Le royalties lucane vanno in Veneto. Scatta la
trappola dei leghisti
Basilicata. Bonus benzina "sparito":
il Veneto tratta col Ministero
Basilicata. Memorandum, dove andranno le nuove
royalties
Fondi Ue, Calabria deve restituire quasi 9
milioni
Pac: 14 stati devono rimborsare 180 mln a
Bruxelles per inadempienze
Vicenza, padania est. La Carinzia cancella
l'agenzia che voleva attirare le imprese venete
Sicilia in testa per export e povertà. Proprio
come le colonie del ‘900
13 agosto 2013 -
09:14 - Economia,Politica
Accadeva nelle
colonie africane della prima metà del Novecento: l’export raggiungeva cifre
ragguardevoli, la povertà cresceva in parallelo. Oggi accade in Italia: il
divario fra Nord e Sud aumenta di anno in anno, mentre export meridionale
sorpassa e cresce del doppio rispetto al nord. I dati delo Svimez e della Banca
d’Italia offrono un quadro impressionante: la Sicilia realizza una variazione
positiva dell’export totale del 21,2 per cento, seconda, di poco, alla Sardegna
(+21,5), ma il suo prodotto interno lordo è sceso del 4,3 per cento.
In Lombardia il Pil
cala dello 1,7 per cento, mentre l’export cresce del 3.7 per cento. Negli
ultimi sei anni l’Italia , i peggiori da mezzo secolo a questa parte, il Pil
italiano è sceso di otto punti, ma la Lombardia ha frenato la perdita,
raggiungendo il 4 per cento. Il Veneto, locomotiva d’Italia, e’ passato sall8.1
per cento all’1,7 per cento.
I dati dell’export,
invece, capovolgono la piramide: nel nord est le esportazioni sono aumentate
dell’1.1 per cento, nel Nord Ovest del 3,5 per cento, nel Centro del 6,3 per
cent, nel Sud e nelle Isole del 7,8 per cento.
La Sicila e la
Sardegna fanno storia a sé: realizzano le migliori performance nell’export e
stanno peggio delle altre regioni per prodotto interno lordo e per saldo
occupazionale. A Lecco, Piacenza, Monza e Milano il saldo negativa ruota
attorno all’uno per cento, a Ragusa e Nuoro raggiunge il 5,2 per cento e a Enna
il 6,6 per cento (la media nazionale e’ del 2,2 per cento).
Ci sono nazioni
europee, come la Slovenia, che vedono la Sicilia in testa alla classifica
dell’importazione dall’Italia. Vista dai Balcani, dunque, la Sicilia è una
Bengodi.
Non si tratta di un
miraggio, ma delle distorsioni provocate da una politica economica che ha
fortemente penalizzato negli ultimi venti anni il Meridione d’Italia. Se negli
anni immediatamente successivi al boom economico, il triangolo industriale era
“promosso” con maggiore intensità che il Sud, dagli anni Novanta in poi, con la
fine dell’intervento straordinario del Mezzogiorno, il Mezzogiorno d’Italia è
stato letteralmente abbandonato al suo destino. I governi “padani”, a trazione
leghista, hanno imposto la questione settentrionale, confidando nella colpevole
complicita’ della classe politica meridionale.
Il balzo avanti
siciliano nell’export è dovuto essenzialmente agli idrocarburi ed alla
produzione delle benzine e chimica. La bilancia commerciale italiana è stata
per anni salvata dalle Regioni povere, cui è stato affidato il lavoro porco,
ospitare le industrie a piu’ alto tasso d’inquinamento, com’è avvenuto nei
paesi mediorantali produttori di materie prime.
L’export misura il
tasso d’inquinamento dellla Sicilia e del Sud, non il tasso di produttività,
ricchezza e benessere. Le regioni meridionali, oggi, non sono soltanto aree di
“consumo”, ma anche aree di sfruttamento.
