Bankitalia. n. 16 - L'economia della Campania
n. 10 - L'economia della Toscana
Ricchezza, i giovani pugliesi sono i più
produttivi d’Italia
L'UNIONE SARDA - Economia: Pil, l'Isola affonda
14.06.2013
Il 2012 ha lasciato
ferite profonde sul tessuto economico della Sardegna. Il prodotto interno lordo
è calato del 2,8%, con un nuovo «marcato peggioramento» dopo il debole recupero
del 2010 e della prima parte del 2011. Il Pil è lo specchio della crisi dell'industria,
ma anche dei servizi e del turismo. Una crisi che si è abbattuta sul lavoro e
sul tasso di disoccupazione, che ormai veleggia su livelli record. A dirlo è il
consueto rapporto annuale di Bankitalia, presentato ieri nella sede
cagliaritana dell'istituto dal direttore Nevio Rodighiero. LE DIFFICOLTÀ «Il
trend dell'Isola rispecchia l'andamento nazionale», ha spiegato il numero uno
di Bankitalia in Sardegna, «ma un po' peggio». Le difficoltà hanno interessato
soprattutto l'industria (che ha registrato una riduzione del fatturato del 4%)
e le costruzioni (la produzione è risultata in discesa con un numero di ore
lavorate diminuito del 13%). L'unica nota positiva è rappresentata dall'export
di marmi e graniti (+33%) e dei prodotti agroalimentari (+23%). Al contrario, i
servizi hanno risentito «della riduzione del reddito disponibile e
dell'accentuata diminuzione dei consumi». LE PREVISIONI Per il 2013 le
previsioni degli esperti dicono che sarà stagnazione. E non va bene neanche il
turismo. In base ai dati della Regione - ricorda Bankitalia - le presenze nelle
strutture ricettive sono diminuite del 16%. Giù anche i passeggeri transitati
per porti e aeroporti dell'Isola con una flessione dell'8,1%, mentre per quanto
riguarda il traffico portuale delle merci il decremento è pari al 4,4%.
L'OCCUPAZIONE È andata male anche sul fronte del lavoro con il tasso di
disoccupazione che, in un anno, è aumentato in media di due punti percentuali.
I segnali più preoccupanti arrivano soprattutto per i più giovani: «Per la
fascia tra i 15 e i 34 anni», dice il Rapporto, «il tasso di disoccupazione è
aumentato di 4,3 punti percentuali, dal 24,8 al 29,1%». IL PRECARIATO Il lavoro
stabile sta diventando un miraggio: «Le imprese stanno privilegiando i
contratti a tempo, aumentati di oltre il 3%, e le posizioni part-time». Per non
parlare dei salari. «Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti, pari in media
nel 2012 a quasi 1200 euro netti mensili, sono leggermente superiori ai dati
del Sud, ma inferiori alla media nazionale». IL CREDITO La recessione ha
condizionato sia la domanda di credito sia l'offerta di finanziamento.
Risultato: una forte contrazione dei prestiti. Il discorso vale per le imprese,
ma anche per le famiglie: i finanziamenti ai consumatori si sono ridotti dello
0,3%. «C'è una flessione della domanda dei mutui per abitazioni e credito al
consumo, ma in ogni caso», sottolinea Rodighiero, «il calo dovrebbe arrestarsi
nella prima metà del 2013». IL FISCO Moderato il ricorso alla leva fiscale da
parte degli enti territoriali, sebbene negli ultimi due anni si sia registrata
una lieve tendenza all'innalzamento della pressione impositiva, in particolare
dei Comuni. LE IMPRESE Le imprese, infine, per bocca del presidente regionale
di Confindustria Alberto Scanu, hanno proposto di ripartire, puntando su
export, innovazione e manifatturiero, senza dimenticare i temi centrali del
turismo e dell'energia.
Bankitalia. n. 16 - L'economia della Campania
Sommario
Nel 2012 il PIL dell'area dell'euro è
diminuito dello 0,6 per cento. In Italia il calo è stato più intenso ( 2,4 per
cento); per la Campania, le stime di Prometeia indicano una contrazione ancora
maggiore ( 2,6 per cento).
Giunta al quinto anno di recessione, la
regione mostra intense riduzioni nei flussi di produzione e di investimento e
una sensibile diffusione delle crisi d'impresa.
