giovedì 13 settembre 2012

(1) XIII.IX.MMXII/


Il «no» al gasdotto della Regione Puglia su documenti vecchi
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Continua la stagione no: anche settembre è in rosso
LA NUOVA SARDEGNA - Cultura e istruzione : Flop iscrizioni, scuole agrarie a rischio
Crisi: Cgil, da governo nessun piano ma singoli interventi per il Sud
Bankitalia: ''A luglio scende il debito, entrate in aumento''
Merkel: bene Corte Karlsruhe, non possiamo vivere senza l’Europa
Ticino. Salvare l’euro e la coesione sociale


Il «no» al gasdotto della Regione Puglia su documenti vecchi
BARI – Il parere negativo espresso ieri dalla commissione regionale Via della Puglia sul progetto Tap (Trans-Adriatic pipeline) di un gasdotto dall’area del Mar Caspio all’Italia «si riferisce ad una versione non aggiornata della documentazione di Studio d’impatto ambientale fornita dall’azienda». Lo riferisce in una nota la stessa Tap. «Di fatto – prosegue la nota – lo Studio d’impatto ambientale di Tap è in stato di aggiornamento, come da accordi con il ministero dell’Ambiente, a seguito della richiesta di integrazione informativa. Proprio per questo motivo, nel giugno 2012, Tap aveva chiesto ed ottenuto dal ministero dell’Ambiente stesso la sospensione della procedura relativa allo Studio d’impatto ambientale».
Di conseguenza, sostiene Tap, «la commissione Via della Regione Puglia ha espresso la propria opinione su una procedura che è stata volontariamente sospesa da Tap e che è in corso di aggiornamento». La società auspica quindi che la commissione Via regionale «possa analizzare la versione aggiornata dello Studio d’impatto ambientale, appena essa sarà disponibile, che riporta le informazioni integrative capaci di rispondere alle preoccupazioni espresse in sede regionale». Inoltre Tap «sottoporrà al ministero dell’Ambiente le nuove informazioni entro i termini concordati ed informerà prontamente le autorità locali sugli sviluppi della procedura». Nella nota la società ricorda anche che il progetto di un gasdotto trans-adriatico «adotta gli standard della Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) che significa impiegare le procedure capaci di proteggere le persone, l'ambiente e compensare le comunità locali».