Soltanto da pochi
mesi, e dopo un lungo letargo, segnato dall’illegalità diffusa, le aziende di
trasformazione del greggio in Sicilia, hanno cominciato ad investire nel
risanamento ambientale. Gli investimenti, tendenti a mitigare le conseguenze di
guasti inevitabili alla salute (inquinamento marino ed atmosferico,
devastazione del suolo e delle coste eccetera) non incidono tuttavia sugli
squilibri economici e sociali: il differenziale fra export e benessere segnala
la loro gravità.
A fronte dei dati
dello Svimez e della banca d’Italia, le levate di scudi periodiche del leghismo
“ufficiale” e di quello occulto, sull’inefficienza del Sud, gli sprechi e gli
intrallazzi – che pure ci sono – rappresentano un insolente tentativo di nascondere
la realta’, per mantenere inalterate le ingiustizie.
Le royalties lucane vanno in Veneto. Scatta la
trappola dei leghisti
Il Consiglio di
Stato respinge il ricorso del Governo contro la Regione Veneto che aveva
chiesto l'estensione del bonus idrocarburi alle regioni che ospitano
rigassificatori
di LEO AMATO
Il 30% delle
royalties del petrolio estratto in Basilicata andrà spartito con i Veneti per
compensare il loro disagio per il rigassificatore di Porto Viro. Quattro anni
dopo la “trappola” architettata dai 3 senatori leghisti Piergiorgio Stiffoni,
Luciano Cagnin e Cesarino Monti, è scattata inesorabile sul bonus idrocarburi
finora riservato soltanto ai lucani.
Lo aveva già detto
il Tar del Lazio a maggio dell'anno scorso. Ma almeno due deputati lucani del
Pd, Salvatore Margiotta e Antonio Luongo, se n'erano accorti per tempo: dietro
l'aggiunta delle aree interessate all'“attività di rigassificazione anche
attraverso impianti offshore” a quelle delle estrazioni beneficiate dal fondo
per la riduzione del prezzo dei carburanti si nascondeva una grossa fregatura.
Peccato che a Palazzo Madama non se ne fosse accorto nessuno ,e il testo
emendato fosse stato approvato con voto bipartisan. Due i contrari. Favorevoli
tutti i senatori lucani: Maria Antezza (Pd), Felice Belisario (Idv), Filippo
Bubbico (Pd), Carlo Chiurazzi (Pd), Cosimo Latronico (Pdl) e l'ex
sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte (Pdl). Assente solo Egidio
Digilio (ex Pdl poi Fli).
E' stato respinto
martedì pomeriggio, senza altra concessione che la mancata condanna alle spese
processuali, il ricorso presentato dai ministeri di Finanze e Sviluppo
Economico contro la Regione Veneto. Al centro c'era la sentenza che in primo
grado aveva dato ragione a quest'ultima sulla destinazione del “fondo per la
riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle regioni interessate
dall'estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi”. Questo il titolo
dell'articolo 45 della legge numero 99 di luglio del 2009 (“Disposizioni per lo
sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di
energia”), poi “tradito” - di fatto - dall'aggiunta al secondo comma delle
“attività di attività di rigassificazione anche attraverso impianti offshore”
dopo la parola “gassosi”. Una postilla tutt'altro che indifferente, per quanto
il Governo si sia impegnato per smorzarne il significato dopo i commenti
entusiastici dell'ex tesoriere del Carroccio sul passaggio del testo rivisto in
Senato.
