martedì 11 settembre 2012

(2) XI.IX.MMXII/ I Superiori Interessi della Nazione padana


Petrolio, centrosinistra diviso. In Puglia alza le barriere, in Basilicata alza il prezzo
Petrolio, Folino minaccia di astenersi in aula
Maxi-debito del Comune: 900 milioni alle Partecipate. Il report di Realfonzo
L'UNIONE SARDA - Economia: Il Pil crolla, consumi a picco
Monti: per risanare era necessario aggravare congiuntura

Petrolio, centrosinistra diviso. In Puglia alza le barriere, in Basilicata alza il prezzo
De Filippo chiede fondi per infrastrutture e ricerca
Potenza punta a 5 miliardi nei prossimi 10 anni
Separate dal fiume Ofanto, Puglia e Basilicata sembrano divise da un oceano sulla questione petrolio. Seppur governate entrambe dal centrosinistra, la Puglia ha deciso — prima ancora di sapere se c’è petrolio — di alzare le barriere contro la ricerca in Adriatico; la Basilicata, che con la ricerca petrolifera convive di fatto dal ’98, vuole alzare il prezzo del suo ruolo di «Libia d’Italia». E punta a ottenere almeno 5 miliardi di euro, nei prossimi 10 anni, dallo Stato, dopo aver capito che la vera partita è con il governo centrale e non con le compagnie che distribuiscono, in Italia, le «royalty — spiega il governatore lucano Vito De Filippo — più basse al mondo: variano in base a volumi estratti e quotazioni del petrolio, ma su base annua si aggirano, per la Basilicata, tra i 60 e i 90 milioni. Che potranno sembrare tanti, ma non è così». E allora bisogna alzare il prezzo con lo Stato centrale. Si spiega così il fermento lucano degli ultimi mesi sulla questione petrolio. Che ieri è stata al centro di un incontro del gruppo consiliare regionale del Pd, al quale hanno partecipato anche i dirigenti del partito, compreso il segretario, Roberto Speranza, e i parlamentari lucani. Si sarebbe dovuto parlare anche del taglio della province, ma alla fine ci si è dilungati soprattutto sul greggio. «Le posizioni emerse — sottolinea De Filippo — aiuteranno a interagire in modo autorevole e forte con il governo per tentare di ottenere risultati positivi sul memorandum firmato il 29 aprile 2011 e per tutelare altri interessi vitali della Basilicata, come il turismo, l’agricoltura, la ricerca e l’innovazione».

Ancora più esplicito, De Filippo, è stato lo scorso 6 settembre quando in una conferenza stampa sottolineò a chiare lettere che l’ipotesi di un aumento delle estrazioni fino a 25 mila barili al giorno in più è percorribile «solo a patto che la Basilicata riceva fondi per infrastrutture, per la ricerca e per l’innovazione». Le richieste lucane si basano sul memorandum firmato nell’aprile 2011 con il governo (all’epoca guidato da Silvio Berlusconi) «e che è stato recepito dall’articolo 16 del decreto Salva Italia di Monti», spiega De Filippo riferendosi al decreto sulle liberalizzazioni (legge 24 marzo 2012 n. 27) in materia di compensazione ambientale. In relazione al quale è prossima una scadenza importante: «Entro il 24 settembre — spiega De Filippo — è atteso un decreto interministeriale, di iniziativa del ministero dello Sviluppo economico, per definire la quota del gettito dell’attività estrattiva da girare alle Regioni». De Filippo non lo dice, ma dai calcoli fatti negli uffici regionali di Potenza la Regione si aspetta non meno di 5 miliardi nei prossimi 10 anni. Il conto è presto fatto: il giacimento petrolifero dell’Eni nella Val d’Agri — il più grande d’Europa su terraferma — produce attualmente 85 mila barili al giorno: a regime dovrebbe arrivare a 104 mila barili e potrebbe raggiungere circa 130 mila con il nuovo Piano di sviluppo in corso di negoziazione. Nel secondo giacimento, quello di Tempa Rossa, la Regione Basilicata ha rilasciato nel luglio scorso a Total e Shell le autorizzazioni (le ultime di 400) per produrre da 8 pozzi, dall’inizio del 2016, 50 mila barili di petrolio al giorno: i primi lavori sono stati affidati nei giorni scorsi.