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Continua la stagione no: anche settembre è in rosso
13.09.2012
OLBIA L’offertona dell’ultimo minuto è come uno zuccherino per un malato terminale. La fabbrica delle vacanze rischia di spegnersi per sempre con numeri da tracollo. L’estate senza invasione, la stagione durata un nientesimo di secondo, si chiude con un settembre nero. Crollo delle presenze in alberghi che continuano a tagliare le tariffe. L’unica industria che sembra avere un futuro nell’isola con le ciminiere spente, il turismo, vive il suo anno orribile. La crisi è diventata di sistema. Le origini del collasso sono quasi elementari. Costi dei trasporti fuori controllo e recessione economica devastante. Settembre conferma il trend che è andato avanti per tutta l’estate. Scomparsi i turisti italiani, restano solo gli stranieri a popolare alberghi e le spiagge. Ma sono troppo pochi per fare massa critica. «Impensabile raddrizzare una stagione negativa – spiega Fabio Fiori, proprietario dell’hotel Panorama e rappresentante del consorzio degli albergatori in città –. Settembre è lo specchio di questo anno no. In cui il tutto esaurito si è registrato solo nei dieci giorni di Ferragosto. Il resto dell’estate è stato critico, una lotta continua. Gli italiani sono scomparsi e sono stati compensati solo in parte dagli stranieri. Ho parlato con molti miei colleghi. Per tutti è un settembre è sottotono rispetto al 2011, già anno di crisi. Il calo è del 20 per cento, e anche chi ha mantenuto le presenze lo ha fatto solo con il ribasso delle tariffe». Il presente sembra negativo, il futuro pessimo. «Già da ottobre molte strutture pensano per la prima volta di chiudere nei mesi più neri – spiega Ramona Cherchi, direttore commerciale del Double Tree Hilton e componente del direttivo del consorzio degli albergatori –. Il numero dei turisti è crollato, anche la clientela business con la crisi si è ridotta. Per molte strutture restare aperti nei periodi neri, che vanno da novembre ad aprile, diventa insostenibile. Di solito si lavorava in estate anche per sostenere le spese nel resto dell’anno. Molti alberghi questa estate sono riusciti ad andare avanti con ribassi sui costi delle camere anche del 40 per cento. Lo hanno fatto per fare un po’ di movimento. Dare un segnale, ma hanno già lavorato senza margini di guadagno. È impensabile andare avanti in questo modo. La politica deve intervenire, per prima cosa sul costo dei trasporti, che ci hanno penalizzato in modo fondamentale. Sono diventati il nostro principale handicap. Ma serve anche una politica che faccia scelte, dia indirizzi». Ma non sono solo gli albergatori a lanciare l’allarme. L’analisi globale della crisi di settembre la dà Gian Mario Pileri, vice presidente della Fiavet, la federazione italiana delle agenzie di viaggio. «La realtà è che dal 25 di agosto in Sardegna ci sono rimasti solo i sardi – afferma Pileri – e forse qualche turista straniero. Settembre ha confermato il trend negativo con un calo del 20 per cento rispetto al 2011, ma in ogni caso i grandi numeri non si fanno in un mese di spalla. Mi viene da sorridere quando sento chi sostiene che a settembre si potrebbe riscattare la stagione. L’analisi impietosa la fanno i numeri. Giugno e luglio sono stati un disastro. Anche agosto è stato inferiore alle aspettative. A parte la settimana di Ferragosto non c’è mai stato il tutto esaurito. E non c’è struttura ricettiva che non abbia abbassato i prezzi. A condizionare la stagione sono stati i trasporti. Costi fuori mercato che hanno tagliato l’isola dalle mete più richieste. Gli italiani hanno preferito andare altrove, chi si è potuto permettere una vacanza. Gli stranieri solo in parte hanno compensato l’assenza dei nostri principali clienti, i nostri connazionali. La realtà è che serve un cambio di passo da parte della politica. L’improvvisazione e il limitarsi a commentare quello che accade senza fare proposte e creare correttivi a questa crisi di sistema ci porterà a breve a essere tagliati fuori dai mercati delle vacanze».