Figurarsi la
disdetta a novembre del 2010, un anno e mezzo più tardi, quando i due Ministeri
hanno escluso i suoi corregionali dai destinatari della card carburante. Di qui
il ricorso intentato ad aprile del 2011 su iniziativa della giunta guidata
dall'ex ministro Luca Zaia. A quel punto dalle parti di via Verrastro devono
aver prevalso sconforto e rassegnazione. Perché a differenza di Molise e
Calabria, regioni che partecipano in via del tutto marginale all'alimentazione,
e alla ripartizione dei fondo in questione, la Basilicata avrebbe disertato il
Tar del Lazio. Come ha fatto col Consiglio di Stato all'udienza dello scorso 21
maggio, quando sono comparsi - di nuovo - Molise, Calabria e Avvocatura dello
Stato per conto dei ministeri interessati. E poi nessuno. Con buona pace dei
maggiorenti del Pdl (Guido Viceconte, Vincenzo Taddei e Cosimo Latronico) che
sulla card benzina c'avevano messo il cappello, denunciando il disinteresse
della Regione. E pure dei veneti dato che domani oltre a loro potrebbero farsi
avanti anche i tarantini per compartecipare del Fondo, e poi chissà quanti
altri.
La legge in
questione secondo Francesca Quadri, giudice estensore della sentenza del
Consiglio di Stato, sarebbe volta “a riconoscere una compensazione, sotto forma
di minor costo del carburante, a tutti i residenti delle Regioni che sopportano
la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell’intera
collettività, così contrastando l’effetto nimby (not in my backyard)”. Quindi a
meno qualcuno non pensi sul serio che una raffineria “onshore” valga meno di un
rigassificatore “offshore”, nonostante la puzza e le ciminiere, il bonus carburante
spetta anche alla Puglia. A parte le postille alle leggi infilate più o meno di
nascosto durante i lavori di una commissione.
giovedì 08 agosto
2013 18:56
Basilicata. Bonus benzina "sparito":
il Veneto tratta col Ministero
E l'assessore
leghista esulta
Dopo la sentenza del
Consiglio di Stato che dà ragione al Veneto, arriva la soddisfazione di Roberto Ciambetti: «Non
voglio togliere soldi alla Basilicata, ma se ne occupi Roma»
«L’IMPIANTO di Porto
Viro ha una capacità di rigassificazione di otto miliardi di metri cubi. Questo
comporta costi ambientali e contribuisce a liberare il Paese dalla dipendenza
dall’estero per l’approvvigionamento energetico. Era giusto che anche al Veneto
fossero riconosciuti dei vantaggi».
E’ quanto ha
affermato l’assessore regionale al bilancio della Regione Veneto Roberto
Ciambetti incontrando la stampa d’oltre Po per commentare la vittoria nel
ricorso sulla card benzina. Da ora in avanti infatti per effetto della sentenza
emessa martedì scorso dal Consiglio di Stato i lucani dovranno “spartire” i
soldi del 3% aggiuntivo di royalties versato allo Stato da Eni e - a breve -
Total, in base alla legge 99 di luglio del 2009. Ne beneficieranno anche le
popolazioni vicine agli impianti di rigassificazione italiani: veneti, liguri e
in futuro toscani. Oltre a chissà quanti altri potrebbero cercare di infilarsi
nelle maglie di una legislazione a dir poco insidiosa, per effetto
dell’emendamento a firma di 3 senatori della Lega Nord approvato a Palazzo
Madama con voto bipartisan, e a lungo sminuito dal Governo nella sua reale
portata.
Ieri le parole di
Ciambetti sono rimbalzate sui principali organi d’informazione, a cominciare
dal dorso regionale del quotidiano di via Solferino, il Corriere del Veneto,
per cui «ai polesani e ai residenti del basso veneziano per un totale di 2-300
mila residenti» sarà riconosciuto un bonus carburanti come quello dei lucani
«che ogni anno ricevono compensazioni per le attività estrattive lungo le loro
coste». Ebbene sì: «lungo le loro coste». Se qulcuno dubitava del fatto che
lassù sappiano davvero di che si sta parlando.
«Non abbiamo nessuna
intenzione di portare via soldi alla Basilicata - ha aggiunto l’assessore leghista
- Questo è affare del governo. È di Roma il compito di trovare le risorse».