Tra il 2008 e il 2012 sono uscite dal
mercato circa 8.400 imprese all'anno, principalmente per effetto di
liquidazioni volontarie, ma con una crescente incidenza di procedure
fallimentari, che coinvolgono soprattutto le aziende di maggiori dimensioni. In
termini di fatturato, il peso sull'economia regionale delle imprese cessate è
stimabile in circa il 10 per cento. In base a indicatori di redditività e
indebitamento, tali imprese mostravano una forte fragilità finanziaria già
negli anni precedenti la crisi.
Nell'industria, l'azione selettiva della
recessione si associa a un'elevata dispersione di perfomance settoriali e
territoriali. Non mancano, in regione, aree a forte specializzazione
manifatturiera che hanno superato i livelli di attività precedenti la crisi.
Tali realtà operano sia in settori ad alto contenuto di tecnologie
(aerospaziale, farmaceutico) sia in settori tradizionali (agroalimentare,
abbigliamento) e pesano per circa un terzo sugli addetti dell'industria
regionale. Nella restante parte del tessuto industriale campano, i segnali di
recupero appaiono invece deboli o del tutto assenti.
Oltre che a peculiarità locali e di
settore, le dinamiche delle imprese manifatturiere sono risultate sensibili
all'adozione di strategie di internazionalizzazione. L'indagine della Banca
d'Italia su un campione di aziende con almeno 20 addetti, pur indicando in
media forti riduzioni di fatturato e investimenti nel 2012, segnala un
andamento decisamente meno sfavorevole per le imprese entrate in nuovi mercati.
Per il 2013 una consistente ripresa delle
vendite è prevista solo dalle imprese con un'elevata quota di fatturato
esportato. Dall'avvio della crisi l'incidenza delle esportazioni sul valore
aggiunto industriale della regione è aumentata di quasi venti punti
percentuali, ma resta lontana dalla media nazionale.
Per accelerare il processo di
internazionalizzazione è necessario innalzare la capacità delle imprese di
innovare i prodotti, i processi produttivi, gli assetti organizzativi e
gestionali. La diffusione dell'attività innovativa è in Campania significativamente
inferiore alla media italiana, anche a parità di settore e dimensione
aziendale.
Il progressivo indebolirsi della domanda
interna continua a condizionare in negativo l'attività nei comparti
dell'edilizia e del commercio. Nel settore delle costruzioni i volumi di
produzione hanno risentito di forti contrazioni sia nel segmento immobiliare
sia in quello delle opere pubbliche. Le nuove opere previste dal Piano di
azione per la coesione e un più rapido avanzamento nell'utilizzo dei fondi
dell'Unione europea, concentrati in misura significativa nella realizzazione di
grandi progetti infrastrutturali, potrebbero contrastare il calo degli
investimenti pubblici.
I consumi, ostacolati dalle negative
prospettive nel mercato del lavoro e dal debole andamento dei flussi turistici,
sono calati, tornando sui livelli di 15 anni fa.
Tra il 2007 e il 2011 l'occupazione in
Campania aveva mostrato il calo più intenso e prolungato fra le regioni
italiane. Nel 2012 il numero di occupati è tornato a crescere, ma a ritmi lievi
e insufficienti a ridurre l'ampio squilibrio tra domanda e offerta di lavoro.
Molto più accentuato è stato il contemporaneo incremento nel numero di persone
in cerca di lavoro. Il tasso di disoccupazione si è situato nel 2012 al livello
più elevato tra le regioni italiane, soprattutto nella componente femminile.
A parità di caratteristiche osservabili, la
retribuzione oraria netta dei lavoratori dipendenti della Campania è di circa
il 6 per cento inferiore rispetto al resto del paese.
Negli anni recenti il calo delle vendite ha
dimezzato la redditività operativa delle imprese, rendendo meno sostenibile
l'indebitamento finanziario. A fine 2012 oltre un terzo dei prestiti erogati
alle imprese campane mostrava anomalie nella regolarità dei rimborsi. L'incidenza
dei crediti deteriorati raggiunge il 43 per cento per le imprese collegate alla
filiera immobiliare.
Le difficoltà di accesso al credito, dopo
il picco rilevato a fine 2011, si sono lievemente attenuate lo scorso anno, ma
restano elevate nel confronto storico.
Al lordo delle sofferenze, i prestiti alle
imprese risultano in calo da circa un anno. Dal 2008 la domanda di credito,
debole nella componente di finanziamento degli investimenti, si è concentrata
nella richiesta di sostegno al capitale circolante o di ristrutturazione del
debito, componenti che caratterizzano in maggiore misura le imprese più
vulnerabili. L'offerta di credito si è invece orientata verso le imprese meno
rischiose.
