Il declino del sistema industriale italiano non
dipende dalla crisi. Per lo meno: non dipende solo dalla crisi. È in atto da 15
anni ed ha cause molto più profonde, riconducibili alla politica ma anche alla
finanza.
LO HA DETTO ieri il direttore generale di
Bankitalia, Salvatore Rossi, presentando il suo libro «Processo alla finanza»,
nell'aula magna della facoltà di Economia dell'Università degli studi. Brescia
non fa eccezione, anzi, per Rossi è un caso paradigmatico nel bene e nel male,
perchè «eventuali cambiamenti non possono partire da qui e nelle terre che
hanno segnato la storia industriale del Paese». Il fatto, peraltro, è
confermato anche dai dati (si veda la tabella nel pezzo sopra) della produzione
industriale locale, che esattamente quindici anni fa toccò il suo picco e che
da allora ha continuato inesorabilmente a scendere, anche se è vero che lo
shock più pesante arrivò nel 2008. Rossi - introdotto dal rettore Sergio
Pecorelli, dai docenti Franco Spinelli e Carmine Trecroci e dal direttore di
Bankitalia a Brescia Massimiliano Marzano - già nel 2006, due anni prima del
caso Lehmann, suggeriva «quattro mosse contro il declino» in un suo libro di
analisi delle imprese bresciane. «La diagnosi - sostiene - è ancora valida: il
sistema produttivo non è più coerente con il paradigma tecnologico e la
dimensione dei mercati». In particolare si è soffermato sul secondo aspetto:
«Il problema non è avere imprese piccole, ma che non crescono. Le imprese non
possono che iniziare da zero, ma altrove dopo due anni sono in borsa e
capitalizzano». Ecco quindi il primo dei problemi nazionali affrontati
processando la finanza: «la struttura finanziaria del paese è difettosa, troppo
dipendente dalle banche che devono essere naturalmente avverse al rischio dovendo
manovrare i soldi dei depositanti».
L'AUSPICIO sarebbe quello di avere più venture
capital (investitori privati) e Borsa. Per questo, prendendo spunto da «Perchè
le nazioni falliscono» di Jim Robinson e Daron Acemoglu indica in tre parametri
«farsi venire un'idea, fondare un'impresa e ottenere un prestito» i tre
elementi validi per giudicare l'habitat istituzionale ideale per creare
aziende. Lasciando tuttavia «ai giovani il compito di trovare idee per uscire
da una situazione stagnante che dura da troppo tempo», esattamente come accade
nel suo «Processo alla finanza» in cui lascia al lettore-giudice popolare la
pronuncia del verdetto.
TUTTAVIA, a partire dagli stessi tre parametri,
Rossi non risparmia un giudizio netto della negatività italiana: «la nostra
università - dice - è appessantita e non sa assorbire le migliori intelligenze
come accade altrove», inoltre «nella nostra cultura popolare è radicato un
giudizio negativo nel fare impresa» e di fatto «non esiste finanza per le
imprese nascenti che avrebbero bisogno di equity, non di banche». L'analisi del
direttore di Bankitalia nell'insieme presenta numerose ragioni, ma - forse
volutamente - alla fine manca di un ultimo giudizio, rimanendo in difesa e
rifugiandosi nel non dire se - dato il sistema - sia comunque possibile fare
banca - che del sistema finanziario è comunque una componente fondamentale - in
modo migliore.
Giovanni Armanini
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