Inoltre ha evidenziato che la capacità del rigassificatore di Porto Viro «al
largo di Porto Levante, nell'alto Adriatico» equivale a circa il 10% del
fabbisogno nazionale di gas naturale, che ne fa «la prima struttura off-shore
al mondo in cemento armato per ricezione, stoccaggio e rigassificazione di gas
naturale liquefatto». Perciò «nella classifica dei produttori del gas consumato
in Italia dopo Algeria e Russia vien appunto il Veneto, che si posiziona prima
di Quatar e Norvegia». In altri termini: rigassificazione uguale produzione.
Poco importa che il gas si sia stato estratto altrove.
A breve quindi la
Regione Veneto intavolerà una trattativa con il Ministero per lo Sviluppo
economico per dare seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che ha
annullato i decreti che avevano escluso il Veneto dal bonus carburanti. «Non
dobbiamo coltivare eccessivi entusiasmi - ha concluso Ciambetti - Le precedenti
esperienze con Roma insegnano».
Basilicata. Memorandum, dove andranno le nuove
royalties
Ecco i progetti
presentati dalla Regione
Tutela dei
territorio, infrastrutture, industria ed energia pulita. Tutti gli interventi
previsti nel dossier allo studio del Governo
di LEO AMATO
POTENZA - Il
capitolo più ingente è la «prevenzione e tutela dell’ambiente e del
territorio». Mentre la singola voce è una strada: la «transcollinare
Murgia-Pollino». Per lei a Roma sono già disponibili 100 milioni di euro, ma i
soldi dell’accordo per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri potrebbero
essere fino a 3 volte e mezzo tanti. Poi sostegni a industria, turismo, ricerca
ed energia pulita.
E’ raccolta in un
dossier allo studio del Ministero dello sviluppo economico la lista dei
desideri di via Verrastro, un elenco di interventi per «dare un’idea di ciò
che, concretamente, sarebbe utile e possibile fare per il bene di questa
regione». Aspettando di capire che resterà del bonus idrocarburi appena bocciato
dal Consiglio di Stato.
Il documento si
intitola «Strategia di sviluppo regionale connessa al contributo della Regione
Basilicata alla bilancia energetica nazionale», e risale a poco prima della
firma del “Memorandum” tra il presidente Vito De Filippo e l’allora
sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte. Da allora è stato
utilizzato come base di partenza nella trattativa con il Governo sul nuovo
piano industriale di Eni, che nell’arco di qualche anno conta di portare il suo
livello di produzione in Basilicata dai 90mila attuali ai 104mila autorizzati
nel 1998 e di qui a 130mila. Così dai 4 miliardi di euro iniziali si è arrivati
a una stima attuale della metà in investimenti per infrastrutture e
occupazione. L’ultima parola spetterà sempre alla cabina di regia da istituire
al Ministero per lo sviluppo economico, non appena approvato il regolamento
attuativo dell’articolo 16 del decreto “liberalizzazioni”. Ma lo schema è rimasto
attuale, tant’è che nemmeno 4 giorni fa, nel pieno del clamore suscitato dal
fallimento della card benzina, è stato il deputato Cosimo Latronico a
spolverare il progetto della “transcollinare”. Un’uscita che all’inizio a
qualcuno può essere apparsa estemporanea, ma il giorno dopo si è chiarita con
l’annuncio dell’arrivo imminente dei provvedimenti del ministero attesi da
settembre dell’anno scorso. Infine l’invito a un accordo per lo sviluppo, che
significa proprio aumento delle estrazioni in cambio di investimenti sul
territorio.
Oltre alla
Murgia-Pollino tra i “desiderata” della Regione ci sono anche 400 milioni da
distribuire ai Comuni per l’adeguamento antisismico delle scuole, 450 per la
mitigazione del rischio idrogeologico, 300 per la tutela del paesaggio, e poco
meno di 50 per la costituzione di un «dipartimento di tutela ambientale,
energetica e fonti fossili», che sa tanto di “assessorato al petrolio”. Ne
erano previsti 60 per la bonifica delle aree industriali di Tito e della Val
Basento ma nelle scorse settimane il necessario ha trovato un’altra strada. Poi
le infrastrutture: 200 milioni per il «nuovo itinerario» e la messa in
sicurezza della Potenza-Melfi; 27 per due nuovi svincoli sulla Tito-Brienza;
130 per la Gioia del Colle-Matera; e 300 per il collegamento tra la Basentana e
la statale 96 bis che da Tolve arriva fino all’Adriatica. Quanto al capitolo
«nuova occupazione» il singolo investimento più impegnativo è quello per «un
polo industriale della chimica verde», da realizzarsi con ogni probabilità in
Val Basento. Ma ci sono anche 130 milioni per il sostengo al turismo, 40 per la
formazione più 2 per l’«alta formazione di disaster manager». Non si sa mai.