Dalla fine del 2012 hanno cominciato a
calare anche i prestiti erogati dalle banche e dalle società finanziarie alle
famiglie campane, sia nella componente del credito al consumo sia in quella dei
mutui per l'acquisto di abitazioni.
È invece tornata a crescere la raccolta
bancaria effettuata presso le famiglie e le imprese residenti in regione,
favorita anche dalle maggiori remunerazioni dei depositi a scadenza protratta e
dalla componente obbligazionaria.
Rispetto alla media del paese, resta
elevato il ricorso alla leva fiscale da parte delle Amministrazioni locali della
Campania, impegnate in politiche di riduzione del debito accumulato negli anni
passati. Proseguono le azioni di contenimento della spesa imposte dal Piano di
rientro dal deficit sanitario.
Negli anni recenti, dalla sanità, alla
gestione dei rifiuti, fino al settore dei trasporti pubblici locali, sono state
numerose in regione le situazioni di dissesto economico di interi comparti dove
l'operatore pubblico è chiamato a fornire servizi essenziali. Appare necessario
insistere nella ricerca di azioni strutturali, non solo dal lato delle entrate,
che impediscano per il futuro il riformarsi di tali squilibri.
n. 10 - L'economia della Toscana
Rapporto annuale, giugno 2013
Sommario
Nel 2012 è proseguita la fase recessiva
indotta nella seconda parte dell'anno precedente dalla crisi del debito
sovrano. Secondo le stime disponibili, il prodotto regionale in termini reali
avrebbe conosciuto una flessione di entità analoga a quella del complesso del
paese, pari al -2,4 per cento, imputabile alle componenti interne della
domanda.
Dopo un biennio di moderata ripresa, la
produzione industriale è tornata a calare, attestandosi su livelli prossimi a
quelli raggiunti alla fine del 2009. Non vi sono segnali di ripresa
dell'accumulazione di capitale fisso, frenata dall'incertezza sulle prospettive
della domanda e dal ridotto livello di utilizzo della capacità produttiva
esistente. Le vendite all'estero hanno decisamente rallentato; segnali positivi
hanno continuato a provenire dalle esportazioni nei paesi extra UE, dalla
meccanica e dalla moda. Dal 2009 sono tornati a crescere gli investimenti
diretti verso paesi esteri da parte delle imprese regionali; il fenomeno
tuttavia, di modesta entità, continua a interessare una quota contenuta del
sistema produttivo.
Particolarmente difficile è il quadro
congiunturale nell'edilizia, con riflessi negativi più ampi di quelli
registrati a livello nazionale su occupazione e mortalità delle imprese. Nel
comparto abitativo un elevato invenduto si associa a un più difficoltoso
accesso al credito; ne risultano transazioni dimezzate rispetto al 2007 e
quotazioni che iniziano a flettere anche in termini nominali. Nelle opere
pubbliche il volume di nuovi bandi continua a diminuire, in presenza di diffusi
ritardi nei pagamenti delle opere completate.
Della fase recessiva hanno risentito i
principali comparti dei servizi. Per effetto della riduzione del reddito
disponibile delle famiglie, nel commercio le vendite sono calate in misura
decisa, ancora più marcata per i beni durevoli. I flussi turistici si sono
contratti, a differenza dell'anno precedente, e anche i traffici di merci e
passeggeri nei porti e negli aeroporti sono diminuiti.
Nei primi mesi del 2013 erano attivi in
regione oltre settanta tavoli per la gestione di crisi aziendali, in prevalenza
riferiti a imprese di grandi dimensioni.
Nell'ultimo decennio
l'internazionalizzazione dell'attività produttiva ha provocato mutamenti
strutturali, ancora più marcati in Toscana rispetto ad altre grandi regioni
italiane. Si è ridotto il peso ed è cresciuta la produttività dei settori
aperti alla concorrenza internazionale; in quelli che insistono su un mercato
locale la produttività è invece calata.
Vi è attività innovativa, relativamente
diffusa, da parte delle imprese toscane. Tuttavia, anche a causa della
struttura del tessuto economico basato su attività tradizionali e su imprese di
piccole dimensioni, si tratta di un'innovazione più di tipo incrementale, meno
incentrata sul salto tecnologico e più sul miglioramento costante dei propri
prodotti. La Toscana esporta una quota significativa del totale nazionale di
servizi di ricerca e sviluppo.
