venerdì 14 giugno 2013

XIV.VI.MMXIII—Belpaese padanino affondera’, e’ questione di tempo. Il Mezzogiorno non puo’ andare sotto, i fondamentali della sua geografia economica e demografica son sani e vegeti. Basterebbe liberarsi dei padani ed il quadro economico e finanziario si illuminerebbe. Il Mezzogiorno e’ autosufficiente nelle risorse, di qualsiasi tipologia, non ha bisogno di alcun aiuto o mantenimento: e’ un esportatore di beni e servizi naturale; e’ come la Germania, indistruttibile. Bisogna riflettere e decidere, per il futuro dei ragazzi.

L'UNIONE SARDA - Economia: Pil, l'Isola affonda
Bankitalia. n. 16 - L'economia della Campania
n. 10 - L'economia della Toscana
Ricchezza, i giovani pugliesi sono i più produttivi d’Italia

L'UNIONE SARDA - Economia: Pil, l'Isola affonda
14.06.2013
Il 2012 ha lasciato ferite profonde sul tessuto economico della Sardegna. Il prodotto interno lordo è calato del 2,8%, con un nuovo «marcato peggioramento» dopo il debole recupero del 2010 e della prima parte del 2011. Il Pil è lo specchio della crisi dell'industria, ma anche dei servizi e del turismo. Una crisi che si è abbattuta sul lavoro e sul tasso di disoccupazione, che ormai veleggia su livelli record. A dirlo è il consueto rapporto annuale di Bankitalia, presentato ieri nella sede cagliaritana dell'istituto dal direttore Nevio Rodighiero. LE DIFFICOLTÀ «Il trend dell'Isola rispecchia l'andamento nazionale», ha spiegato il numero uno di Bankitalia in Sardegna, «ma un po' peggio». Le difficoltà hanno interessato soprattutto l'industria (che ha registrato una riduzione del fatturato del 4%) e le costruzioni (la produzione è risultata in discesa con un numero di ore lavorate diminuito del 13%). L'unica nota positiva è rappresentata dall'export di marmi e graniti (+33%) e dei prodotti agroalimentari (+23%). Al contrario, i servizi hanno risentito «della riduzione del reddito disponibile e dell'accentuata diminuzione dei consumi». LE PREVISIONI Per il 2013 le previsioni degli esperti dicono che sarà stagnazione. E non va bene neanche il turismo. In base ai dati della Regione - ricorda Bankitalia - le presenze nelle strutture ricettive sono diminuite del 16%. Giù anche i passeggeri transitati per porti e aeroporti dell'Isola con una flessione dell'8,1%, mentre per quanto riguarda il traffico portuale delle merci il decremento è pari al 4,4%. L'OCCUPAZIONE È andata male anche sul fronte del lavoro con il tasso di disoccupazione che, in un anno, è aumentato in media di due punti percentuali. I segnali più preoccupanti arrivano soprattutto per i più giovani: «Per la fascia tra i 15 e i 34 anni», dice il Rapporto, «il tasso di disoccupazione è aumentato di 4,3 punti percentuali, dal 24,8 al 29,1%». IL PRECARIATO Il lavoro stabile sta diventando un miraggio: «Le imprese stanno privilegiando i contratti a tempo, aumentati di oltre il 3%, e le posizioni part-time». Per non parlare dei salari. «Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti, pari in media nel 2012 a quasi 1200 euro netti mensili, sono leggermente superiori ai dati del Sud, ma inferiori alla media nazionale». IL CREDITO La recessione ha condizionato sia la domanda di credito sia l'offerta di finanziamento. Risultato: una forte contrazione dei prestiti. Il discorso vale per le imprese, ma anche per le famiglie: i finanziamenti ai consumatori si sono ridotti dello 0,3%. «C'è una flessione della domanda dei mutui per abitazioni e credito al consumo, ma in ogni caso», sottolinea Rodighiero, «il calo dovrebbe arrestarsi nella prima metà del 2013». IL FISCO Moderato il ricorso alla leva fiscale da parte degli enti territoriali, sebbene negli ultimi due anni si sia registrata una lieve tendenza all'innalzamento della pressione impositiva, in particolare dei Comuni. LE IMPRESE Le imprese, infine, per bocca del presidente regionale di Confindustria Alberto Scanu, hanno proposto di ripartire, puntando su export, innovazione e manifatturiero, senza dimenticare i temi centrali del turismo e dell'energia.