Infine il “cluster nazionale ed internazionale dell’energia” che dovrebbe
costare 230 milioni. Da sommare ad altri 250 per il piano regionale di
efficienza energetica, e 250 per l’indipendenza delle amministrazioni lucane dalle
fonti fossili di energia.
Fondi Ue, Calabria deve restituire quasi 9
milioni
Servivano per
investimenti nel settore agricolo
Si tratta di
irregolarità riscontrate negli anni 2005-2006 e 2006-2007. Bruxelles reclama
soldi spesi nel settore agricolo senza i dovuti controlli. Complessivamente
sono coinvolti 15 Stati per un totale di 180 milioni E il grosso della torta
italiana era stato destinato alla Calabria
La Commissione Ue ha
chiesto all’Italia di rimborsare circa 14 milioni di euro spesi in modo
irregolare nell’ambito della Politica agricola comune (Pac). In totale
Bruxelles recupera un totale di 180 milioni da 15 stati membri. In particolare
per l’Italia la decisione viene applicata per “debolezze ricorrenti” nel
sistema di controllo amministrativo, contabile e fisico nel processo per la
trasformazione degli agrumi in Calabria (8,937 mln) e Sicilia (4,861).
Per quanto riguarda
l’Italia, si tratta di irregolarità riscontrate negli anni 2005-2006 e
2006-2007.Parte dei 180 milioni di euro che Bruxelles ha chiesto indietro è
però già stata recuperata, quindi l’impatto finanziario netto sui 15 Stati
membri interessati sarà pari a 169 milioni. Le cifre, secondo quanto spiegato,
vengono trattenute dal prossimo stanziamento di fondi.I due paesi più colpiti
sono il Regno Unito, circa 58 milioni, la Polonia che ne dovrà restituire 30,4
e la Danimarca 11,5 milioni. Gli altri Paesi sono Belgio, Germania, Spagna,
Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Lettonia, e
Slovenia. Gli Stati membri sono responsabili della gestione della maggior parte
dei pagamenti della Pac, principalmente tramite i loro organismi. Questi sono
inoltre responsabili dei controlli, ad esempio della verifica delle domande di
pagamenti diretti presentate dagli agricoltori.La Commissione svolge oltre
cento audit ogni anno, verificando che i controlli effettuati dagli Stati
membri e le correzioni delle carenze siano sufficienti e ha il potere di
recuperare i fondi indebitamente spesi se gli approfondimenti dimostrano che la
gestione e il controllo degli Stati membri non sono abbastanza efficaci da
garantire che i fondi dell’Ue siano stati spesi correttamente.
