Il "famolo strano" colpisce la mozzarella. E la
fa di tutti i colori
La bufala lombarda non esiste: pugno duro del consorzio
Il Latte a Salerno si rinnova e rilancia ma solo nel look
Il "famolo strano" colpisce la mozzarella. E la
fa di tutti i colori
Lungi da noi l'intenzione di
apparire né di essere degli integralisti del cibo tradizionale, né di
arroccarci in posizioni immutabili, ma quando si sentono certe
"notizie-non-notizie", la reazione inevitabile, quasi viscerale, è
quella di rimettere i puntini sulle "i". E di ricordare come stanno
le cose a chi se ne fosse magari dimenticato.
Per quanto si possa essere aperti
alle innovazioni, la notizia di cui ci ritroviamo a parlare è di quelle che
quantomeno dovrebbero lasciare perplessi. Qualcuno si è messo in testa di
produrre piccole mozzarelle aromatizzate (qualcuno le ha già chiamate
"praline": alla nocciola, al pistacchio, alla fragola, alle arance,
ai fichi, ma non solo) e, non contento di questo, ha voluto che si
distinguessero anche cromaticamente. Come se non ci bastasse la cronaca che di
tanto in tanto ci propina storie di consumatori nel panico che si rivolgono
alle Asl per l'ennesimo latticino blu, o rosa.
Stavolta nessun batterio
contaminante, nessun allarme alimentare bensì un cuoco di Agropoli, in
provincia di Salerno, che dopo tre anni di sperimentazioni ha deciso di
intraprendere la strada del "famolo strano", dando la notizia in
pasto alle agenzie giornalistiche e confidando nella disponibilità di una certa
stampa (parte della quale - vedi foto - ha preso un abbaglio e ha parlato di
mozzarella di bufala, ndr), sempre attenta alle notizie che - seppur futili -
possono colpire ormai milioni di italiani.
Il cuoco, tale Raffaele Sergio
Figliola avrebbe persino brevettato la trovata, nel timore che qualche
malfattore potrebbe depredarlo della tanto straordinaria idea. Mentre qualcuno
già ne parla come di un prodotto che pur avendo personalità e offrendo piacere
al palato conserva la tipicità originaria (come se i colori non influensassero
la percezione gustativa del consumatore!), veniamo a scoprire che il Figliola,
da anni operante nel milanese, dove il lampo del genio è scoccato, si è
organizzato per far effettuare la lavorazione nel "suo" Cilento.
«La parte tecnica sarà eseguita in
zona», ha spiegato il cuoco nel corso della presentazione, che si è tenuta ad
Agropoli, «visto che lo studio del prodotto è avvenuto in questo comune, mentre
la fase sperimentale, peraltro già cominciata, si svolge a Paestum». E proprio
a Paestum è attesa, nei prossimi giorni, una rappresentanza dei laureandi in
Scienze dell'Alimentazione dell'Università Federico II di Napoli. La loro
visita servirà a studiare la realizzazione, la lavorazione del prodotto, le caratteristiche e i sapori, in attesa che
la cosiddetta "mozzarella dai sedici gusti", venga messa in
commercio.
Per chi fosse impaziente di
scoprire tanta stranezza, la presentazione ufficiale di queste
"praline", avverrà il 5 ottobre presso il Castello di Agropoli:
«Senza falsa modestia», ha proseguito Figliola, «posso dire di aver reinventato
la mozzarella: un prodotto dal sapore unico, che verrà lanciato in anteprima
proprio nella capitale del Cilento e da qui, si spera, potrà aver presto un
successo internazionale».
Le speranze sono le ultime a
morire, si sa. E la nostra è che una roba del genere trovi sul mercato
un'accoglienza meno calda rispetto a quella ricevuta sin qui dalla stampa.
22 settembre 2012
La bufala lombarda non esiste: pugno duro del consorzio
Ogni tanto capita di scoprire che
due più due non faccia quattro, e che certe "verità", apparentemente
indubitabili, siano fondate sull'errore. Errori spesso dovuti a qualche
distrazione, o a superficialità. Altre volte, soprattutto quando divulgati
dalla stampa, compiuti per favorire qualcuno, o causati dall'eccessiva fiducia
riposta nelle proprie fonti d'informazione.
