mercoledì 11 settembre 2013

Chi sono i fratelli padani/18

Sud. Cosa resta di questa Crisi, di Salvatore M. Pace

Nel Sud dal 2008 al 2012 si sono perse 366 mila unità di lavoro su un totale nazionale di 535 mila unità, una concentrazione territoriale impressionante, quasi il 70% di perdite in un’area in cui sono presenti meno del 30% degli occupati italiani. Gli effetti del trasferimento di risorse dal Sud verso il Nord volute dal governo Berlusconi: D.L. 93/2008; D.L. 97/2008. D.L. 112/2008; D.L. 154/2008, gli effetti della Spending Review 2011, hanno sottratto, in totale, al Mezzogiorno circa 20 miliardi.



Ne fanno bene sperare le aspettative future, anche se viste in un contesto di crescita economica. La bassa produttività dei principali settori economici, la mancanza di prospettive imprenditoriali gettano tutti in uno sconforto senza ritorno.

La spesa per consumi delle famiglie, al 2012, risulta al Sud diminuita di 3 miliardi di Euro rispetto al valore del 2000; nel Centro-Nord è aumentata di 32 miliardi. Il peggioramento dei fattori economici sta determinando un deterioramento dei fattori sociali e culturali, influendo negativamente sul tasso di passaggio dalla scuola superiore all’università calato dal 65% del 2004 al 58% 2011. Si interrompe quel processo di modernizzazione così importante per il Mezzogiorno, e un peggioramento delle prospettive occupazionali (Svimez 2012).

Il sistema economico sembra imbrigliato da anni in una spirale che rende incapaci di utilizzare forza lavoro altamente produttiva e l’orientamento su produzioni innovative, le uniche in grado di produrre ricchezza e dare competitività alle imprese.

Lo stock di capitale è sceso dal 25% del 2000 al 23% del 2010 in rapporto a quello nazionale. La produttività del lavoro nel settore industriale è del 19% più bassa di quella delle omologhe imprese del Centro Nord. Il 90% delle imprese ha meno di 10 addetti (Banca d’Italia 2013)

La piccola dimensione dell’impresa meridionale non permette di generare quegli investimenti necessari per sostenere la crescita e di sviluppare buone prassi e metodi di organizzazione imprenditoriali basati sul business development.

In relazione al tasso di industrializzazione: fatto pari a 100 nell’Europa a 27, Sicilia e Sardegna sono ferme a 49, il resto del Sud a 85, mentre Polonia, Romania e Bulgaria oscillano tra 110 e 154, fino a tre volte in più del Sud. Il modello industriale meridionale è un modello che non riesce a introdurre gli adeguamenti competitivi in grado di favorire lo spostamento verso livelli di gamma più alti (Svimez 2013).

L’impresa meridionale guarda più al risparmio che a situazioni appetibili di guadagno, la bassa produttività dei lavoratori in nero e mal pagati è tale da essere diseconomica, il realtà il risparmio cela un maggiore costo occulto e un disinvestimento vista la bassa produttività del lavoro sottopagato. Il lavoro organizzato e regolare risulta essere più produttivo di 2-4 volte (Svimez 2012).

Bisogna pensare oggi strutture imprenditoriali in grado di creare rapporti socio economici, come condizione di una strategia di presenza sul territorio, incentrata su una coscienza collettiva di collaborazione e scambio mutualistico dei rapporti di conoscenza tra i sistemi produttivi e culturali. Una trasformazione soggettiva capace di compiere azioni sufficientemente forti da poter superare gli attuali limiti dell’individualismo produttivo. Ciò è possibile non tramite un volontarismo dei singoli ma attraverso una strutturazione delle organizzazioni imprenditoriali che cessano di essere l’oggetto subalterno di un mercato determinato da eventi estrani al mondo della produzione ed iniziano ad organizzarsi sulle loro potenzialità e quelle del proprio territorio; perché se è vero che la crisi c’è bisogna anche capire di cosa è crisi la crisi.

Le strutture produttive non sono più le interpreti di un processo inconscio di organizzazione che va da se ed uguale per tutti, necessitano di una progettazione voluta e pensata, in quanto essa non è organica al modo della produzione, significherebbe cullarsi nell’illusione della mano invisibile del mercato e il rifiuto di ogni politica industriale, rassegnati ad un fatalismo imprenditoriale inaccettabile. Il Mezzogiorno ha chance di cambiamento, solo con la costruzione di un nuovo modello della cultura d’impresa.
[Salvatore M. Pace]
[10.09.2013]

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