martedì 13 agosto
2013 15:04
Pac: 14 stati devono rimborsare 180 mln a
Bruxelles per inadempienze
L'Italia dovrà
rimborsare 14,8 mln. Principali rettifiche riguardano 40,4 mln a carico del
Regno Unito
di red - 13 agosto
2013 12:25
fonte ilVelino/AGV
NEWS
Roma
L’Italia dovrà restituire alla Commissione
europea 14,774 milioni di euro di fondi comunitari per le politiche agricole,
per inosservanza delle norme Ue o inadempienze nelle procedure di controllo
della spesa agricola. È quanto si evince da una nota diffusa dalla Commissione
europea che, nell'ambito della cosiddetta “procedura di liquidazione dei
conti”, ha chiesto oggi la restituzione di fondi della politica agricola
dell'UE indebitamente spesi dagli Stati membri per un totale di 180 milioni di
euro. I fondi riconfluiscono nel bilancio dell'Unione per inosservanza delle
norme Ue o inadempienze nelle procedure di controllo della spesa agricola. Se
infatti gli Stati membri sono responsabili del pagamento e della verifica delle
spese della politica agricola comune (PAC), spetta alla Commissione controllare
che essi abbiano fatto un uso corretto dei fondi stanziati. Per quanto riguarda
l’Italia le somme da restituire sono 4,861 milioni “per carenze ricorrenti nei
controlli amministrativi, contabili e fisici e per lacune nell'applicazione
delle sanzioni nel regime di trasformazione di agrumi in Sicilia”, 8,937
milioni “per carenze ricorrenti nei controlli amministrativi, contabili e
fisici e per lacune nell'applicazione delle sanzioni nel regime di trasformazione
di agrumi in Calabria” e 0,976 milioni “per pagamenti tardivi nel regime delle
scorte private di formaggi”. L’Italia avrò un rimborso di 0,076 milioni come
“rettifica della decisione 2013/123/UE: Rimborso a causa di rettifiche
sovrapposte non considerate nella decisione 40”.
In virtù dell'ultima
decisione della Commissione, saranno recuperati fondi da 14 Stati membri:
Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia,
Lettonia, Lussemburgo, Polonia, Slovenia, Spagna, Regno Unito e Ungheria. Le
principali rettifiche per paese riguardano 40,4 milioni di euro a carico del
Regno Unito per carenze nel sistema di identificazione delle parcelle
agricole/sistema di informazione geografica (SIPA–SIG), nei controlli in loco e
nel calcolo delle sanzioni in Scozia; 39,2 milioni (impatto finanziario: 30,4
milioni di euro) a carico della Polonia per carenze nei sistemi SIPA–SIG, nei
controlli incrociati, nei pagamenti, nell'applicazione delle sanzioni, nei
recuperi retroattivi e per ritardi nei controlli in loco; 18,6 milioni di euro
(impatto finanziario: 16,6 milioni di euro) a carico del Regno Unito per
inadempienze nell'assegnazione di diritti all'aiuto; 11,5 milioni di euro a
carico della Danimarca per carenze nel SIPA-SIG e lacune nei controlli in loco.
Gli Stati membri sono responsabili della gestione della maggior parte dei
pagamenti della PAC, principalmente tramite i loro organismi pagatori. Essi
sono inoltre responsabili dei controlli, ad esempio della verifica delle
domande di pagamenti diretti presentate dagli agricoltori. La Commissione
svolge oltre cento audit ogni anno, verificando che i controlli effettuati
dagli Stati membri e le correzioni delle carenze siano sufficienti e ha il
potere di recuperare i fondi indebitamente spesi se gli audit dimostrano che la
gestione e il controllo degli Stati membri non sono abbastanza efficaci da
garantire che i fondi dell'UE siano stati spesi correttamente.
Vicenza, padania est. La Carinzia cancella
l'agenzia che voleva attirare le imprese venete
REGIONE. Summit per
avviare l'“Euregio senza confini” che punta ad avere fondi dall'Ue: «Niente
“caccia” a fabbriche»
E tra Kaiser e Zaia piena intesa anche sul
corridoio Adriatico-Baltico: «È il nuovo canale di Suez»
13/08/2013
Piero Erle inviato a
VENEZIA La Carinzia chiuderà l'agenzia di promozione che cercava di allettare
le aziende italiane e venete per portarle a trasferirsi oltre confine, grazie a
sgravi fiscali e procedure semplificate. L'ha annunciato ieri alla stampa
veneta il nuovo governatore del Land austriaco, il socialdemocratico Peter
Kaiser (che siede oggi dove un giorno siedeva Georg Haider), invitato dal
governatore veneto Luca Zaia per dare un avvio operativo all'alleanza
“Gect-Euregio senza confini” che riunisce Veneto, Friuli V.G. e Carinzia, è
presieduta proprio da Zaia e si aprirà ben presto anche a Slovenia e Croazia.
