giovedì 24 ottobre 2013

«Il declino? Non dipende dalla crisi»

Nell'aula magna della facoltà di Economia il direttore generale di Bankitalia ha presentato il suo libro «Processo alla finanza» Rossi: «Percorso in atto da 15 anni e Brescia è emblematica: troppa la dipendenza dalle banche per questo i piccoli restano tali»


Il declino del sistema industriale italiano non dipende dalla crisi. Per lo meno: non dipende solo dalla crisi. È in atto da 15 anni ed ha cause molto più profonde, riconducibili alla politica ma anche alla finanza.
LO HA DETTO ieri il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, presentando il suo libro «Processo alla finanza», nell'aula magna della facoltà di Economia dell'Università degli studi. Brescia non fa eccezione, anzi, per Rossi è un caso paradigmatico nel bene e nel male, perchè «eventuali cambiamenti non possono partire da qui e nelle terre che hanno segnato la storia industriale del Paese». Il fatto, peraltro, è confermato anche dai dati (si veda la tabella nel pezzo sopra) della produzione industriale locale, che esattamente quindici anni fa toccò il suo picco e che da allora ha continuato inesorabilmente a scendere, anche se è vero che lo shock più pesante arrivò nel 2008. Rossi - introdotto dal rettore Sergio Pecorelli, dai docenti Franco Spinelli e Carmine Trecroci e dal direttore di Bankitalia a Brescia Massimiliano Marzano - già nel 2006, due anni prima del caso Lehmann, suggeriva «quattro mosse contro il declino» in un suo libro di analisi delle imprese bresciane. «La diagnosi - sostiene - è ancora valida: il sistema produttivo non è più coerente con il paradigma tecnologico e la dimensione dei mercati». In particolare si è soffermato sul secondo aspetto: «Il problema non è avere imprese piccole, ma che non crescono. Le imprese non possono che iniziare da zero, ma altrove dopo due anni sono in borsa e capitalizzano». Ecco quindi il primo dei problemi nazionali affrontati processando la finanza: «la struttura finanziaria del paese è difettosa, troppo dipendente dalle banche che devono essere naturalmente avverse al rischio dovendo manovrare i soldi dei depositanti».

L'AUSPICIO sarebbe quello di avere più venture capital (investitori privati) e Borsa. Per questo, prendendo spunto da «Perchè le nazioni falliscono» di Jim Robinson e Daron Acemoglu indica in tre parametri «farsi venire un'idea, fondare un'impresa e ottenere un prestito» i tre elementi validi per giudicare l'habitat istituzionale ideale per creare aziende. Lasciando tuttavia «ai giovani il compito di trovare idee per uscire da una situazione stagnante che dura da troppo tempo», esattamente come accade nel suo «Processo alla finanza» in cui lascia al lettore-giudice popolare la pronuncia del verdetto.

TUTTAVIA, a partire dagli stessi tre parametri, Rossi non risparmia un giudizio netto della negatività italiana: «la nostra università - dice - è appessantita e non sa assorbire le migliori intelligenze come accade altrove», inoltre «nella nostra cultura popolare è radicato un giudizio negativo nel fare impresa» e di fatto «non esiste finanza per le imprese nascenti che avrebbero bisogno di equity, non di banche». L'analisi del direttore di Bankitalia nell'insieme presenta numerose ragioni, ma - forse volutamente - alla fine manca di un ultimo giudizio, rimanendo in difesa e rifugiandosi nel non dire se - dato il sistema - sia comunque possibile fare banca - che del sistema finanziario è comunque una componente fondamentale - in modo migliore.
Giovanni Armanini


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