Controstorie, di Gigi Di Fiore
Mongiana non vuole dimenticare il suo passato. Ed è un bene. Due secoli
fa, Mongiana era centro siderurgico florido, tutta l'area nella piana Stagliata
di Micone in Calabria era considerata una
specie di Ruhr versione italiana. Acque e boschi in quantità: l'ideale per
questo tipo di attività industriali.
Martedì 22 ottobre, quella che fu la sede dello
stabilimento, e che era diventata monumento all'abbandono, diventa museo.
Ristrutturata, recuperata nelle sue aree principali, la ferriera potrà
diventare luogo di ricordi di un sud industriale. Mongiana come Pietrarsa, come
San Leucio.
Regione
Calabria, Regione Campania, comune di Mongiana e la Fondazione
Napolinovantanove hanno creduto nel progetto di recupero e restauro.
L'inaugurazione di martedì, con uno dei principali studiosi della storia di
quest'opificio, l'architetto napoletano Gennaro Matacena, è il coronamento del
recupero.
Quella di
Mongiana è storia troppo nota e dolorosa per rievocarla in dettaglio. Il polo
siderurgico nacque negli anni del regno di Ferdinando IV di Borbone. Produceva
semilavorati e venne considerato struttura fondamentale anche nel decennio
francese. Le ferriere Nuove Regie divennero un fiore all'occhiello nel regno
delle Due Sicilie. Progettista, nel 1771, fu l'architetto napoletano Mario
Gioffredo. A Mongiana furono prodotte le materie prime per il ponte in ferro
sul Garigliano e la ferrovia Napoli-Portici.
La
fonderia aveva tre altoforni: Santa Barbara, San Ferdinando e San Francesco. Vi
si produceva ghisa di alta qualità, simile a quella inglese. Le ferriere
divennero sette, poi il complesso si ampliò con una fabbrica di armi. Nel 1860,
lavoravano 1500 operai che si insediarono nella zona con le loro famiglie.
L'unità
d'Italia portò allo smantellamento. Nel 1864, la commissione per le ferriere
favorì la vendita ai privati, privilegiando gli insediamenti siderurgici del
nord per la loro vicinanza ai complessi industriali di Piemonte, Lombardia e
Liguria. Poi, atto finale, la vendita all'ex garibaldino Achille Fazzari.
Sperava in aiuti statali, ma non arrivarono. Gli impianti furono piano piano
smantellati, le strutture vendute. Rimase l'area Ferdinandea, dove si produceva
acqua minerale, con una centrale idroelettrica e una segheria. Fu il declino,
la chiusura. L'abbandono. Il gioiello industriale della Calabria chiuse. Erano
passati appena 14 anni dall'unità d'Italia.
Pubblicato il 21 Ottobre 2013 alle 12:42
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