Bankitalia. n. 16 - L'economia della Campania
Sommario
Nel 2012 il PIL dell'area dell'euro è diminuito dello 0,6 per cento. In Italia il calo è stato più intenso ( 2,4 per cento); per la Campania, le stime di Prometeia indicano una contrazione ancora maggiore ( 2,6 per cento).
Giunta al quinto anno di recessione, la regione mostra intense riduzioni nei flussi di produzione e di investimento e una sensibile diffusione delle crisi d'impresa.
Tra il 2008 e il 2012 sono uscite dal mercato circa 8.400 imprese all'anno, principalmente per effetto di liquidazioni volontarie, ma con una crescente incidenza di procedure fallimentari, che coinvolgono soprattutto le aziende di maggiori dimensioni. In termini di fatturato, il peso sull'economia regionale delle imprese cessate è stimabile in circa il 10 per cento. In base a indicatori di redditività e indebitamento, tali imprese mostravano una forte fragilità finanziaria già negli anni precedenti la crisi.
Nell'industria, l'azione selettiva della recessione si associa a un'elevata dispersione di perfomance settoriali e territoriali. Non mancano, in regione, aree a forte specializzazione manifatturiera che hanno superato i livelli di attività precedenti la crisi. Tali realtà operano sia in settori ad alto contenuto di tecnologie (aerospaziale, farmaceutico) sia in settori tradizionali (agroalimentare, abbigliamento) e pesano per circa un terzo sugli addetti dell'industria regionale. Nella restante parte del tessuto industriale campano, i segnali di recupero appaiono invece deboli o del tutto assenti.
Oltre che a peculiarità locali e di settore, le dinamiche delle imprese manifatturiere sono risultate sensibili all'adozione di strategie di internazionalizzazione. L'indagine della Banca d'Italia su un campione di aziende con almeno 20 addetti, pur indicando in media forti riduzioni di fatturato e investimenti nel 2012, segnala un andamento decisamente meno sfavorevole per le imprese entrate in nuovi mercati.
Per il 2013 una consistente ripresa delle vendite è prevista solo dalle imprese con un'elevata quota di fatturato esportato. Dall'avvio della crisi l'incidenza delle esportazioni sul valore aggiunto industriale della regione è aumentata di quasi venti punti percentuali, ma resta lontana dalla media nazionale.
Per accelerare il processo di internazionalizzazione è necessario innalzare la capacità delle imprese di innovare i prodotti, i processi produttivi, gli assetti organizzativi e gestionali. La diffusione dell'attività innovativa è in Campania significativamente inferiore alla media italiana, anche a parità di settore e dimensione aziendale.
Il progressivo indebolirsi della domanda interna continua a condizionare in negativo l'attività nei comparti dell'edilizia e del commercio. Nel settore delle costruzioni i volumi di produzione hanno risentito di forti contrazioni sia nel segmento immobiliare sia in quello delle opere pubbliche. Le nuove opere previste dal Piano di azione per la coesione e un più rapido avanzamento nell'utilizzo dei fondi dell'Unione europea, concentrati in misura significativa nella realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, potrebbero contrastare il calo degli investimenti pubblici.
I consumi, ostacolati dalle negative prospettive nel mercato del lavoro e dal debole andamento dei flussi turistici, sono calati, tornando sui livelli di 15 anni fa.
Tra il 2007 e il 2011 l'occupazione in Campania aveva mostrato il calo più intenso e prolungato fra le regioni italiane. Nel 2012 il numero di occupati è tornato a crescere, ma a ritmi lievi e insufficienti a ridurre l'ampio squilibrio tra domanda e offerta di lavoro. Molto più accentuato è stato il contemporaneo incremento nel numero di persone in cerca di lavoro. Il tasso di disoccupazione si è situato nel 2012 al livello più elevato tra le regioni italiane, soprattutto nella componente femminile.
A parità di caratteristiche osservabili, la retribuzione oraria netta dei lavoratori dipendenti della Campania è di circa il 6 per cento inferiore rispetto al resto del paese.
Negli anni recenti il calo delle vendite ha dimezzato la redditività operativa delle imprese, rendendo meno sostenibile l'indebitamento finanziario. A fine 2012 oltre un terzo dei prestiti erogati alle imprese campane mostrava anomalie nella regolarità dei rimborsi. L'incidenza dei crediti deteriorati raggiunge il 43 per cento per le imprese collegate alla filiera immobiliare.
Le difficoltà di accesso al credito, dopo il picco rilevato a fine 2011, si sono lievemente attenuate lo scorso anno, ma restano elevate nel confronto storico.
Al lordo delle sofferenze, i prestiti alle imprese risultano in calo da circa un anno. Dal 2008 la domanda di credito, debole nella componente di finanziamento degli investimenti, si è concentrata nella richiesta di sostegno al capitale circolante o di ristrutturazione del debito, componenti che caratterizzano in maggiore misura le imprese più vulnerabili. L'offerta di credito si è invece orientata verso le imprese meno rischiose.
Dalla fine del 2012 hanno cominciato a calare anche i prestiti erogati dalle banche e dalle società finanziarie alle famiglie campane, sia nella componente del credito al consumo sia in quella dei mutui per l'acquisto di abitazioni.
È invece tornata a crescere la raccolta bancaria effettuata presso le famiglie e le imprese residenti in regione, favorita anche dalle maggiori remunerazioni dei depositi a scadenza protratta e dalla componente obbligazionaria.
Rispetto alla media del paese, resta elevato il ricorso alla leva fiscale da parte delle Amministrazioni locali della Campania, impegnate in politiche di riduzione del debito accumulato negli anni passati. Proseguono le azioni di contenimento della spesa imposte dal Piano di rientro dal deficit sanitario.
Negli anni recenti, dalla sanità, alla gestione dei rifiuti, fino al settore dei trasporti pubblici locali, sono state numerose in regione le situazioni di dissesto economico di interi comparti dove l'operatore pubblico è chiamato a fornire servizi essenziali. Appare necessario insistere nella ricerca di azioni strutturali, non solo dal lato delle entrate, che impediscano per il futuro il riformarsi di tali squilibri.