L'impiego massiccio di ammortizzatori
sociali ha nel 2012 permesso il mantenimento dei livelli occupazionali. In un
contesto di allungamento della vita lavorativa crescono le difficoltà
incontrate dalla popolazione più giovane. L'aumento degli occupati nei servizi
continua a compensare il calo nell'industria e nelle costruzioni, quello delle
persone in cerca di occupazione ha innalzato il tasso di disoccupazione.
Le retribuzioni medie dei lavoratori
dipendenti toscani sono analoghe a quelle nazionali, mostrando tuttavia una
minore eterogeneità. A ciò contribuisce la circostanza che sono in regione più
contenuti i differenziali salariali tra lavoratori meno e più istruiti, tra
addetti alle piccole e medie imprese e altre e tra agricoltura e altri settori.
Il credito bancario alle imprese,
comprensivo delle sofferenze, ha iniziato a flettere dalla metà dell'anno;
quello alle famiglie consumatrici dalla fine. Vi hanno inciso condizioni di
offerta che si sono mantenute restrittive e la flessione della domanda, che ha
risentito per le imprese della contrazione dell'attività produttiva e della
scarsità degli investimenti e per le famiglie di un atteggiamento di maggiore
prudenza. Il comportamento delle banche in termini di prezzi e quantità tende a
riflettere sempre più la rischiosità potenziale della clientela, anche se il
calo del credito è risultato diffuso.
La recessione ha provocato un progressivo
deterioramento dei finanziamenti alle imprese. Alla fine del 2012 il complesso
delle posizioni caratterizzate da difficoltà di rimborso, più o meno gravi,
rappresentava poco più di un quarto dei prestiti complessivi. Ciò si è riflesso
in un aumento dei tassi di interesse praticati. Segnali di peggioramento hanno
cominciato a interessare i prestiti alle famiglie, le cui partite anomale ammontavano
a un decimo del totale.
È tornata a crescere la raccolta bancaria
delle famiglie, specialmente nelle forme con un vincolo temporale. Le scelte di
impiego del risparmio si indirizzano verso gli strumenti più tradizionali.
Ricchezza, i giovani pugliesi sono i più
produttivi d’Italia
L’incidenza del
valore aggiunto under 35 è del 21,3%: la Puglia e l’intero Meridione superano il
Centro-Nord
ROMA — «Al
Mezzogiorno spetta il primato della maggiore incidenza della ricchezza prodotta
dalle giovani generazioni». Clamoroso, il Sud è meglio del Nord. A certificarlo
è Unioncamere secondo cui nel Sud del Paese il 18% del valore aggiunto medio
regionale risulta generato dall’occupazione under 35 (se «indipendente») o
under 30 (se «dipendente»), in linea con il dato nazionale, che è pari al
17,2%, ma superiore ai dati delle due ripartizioni settentrionali (17,3% al
Nord-Ovest, 17,2% al Nord-Est) e del Centro (16%). I dati sono emersi nel corso
di un convegno dedicato proprio all’apporto dei giovani alla ricchezza nazionale
(pari a oltre 242 miliardi) che ha riservato anche un’ulteriore sorpresa: tra
le regioni spicca la Puglia, in vetta alla classifica in termini di valore
aggiunto prodotto dai giovani sul totale regionale (21,3%, mentre l’incidenza
sul totale dell’Italia è del 5,6%).
Se si guarda al
mondo delle imprese di under 35, è interessante la conferma della presenza di
aziende «rosa», particolarmente diffuse nel Mezzogiorno (81 mila). In
particolare il contributo delle donne all’evoluzione del tessuto produttivo
incide soprattutto nelle realtà di Taranto (27%) e Foggia (26,9%), ultima è
Bari (22,4%). Insomma, un quadro confortante, in termini assoluti, da leggersi
in un’ottica futura, quando cioè il Paese nel suo complesso uscirà dalla fase
di recessione. Perché i dati restano negativi e non solo per la disoccupazione
giovanile (circa 3 milioni quelli che non hanno un’occupazione o non la cercano
più). Quanto alla ripresa, infatti, la Puglia dovrà attendere ancora un anno
per vedere il segno più davanti al suo Pil e si passerá dallo 0,1 del 2014 allo
0,9 del 2015 e 2016. Nel frattempo il potere d’acquisto delle famiglie pugliesi
decresce e aumenta il numero di famiglie in sofferenza, dato che viene
segnalato soprattutto per la provincia di Brindisi (l’incidenza delle famiglie
povere è del 27%).
Rosanna Lampugnani
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