Nel Sud dal 2008 al 2012 si sono perse 366 mila unità di lavoro su un
totale nazionale di 535 mila unità, una concentrazione territoriale
impressionante, quasi il 70% di perdite in un’area in cui sono presenti meno
del 30% degli occupati italiani. Gli effetti del trasferimento di risorse dal
Sud verso il Nord volute dal governo Berlusconi: D.L. 93/2008; D.L. 97/2008.
D.L. 112/2008; D.L. 154/2008, gli effetti della Spending Review 2011, hanno
sottratto, in totale, al Mezzogiorno circa 20 miliardi.
Ne fanno bene sperare le aspettative future,
anche se viste in un contesto di crescita economica. La bassa produttività dei
principali settori economici, la mancanza di prospettive imprenditoriali
gettano tutti in uno sconforto senza ritorno.
La spesa per consumi delle famiglie, al 2012,
risulta al Sud diminuita di 3 miliardi di Euro rispetto al valore del 2000; nel
Centro-Nord è aumentata di 32 miliardi. Il peggioramento dei fattori economici
sta determinando un deterioramento dei fattori sociali e culturali, influendo
negativamente sul tasso di passaggio dalla scuola superiore all’università
calato dal 65% del 2004 al 58% 2011. Si interrompe quel processo di
modernizzazione così importante per il Mezzogiorno, e un peggioramento delle
prospettive occupazionali (Svimez 2012).
Il sistema economico sembra imbrigliato da anni
in una spirale che rende incapaci di utilizzare forza lavoro altamente
produttiva e l’orientamento su produzioni innovative, le uniche in grado di
produrre ricchezza e dare competitività alle imprese.
Lo stock di capitale è sceso dal 25% del 2000 al
23% del 2010 in rapporto a quello nazionale. La produttività del lavoro nel
settore industriale è del 19% più bassa di quella delle omologhe imprese del
Centro Nord. Il 90% delle imprese ha meno di 10 addetti (Banca d’Italia 2013)
La piccola dimensione dell’impresa meridionale
non permette di generare quegli investimenti necessari per sostenere la
crescita e di sviluppare buone prassi e metodi di organizzazione
imprenditoriali basati sul business development.
In relazione al tasso di industrializzazione:
fatto pari a 100 nell’Europa a 27, Sicilia e Sardegna sono ferme a 49, il resto
del Sud a 85, mentre Polonia, Romania e Bulgaria oscillano tra 110 e 154, fino
a tre volte in più del Sud. Il modello industriale meridionale è un modello che
non riesce a introdurre gli adeguamenti competitivi in grado di favorire lo
spostamento verso livelli di gamma più alti (Svimez 2013).
L’impresa meridionale guarda più al risparmio che
a situazioni appetibili di guadagno, la bassa produttività dei lavoratori in
nero e mal pagati è tale da essere diseconomica, il realtà il risparmio cela un
maggiore costo occulto e un disinvestimento vista la bassa produttività del
lavoro sottopagato. Il lavoro organizzato e regolare risulta essere più
produttivo di 2-4 volte (Svimez 2012).
Bisogna pensare oggi strutture imprenditoriali in
grado di creare rapporti socio economici, come condizione di una strategia di
presenza sul territorio, incentrata su una coscienza collettiva di collaborazione
e scambio mutualistico dei rapporti di conoscenza tra i sistemi produttivi e
culturali. Una trasformazione soggettiva capace di compiere azioni
sufficientemente forti da poter superare gli attuali limiti dell’individualismo
produttivo. Ciò è possibile non tramite un volontarismo dei singoli ma
attraverso una strutturazione delle organizzazioni imprenditoriali che cessano
di essere l’oggetto subalterno di un mercato determinato da eventi estrani al
mondo della produzione ed iniziano ad organizzarsi sulle loro potenzialità e
quelle del proprio territorio; perché se è vero che la crisi c’è bisogna anche
capire di cosa è crisi la crisi.
Le strutture produttive non sono più le
interpreti di un processo inconscio di organizzazione che va da se ed uguale
per tutti, necessitano di una progettazione voluta e pensata, in quanto essa
non è organica al modo della produzione, significherebbe cullarsi
nell’illusione della mano invisibile del mercato e il rifiuto di ogni politica
industriale, rassegnati ad un fatalismo imprenditoriale inaccettabile. Il
Mezzogiorno ha chance di cambiamento, solo con la costruzione di un nuovo modello
della cultura d’impresa.
[Salvatore M. Pace]
[10.09.2013]
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