n. 10 - L'economia della Toscana
Rapporto annuale, giugno 2013
Sommario
Nel 2012 è proseguita la fase recessiva indotta nella seconda parte dell'anno precedente dalla crisi del debito sovrano. Secondo le stime disponibili, il prodotto regionale in termini reali avrebbe conosciuto una flessione di entità analoga a quella del complesso del paese, pari al -2,4 per cento, imputabile alle componenti interne della domanda.
Dopo un biennio di moderata ripresa, la produzione industriale è tornata a calare, attestandosi su livelli prossimi a quelli raggiunti alla fine del 2009. Non vi sono segnali di ripresa dell'accumulazione di capitale fisso, frenata dall'incertezza sulle prospettive della domanda e dal ridotto livello di utilizzo della capacità produttiva esistente. Le vendite all'estero hanno decisamente rallentato; segnali positivi hanno continuato a provenire dalle esportazioni nei paesi extra UE, dalla meccanica e dalla moda. Dal 2009 sono tornati a crescere gli investimenti diretti verso paesi esteri da parte delle imprese regionali; il fenomeno tuttavia, di modesta entità, continua a interessare una quota contenuta del sistema produttivo.

Particolarmente difficile è il quadro congiunturale nell'edilizia, con riflessi negativi più ampi di quelli registrati a livello nazionale su occupazione e mortalità delle imprese. Nel comparto abitativo un elevato invenduto si associa a un più difficoltoso accesso al credito; ne risultano transazioni dimezzate rispetto al 2007 e quotazioni che iniziano a flettere anche in termini nominali. Nelle opere pubbliche il volume di nuovi bandi continua a diminuire, in presenza di diffusi ritardi nei pagamenti delle opere completate.

Della fase recessiva hanno risentito i principali comparti dei servizi. Per effetto della riduzione del reddito disponibile delle famiglie, nel commercio le vendite sono calate in misura decisa, ancora più marcata per i beni durevoli. I flussi turistici si sono contratti, a differenza dell'anno precedente, e anche i traffici di merci e passeggeri nei porti e negli aeroporti sono diminuiti.

Nei primi mesi del 2013 erano attivi in regione oltre settanta tavoli per la gestione di crisi aziendali, in prevalenza riferiti a imprese di grandi dimensioni.

Nell'ultimo decennio l'internazionalizzazione dell'attività produttiva ha provocato mutamenti strutturali, ancora più marcati in Toscana rispetto ad altre grandi regioni italiane. Si è ridotto il peso ed è cresciuta la produttività dei settori aperti alla concorrenza internazionale; in quelli che insistono su un mercato locale la produttività è invece calata.

Vi è attività innovativa, relativamente diffusa, da parte delle imprese toscane. Tuttavia, anche a causa della struttura del tessuto economico basato su attività tradizionali e su imprese di piccole dimensioni, si tratta di un'innovazione più di tipo incrementale, meno incentrata sul salto tecnologico e più sul miglioramento costante dei propri prodotti. La Toscana esporta una quota significativa del totale nazionale di servizi di ricerca e sviluppo.