L’investimento, approvato dal Cipe nel maggio 2012, sarà di 1,6 miliardi di euro e il progetto prevede la costruzione di un centro di produzione e trattamento d’idrocarburi, un centro di stoccaggio Gpl e il collegamento all’oleodotto Val d’Agri-Taranto che trasporterà il greggio fino alla raffineria dell’Eni. Allo stato attuale, quindi, circa 155 mila barili al giorno potranno essere estratti dalle terre lucane e altri 25 mila sono in ballo, per un totale di 180 mila complessivi, poco meno dei 200 mila barili al giorno assicurati fino a poco tempo fa dalla Libia all’Italia. Se si considera che da ogni barile si ricavano 50 litri di benzina e 50 di gasolio, secondo i calcoli dei tecnici della Regione dai 180 mila barili al giorno il governo ricaverebbe, soltanto dalle accise, 4 miliardi all’anno, 40 in dieci anni. Che diventerebbero circa 50, per lo Stato, considerando le tasse pagate dalle compagnie petrolifere e i dividendi dell’Eni. Da qui l’aspettativa della Basilicata di vedersi riconoscere almeno 5 miliardi in dieci anni, il 10% del totale. Per far capire che d’ora in poi la Regione non è più disponibile a «dilazioni» nel tempo, una settimana dopo l’ok a Total/Shell che di fatto ha reso la Basilicata una piccola Libia, all’inizio di agosto il Consiglio regionale lucano ha approvato, all’unanimità, l’articolo 19 della manovra di assestamento di bilancio che ha bloccato nuove ricerche ed estrazioni di petrolio. Posizione ribadita da De Filippo nella conferenza stampa dello scorso 6 settembre, dopo che Il Sole 24 Ore ha rivelato gli obiettivi del piano energetico del governo Monti di aumentare la produzione di idrocarburi passando dall’8 al 16% del fabbisogno energetico nazionale per liberare l’Italia dalla dipendenza dall’estero, che ad oggi si attesta intorno al 90%.

«Quello attualmente raggiungibile — conclude De Filippo — è il punto massimo a cui possiamo arrivare, ovvero 2.100 chilometri quadrati perforabili e non un millimetro oltre, rispetto anche ad altri 15 permessi di richiesta pendenti che porterebbero le trivelle su altri 2.324 chilometri quadrati su diecimila totali della Basilicata». Come dire: il governo vuole più petrolio? Dovrà prima pagare al prezzo che vogliamo quello che già diamo. Del resto, De Filippo e il centrosinistra lucano sanno quanto vale la risorsa: «Posso dire, senza enfasi, — ebbe modo di illustrare il governatore al Consiglio regionale della Basilicata nella seduta del 28 marzo 2012 in una sua relazione — che il petrolio ha consentito alla nostra Università di poter resistere e crescere ulteriormente in un contesto non facile per gli Atenei italiani e ha garantito risorse nonostante i tagli ai servizi per gli anziani, per i bambini, per l’handicap, per le tossicodipendenze. Considero queste scelte chiare e lineari e io provo a difenderle allo stesso modo in qualsiasi punto della Basilicata. L’ho fatto a Viggiano nel caldo di un acceso Consiglio comunale. L’ho fatto altrove, dove le amministrazioni pubbliche hanno rigettato richieste anche per la sola attività di ricerca». In Puglia, invece, non si tratta sul prezzo: al ministro Corrado Clini che spiega come nel caso dell’ok a Petroceltic sia stata «semplicemente applicata la legge vigente» e che l’ok non sia «alla coltivazione di idrocarburi in Adriatico ma alle sole prospezioni, a 12 miglia dalle Tremiti, per capire cosa c’è nel sottosuolo» si risponde semplicemente con un «no». A rischio, così come è avvenuto all’inaugurazione della 76esima Fiera del Levante, che all’ennesima richiesta di Nichi Vendola a Mario Monti — dopo che Clini ha spiegato che, al limite, la domanda dovrebbe essere girata al parlamento perché si tratterebbe di cambiare una legge vigente — il premier glissi sulla domanda in diretta nazionale. Forse ha ragione la Puglia, che alza le barriere a difesa del suo mare. Forse la Basilicata, che alza il prezzo per dare più valore alla sua terra. Di certo, le due regioni divise dall’Ofanto, sul tema del petrolio non sembrano guidate da una stessa coalizione.
Michelangelo Borrillo