È accaduto nei giorni scorsi di
apprendere dai media che un caseificio lombardo avrebbe prodotto e
commercializzato mozzarelle di bufala aggiungendo alla denominazione
l'attributo regionale "lombarda", e facendo convivere nella
pubblicizzazione della stessa (qui il vulnus della notizia circolata) il
marchio del consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop. La notizia,
rilanciata da decine di periodici e agenzie stampa web, non riporta il nome del
caseificio (multato dai Nac di Parma, a seguito di una ispezione congiunta con
funzionari del consorzio Dop) ma la nostra redazione - pressata anche da non
pochi lettori che chiedevano notizie circa i rischi sanitari possibili - è
riuscita ad entrare in contatto con il legale dell'azienda
"incriminata", avvocato Alfredo Sagliocco. Questi, dopo aver
annunciato che «il verbale verrà opposto entro i termini di legge», ha tenuto a
precisare altri dettagli sostanziali.
«Sono state sequestrate solo buste
da imballaggio vuote», ha sottolineato Sagliocco, «su cui v’è la dicitura
"mozzarella di bufala lombarda" ma assolutamente senza il marchio
Dop, né quello del consorzio della Mozzarella di Bufala Campana» e «sono stati
fatti, altresì, oggetto di sequestro vecchi depliant che giacevano in deposito.
Depliant che accompagnavano la vendita di mozzarella di bufala campana dop,
tempo addietro acquistata da caseifici del sud, come si può dimostrare con
regolari fatture». Sta di fatto che nessun sequestro è stato disposto sul
prodotto né controlli sono stati effettuati su chi produce la materia prima (un
allevamento della bergamasca), il che rassicura i consumatori sulla sanità del
prodotto "mozzarella di bufala" (Dop o non Dop) circolante nella
Regione.
In sostanza due "peccati
veniali", per quanto compiuti "alla leggera": l'uno nell'uso di
una dicitura regionale non ammessa dalla legge e di un marchio riproducente il
marchio della Regione Lombardia (croce bianca su scudo verde) e l'altro nel
conservare vecchio materiale pubblicitario risalente ai tempi in cui il locale
utilizzava effettivamente mozzarella di bufala Dop.
Ovvio che il fenomeno dei molti
caseifici sparsi in Italia (e all'estero) che basano la loro attività sulla
produzione di latticini di bufala preoccupa consorzio, produttori e allevatori
aderenti alla Dop. Secondo le stime del Consorzio della Mozzarella di Bufala
Dop "il mercato parallelo della contraffazione vale ogni anno oltre 100
milioni di euro e produce circa 8 milioni di chilogrammi di mozzarella in
Italia e all'estero. Si suddivide in: 1,8 milioni di chilogrammi di mozzarella
non dop che riporta marchio dop, con un valore tra i 25 e i 30 milioni di euro,
6-8 milioni di chilogrammi di mozzarella con dicitura mozzarella di bufala ma
che non potrebbe indicare questa etichetta, con un valore di 75-100 milioni di
euro".
A tale proposito il direttore del
consorzio Antonio Lucisano ha sottolineato che «assistiamo alla crescita di un fenomeno
inquietante: il tentativo, soprattutto in alcune aree del nord, di appropriarsi
indebitamente e illegalmente di un marchio di qualità, che vuol dire
tradizione, controlli, genuinità e unicità. Con cadenza quasi quotidiana siamo
costretti a leggere di presunte mozzarelle di bufala venete o siciliane,
articoli in cui si delineano scenari inverosimili di un futuro prodotto del
nord in grado di competere con l’autentica mozzarella Dop, che creano una
preoccupante confusione tra i consumatori. Vogliamo ribadire che nel resto
d’Italia si può realizzare un prodotto generico con latte di bufala, che nulla
ha a che fare con la mozzarella di bufala campana Dop, unica per gusto, qualità
della materia prima e per sicurezza, visto che è sottoposta a oltre 10mila
controlli l’anno».
C'è da credere che il caseificio
di cui si è molto parlato in questi giorni (ma di cui non è emerso,
fortunatamente, il nome) proseguirà nella propria attività non senza prima aver
eliminato sia l'attuale marchio che l'indebita dicitura "lombarda". E
proseguendo nella vendita di "mozzarella di bufala" prodotta alle
porte di Milano con latte di bufala della bergamasca. Con buona pace del
consorzio, i prodotti dei cui associati - a parità di qualità - arrivano al
nord con una mezza giornata di shelf life in meno. Il vero problema verrà
risolto quando il sistema della Dop avrà saputo riconquistare l'originaria
fiducia del più ampio mercato possibile. Il che ci auguriamo avvenga presto.