LA NUOVA SARDEGNA - Cultura e istruzione : Flop iscrizioni, scuole agrarie a rischio
13.09.2012
SASSARI Sulla linea d’orizzonte della scuola sarda si profila un altro pericolo. Gli istituti agrari attraversano una crisi profondissima. Le iscrizioni sono in calo: da anni e dappertutto (o quasi). In più di un caso è a rischio la stessa sopravvivenza di aziende e convitti annessi alle sedi. In un panorama dove la flessione demografica è solo un aspetto del problema mancano ancora gli ultimi dati per il 2012-2013. Ma i numeri complessivi del sistema di formazione che in passato ha preparato centinaia di imprenditori e operatori dell’agro-zootecnia parlano già da soli. E non si presentano incoraggianti. Anzi. Su 75mila ragazzi che frequentano le superiori nell’isola sono appena 2.500 gli studenti che hanno scelto i Tecnici o le Professionali per l’agricoltura. Chiunque capisce come questi processi negativi rischiano di contribuire a frenare uno sviluppo importante. Cioè la ripresa dell’agro-zootecnia sarda. E proprio nel momento in cui almeno sulla carta amministratori e politici spiegano di progettare un rilancio dopo lunghissimi periodi di recessione, ostacoli, carenze e difficoltà. Analisi. Dice Maria Gabriella Epicureo, presidente della Rete degli istituti agrari per la Sardegna: «La nostra organizzazione, nata nel novembre 2011 a Nuoro, vuole valorizzare questi specifici indirizzi di studio e aiutare la crescita della filiera produttiva isolana. Esistono ruoli, potenzialità, risorse per farlo. E noi intendiamo muoverci in maniera unitaria, compatta, con un visione complessiva dei problemi». «Bisogna però superare l’attuale disaffezione che spinge molti giovani a non scegliere più le scuole agrarie, persino tra la famiglie degli imprenditori del settore – aggiunge – E andare al di là dell’attuale calo d’iscritti attraverso un’offerta formativa agganciata alle esigenze concrete dell’isola». «In questo senso è assolutamente indispensabile che la Regione adotti misure per consentirci di partecipare ai bandi Por -Fesr in modo semplificato», afferma la professoressa Epicureo, preside nel tecnico Duca degli Abruzzi di Elmas-Senorbì-Maracalagonis. «Noi infatti possiamo contare su aziende agricole non simulate ma reali, con tanto di partite Iva, registrazione alle Camere di commercio – conclude – Dobbiamo fare i conti pure con fondi ministeriali in continua diminuzione. E quindi l’intervento della Regione ci aprirebbe importanti opportunità». Commenti. Nelle ultime settimane sono arrivati Sos da parecchi centri dell’isola. A Sorgono mobilitazione per il funzionamento tempestivo del convitto. A Bosa tensioni per la diminuzione degli iscritti. Da Perfugas appelli anti-smembramento e a tutela dell’autonomia. Al tecnico Pellegrini di Sassari, che proprio con le Professionali di quest’ultimo centro dovrà operare d’ora in poi, da 5-6 anni tiene il numero delle iscrizioni (in media circa 300), mentre azienda e convitto sono frequentati anche da ragazzi provenienti dall’Oristanese e da diversi paesi del Nuorese. A rischio cancellazione, invece, la scuola di Santa Maria La Palma: per la Nurra sarebbe una vera mazzata. «Il pericolo non si pone oggi, ma si presenterà presto: ci sono troppo pochi alunni e stavolta forse non riusciremo neppure a formare una prima “articolata” perché si sono presentati soltanto una decina di ragazzi», dice con amarezza il professore responsabile del complesso, Luigi Retanda . «Un peccato – aggiunge – Specie se si pensa che abbiamo un’azienda agricola modello: produce bene e fa costantemente utili». Prospettive. Se il direttore dell’Ufficio scolastico regionale, Enrico Tocco, ricorda come alcune decisioni dipendano da precise norme, tutti nell’isola sono del parere che un polo di formazione come questo vada non solo difeso ma addirittura potenziato. «Anche per gli istituti agrari valgono tuttavia le regole generali – spiega Tocco – Ma è bene fare chiarezza. Una serie di scelte non fa capo al ministero o ai suoi uffici periferici, ma alla Regione. E comunque nessuno parla di penalizzare la qualità delle scuole. A volte nasce confusione tra il loro funzionamento e l’attività dei dirigenti. Che il preside sia titolare o reggente è questione che interessa solo queste figure professionali, non la didattica o l’operatività». «Per il resto, vale la disposizione per la quale una scuola può mantenere la sua autonomia se ha almeno 600 iscritti – continua il dirigente – Così, considerando tutti gli istituti dell’isola, i punti di erogazione sono oltre 600. E, invece, 331 le autonomie: fra queste, solo 265 si possono definire “normo-dimensionate”». «A ogni modo, con riferimento agli istituti agrari e ad altre situazioni delicate che si possono venire a creare, noi siamo pronti a supplire a possibili carenze – sostiene ancora Tocco – Perché i nostri uffici hanno sempre avuto, e continueranno ad avere, attenzione e sensibilità particolari per evitare qualsiasi difficoltà». Bilanci. «Questo recente impoverimento va comunque contrastato», osserva in ultima analisi Ettore Crobu, presidente sardo della Federazione agronomi. «Con i miei familiari mi occupo di una tenuta nel Campidano e faccio il docente a Maracalogonis, così sono il primo a rendermi conto dell’entità della crisi che attraversiamo: basti pensare che 20 anni fa con un litro di latte di pecora si compravano 8 litri di gasolio agricolo e che oggi per averne uno di carburante ce ne vogliono due di latte ovino – afferma – Ma proprio per questo la Sardegna ha estrema necessità di poter contare un domani su operatori professionali preparati: e chi li deve formare in prima battuta se non le scuole agrarie?».