Petrolio, Folino minaccia di astenersi in aula
Drammatica riunione dei big democratici alla Regione sul petrolio con il partito che si “divide” sul merito ma sostiene la moratoria. Il presidente del consiglio in “rotta” con il presidente della giunta lancia critiche al Pd in pubblico: «Oggi significa peggior Dc»
11/09/2012  POTENZA - «Finora ti ho seguito. Ma da oggi no». Parole dette faccia a faccia. Folino a De Filippo. Il presidente del consiglio regionale prende dunque le distanze dal presidente della giunta regionale, dalla moratoria sul petrolio e soprattutto dai contenuti e dalla parole della conferenza di giovedì scorso.
 Il momento più “duro” della riunione che si è si svolta ieri nel Palazzo della Regione a via Verrastro a Potenza.
 La riunione “interistuzionale” voluta dal segretario regionale del Pd di Basilicata, Roberto Speranza per mettere intorno allo stesso tavolo tutti i dirigenti più importanti del partito.
 Una riunione fissata in “tempi non sospetti” per discutere delle riforme della governance regionale e del riassetto territoriale (a partire dalla scelta della sede lucana Provincia unica) in vista delle scadenze imposte dal decreto nazionale della spending review voluta dal governo nazionale di Monti.
 Ma ovviamente tutto è passato in secondo piano rispetto alla nuova posizione lanciata dal governatore De Filippo sul petrolio durante la conferenza stampa convocata d’urgenza. Nella quale è emersa la posizione intransigente contro l’eventualità di altre perforazioni petrolifere in Basilicata; la posizione di chiusura nei confronti delle lobbies del petrolio e la presa di distanze da tutto quello deciso in termini di petrolio prima del 2005.
 Il Pd dopo quella conferenza si è chiuso a “riccio” aspettando proprio il confronto che si è svolto ieri dalle 10 alle 16 circa (6 ore di confronto serrato!). E la riunione c’è stata. Eccome. E immancabile c’è stato l’incontro tra De Filippo e Folino. Secondo le autorevolissime indiscrezioni sono state scintille tra i due. E non solo. Non sono mancati scontri dialettici (battute al vetrolio) nemmeno tra il deputato Antonio Luongo e lo stesso Folino e tra il sindaco di Potenza Vito Santarsiero (molto in linea con il pensiero di Folino) e De Filippo.
 Ma non sono mancati nemmeno gli scambi di vedute “forti” che hanno visto protagonisti, Lacorazza, Restaino, Speranza e gli “immancabili” Folino e De Filippo.
 Ovviamente non sono state sei di ore di litigate senza soluzione di continuità. Pare infatti che il dibattito sulle questioni e sui problemi «sia anche stato proficuo». Sempre secondo le fonti. Ma resta la sensazione generale di un partito diviso in tre. Chi si è schierato apertamente con De Filippo (Antezza, Braia), chi con Folino (Santarsiero, Santochirico) e chi come la maggioranza abbia ascoltato tentando di assumere una posizione di attesa. Magari con l’auspicio di un ritorno a più miti consigli.
 In ogni caso da parte sua, Speranza ha cercato più volte di ricondurre la questione su un piano politico e di merito. Certo (sempre dalle fonti) non ha fatto mancare qualche appunto sull’accelerazione imposta da De Filippo senza una precedente interlocuzione con il Pd e ha tentato di comprendere a fondo il senso delle parole di De Filippo sull’eventualità di finire in minoranza.
 Ad ogni modo sul no alle trivelle e a concedere nuove concessioni di ricerca dalla riunione è emersa (almeno secondo il documento ufficiale poi diffuso a firma di Speranza) la condivisione del Pd a un atto approvato all’unanimità dal consiglio regionale.
 Ovviamente la questione dal punto di vista interno al Pd è tutta in evoluzione. Tanto che poche ore dopo, Folino nella piazza di Laurenzana (si commemorava la memoria di Michele Comodo) ha tuonato: «Il Pd oggi significa la peggior Democrazia cristiana. Un tempo ci si confrontava sulla politica, oggi si discute del nulla mediatico e televisivo».
 Se non è una bocciatura questa...
 Negli stessi minuti invece, De Filippo diffondeva una dichiarazione alle Agenzie in cui invece, buttava acqua sul fuoco: «Il Pd di Basilicata ha assunto in modo forte e unitario tutta la delicata vicenda del petrolio, anche alla luce delle ultime posizioni che ho espresse, cioè la difesa ad oltranza del territorio lucano. De Filippo quindi al contrario di Folino ha espresso messaggi distensivi aggiungendo di essere «totalmente soddisfatto dell’esito della riunione. Le posizioni emerse oggi dalla riunione del Pd – ha spiegato De Filippo – aiuteranno a interagire in modo autorevole e forte con il governo per tentare di ottenere risultati positivi sul memorandum firmato il 29 aprile 2011 e per tutelare altri interessi vitali della Basilicata, come il turismo, l’agricoltura, la ricerca e l’innovazione».
 Un’ennesima apertura dunque al Memorandum e una difesa della “moratoria”.
 Per il resto un paio di ore dopo la chiusura della riunione (che è terminata con Folino e Lacorazza che si erano allontanati in anticipo) c’è stata la posizione ufficiale del segretario Speranza che a quanto pare ha “tentato” di non creare ulteriori frizioni. Nella nota di Speranza si legge in particolare: Le prossime settimane saranno decisive per il futuro dell'Italia e della Basilicata. A sei mesi da elezioni politiche di straordinaria importanza in cui il Pd si presenta come soggetto cardine per un progetto di rilancio del Paese, va compiuto ogni sforzo anche in Basilicata per dare slancio alla nostra azione politica ed amministrativa».
 «In questo senso e con spirito unitario e costruttivo – si legge nella nota - vanno affrontate le questioni più importanti che abbiamo innanzi a noi. Sul piano istituzionale, esprimendo la massima preoccupazione per l'ipotesi della provincia unica coincidente con il territorio regionale, appare comunque evidente che siamo dinanzi ad una sfida più generale di riorganizzazione del sistema pubblico. Una sfida che si intreccia con la proficua discussione già in corso sullo Statuto Regionale».
Salvatore Santoro
Maxi-debito del Comune: 900 milioni alle Partecipate. Il report di Realfonzo
L'ultimo dossier dell'ex assessore. Riscossione-lumaca di multe e imposte. I crediti più alti sono di Anm e Asia
NAPOLI - Le società partecipate a maggioranza dal Comune di Napoli vantano un credito di 910 milioni di euro nei confronti del Municipio (cifra maturata nel tempo e aggiornata alla fine dello scorso anno). La notizia — che si può leggere anche così: l'amministrazione di Palazzo San Giacomo è indebitata per 910 milioni nei confronti delle aziende da essa stessa controllate (in 9 casi su 12 al 100%) — è messa nera su bianco in un report riservato sulla «situazione economico-finanziaria dell'ente» che l'ex assessore al Bilancio, Riccardo Realfonzo, ha trasmesso il 4 luglio scorso, a pochi giorni cioé dalla sua uscita dalla giunta, al sindaco Luigi de Magistris e al direttore generale Silvana Riccio, rispondendo peraltro a una richiesta specifica di quest'ultima.