L'impiego massiccio di ammortizzatori sociali ha nel 2012 permesso il mantenimento dei livelli occupazionali. In un contesto di allungamento della vita lavorativa crescono le difficoltà incontrate dalla popolazione più giovane. L'aumento degli occupati nei servizi continua a compensare il calo nell'industria e nelle costruzioni, quello delle persone in cerca di occupazione ha innalzato il tasso di disoccupazione.

Le retribuzioni medie dei lavoratori dipendenti toscani sono analoghe a quelle nazionali, mostrando tuttavia una minore eterogeneità. A ciò contribuisce la circostanza che sono in regione più contenuti i differenziali salariali tra lavoratori meno e più istruiti, tra addetti alle piccole e medie imprese e altre e tra agricoltura e altri settori.

Il credito bancario alle imprese, comprensivo delle sofferenze, ha iniziato a flettere dalla metà dell'anno; quello alle famiglie consumatrici dalla fine. Vi hanno inciso condizioni di offerta che si sono mantenute restrittive e la flessione della domanda, che ha risentito per le imprese della contrazione dell'attività produttiva e della scarsità degli investimenti e per le famiglie di un atteggiamento di maggiore prudenza. Il comportamento delle banche in termini di prezzi e quantità tende a riflettere sempre più la rischiosità potenziale della clientela, anche se il calo del credito è risultato diffuso.

La recessione ha provocato un progressivo deterioramento dei finanziamenti alle imprese. Alla fine del 2012 il complesso delle posizioni caratterizzate da difficoltà di rimborso, più o meno gravi, rappresentava poco più di un quarto dei prestiti complessivi. Ciò si è riflesso in un aumento dei tassi di interesse praticati. Segnali di peggioramento hanno cominciato a interessare i prestiti alle famiglie, le cui partite anomale ammontavano a un decimo del totale.
È tornata a crescere la raccolta bancaria delle famiglie, specialmente nelle forme con un vincolo temporale. Le scelte di impiego del risparmio si indirizzano verso gli strumenti più tradizionali.

Ricchezza, i giovani pugliesi sono i più produttivi d’Italia
L’incidenza del valore aggiunto under 35 è del 21,3%: la Puglia e l’intero Meridione superano il Centro-Nord
ROMA — «Al Mezzogiorno spetta il primato della maggiore incidenza della ricchezza prodotta dalle giovani generazioni». Clamoroso, il Sud è meglio del Nord. A certificarlo è Unioncamere secondo cui nel Sud del Paese il 18% del valore aggiunto medio regionale risulta generato dall’occupazione under 35 (se «indipendente») o under 30 (se «dipendente»), in linea con il dato nazionale, che è pari al 17,2%, ma superiore ai dati delle due ripartizioni settentrionali (17,3% al Nord-Ovest, 17,2% al Nord-Est) e del Centro (16%). I dati sono emersi nel corso di un convegno dedicato proprio all’apporto dei giovani alla ricchezza nazionale (pari a oltre 242 miliardi) che ha riservato anche un’ulteriore sorpresa: tra le regioni spicca la Puglia, in vetta alla classifica in termini di valore aggiunto prodotto dai giovani sul totale regionale (21,3%, mentre l’incidenza sul totale dell’Italia è del 5,6%).
Se si guarda al mondo delle imprese di under 35, è interessante la conferma della presenza di aziende «rosa», particolarmente diffuse nel Mezzogiorno (81 mila). In particolare il contributo delle donne all’evoluzione del tessuto produttivo incide soprattutto nelle realtà di Taranto (27%) e Foggia (26,9%), ultima è Bari (22,4%). Insomma, un quadro confortante, in termini assoluti, da leggersi in un’ottica futura, quando cioè il Paese nel suo complesso uscirà dalla fase di recessione. Perché i dati restano negativi e non solo per la disoccupazione giovanile (circa 3 milioni quelli che non hanno un’occupazione o non la cercano più). Quanto alla ripresa, infatti, la Puglia dovrà attendere ancora un anno per vedere il segno più davanti al suo Pil e si passerá dallo 0,1 del 2014 allo 0,9 del 2015 e 2016. Nel frattempo il potere d’acquisto delle famiglie pugliesi decresce e aumenta il numero di famiglie in sofferenza, dato che viene segnalato soprattutto per la provincia di Brindisi (l’incidenza delle famiglie povere è del 27%).
Rosanna Lampugnani


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