Crisi: Cgil, da governo nessun piano ma singoli interventi per il Sud
12 Settembre 2012 - 15:36
 (ASCA) - Roma, 12 set - ''Nell'incontro di questa mattina il governo ci ha presentato alcune misure che utilizzano i fondi europei riprogrammati per finanziarie alcune misure di intervento per il mezzogiorno relativamente alle regioni dell'obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia). Non si tratta di un vero e proprio piano, ne' tantomeno si puo' parlare di ''patto'' con le parti sociali''. Lo si legge in una nota della segreteria confederale della Cgil diffusa al termine dell'incontro con i ministri Barca, Fornero, Passera e Profumo.
 ''L'incontro di oggi - spiega la nota della Cgil - e' scaturito da un documento comune delle parti sociali inviato al Governo e raccolto dal ministro Barca che ha sensibilizzato e coinvolto gli altri Ministri, nel quale veniva chiesto di rimettere con urgenza al centro dell'azione del governo il rilancio dell'occupazione e la situazione delle imprese per favorire la ripresa nel Sud.
Sull''occupazione con la riunione di oggi si e' aperto un confronto e si sono cominciate a discutere alcune proposte.
Positivo il finanziamento aggiuntivo del credito di imposta per l'occupazione , secondo la Cgil, al contrario, per quanto riguarda la proposta delle ''botteghe di mestiere'' e dei ''tirocini'', il sindacato di Corso Italia rimane molto critico perche' si tratta di strumenti che fanno a meno dei contratti, sono pagati pochissimo, non forniscono alcuna certificazione e non danno alcuna prospettiva ai giovani.
Cosi' anche sull'ipotesi di finanziare la Cig in deroga solo per la convergenza, sulla quale il sindacato di corso d'Italia chiede una verifica di merito anche alla luce del parere della commissione europea continuando a pensare che le misure devono essere universali e non creare disparita' ne' di settore ne' territoriali. In ogni caso il confronto si sviluppera' nelle prossime settimane con i singoli ministri''.
 Infine la Cgil ''continua a chiedere con forza al governo di affrontare e risolvere le tante vertenze in corso e visto che non tutto puo' essere finanziato con i fondi strutturali e' evidente la necessita' di trovare con urgenza risorse aggiuntive. Per quanto riguarda la vasta area del disagio sociale e della poverta', la Cgil chiede in particolare al ministro Fornero di aprire un confronto specifico vista la gravita' della situazione''.
com-fgl/

Bankitalia: ''A luglio scende il debito, entrate in aumento''
ultimo aggiornamento: 13 settembre, ore 11:23
Roma, 13 set. (Adnkronos) - Il debito delle amministrazioni pubbliche di luglio è diminuito di 5,5 miliardi rispetto al mese precedente e risulta pari a 1.967,5 mld riflettendo essenzialmente l'avanzo di cassa registrato nel mese, pari a 5 mld (5,5 mld escludendo la quota di pertinenza dell'Italia delle erogazioni effettuate dall'Efsf). Al netto di queste ultime, l'avanzo del mese è stato per 0,5 mld superiore a quello del corrispondente periodo del 2011. Lo rende noto la Banca d'Italia nel Supplemento 'Finanza pubblica, fabbisogno e debito' n. 47.
A luglio le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono aumentate di 4 miliardi (+10,6%) rispetto allo stesso mese del 2011. Nei primi sette mesi gli incassi sono cresciuti di 7,7 miliardi (+3,6%).
Nei primi 7 mesi del 2012 il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche è risultato pari a 42,7 miliardi, superiore di 0,1 miliardi rispetto a quello registrato nel corrispondente periodo del 2011.
Su tale risultato hanno influito principalmente i maggiori esborsi in favore degli altri paesi dell'area dell'euro (pari, nel periodo di riferimento, a circa 17,1 mld, a fronte di 7,1 nel 2011); in senso opposto hanno invece operato le misure relative alla Tesoreria unica, che hanno comportato il riversamento da parte degli enti decentrati presso la Tesoreria centrale di 9 mld, precedentemente detenuti presso il sistema bancario. Escludendo questi due fattori, il fabbisogno rispetto al corrispondente periodo del 2011 sarebbe stato più basso di circa 0,8 mld.