IL REPORT - L'ennesimo documento in cui il prof-Robin Hood — che nell'agosto 2011 aveva fatto redigere, per primo, una dettagliata due diligence sui conti del Palazzo — illustra lo stato dell'arte, senza mai celare i problemi (anzi proponendo sempre e comunque ricette per uscire dall'impasse). Ma di questo parleremo domani. Il dossier Realfonzo, nella nota del 4 luglio, allega una tabella — che pubblichiamo in pagina — in cui «vengono riportati alcuni dati significativi relativi alla situazione economica delle principali società partecipate dal Comune di Napoli, tratti dai bilanci di esercizio al 31.12.2011». Da tali numeri, prosegue l'allora assessore, «si evince con chiarezza che le difficoltà del Comune nel pagare con regolarità i corrispettivi per i servizi richiesti a dette società hanno determinato un ingente credito delle stesse società (sostanzialmente rispecchiato nei residui passivi di parte corrente dell'ente), pari a 910 milioni di euro (comprensivi di iva)». A fronte «di tale sofferenza finanziaria, le società hanno sopperito, facendo ricorso a indebitamento bancario (438 milioni di euro) o ponendo in sofferenza i fornitori (che vantano crediti verso le società per 336 milioni di euro)». Le medesime società «hanno inoltre accumulato significativi debiti verso l'Erario (circa 125 milioni di euro) e verso gli istituti di previdenza (circa 26 milioni di euro)».

