sabato 22 settembre 2012

(2) XXII.IX.MMXII/ Della mozzarella di bufala e del suo infausto presente, simile a quello del Sud


Il "famolo strano" colpisce la mozzarella. E la fa di tutti i colori
La bufala lombarda non esiste: pugno duro del consorzio
Il Latte a Salerno si rinnova e rilancia ma solo nel look



Il "famolo strano" colpisce la mozzarella. E la fa di tutti i colori
Lungi da noi l'intenzione di apparire né di essere degli integralisti del cibo tradizionale, né di arroccarci in posizioni immutabili, ma quando si sentono certe "notizie-non-notizie", la reazione inevitabile, quasi viscerale, è quella di rimettere i puntini sulle "i". E di ricordare come stanno le cose a chi se ne fosse magari dimenticato.
Per quanto si possa essere aperti alle innovazioni, la notizia di cui ci ritroviamo a parlare è di quelle che quantomeno dovrebbero lasciare perplessi. Qualcuno si è messo in testa di produrre piccole mozzarelle aromatizzate (qualcuno le ha già chiamate "praline": alla nocciola, al pistacchio, alla fragola, alle arance, ai fichi, ma non solo) e, non contento di questo, ha voluto che si distinguessero anche cromaticamente. Come se non ci bastasse la cronaca che di tanto in tanto ci propina storie di consumatori nel panico che si rivolgono alle Asl per l'ennesimo latticino blu, o rosa.
Stavolta nessun batterio contaminante, nessun allarme alimentare bensì un cuoco di Agropoli, in provincia di Salerno, che dopo tre anni di sperimentazioni ha deciso di intraprendere la strada del "famolo strano", dando la notizia in pasto alle agenzie giornalistiche e confidando nella disponibilità di una certa stampa (parte della quale - vedi foto - ha preso un abbaglio e ha parlato di mozzarella di bufala, ndr), sempre attenta alle notizie che - seppur futili - possono colpire ormai milioni di italiani.
Il cuoco, tale Raffaele Sergio Figliola avrebbe persino brevettato la trovata, nel timore che qualche malfattore potrebbe depredarlo della tanto straordinaria idea. Mentre qualcuno già ne parla come di un prodotto che pur avendo personalità e offrendo piacere al palato conserva la tipicità originaria (come se i colori non influensassero la percezione gustativa del consumatore!), veniamo a scoprire che il Figliola, da anni operante nel milanese, dove il lampo del genio è scoccato, si è organizzato per far effettuare la lavorazione nel "suo" Cilento.
«La parte tecnica sarà eseguita in zona», ha spiegato il cuoco nel corso della presentazione, che si è tenuta ad Agropoli, «visto che lo studio del prodotto è avvenuto in questo comune, mentre la fase sperimentale, peraltro già cominciata, si svolge a Paestum». E proprio a Paestum è attesa, nei prossimi giorni, una rappresentanza dei laureandi in Scienze dell'Alimentazione dell'Università Federico II di Napoli. La loro visita servirà a studiare la realizzazione, la lavorazione del prodotto,  le caratteristiche e i sapori, in attesa che la cosiddetta "mozzarella dai sedici gusti", venga messa in commercio.
Per chi fosse impaziente di scoprire tanta stranezza, la presentazione ufficiale di queste "praline", avverrà il 5 ottobre presso il Castello di Agropoli: «Senza falsa modestia», ha proseguito Figliola, «posso dire di aver reinventato la mozzarella: un prodotto dal sapore unico, che verrà lanciato in anteprima proprio nella capitale del Cilento e da qui, si spera, potrà aver presto un successo internazionale».
Le speranze sono le ultime a morire, si sa. E la nostra è che una roba del genere trovi sul mercato un'accoglienza meno calda rispetto a quella ricevuta sin qui dalla stampa.
22 settembre 2012