22 settembre 2012
Il Latte a Salerno si rinnova e rilancia ma solo nel look
A giudicare dai titoli dei
giornali campani, e dalla blanda enfasi con cui la notizia è stata data al
pubblico in questi giorni, il recente restyling dei tetrapak firmati
"Centrale del Latte di Salerno" potrebbe sembrare una semplice
operazione estetica, pur celando, a guardar bene, significati di ben altro
spessore: dallo studio di design e marketing coinvolto nell'operazione (uno dei
migliori che potessero essere ingaggiati), al ruolo degli allevatori, alle
future strategie espansionistiche del produttore.
La presentazione, avvenuta lunedì
scorso nella Sala del Gonfalone del Comune di Salerno, alla presenza del
sindaco Vincenzo De Luca, del presidente della Centrale del Latte Ugo
Carpinelli e del designer Pino Grimaldi dell'agenzia di comunicazione Blur è stata
mirata a presentare il progetto di branding, parte visibile di un più ampio
piano di iniziative di marketing che hanno concorso ad accreditare il marchio
Centrale del Latte di Salerno come leader del mercato locale.
"Il packaging", spiega
l'agenzia, "rappresenta l’immagine del prodotto ed è veicolo del brand che
arriva a casa del consumatore ribadendo la propria presenza e generando
fidelizzazione. Ed è per raggiungere questo scopo che si è dedicata
un’attenzione così accurata alla progettazione". "Unitamente al
design del pack del latte", proseguono alla Blur, "il progetto ha in
programma la revisione di tutte le confezioni e conseguentemente l’immagine
grafica di tutti i prodotti".
Il cambio del logotipo è stato
realizzato grazie ad uno studio durato circa un anno, attraverso una
metodologia di branding elaborata da Blur, impostata sulla strategia di
accreditamento della marca che, nel corso degli anni, è stata estesa ormai a
molti altri prodotti (novanta referenze circa). "Con i suoi ottanta anni
di storia", è stato sottolineato nel corso della presentazione, "la
Centrale del Latte di Salerno è uno degli attori dello sviluppo e dell’economia
della provincia" costiera a sud del napoletano.
A guardar bene, i promotori
dell'iniziativa hanno perso però l'occasione di trattare i due fattori
sostanziali che sono alla base dell'operazione. Fattori che troppo spesso
sfuggono in situazioni come questa: si presenta la nuova confezione, si parla
di marketing e consumi, si sottolinea l'origine locale del prodotto (payoff
"il nostro" sulle confezioni) ma ci si "dimentica" del
ruolo dei fornitori della materia prima (gli allevatori) e del valore
intrinseco della stessa (oramai dalle più parti svilita a semplice commodity).
Quindi, al di là delle strategie e
di un "nuovo vestito" più o meno funzionali alle vendite, oltre le
tecniche di persuasione del consumatore, sarà bene tornare a considerare il
ruolo di chi il latte produce, la sua soddisfazione morale e materiale (il
settore è in ginocchio, ormai in ogni dove, a causa di una remunerazione che si
fa sempre più insufficiente, anche a causa degli aumentati costi di gestione
delle aziende agricole) e il valore nutrizionale del prodotto.
Il latte, come da noi spesso
ricordato, avrebbe valori nutrizionali nobili e utili all'organismo umano -
dagli Omega3 al Cla, dal betacarotene alle vitamine - ma questo in via del
tutto teorica e solo se lo si considera prodotto in una dimensione realmente
rurale (in cui gli animali siano alimentati "all'antica", con foraggi
polifiti e senza integrazioni che puntino più alla quantità che alla qualità).
Un'occasione questa per ricordare
che l'industria del latte (intesa nel suo complesso), in questi quarant'anni di
quasi-monopolio (chi ne sfugge? distributori di latte crudo e piccole realtà
che mirano alla qualità reale), è riuscita a basare il suo potere d'acquisto
sulla globalizzazione del prodotto: una volta creata la convenzione secondo cui
lo si remunera per i soliti quattro valori (grassi, proteine, carica batterica
e cellule somatiche) ogni fornitore vale l'altro, e quella dicitura che a volte
compare "dagli allevamenti della nostra provincia" (o simile), vuota
di ogni reale significato (se gli animali mangiano insilati e unifeed e non
foraggio del territorio), oltre che sembrare una garanzia per il consumatore
rischia di essere un mero argomento in più per convincere chi acquista di una
superiorità solo presunta.
Infine, tornando al latte della
Centrale di Salerno e stando a sentire quanto alcuni giornali hanno insinuato
in queste ore, la prossima mossa di questa operazione potrebbe essere quella di
puntare con forza al mercato napoletano e da lì a quello dell'intera Regione.
L'impressione è che se ne vedranno delle belle.
22 settembre 2012
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