giovedì 11 luglio 2013

Incomincia l’estate? Si, e’ cosi’ tutto l’anno

L'UNIONE SARDA - Economia: La vacanza in Sardegna: scortesie per gli ospiti
L’estate italiana di Erminio Ferrari




L'UNIONE SARDA - Economia: La vacanza in Sardegna: scortesie per gli ospiti
11.07.2013 TURISMO.
La disavventura di un sardo che voleva mostrare la “sua Isola” agli amici stranieri
Quasi li sento, dire a voce alta mentre leggono questo resoconto di una vacanza tragicomica: «Eccolo, lui, l'emigrato con la puzza sotto al naso, che sputa nel piatto in cui ha mangiato e che rinnega le proprie origini e le proprie radici». Eppure questa volta non è così, statene certi. Questa volta qualcosa non ha funzionato. E la sensazione è che le cose vadano sempre peggio. Una vacanza a cavallo fra giugno e luglio doveva infatti essere un modo per ricaricare le batterie, per dimenticare, almeno per due settimane, il grigiore londinese. Ma anche un modo per stare con la famiglia, con il sole, con il mare, con il vento e con il buon cibo. Tutte cose che, come noto, al di qua della Manica scarseggiano. Eppure, il bilancio è stato pesante, pesantissimo. Non me ne vogliano compaesani, compatrioti e amanti della Sardegna sparsi per il globo. E non me ne voglia quel tabaccaio cagliaritano che non ha staccato l'orecchio dal cellulare, mentre compravo due cartoline, non mi ha detto buongiorno, buonasera, grazie o prego. Non mi ha manco guardato in faccia ma ha teso la mano verso di me, a pretendere il denaro contante. E non me ne voglia se sono uscito dal suo negozio con l'amaro in bocca. Non me la sono presa con lui, me la sono presa con un popolo che, va detto, con il turista proprio non ci sa fare. Volevo solo mostrare a una persona a me cara, in vacanza con me, quanto fosse bella e ospitale la mia isola. E invece ogni giorno ci ha riservato delle cosiddette “mazzate sui denti”. Una vergogna. Come la sera che siamo andati in pizzeria, un noto locale del centro di Cagliari. Eravamo in cinque ma avevamo prenotato solo per quattro. «Ma sì, che problemi ci sono». E invece arriviamo, comunichiamo la nostra “colpa” e la cameriera ci guarda stralunata, come se avesse visto un alieno atterrare sui Sette Fratelli. «Noooo, non fa. Non è possibile. Voi avete prenotato per quattro». Una doccia gelata, non sappiamo che cosa rispondere ma pretendiamo di restare. Così, l'ordine viene preso dopo 25 minuti, la pizza ci arriva dopo 70 minuti, più altri 20 minuti per avere il conto. Per il quale costringiamo la cassiera a smettere di lavare le tazzine da caffè e a prestare attenzione a noi, poveri turisti, che vogliamo soltanto pagare. Ma le comiche continuano. Così la gita a Carloforte diventa una piccola odissea. Tutto bello, per carità, anzi bellissimo, ma il traghetto ci costa il doppio del preventivo su Internet, mentre l'ufficio informazioni del paese, in un sabato di luglio, è aperto dalle 11 alle 13 (!). E noi arriviamo alle 13:05. Per non parlare di quel cameriere, in un ristorante, che alla domanda su che cosa sia il “lattume di tonno”, il primo piatto del loro menù, ci risponde: «Eh, boh, e che ne so io!». Tralascio tutte le volte che al Poetto, negli stabilimenti, non avevano il cambio di 20 euro, neanche all'ora di pranzo. E tralascio tutte le volte che ho dovuto aiutare un turista straniero che non riusciva a comunicare in inglese con bigliettai di corriere, autisti di autobus, edicolanti, camerieri e ristoratori. Tralascio la questione dei prezzi, spesso ballerini e fatti “a simpatia”. Tralascio tutto questo ma vi voglio proprio dire che l'anno prossimo le vacanze al mare le farò in un Paese che ci sa fare con il turista. Farà un freddo cane, non troverò gli spaghetti ai ricci, il sole non sarà altrettanto forte. Ma, ecco, volevo dirvelo: l'anno prossimo andrò su qualche bella spiaggia della Danimarca.


L’estate italiana
di Erminio Ferrari - 07/11/2013
Le primavere arabe sono finite come sono finite, ma anche l’estate italiana promette bene. Se gli avvenimenti di ieri sono indicativi del futuro immediato, il meno che si possa dire è che pensare al peggio è già segno d’ottimismo.
Il bislacco tentativo dei sottoposti di Silvio Berlusconi di far saltare i lavori (lavori…) parlamentari quale rappresaglia alla supposta “fretta” con cui la Cassazione ha fissato il terzo grado del processo Mediaset, si è rivelato una farsa, poco più di un annuncio: questa non è gente che le rivoluzioni le fa davvero; al massimo (ed è il vero obiettivo) tiene un governo sulla corda, per negoziare un salvacondotto per il proprio capo.
Una manfrina che è bastata però a stanare un Pd confuso e incapace; che scambia responsabilità con pavidità, i giubbotti del sindaco di Firenze con una piattaforma politica. Tanto che fino a sera i parlamentari democratici stessi non avevano ancora capito se avevano o no votato per la sospensione del lavori, richiesta dal Pdl (“No, non l’abbiamo votata”, “Sì, ma solo per un paio d’ore”). Quasi contemporaneamente, Grillo e Casaleggio, detentori del marchio 5 Stelle, incontravano il presidente della Repubblica per dettargli l’agenda. Dica la verità al Paese, sciolga le Camere, sappia che «la gente vuole prendere i fucili, i bastoni e sono io a dire proviamo ancora con la democrazia. Noi vogliamo buttare fuori i partiti con metodi democratici, però poi ci stuferemo». Eccone un altro (quello dei due che parla, l’altro “elabora”) che prende un Paese intero per un palcoscenico. O per un balcone di Palazzo Venezia: non c’è infatti solo un’eco del Bossi dei famosi arsenali bergamaschi in queste parole; c’è anche quella del passo cadenzato delle estreme destre europee. Molto più Alba Dorata che Syriza, se vogliamo pensare a quella Grecia della quale tutti volevano evitare la fine.
Certo, bisognerebbe distinguere tra ciò che va in scena a Roma e nei multiformi, cinici e onnivori canali dell’informazione, e quanto avviene lontano dalla ribalta, in una Italia davvero allo stremo (di senso, di fiducia, piuttosto che di isterica aspirazione al benessere).
Ma non bisogna illudersi: se questo avviene a Roma è perché all’intorno vi sono le condizioni che lo rendono possibile. Decenni di pedagogia televisiva berlusconiana hanno portato milioni di italiani a credere che davvero il Proprietario sia un perseguitato, a dar credito a giornali e politici che dipingono la sua lotta sleale contro il diritto come una battaglia di libertà. A credere che i fiori alle finestre (tragica la differenza tra l’ultimo comizio di Berlusconi a Lampedusa e le parole di un papa sulla stessa isola) facciano giustizia delle colossali iniquità del nostro tempo. Mentre una irrisolta elaborazione del lutto comunista ha ridotto una sinistra disorientata alla mercé di grottesche strategie di sopravvivenza. Fallimentari, oltretutto, se non nel bell’argomentare della stampa amica.
E Grillo, allora? Grillo è a sua volta sintomo e alimento del peggio. Che ormai, a voler essere ottimisti, è la sola cosa che ci si possa attendere.


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