Merkel: bene Corte Karlsruhe, non possiamo vivere senza l’Europa
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Roma - “È una buona giornata per la Germania e per l’Europa” e Berlino “ha dato un forte segnale per l’Europa”. Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel al Bundestag commentando la luce verde concessa dalla Corte costituzionale di Karlsruhe al Meccanismo europeo di stabilità. “La Germania è l’ancora della stabilità dell’Europa ma noi non possiamo vivere senza l’Europa. Noi abbiamo dimostrato di cosa è capace il nostro Paese: il tasso di disoccupazione è il più basso dalla riunificazione della Germania ed è calato il numero dei disoccupati di lungo termine e il tasso della disoccupazione giovanile. Noi vogliamo uscire dalla crisi più forti di quando ci siamo entrati. E noi ci stiamo riuscendo”.   (ilVelino/AGV)
(dam) 12 Settembre 2012 12:33

Ticino. Salvare l’euro e la coesione sociale
di Generoso Chiaradonna - 09/13/2012
Un sospiro di sollievo. È stato accolto così, soprattutto dai mercati e dai politici, il via libera della Corte costituzionale tedesca all’Esm, il fondo salva-Stati permanente che prenderà il posto dell’Efsf varato nel maggio del 2010 sull’onda della crisi greca. L’architettura istituzionale e finanziaria europea si arricchisce quindi di un nuovo strumento d’intervento (bazooka finanziario, è stato definito da qualcuno) per cercare di stabilizzare l’area euro.
La decisione dei giudici di Karlsruhe è però parziale (ce ne saranno altre due nei prossimi mesi) e comunque condizionata. Ogni ulteriore potenziamento della dotazione finanziaria (non più di 190 miliardi di euro) e quindi dell’impegno del governo federale tedesco nell’Esm dovrà ottenere il via libera del parlamento (tutte e due le Camere).
La Corte, inoltre, si riserva di verificare, nel pronunciare la futura sentenza di merito, se le misure di acquisto dei bond da parte della Bce forzino la delega della legge di adesione con cui la Germania partecipa ai trattati europei. Il percorso per ancorare la moneta unica europea a politiche fiscali più stringenti e soprattutto convergenti per gli aderenti è ancora lungo, ma la strada è stata tracciata.
La notizia positiva, attesa comunque dai mercati (mai la Corte di Karlsruhe ha sconfessato le decisioni politiche in ambito europeo del sempre moderato governo tedesco, di qualunque colore politico fosse), si unisce alla decisione della scorsa settimana della Banca centrale europea di sostegno illimitato – anche in questo caso condizionato – ai Paesi con elevati differenziali (spread) tra i tassi d’interesse per rifinanziare il proprio debito pubblico.
In questo secondo caso la Bce interverrà sul mercato secondario dei titoli pubblici delle economie europee in sofferenza soltanto dopo un’esplicita richiesta che non sarà comunque gratuita. Il cammino per le riforme non è quindi ancora finito. Un cammino che dovrebbe portare, per forza di cose, a una maggiore integrazione delle politiche economiche e fiscali tra i vari Paesi di eurolandia. Il problema che si pone ora è come questa integrazione verrà ottenuta: se con la partecipazione democratica dei cittadini europei, oppure contro la loro volontà, delegando poteri sempre maggiori a entità politiche e meccanismi tecnocratici che – complice anche la crisi economica – sono sentiti sempre più distanti dalle reali necessità di fette via via più ampie delle popolazioni europee. Insomma, gli euroscettici montano sempre di più, facendo dimenticare le ragionei per cui l’Unione europea è nata: creare un’area economica in grado di competere in un mondo globalizzato, ma socialmente coesa. Quest’ultimo punto sembra essere stato dimenticato.
Le differenze economiche tra le diverse aree dell’Europa si stanno acuendo. Gli ultimi dati relativi all’Italia sono eloquenti: il crollo dei consumi e soprattutto di beni durevoli (auto, elettrodomestici eccetera) è ormai a doppia cifra e non si capisce come si potrà invertire la tendenza nel breve termine. Se ampliamo lo sguardo a Spagna, Portogallo e Grecia la situazione è ancora più drammatica con tassi di disoccupazione che superano il 20-24 per cento.
Benvengano, quindi, migliori strumenti di governance per evitare la disgregazione della moneta unica, ma non ad ogni costo, soprattutto sociale. Il rischio di involuzioni politiche nella nuova Europa è altissimo e sottovalutato.



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