venerdì 21 giugno 2013

XXI.VI.MMXIII/2 — Abomini.

Carceri: 2013, 27 suicidi, 57morti in cella
L'UNIONE SARDA - Economia: Il pianto della senatrice sarda
La casa senza gas e luce vive in garage con tre figli
Servono dieci miliardi «Altrimenti Taranto non avrà più flotta»
Natuzzi, se chiude Laterza arriva vero effetto domino

Carceri: 2013, 27 suicidi, 57morti in cella
Osservatorio permanente, per 13 casi aperta inchiesta su cause
21 giugno, 18:47
(ANSA) - ROMA, 21 GIU - Con gli ultimi due casi di morti in carcere avvenute in questi giorni salgono a 26 i suicidi e 57 i morti (per malattia o altre cause) in cella dall'inizio dell'anno secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere di 'Ristretti Orizzonti'. Sul totale di 83 persone 'morte di carcere': 44 sono per malattia e 13 per cause 'da accertare' (i casi nei quali è stata aperta un'inchiesta). L'età media dei detenuti suicidi è di 39 anni, 12 erano stranieri.

L'UNIONE SARDA - Economia: Il pianto della senatrice sarda
21.06.2013
L'intervento in Aula di Manuela Serra sul dramma di Vinyls e Alcoa ROMA Irrompe il dramma dei lavoratori sardi nell'aula del Senato. Il racconto degli emblematici e ormai senza soluzione casi degli operai della Vinyls e dell'Alcoa emergono tra i singhiozzi di rabbia e commozione della senatrice sarda Manuela Serra del Movimento 5 stelle: nel suo intervento di tre minuti e mezzo più volte la voce s'incrina, lasciando trasparire un'autentica partecipazione emotiva, sottolineata anche dalla presidente dell'Aula e dagli applausi spontanei dei colleghi. La senatrice Serra parla del commissariamento della Vinyls che è il preludio al fallimento della fabbrica, degli operai che da febbraio non ricevono lo stipendio, ricorda che nell'azienda sono stoccate sostanze chimiche pericolose e chiede cosa succederà, chi farà la guardia a questa bomba ecologica. La Serra legge il suo intervento elencando i fatti crudi di cronaca ma nel furore della partecipata denuncia il groppo alla gola rallenta il discorso, le lacrime sono faticosamente ricacciate indietro. L'Aula applaude, solidale e spontanea. E gli applausi tornano alla fine dell'intervento quando la senatrice “stellata” ricorda anche il dramma dell'Alcoa, dei tanti lavoratori che non hanno più una copertura e, annunciando un'interrogazione al ministro, chiede per questo «abominio nei confronti dei sardi» almeno una «presa d'atto da parte dello Stato» che ha «il compito di farsi sentire», visto che trovare una soluzione è comunque complicato. Anche il caso dell'altra parlamentare cinque stelle sarda, Paola Pinna, ha tenuto banco ieri. Dopo la telefonata con Beppe Grillo, la polemica sembra sgonfiata o, forse solo congelata. C'è una tregua, anche se armata, dentro il Movimento: l'offensiva sulle espulsioni ha lasciato il segno e il leader prova a ricompattare il gruppo, coinvolgendo soprattutto la pattuglia più esagitata dei deputati ad una battaglia comune in nome dell'ostruzionismo. O meglio del “costruzionismo” che per due giorni ha appeso il Parlamento alle decisioni del M5S sul decreto emergenze. L'improvvisa frenata sull'espulsione della deputata Pinna, il rinvio del “redde rationem” sulla rendicontazione delle spese a fine giugno, quello che per la maggioranza doveva servire a stanare i dissidenti, sono i primi segnali di disgelo. E anche Beppe Grillo cerca di togliersi di dosso il marchio di «epuratore» e minimizza. «È fisiologico che su 163 parlamentari 3 vadano via, è uno scilipotismo dell'anima» si difende durante un comizio a Ragusa.

La casa senza gas e luce vive in garage con tre figli
BARI - La storia di Anna, a Sammichele, una madre di tre bambini senza un lavoro fisso e che vive nella precarietà. Non riesce a pagare la bolletta dell’energia elettrica e le staccano il contatore. Anna ha 35 anni. Decide, dopo la separazione dal marito, di lasciare l’appartamento. Cerca un tetto per i figli, trova un garage. «Un locale ad uso commerciale - dice la donna -: il proprietario mi ha concesso di abitare». Paga 250 euro al mese, non c’è gas metano e con un’enorme tenda Anna ha creato degli spazi nel monolocale: la camera dove dormono i bambini, un bagno, una piccola cucina.
 Lei lavora in modo occasionale e saltuario. «In inverno non lavoro perché la mia è un’occupazione stagionale», spiega. «Mi arrangio a lavorare dove trovo, a volte 50 euro, altre 40». La donna riferisce di essersi recata diverse volte ai Servizi sociali del Comune. «Ho detto loro che non voglio essere aiutata 12 mesi all’anno; chiedo una casa perché in quel garage fa freddo in inverno». Poi aggiunge: «I miei bambini si sono ammalati diverse volte». Ai Servizi sociali del Comune rispondono che c’è una situazione debitoria pesante, non ci sono soldi. «Mi dissero che al più avrebbero informato la Caritas per preparare dei pasti».
 Ed inizia una guerra tra poveri. «Per me non c’è una casa, ma hanno dato una casa agli immigrati giunti a Sammichele, hanno tolto lavoro agli italiani per offrirlo agli stranieri». Poi racconta: «Mio figlio aveva bisogno di stare in asilo nido perché i miei lavori mi impediscono di accudirlo fino all’ora di pranzo; ma io non ho soldi per pagare la retta della mensa». Serve una dichiarazione Isee che certifichi il reddito effettivo.
 Anna decide di andare dal sindaco, Filippo Boscia e racconta la sua storia. «Il sindaco si mise a disposizione; andammo insieme ai Servizi sociali e disse loro di aiutarmi».
 Ma c’è un’urgenza. Bisogna pagare 900 euro di bolletta Enel. Il contatore di energia elettrica è intestato al proprietario. Con un artifizio lecito, il sindaco pensa che con un assistente sociale il Comune possa pagare per conto della donna. «Da quel giorno non mi hanno fatto sapere più nulla».
 Anna allora si rivolge al vice-sindaco, Antonio Mancino. L’amministratore offre la sua disponibilità, le offrono di fare lavori saltuari per il Comune e come retribuzione la donna riceverebbe dei voucher, ossia ricevute da esibire alla banca per ricevere pagamenti da parte del Comune. «Ma io non posso aspettare un mese, ho bisogno subito di quei soldi».
 Ora, è senza energia elettrica. Il suo caso ha commosso tanti, in paese.
v.s.