La bufala lombarda non esiste: pugno duro del consorzio
Ogni tanto capita di scoprire che due più due non faccia quattro, e che certe "verità", apparentemente indubitabili, siano fondate sull'errore. Errori spesso dovuti a qualche distrazione, o a superficialità. Altre volte, soprattutto quando divulgati dalla stampa, compiuti per favorire qualcuno, o causati dall'eccessiva fiducia riposta nelle proprie fonti d'informazione.
È accaduto nei giorni scorsi di apprendere dai media che un caseificio lombardo avrebbe prodotto e commercializzato mozzarelle di bufala aggiungendo alla denominazione l'attributo regionale "lombarda", e facendo convivere nella pubblicizzazione della stessa (qui il vulnus della notizia circolata) il marchio del consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop. La notizia, rilanciata da decine di periodici e agenzie stampa web, non riporta il nome del caseificio (multato dai Nac di Parma, a seguito di una ispezione congiunta con funzionari del consorzio Dop) ma la nostra redazione - pressata anche da non pochi lettori che chiedevano notizie circa i rischi sanitari possibili - è riuscita ad entrare in contatto con il legale dell'azienda "incriminata", avvocato Alfredo Sagliocco. Questi, dopo aver annunciato che «il verbale verrà opposto entro i termini di legge», ha tenuto a precisare altri dettagli sostanziali.
«Sono state sequestrate solo buste da imballaggio vuote», ha sottolineato Sagliocco, «su cui v’è la dicitura "mozzarella di bufala lombarda" ma assolutamente senza il marchio Dop, né quello del consorzio della Mozzarella di Bufala Campana» e «sono stati fatti, altresì, oggetto di sequestro vecchi depliant che giacevano in deposito. Depliant che accompagnavano la vendita di mozzarella di bufala campana dop, tempo addietro acquistata da caseifici del sud, come si può dimostrare con regolari fatture». Sta di fatto che nessun sequestro è stato disposto sul prodotto né controlli sono stati effettuati su chi produce la materia prima (un allevamento della bergamasca), il che rassicura i consumatori sulla sanità del prodotto "mozzarella di bufala" (Dop o non Dop) circolante nella Regione.
In sostanza due "peccati veniali", per quanto compiuti "alla leggera": l'uno nell'uso di una dicitura regionale non ammessa dalla legge e di un marchio riproducente il marchio della Regione Lombardia (croce bianca su scudo verde) e l'altro nel conservare vecchio materiale pubblicitario risalente ai tempi in cui il locale utilizzava effettivamente mozzarella di bufala Dop.
Ovvio che il fenomeno dei molti caseifici sparsi in Italia (e all'estero) che basano la loro attività sulla produzione di latticini di bufala preoccupa consorzio, produttori e allevatori aderenti alla Dop. Secondo le stime del Consorzio della Mozzarella di Bufala Dop "il mercato parallelo della contraffazione vale ogni anno oltre 100 milioni di euro e produce circa 8 milioni di chilogrammi di mozzarella in Italia e all'estero. Si suddivide in: 1,8 milioni di chilogrammi di mozzarella non dop che riporta marchio dop, con un valore tra i 25 e i 30 milioni di euro, 6-8 milioni di chilogrammi di mozzarella con dicitura mozzarella di bufala ma che non potrebbe indicare questa etichetta, con un valore di 75-100 milioni di euro".
A tale proposito il direttore del consorzio Antonio Lucisano ha sottolineato che «assistiamo alla crescita di un fenomeno inquietante: il tentativo, soprattutto in alcune aree del nord, di appropriarsi indebitamente e illegalmente di un marchio di qualità, che vuol dire tradizione, controlli, genuinità e unicità. Con cadenza quasi quotidiana siamo costretti a leggere di presunte mozzarelle di bufala venete o siciliane, articoli in cui si delineano scenari inverosimili di un futuro prodotto del nord in grado di competere con l’autentica mozzarella Dop, che creano una preoccupante confusione tra i consumatori. Vogliamo ribadire che nel resto d’Italia si può realizzare un prodotto generico con latte di bufala, che nulla ha a che fare con la mozzarella di bufala campana Dop, unica per gusto, qualità della materia prima e per sicurezza, visto che è sottoposta a oltre 10mila controlli l’anno».
C'è da credere che il caseificio di cui si è molto parlato in questi giorni (ma di cui non è emerso, fortunatamente, il nome) proseguirà nella propria attività non senza prima aver eliminato sia l'attuale marchio che l'indebita dicitura "lombarda". E proseguendo nella vendita di "mozzarella di bufala" prodotta alle porte di Milano con latte di bufala della bergamasca. Con buona pace del consorzio, i prodotti dei cui associati - a parità di qualità - arrivano al nord con una mezza giornata di shelf life in meno. Il vero problema verrà risolto quando il sistema della Dop avrà saputo riconquistare l'originaria fiducia del più ampio mercato possibile. Il che ci auguriamo avvenga presto.
22 settembre 2012

