pastorale», aggiunge Pietro Tandeddu, coordinatore di Copagri, «stupisce pertanto l'inefficienza della Regione nella spesa delle risorse disponibili». Insomma Copagri suona il campanello d'allarme e chiede alla Regione di accelerare le procedure di spesa dei fondi comunitari mediante «l'approvazione di un piano straordinario» che metta in campo nuove risorse umane e razionalizzi quelle esistenti («affinché si riesca a dare risposta ai tempi delle imprese»).

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Crescono i prezzi dei mangimi, allevatori al collasso
28.08.2012
Tempi duri per l’agricoltura sarda. A complicare la situazione è l’aumento dei prezzi dei mangimi da destinare all’allevamento. L’indice Fao dei prezzi per i cereali, infatti, è cresciuto del 17%. Tanto che del problema si occuperà il G20, su richiesta di Francia e Usa. All’andamento climatico che ha decimato le colture dei cereali del Midwest americano si uniscono i movimenti speculativi dovuti a fenomeni di accaparramento. La crisi investe soprattutto il mais: nelle ultime settimane si sono registrati aumenti del 60% e toccano i massimi degli ultimi 15 anni. Il motivo è l’eccezionale ondata di calore che ha compromesso i raccolti Usa.La ragione è l'ondata di calore che ha bruciato i campi in Usa. E non vanno meglio le cose per la soia. Gli effetti si fanno sentire anche in Italia dove soprattutto nelle regioni del Nord, da dove arrivano il mais, la soia e i mangimi da destinare all’alimentazione animale nella nostra regione. Il problema si porrà in maniera seria d’ora in poi quando l’alimentazione degli ovini che si avviano alla lattazione dovrà essere sostenuta, appunto, con i cereali. «In Sardegna– conferma Luca Saba, direttore regionale Coldiretti– la siccità sta colpendo a macchia di leopardo soprattutto le colture ortive estive come melone, anguria e pomodoro, ma a breve si riverseranno massivamente gli effetti indiretti delle stagioni siccitose che hanno colpito il Nord Italia: infatti l'annata particolarmente secca insieme al crescente utilizzo di alcune colture, come ad esempio il mais, per utilizzi no food, sta generando un aumento considerevole dei prezzi delle materie prime utilizzate in larga scala per l'alimentazione del bestiame».Secondo le prime stime– dice Saba– in Sardegna tale situazione potrebbe generare maggiori costi per decine di milioni di euro a carico di pastori e allevatori isolani». I conti sono presto fatti. Il mais , fino a qualche settimana fa, costava 25-28 euro a quintale che diventano 34-35 euro in questi giorni ma che diventeranno facilmente 35-36 euro a settembre. La soia costava 41 euro a quintale, ora il prezzo è schizzato a 65 euro. La medica disidratata è passata da 25 a 28 euro. In sintesi , l’alimentazione di ciascuna pecora prima richiedeva l’integrazione in cereali per 40 centesimi. Dopo gli aumenti ci vorranno almeno 65 centesimi a capo. Analogo ragionamento andrà fatto anche per gli altri allevamenti. Come risolvere il problema? «Sarebbe auspicabile certamente un intervento della Regione Sardegna attraverso la continuità territoriale delle merci– continua Luca Saba–, ad esempio utilizzando la flotta sarda, ma comunque tale situazione non risolverebbe comunque il problema, poichè l'abbattimento sarebbe comunque minimo». Brutale la conclusione di Saba. «Considerando che tali materie prime sono oggi necessarie- dice– se il prezzo del latte ovino rimane stabilizzato a prezzi non remunerativi sarà un disastro: occorre certamente che quest'anno il prezzo di vendita del latte aumenti almeno del 20 % e per fare questo ci auguriamo che a loro volta le dinamiche di mercato dei formaggi abbiano portato a risultati migliori rispetto a questi ultimi anni; ci auguriamo che così come sul latte vaccino vi sono prodotti di punta che lavorano con prezzi remunerativi e prodotti di massa che garantiscono l'assorbimento di grandi quantità a prezzi più bassi, anche sul settore ovicaprino si possa puntare su prodotti d'eccellenza, come ad esempio il grana di pecora, ottimo prodotto, che ormai tutti i caseifici producono in modo disordinato e incontrollato ma che nessuno sta pensando a tutelare o valorizzare nelle produzioni perchè possa diventare un prodotto di punta per la Sardegna» « Da anni– osserva Saba– si discute sulla diversificazione dei formaggi ma, stranamente, un po’ tutti i caseifici fanno lo stesso prodotto. Un esempio: del grana di pecora ne sono presenti oltre una decina di versioni ma manca un cappello di protezione unico». In che modo l’aumento del prezzo dei mangimi cambierà il prezzo dei formaggi e quello del latte? Sarebbe naturale pensare che se aumentano i costi di produzione , il prezzo di vendita del latte aumenti. « Il prezzo del latte deriva dal prezzo di vendita del formaggio, da sempre è così– osserva Giommaria Pinna dei Fratelli Pinna di Thiesi– Il prezzo di vendita del Pecorino Romano è cresciuto poichè sono diminuite le produzioni complessive di questo formaggio. Se andiamo a vedere le produzioni degli anni passati troviamo esattamente questa corrispondenza. Nell’annata 2003/2004 si producevano 381 mila quintali di Romano e il latte era a 51 centesimi. Ora siamo a 250 mila quintali e il prezzo del latte è a 65/70 centesimi».