Servono dieci miliardi «Altrimenti Taranto non avrà più flotta»
di Maristella Massari
 TARANTO - La flotta italiana rischia l’estinzione e piú di 20.000 persone, tra gli addetti alle manutenzioni navali e quelli della cantieristica, potrebbero ritrovarsi senza posto di lavoro entro il 2025. Taranto ha tremato ieri pomeriggio di fronte alle parole dure, drammatiche, usate dal capo di Stato maggiore della Marina, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, nell’audizione alle commissioni Difesa di Camera e Senato.
 A rischiare grosso infatti, se non verranno destinate a breve cospicue risorse per ammodernare la flotta, sarà soprattutto la città dei due mari che ospita la più grande base navale della Marina militare. «Perderemo la capacità marittima italiana - ha detto ieri l’ammiraglio De Giorgi -, assistendo all’estinzione della Marina militare come forza combattente». Nel corso dell’audizione l’ammiraglio ha fornito un quadro fosco della situazione complessiva della forza armata, ricordando che nei prossimi 10 anni verranno dismesse 51 unità navali, di ogni tipo. Facile immaginare quali e quante saranno le ricadute su Taranto.
 L’ammiraglio De Giorgi non é certo avvezzo ai giri di parole. Pilota provetto e uomo di mare abituato al pragmatismo, non ha avuto bisogno di perifrasi per raccontare a deputati e senatori l’attuale, difficile, momento storico della forza armata di mare. «Il problema di fondo, ormai ineludibile - ha proseguito l’ammiraglio -, è la graduale scomparsa della flotta».

Natuzzi, se chiude Laterza arriva vero effetto domino
di Donato Mastrangelo
 MATERA - «Non abbiamo più tempo, dobbiamo agire subito». L’appello del presidente del Consiglio Enrico Letta con il quale ieri ha introdotto i lavori del vertice tra Italia, Francia, Germania e Spagna a Palazzo Chigi, sembra calzare a pennello con la situazione di disagio di migliaia di lavoratori del Distretto del mobile imbottito dell’area murgiana. Già il fattore tempo, con un mercato sempre più globalizzato e flessibile che rende il lavoro estremamente precario.
 L’ultimo sussulto di un comparto, che un tempo neanche troppo lontano, era un fiore all’occhiello a livello nazionale ed internazionale e rappresentava una fetta cospicua del prodotto interno lordo di Basilicata e Puglia, viene da Laterza. Da tre giorni i 400 dipendenti di Natuzzi, che già lavorano in regime di rotazione, sono scesi in strada, presidiando i cancelli dello stabilimento. La mobilitazione è la risposta all’annuncio del patron Pasquale Natuzzi dato alle organizzazioni sindacali di procedere ad un piano di esuberi di 1900 unità per la contrazione significativa di commesse.
 Dietro questo scenario incombe lo spauracchio di un processo definitivo di delocalizzazione della holding all’estero, dove già opera con 5 opifici e dispone di oltre 5 mila unità lavorative. Il rischio se dovesse fermarsi definitivamente la produzione a Laterza, con circa 70 materani impiegati nei reparti di taglio tessuto e taglio pelle, è un vero e proprio effetto domino per le altre fabbriche, a partire da Ginosa, dove ieri c’era fermento tra i lavoratori e Jesce 2. «Il taglio della pelle - evidenzia Mino Paolicelli, coordinatore per la Feneal Uil dei dipendenti Natuzzi delle province di Bari, Taranto e Matera - parte proprio da Laterza e quindi la preoccupazione è legittima». I sindacati ritengono che il piano giornaliero presentato da Natuzzi nei giorni scorsi, di fatto, dimezzi la presenza lavorativa nello stabilimento e rilanciano la concertazione con l’azienda. «Siamo di attesa di conoscere - prosegue Paolicelli - il piano industriale di Natuzzi, che secondo quanto appreso potrebbe essere reso noto lunedì prossimo. È chiaro che questa è una partita che coinvolge anche la Regione Puglia, che, nelle ultime ore, ha manifestato l’intenzione, in linea con le strategie di rilancio del mobile imbottito dell’area murgiana, di voler approntare interventi per dare respiro al settore».


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