Come noto, le euroregioni Gect hanno diritto di ottenere finanziamenti dall'Ue
su varie tematiche. NIENTE SCONTRI CARINZIA-VENETO. «Il mercato è libero», ha
sottolineato Kaiser, sottintendendo che comunque un imprenditore può
tranquillamente decidere di sfruttare le condizioni favorevole in Carinzia («ed
è questa differenza che certifica il fallimento dello Stato italiano», rimarca
Zaia). Ma «noi miriamo a unire gli attori, e non dividerli». Per questo
l'agenzia sarà fatta confluire in una sorta di Camera di commercio, cioè una
società che si occupa di «trovare fondi e risorse per sostenere l'economia
della Carinzia, e non di cercare di convincere fabbriche di altri Paesi a
venire qui», ha detto Kaiser sottolineando che questo era un obiettivo
dichiarato del suo partito. Anche perché, ha aggiunto in un altro momento,
«quello che conta prima di tutto in un investimento è la sua sostenibilità e se
dà vantaggio alla società, non certo solo il vantaggio della singola impresa
privata. E in ogni caso io non ho visto questo gran trasloco di imprese
straniere in Carinzia: personalmente ne conosco 2-3 in tutto». Un annuncio, il
suo sottolineato con forza da Zaia, perché mette fine almeno alle ipotesi di
rivalità a livello istituzionale tra Carinzia e Veneto: «La disparità di
condizioni resta, e il premier Letta sa benissimo che noi in Veneto vorremmo
sperimentare un'aliquota unica di tassazione, accettabile, proprio per togliere
il capestro che minaccia le nostre imprese di fronte alla crisi. Ma almeno così
finiranno di arrivare le letterine dalla Carinzia che allettano i nostri. E
sarebbe bene che anche qualcun altro, come Bolzano, ne prendesse nota», ha
aggiunto il governatore veneto, sferzando i cugini altoatesini autori a loro
volta di lettere di allettanti inviti alle imprese bellunesi perché traslochino
da loro. LA GRANDE CHANCE: IL CORRIDOIO ADRIATICO-BALTICO. C'è un altro tema su
cui Zaia e Kaiser hanno registrato sintonia piena: portare l'Unione europea a
sostenere con forza nelle reti di trasporto transnazionali Ten-T il corridoio
Adriatico-Baltico, dal porto di Danzica fino a quelli di Venezia e Trieste.
Zaia lo ripete sempre con forza: «È il nuovo canale di Suez, ma su rotaia e su
gomma, perché le navi che arrivano dal Mediterraneo, e dall'Estremo oriente
proprio tramite Suez, invece di farsi tutto il giro dell'Europa potranno
arrivare ai nostri porti e poi far passare le merci su treni o tir per inviarle
al Nord ed Est Europa. E viceversa». Un obiettivo su cui anche Kaiser è
estremamente convinto: «È un vantaggio per tutti, perché dimezzerà i tempi di
percorrenza: ci tengono molto anche polacchi, cechi e slovacchi». L'Italia ha
pronta la linea Pontebbana (semmai il tema è portarla fino a Venezia,
potenziando la linea ferroviaria Udine-Mestre), e la Carinzia «è già a due
terzi dell'opera - spiega Kaiser - e ha avviato adesso i progetti per
completare la linea, che sarà pronta nel 2024». FORMAZIONE E SANITÀ. Altri due
temi per l'Euregio vedono d'accordo Carinzia e Veneto: continuare a collaborare
sulla formazione e sulla sanità, sempre nell'ottica - precisano Zaia e Kaiser -
di organizzare se possibile attività formativa comune per operatori qualificati
di vari settori, risparmiando sui costi, e di scambiarsi informazioni sulle
“buone pratiche” adottate da ciascuna Regione in questi settori.
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