Il Latte a Salerno si rinnova e rilancia ma solo nel look
A giudicare dai titoli dei giornali campani, e dalla blanda enfasi con cui la notizia è stata data al pubblico in questi giorni, il recente restyling dei tetrapak firmati "Centrale del Latte di Salerno" potrebbe sembrare una semplice operazione estetica, pur celando, a guardar bene, significati di ben altro spessore: dallo studio di design e marketing coinvolto nell'operazione (uno dei migliori che potessero essere ingaggiati), al ruolo degli allevatori, alle future strategie espansionistiche del produttore.
La presentazione, avvenuta lunedì scorso nella Sala del Gonfalone del Comune di Salerno, alla presenza del sindaco Vincenzo De Luca, del presidente della Centrale del Latte Ugo Carpinelli e del designer Pino Grimaldi dell'agenzia di comunicazione Blur è stata mirata a presentare il progetto di branding, parte visibile di un più ampio piano di iniziative di marketing che hanno concorso ad accreditare il marchio Centrale del Latte di Salerno come leader del mercato locale.
"Il packaging", spiega l'agenzia, "rappresenta l’immagine del prodotto ed è veicolo del brand che arriva a casa del consumatore ribadendo la propria presenza e generando fidelizzazione. Ed è per raggiungere questo scopo che si è dedicata un’attenzione così accurata alla progettazione". "Unitamente al design del pack del latte", proseguono alla Blur, "il progetto ha in programma la revisione di tutte le confezioni e conseguentemente l’immagine grafica di tutti i prodotti".
Il cambio del logotipo è stato realizzato grazie ad uno studio durato circa un anno, attraverso una metodologia di branding elaborata da Blur, impostata sulla strategia di accreditamento della marca che, nel corso degli anni, è stata estesa ormai a molti altri prodotti (novanta referenze circa). "Con i suoi ottanta anni di storia", è stato sottolineato nel corso della presentazione, "la Centrale del Latte di Salerno è uno degli attori dello sviluppo e dell’economia della provincia" costiera a sud del napoletano.
A guardar bene, i promotori dell'iniziativa hanno perso però l'occasione di trattare i due fattori sostanziali che sono alla base dell'operazione. Fattori che troppo spesso sfuggono in situazioni come questa: si presenta la nuova confezione, si parla di marketing e consumi, si sottolinea l'origine locale del prodotto (payoff "il nostro" sulle confezioni) ma ci si "dimentica" del ruolo dei fornitori della materia prima (gli allevatori) e del valore intrinseco della stessa (oramai dalle più parti svilita a semplice commodity).
Quindi, al di là delle strategie e di un "nuovo vestito" più o meno funzionali alle vendite, oltre le tecniche di persuasione del consumatore, sarà bene tornare a considerare il ruolo di chi il latte produce, la sua soddisfazione morale e materiale (il settore è in ginocchio, ormai in ogni dove, a causa di una remunerazione che si fa sempre più insufficiente, anche a causa degli aumentati costi di gestione delle aziende agricole) e il valore nutrizionale del prodotto.
Il latte, come da noi spesso ricordato, avrebbe valori nutrizionali nobili e utili all'organismo umano - dagli Omega3 al Cla, dal betacarotene alle vitamine - ma questo in via del tutto teorica e solo se lo si considera prodotto in una dimensione realmente rurale (in cui gli animali siano alimentati "all'antica", con foraggi polifiti e senza integrazioni che puntino più alla quantità che alla qualità).
Un'occasione questa per ricordare che l'industria del latte (intesa nel suo complesso), in questi quarant'anni di quasi-monopolio (chi ne sfugge? distributori di latte crudo e piccole realtà che mirano alla qualità reale), è riuscita a basare il suo potere d'acquisto sulla globalizzazione del prodotto: una volta creata la convenzione secondo cui lo si remunera per i soliti quattro valori (grassi, proteine, carica batterica e cellule somatiche) ogni fornitore vale l'altro, e quella dicitura che a volte compare "dagli allevamenti della nostra provincia" (o simile), vuota di ogni reale significato (se gli animali mangiano insilati e unifeed e non foraggio del territorio), oltre che sembrare una garanzia per il consumatore rischia di essere un mero argomento in più per convincere chi acquista di una superiorità solo presunta.
Infine, tornando al latte della Centrale di Salerno e stando a sentire quanto alcuni giornali hanno insinuato in queste ore, la prossima mossa di questa operazione potrebbe essere quella di puntare con forza al mercato napoletano e da lì a quello dell'intera Regione. L'impressione è che se ne vedranno delle belle.
22 settembre 2012

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