IL DETTAGLIO - Azienda per azienda Per la cronaca, l'azienda che — al 31 dicembre scorso — vanta il maggior credito nei confronti del suo azionista è l'Anm, controllata per intero da Palazzo San Giacomo: 297 milioni di euro, iva inclusa. L'ex Atan, da par suo, ha «sopperito», per dirla con Realfonzo, indebitandosi per 76 milioni con le banche, per 44 milioni con i creditori, per 45 milioni con l'Erario e per 5,8 con l'istituto di previdenza. L'Asìa, invece, è la spa che ha fatto maggior ricorso alle linee di finanziamento del sistema creditizio: 106 milioni. L'Arin, di contro, è riuscita a fermarsi a 10 milioni. Il costo del personale Sempre secondo l'ex assessore Realfonzo l'incidenza della spesa per il personale sui costi operativi complessivi delle società partecipate è mediamente peri al 54,97%. Dato medio che oscilla tra il 25% dell'Arin (28 milioni di euro sui 112 complessivi) e il 90,78% di Napoli Sociale (11 milioni di euro destinati a pagare gli stipendi degli addetti sui 13 che vanno sotto la voce generale «costi operativi»). Napoli Servizi si attesta all'81,34%, Napolipark al 66,89, Anm al 63,62, Asìa al 56,16, Terme di Agnano al 52,12 e così via. Il problema dei residui «Le difficoltà finanziarie del Comune, con particolare riferimento alla difficoltà di riscossione delle entrate correnti — scriveva ancora Realfonzo il 4 luglio scorso — hanno determinato nel corso degli anni un rilevante ammontare di residui attivi (crediti vantati dall'amministrazione, ndr), cui corrispondono residui passivi (le spese da effettuare dall'amministrazione, ndr) egualmente rilevanti». I primi, secondo il documento dell'ex assessore, ammontano — sempre al 31 dicembre scorso — a 3,274 miliardi di euro (nel dossier si individuano entrate tributarie, extra-tributarie, dalla Regione o da altri enti pubblici etc.); i secondi (intesi come spese correnti, in conto capitale, per rimborso prestiti etc.) raggiungono quota 3,371 miliardi.

IL PARERE - «Va innanzitutto segnalato — rilevava a inizio luglio l'economista dell'Università del Sannio — che i dati riportati hanno carattere provvisorio in quanto il Comune di Napoli non ha ancora approvato il rendiconto della gestione relativo al 2011 e che, con apposito atto di indirizzo approvato dalla giunta, è stata disposta una verifica straordinaria dei residui attivi, e pertanto ulteriore rispetto alle ordinarie procedure, con particolare riferimento ai crediti di dubbia esigibilità per i quali sono stati richiesti approfondimenti da parte della Corte dei conti». Dunque, «dai dati provvisori in possesso dei Servizi di contabilità risultano, rispetto ai residui attivi, residui di dubbia esigibilità per complessivi 402.706.116 euro» Monte crediti che «non è stato depurato dai dati precedenti». Riscossioni-lumaca Per quanto riguarda le entrate tributarie (imposte varie) ed extra-tributarie (multe e così via) relative al periodo 2010-2011, Realfonzo indica una percentuale di riscossioni pari al 58,90%. Il dato scende clamorosamente — fino «all'1,67% — per i residui antecedenti al 2007 (pari a 824 milioni di euro, ovvero al 28,42% del totale)». Per i residui «antecedenti al 2009 (pari a 1415 milioni di euro, ovvero al 48,79% del totale dei residui), invece, le riscossioni sono state pari al 3,68%». Nel complesso il dato — riferito sempre all'esercizio 2011, come è chiaramente precisato nella nota — è «pari al 32%».
 Paolo Grassi