Spagna: economia accelera recessione secondo trimestre -0,4%
28 agosto, 10:42
(ANSAmed) - MADRID, 28 AGO - L'economia spagnola ha accelerato la recessione nel secondo trimestre, con una caduta dello 0,4% del Pil rispetto al trimestre precedente e dell'1,3% su base annua, a causa soprattutto del minore consumo delle famiglie, secondo i dati diffusi oggi dall'Istituto Nazionale di Statistica (Ine). La contrazione del Pil dell'1,3% su base annua è superiore al dato dell'1% che era stato avanzato dallo stesso Ine a fine luglio. Ieri l'Istituto statistico aveva ha rivisto al ribasso i dati trimestrali della contabilità nazionale relativi al 2011 e al 2010, quando il Pil è cresciuto rispettivamente del solo 0,4% rispetto allo 0,7% indicato in precedenza e si è contratto dello 0,3% rispetto allo 0,1% pubblicato anteriormente. (ANSAmed)

Spagna,crollano depositi banche a luglio
Piu' forte emorragia dal 1997. Grecia in crescita +2%
28 agosto, 12:52
(ANSA) - ROMA, 28 AGO - Caduta record dei depositi bancari, in Spagna a luglio. Secondo dati della Bce, i risparmi di famiglie e imprese depositati nelle banche fanno registrare una caduta del 4,6%, equivalente ad un ritiro di 74.228 milioni di euro, la maggiore uscita di depositi privati dal settembre 1997.
Fenomeno inverso in Grecia, dove i depositi bancari sono cresciuti del 2% a luglio, dopo i forti cali precedenti.

La Serbia si scopre sull’orlo del default
Disoccupazione, inflazione e nuovi poveri in crescita. Ma il rapporto fra debito pubblico e Pil lasciano margini di recupero
di Stefano Giantin
 BELGRADO. Disoccupazione (25%) e inflazione in crescita (6% annuo a giugno), nuovi poveri che ingrossano le file di quelli di lungo corso. Perfino un paventato rischio bancarotta per il Paese balcanico. La Serbia sembra essere in bilico tra le rassicurazioni da parte della classe politica, che garantisce che tutto o quasi procede per il verso giusto. E indicatori economici che dipingono un quadro ben diverso.
 Cosa sta succedendo a Belgrado? La Serbia «ha davanti una dura realtà, fatta di un deficit di bilancio in aumento, economia in declino e moneta sostanzialmente deprezzata», ha scritto di recente il Financial Times. FT che non vede altra soluzione per Belgrado che quella «di rivolgersi all’Fmi» per un prestito salva-conti pubblici. Fmi che arriverà in missione in Serbia a settembre per negoziare una nuova linea di credito. Un nuovo prestito, un segnale che un Paese entra in una fase «di bancarotta» perché non può onorare i debiti, ha rincarato Vladimir Gligorov, economista al Vienna Institute for International Economic Studies
 Che qualcosa non funzioni al meglio, in Serbia, lo dimostrano le parole del neo-ministro dell’Economia e delle Finanze, Mladjan Dinkic, a proposito dell’investimento Fiat in Serbia. «Alla Fiat chiediamo comprensione perché il governo serbo, nel 2012, potrebbe non essere in grado di soddisfare tutti gli obblighi finanziari contratti col Lingotto a causa delle restrizioni nel budget statale».
 Indizi non positivi, insomma. Ma cosa devono aspettarsi i serbi nel prossimo futuro? Belgrado ha sperimentato «un calo del Pil nella prima metà dell’anno pari all’1% rispetto allo stesso periodo del 2011. È ragionevole attendersi, anche con un debole miglioramento a fine 2012, un -0,5/1% del Pil» annuo, spiega via email l’economista Goran Nikolic. Pure «la produzione industriale conoscerà un declino del 2%», aggiunge. «I movimenti dei maggiori indicatori dell’economia reale in Serbia dipendono dalle tendenze nell’Eurozona, che ora non sono promettenti», specifica poi, «in particolare dal calo del Pil» nell’Ue. Per Belgrado, infatti, è importante tenere conto della «domanda di importazioni e del flusso di capitali, come gli investimenti stranieri, che arrivano principalmente dall’Eurozona e da Paesi candidati» all’ingresso nell’Ue.
 E il “rischio bancarotta”, è concreto? Ci sono due facce della medaglia, spiega al Piccolo Jasna Atanasijevic, capo-economista alla Hypo Alpe-Adria in Serbia. «C’è un alto e in aumento deficit fiscale, che si spera ora venga contenuto e ridotto, ma allo stesso tempo non può essere eliminato rapidamente», spiega. «Quando non si può cancellarlo», lo Stato è obbligato «a vendere proprietà o a fare nuovi debiti. L’indebitamento in Serbia è a un livello allarmante dato che ha raggiunto il 50% del Pil», aggiunge. «Con gli alti tassi d’interesse con cui la Serbia s’indebita e con le povere prospettive economiche di crescita dell’economia reale», specifica Atanasijevic, «il deficit fiscale rimarrà sotto pressione e i bisogni finanziari del Paese cresceranno, poiché è necessario in ogni momento rifinanziare i debiti in maturazione con nuovi debiti».
 Ma c’è anche un altro aspetto. Che fa ben sperare. «La Serbia ha un rapporto debito pubblico/Pil moderato» rispetto ad altri Paesi, come l’Italia. «E grazie al basso Pil pro capite ci sono ancora ampie opportunità di migliorare la produttività e di raggiungere una crescita economica basata su piccoli investimenti, sia in termini relativi sia assoluti», prospetta Atanasijevic. In termini generali, l’allarme suona dunque «un po’ esagerato», conclude. «Nondimeno, non va negato che servano subito riforme per ribilanciare la struttura economica nel medio termine, in un modo che si riduca il deficit fiscale e commerciale e di conseguenza la dipendenza dal debito con l’estero». Riforme che arriveranno in tempi brevi, la promessa ricorrente della classe dirigente serba. Un impegno che, viste le premesse, va mantenuto al più presto.



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