L'UNIONE SARDA - Economia: Il Pil crolla, consumi a picco
11.09.2012
L'economia italiana va peggio del previsto. L'Istat ha rivisto al ribasso il dato sul Pil del secondo trimestre dell'anno. Ma per centrare gli obiettivi di bilancio, in particolare il pareggio già l'anno prossimo, non ci sarà bisogno di nuovi interventi correttivi sui conti. Nessuna nuova misura, neanche una patrimoniale. E questo nonostante una crescita che segna ormai cali da “profondo rosso” centrando il peggior risultato trimestrale dal 2009 (anno in cui il Pil chiuse in calo del 4,9%). Ma questo non intaccherà «il raggiungimento degli obiettivi strutturali». Il ministro all'Economia, Vittorio Grilli, getta acqua sul fuoco nonostante i dati diffusi ieri dall'Istat sul Pil siano addirittura peggiori di quelli già ampiamente negativi delle stime preliminari. E anzi rilancia: non solo non ci sarà bisogno di interventi ma manterremo anche i nostri impegni per la riduzione del debito («20 miliardi, più di un punto di Pil l'anno»). Né l'Italia avrà bisogno di chiedere aiuti all'Europa. I DATI Resta da digerire il dato molto pesante diffuso dall'Istat. Nel secondo trimestre 2012 il calo è stato dello 0,8% rispetto al trimestre precedente e del 2,6% nei confronti del secondo trimestre 2011, rispetto alla stima preliminare, diffusa ad agosto, che indicava un calo congiunturale dello 0,7% e su base annua del 2,5%. Tutto questo grazie soprattutto al crollo della spesa delle famiglie (oltre -10% per i beni durevoli come auto, vestiti, ecc). Non a caso i consumatori chiedono un rilancio immediato dei consumi via decreto legge. Insomma il dato peggiore dal quarto trimestre 2009, quando il calo era stato del 3,5%. IL GOVERNO Ma Grilli - dopo un incontro a Parigi con l'omologo francese Pierre Moscovici - è convinto che il governo «non intende prendere altre misure, oggi non abbiamo questa esigenza». Questo anche perché le grandi poste di bilancio sono «già sistemate e aggiustate per il ciclo». Anche sulla riduzione del debito «abbiamo preso un impegno, lo manterremo». E infine «nell'attuale contesto - spiega il ministro - l'Italia non ha bisogno di far ricorso all'assistenza della Bce sotto forma di acquisto di bond. Ma il quadro - dice Confcommercio - appare «molto preoccupante» e questo soprattutto a causa della caduta dei consumi delle famiglie. Certo è comunque che nel giro di pochi giorni il Governo si troverà a fare i conti sia con la crescita che non c'è sia con le previsioni dei maggiori istituti internazionali che vedono ribasso il pil per quest'anno. L'occasione sarà il Documento di economia e finanza che dovrebbe vedere la luce entro breve.

Monti: per risanare era necessario aggravare congiuntura
Il premier, intervenendo all’apertura della XV edizione del Salone Italiano del Tessile, ha sottolineato che “casta siamo tutti noi cittadini italiani” e ha invitato sindacati e imprese a "fare di più"
Roma - Un’Italia alle prese con uno “spread di produttività” rispetto agli altri paesi, in cui la “casta siamo tutti noi cittadini italiani che continuiamo a dare prevalenza più al ‘particulare’ che al generale e poi ci lamentiamo che il generale funziona male”. È questa la diagnosi del "malato" Italia pronunciata dal presidente del Consiglio, Mario Monti, intervenendo all’apertura della XV edizione di Milano Unica, il Salone Italiano del Tessile in corso a Milano. Guardando alla cura, invece, il premier ha dapprima ammesso che le scelte dell’esecutivo tecnico hanno “contribuito ad aggravare la situazione congiunturale, è ovvio”. “Ma è solo così – ha ricordato - che si può avere qualche speranza un pochino più in là di avere risanata in maniera durevole la situazione”. “Noi ci aspettiamo, ed esigiamo a nome del paese e dei cittadini - ha quindi invitato il premier guardando all’incontro a Palazzo Chigi con le parti sociali durante il quale si parlerà anche di cuneo fiscale - che imprese e sindacati riescano a fare qualcosa di più. Sono sicuro che lo otterremo, la crisi ha accresciuto in tutti il senso di appartenenza. La sfida sulla produttività del lavoro non può essere affrontata solo da una parte, ma si vince solo se si determinano nuovi punti di intersezione”.

 LA CURA - “La spending review – ha precisato ancora Monti - con incisione chirurgiche, precise da fare ma dolorose da ricevere, va a intaccare tessuti nei quali la commistione fra politica e pubblica amministrazione aveva creato nel corso dei decenni spesa pubblica e opacità”. “L’agenda dei prossimi mesi – ha sottolineato il capo del governo - prevede di sbloccare 50 miliardi entro fine legislatura, con innovazione e ricerca, semplificazione fiscale, e più efficienza della macchina giudiziaria. È un’azione sistematica indirizzata ad aumentare la produttività dei singoli fattori”.

 LA CASTA - “Ogni città ha rivendicato la sua università, il suo aeroporto, il suo tribunale. Con quali risultati per la competitività del Paese?", ha quindi denunciato Monti. Ecco il perché degli sforzi, ha proseguito, “per dare più competitività, per esempio, alla geografia dei tribunali. È in questo modo che si dà più efficacia al sistema. Siamo tutti casta perché stiamo tutti attenti al ‘particulare ‘e poi ci lamentiamo quando il generale funziona male”.   (ilVelino/AGV)
(cos/dam) 11 Settembre 2012 13:33



Nessun commento: