sabato 26 marzo 2011

Mezzogiorno-Mattino. 26 marzo 2011.

Lombardo: a Mineo c'è un grande lager

Lampedusa, 4800 gli immigrati sull’isola

Lampedusa, De Rubeis: L’Europa è assente

Immigrati, Bersani: Umiliati e arrabbiati per gestione Lampedusa

Lampedusa, l’ex base Loran tetto per 189 migranti

Lampedusa, migliaia di tunisini in rivolta: “Abbiamo fame e sete”.

Lombardo:”Lampedusa e la Sicilia non siano territori a perdere”

Lampedusa, Regione: “Stop ai tributi e ai mutui”

Affollamento carceri: il primato a Lamezia

Brindisi. Fotovoltaico, è la rivolta degli schiavi

Fincantieri, in tremila allo sciopero

Rifiuti, sottosegretario Letta scrive a Comune e Provincia Napoli

Baldassarri (Fli): Se questo è federalismo io sono Richard Gere

Abruzzo, venti milioni di euro per gli agriturismi

Le tavole degli italiani sono sempre più «povere»

Il vino si conferma prima voce della bilancia agroalimentare

Galan, neoministro: parto da Pompei ma basta con le polemiche sui crolli

Imprese siciliane e pagamenti: affidabili solo il 2,81 per cento

L’opposizione al regime libico

Unesco, due nuove candidature per l’Italia

«Gli italiani non hanno più soldi nemmeno per i discount»

Bergamo divisa mentre l’Italia celebra l’anniversario dell’indipendenza



Lombardo: a Mineo c'è un grande lager
Il governatore tuona: «Quel centro è stato solo un bluff»
Intanto continuano gli sbarchi, anche con un veliero
PALERMO - Continua il flusso di arrivi di immigrati clandestini, mentre crescono di tono le polemiche sulle iniziative del governo per garantire l'accoglienza e sul centro di Mineo.

SU UN VELIERO - Sono 44 i migranti intercettati ieri sera su una barca a vela da un pattugliatore della Guardia di Finanza, a circa 6 miglia dalle coste siracusane. Gli extracomunitari, tra i quali vi sono 11 donne, due delle quali incinte, e sette bambini, sono di nazionalità turca, siriana e irachena. L’imbarcazione, un motoveliero di circa 12 metri, è stata scortata fino al porto di Siracusa e posta sotto sequestro. Fermati anche i due presunti scafisti.

SALVI ALTRI 81 - Tratti in salvo gli 81 migranti che si trovavano su un barcone in difficoltà a 25 miglia da Lampedusa. Sono stati presi a bordo di motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza dopo che la carretta del mare su cui viaggiavano aveva cominciato ad imbarcare acqua.

PROTESTE A MINEO - «Il governo della Regione siciliana è al fianco dei sindaci del calatino che stanno protestando a Mineo. A conti fatti, con l’ingresso dei primi migranti trasportati da Lampedusa con la nave San Marco, ormai si può parlare di un vero e proprio bluff da parte del governo nazionale»., tuona il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo. «Il Villaggio degli Aranci - aggiunge - doveva essere destinato ad ospitare i richiedenti asilo presenti su tutto il territorio nazionale: nutrivamo già delle forti perplessità su questa scelta. Ma aprire le porte di Mineo ai profughi sbarcati a Lampedusa, di cui non si sa nulla e di cui in molti casi non si conosce neanche la vera identità è inaccettabile». «Trasferire i migranti dalla Sicilia alla Sicilia - conclude - significa continuare a scaricare sempre e soltanto sulla Sicilia - a Lampedusa, a Mineo e a Birgi, tanto per fare gli esempi più macroscopici - i costi sociali ed economici di questo tsunamì migratorio».

LOMBARDO: UN GRANDE LAGER - «Quello che temevo si sta verificando - continua Lombardo -. C’è stata grande superficialità a dire di sì senza le necessarie garanzie per quello che poteva accadere. Lì si stanno ammassando persone, si sta creando una sorta di grande lager». «Sinora - osserva il governatore - erano ospitati in dieci centri diversi dove stavano raggruppati per provenienza, nazionalità, fede religiosa, cultura e appartenenza politica. I primi 60 pare siano arrivati il primo giorno e si trattava di afghani e pakistani, cioè oppositori del governo dell’ Afghanistan. E, ad esempio, gli oppositori di quel governo sono i talebani. Questi magari non lo saranno, ma di certo la situazione è complicata». «Il problema più grave - conclude - è però un altro: queste persone sono libere di uscire e infatti decine di loro si aggirano per le campagne. Visto che il 75% di queste persone ottiene l’asilo, l’obiettivo sarebbe l’integrazione. Nella buona sostanza il governo a questa gente ha dato la prospettiva di trovarsi un lavoro. Ma dove? In una delle aree più depresse si vanno a piazzare 2.000 persone che alla fine cercheranno un lavoro. E già lo cercano aggirandosi per le campagne. Alcuni di loro non sono tornati alla base già dalla prima sera. Li hanno portati via forse dalla Lombardia o dal Veneto dove avrebbero avuto la possibilità di integrarsi. Lasciamo il Villaggio degli Aranci com’era e liberiamo da questo ennesimo problema i nostri cittadini e i nostri amministratori».

EX BASE LORAN - «L'ex base Loran dal pomeriggio di venerdì ospiterà 189 migranti. In pochi giorni grazie al lavoro della prefettura, la struttura è stata messa in dignitose condizioni, con gli allacciamenti elettrici, idrici e fognari», spiega l'assessore regionale all'Ambiente, Gianmaria Sparma, che accompagnato dal vice prefetto vicario di Agrigento, Nicola Diomede e dal commissario del Corpo forestale, Luca Ferlito, ha compiuto stamattina un sopralluogo all'ex base della Guardia costiera, adibita a ricovero temporaneo e straordinario dei migranti. «La questura - spiega Sparma - stabilira' chi dovrà essere alloggiato, ma solo dopo essere stato identificato. Si tratta comunque di un ricovero temporaneo e straordinario».

ARRIVA L'ACQUA A LAMPEDUSA - «Domani alle 6 attraccherà al porto di Lampedusa la prima nave della ditta Marnavi, incaricata dalla Regione siciliana di trasportare il primo carico straordinario di acqua potabile di 4.678 metri cubi, per sostenere l'accresciuto fabbisogno idrico», aggiunge Sparma. «Questa nave è partita da Napoli, mentre nel pomeriggio di domani giungerà da Gioia Tauro un'altra nave per il trasporto d'acqua con 1.500 metri cubi».

Lampedusa, 4800 gli immigrati sull’isola
di BlogSicilia 25 marzo 2011 -
Sono in tutto 4.800 gli immigrati attualmente presenti a Lampedusa, da dove oggi circa 800 saranno trasferiti con la nave “San Marco” della Marina militare e con voli speciali. Dei tunisini, 2.500 sono alloggiati nel Cie, 220 in una struttura messa a disposizione della parrocchia di San Gerlando, mentre i rimanenti si dividono tra stazione marittima del porto e tende di fortuna sparpagliate ovunque nell’isola.

La nave “San Marco”, giunta stamattina da Augusta (Siracusa), trasferirà 500 stranieri. Ancora da comunicare il porto di destinazione e la struttura che ospiterà gli immigrati, ma è molto probabile che l’unità militare rientrerà nel porto di Augusta e che gli stranieri saranno portati a Mineo (Catania) dov’erano già stati trasferiti ieri, tra le proteste dei sindaci, 483 tunisini prelevati a Lampedusa dalla stessa nave. I voli previsti sono tre, su Bari e Foggia, dove saranno trasportati 300 immigrati.

Lampedusa, De Rubeis: L’Europa è assente
“Qui c’è emergenza acqua: i serbatoi si riempiono e si svuotano subito”
Roma, 25 mar (Il Velino) - “Siamo in questa emergenza umanitaria con la presenza di un pacchetto sicurezza che crea grossi problemi per l’accoglienza e lo smistamento in Italia perché sono tutti immigrati irregolari che non possono essere lasciati liberi nel territorio. Hanno un solo tragico destino, quello di essere inseriti all’interno dei centri di identificazione ed espulsione, la permanenza dei 180 giorni e poi il rimpatrio che in presenza di un patto bilaterale consentiva di rimpatriarne 4 al giorno secondo l’accordo con il dittatore Ben Ali”. Così il sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis oggi a “Tutto Esaurito” su Radio 105, ospite di Marco Galli. “Questa mattina il ministro Maroni insieme al mio vicesindaco andranno in Tunisia per cercare di ripristinare quell’accordo bilaterale e cercare di avviare le procedure dei pattugliamenti congiunti – prosegue De Rubeis -. Se questo avviene, allora si può bloccare questo flusso che dal mese di gennaio fino a oggi ha portato circa 16.000 immigrati irregolari passando da Lampedusa”. “La verità è una: questi giovani non vogliono fermarsi a Lampedusa né in Italia, vogliono andare tutti in Francia, però l’Europa è assente e non vuole immigrati, vuole solo rifugiati – afferma il sindaco -. Lo stesso vale per l’accordo dei Presidenti delle Regioni”.

“Lampedusa – osserva De Rubeis - ha in giro per le strade 5000 giovani immigrati che si stanno comportando bene. Per loro vengono a mancare i diritti umani perché dormono all’addiaccio e vengono a mancare le condizioni igienico sanitarie”. Di questi siti che il ministro Maroni ha preventivato in Italia, se ne usufruirà oppure no? “I due siti individuati dal ministro Maroni dietro la disponibilità del ministro La Russa – risponde il sindaco - sono Sicilia e Puglia, zone militari da adibire a tendopoli, nel frattempo poi ci sono i vari centri attivi da diverso tempo che continuano a ricevere. La Puglia in questi giorni con i ponti aerei ha ricevuto circa 1800 immigrati. Bisogna dirottare un po’ verso il nord. Ieri ho avuto modo di parlare con un presidente di cooperativa a Iesolo che nel 2007 aveva ricevuto 99 giovani irregolari. Hanno una struttura da 180 posti, ma mi dicono che il sindaco di Iesolo, che è della Lega Nord, non li vuole accettare perché ci sarebbero tensioni con la popolazione. Oggi ci dovremmo tenere tutti per mano fino a quando il fenomeno c’è affinché Lampedusa si svuoti e questo peso, la parola è brutta, deve essere distribuito perché siamo al collasso e vengono mancare i diritti umani e le condizioni igienico sanitarie di base. Lampedusa non ha proprie risorse idriche, l’acqua arriva da fuori e hanno potenziato i carichi, ma i serbatoi si riempiono e si svuotano nell’immediatezza”. “Io dico al Ministro Maroni: teniamoci per mano tutti – conclude De Rubeis -. Se tutti facciamo qualcosa, riusciamo, nel pieno rispetto delle regole, a superare questa emergenza”.
(com/onp) 25 mar 2011 10:52

Immigrati, Bersani: Umiliati e arrabbiati per gestione Lampedusa
Roma, 25 mar (Il Velino) - “Vorrei che uscisse da qui un messaggio: come italiani siamo umiliati molto arrabbiati" per la gestione degli sbarchi a Lampedusa. "Lo siamo come lampedusiani, come volontari e poliziotti che sono lì in una situazione ingestibile. Non è possibile che un grande paese come il nostro dia queste prove di se”. Lo ha detto Pierluigi Bersani intervenendo alla prima Conferenza nazionale sull'immigrazione dei democratici a Roma. “È inutile che Maroni o altri - ha aggiunto Bersani - parlino di un Europa sorda: la loro Europa è sorda. Perché se sei uno che chiudela porta trovi sempre uno che chiude la porta più di te”. Secondo il segretario Pd “non abbiamo sufficiente credibilità per predisporre l’organizzazione di un piano”. “Anche la solidarietà europea - ha sottolineato - interviene nel momento in cui si fanno civilmente le proprie cose: con che volto vai a chiedere la solidarietà?”. “Bisogna intervenire – ha esortato Bersani - bisogna organizzare la solidarietà interna sul territorio e il governo deve metterci la faccia, perché sarebbe da irresponsabili, come già sta avvenendo, che lascino marcire i problemi”.
(chi) 25 mar 2011 13:18

Lampedusa, l’ex base Loran tetto per 189 migranti
di Antonella Folgheretti 25 marzo 2011 -
“L’ex base Loran da questo pomeriggio ospitera’ 189 migranti. In pochi giorni grazie al lavoro della prefettura, la struttura e’ stata messa in dignitose condizioni, con gli allacciamenti elettrici, idrici e fognari”.
Lo ha detto l’assessore regionale all’Ambiente, Gianmaria Sparma, che accompagnato dal vice prefetto vicario di Agrigento, Nicola Diomede e dal commissario del Corpo forestale, Luca Ferlito, ha compiuto stamattina un sopralluogo all’ex base della Guardia costiera, adibita a ricovero temporaneo e straordinario dei migranti.
“La questura – conclude Sparma – stabilira’ chi dovra’ essere alloggiato, ma solo dopo essere stato identificato. Si tratta comunque di un ricovero temporaneo e straordinario”.

Lampedusa, migliaia di tunisini in rivolta: “Abbiamo fame e sete”. LAMPEDUSA – Situazione infuocata a Lampedusa: migliaia di tunisi sono in rivolta al grido di “abbiamo fame”. Sono gli stessi che per giorni stavano accampati davanti alla banchina del porto e alla collinetta sovrastante. Hanno fame, chiedono cibo, acqua, sigarette e generi di conforto. Protestano, poi assaltano il container con i sacchetti del cibo.
Arrivano però altri profughi nel lazzaretto Lampedusa, dalla Libia:  un peschereccio partito da Tripoli in difficoltà è stato intercettato dalla Guardia costiera. Allo stesso tempo la nave San Marco è ancorata al porto in attesa di imbarcare altri immigrati. Il prossimo viaggio non dovrebbe avere più la destinazione di Mineo, bensì un’area attrezzata in Puglia.
Sono 494 i migranti che hanno raggiunto nelle ultime 24 ore Lampedusa secondo i dati aggiornati dalla Guardia costiera questa mattina. L’ultimo arrivo la scorsa notte è stato quello di 84 tunisini che erano a bordo di uno scafo in legno soccorso congiutamente da Guardia costiera e Guardia di finanza.
Sono in tutto 4.800 gli immigrati attualmente presenti a Lampedusa. Ma circa 800 dovranno essere trasferiti con la “San Marco” e con voli speciali. Dei tunisini, 2.500 sono alloggiati nel Cie, 220 in una struttura messa a disposizione dalla parrocchia di San Gerlando, mentre i rimanenti si dividono tra la stazione marittima del porto e le tende di fortuna sparpagliate ovunque nell’isola. Dopo un sopralluogo effettuato questa mattina, anche la base Loran, usata precedentemente dalla Nato, da oggi verrà adibita al ricovero di circa 200 immigrati.
Governo tunisino si impegna a bloccare le partenze verso l’Italia. Intanto il governo tunisino, a seguito di un incontro istituzionale con i ministri degli Interni e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, si sarebbe impegnato a bloccare le partenze di tunisini verso Lampedusa. A riferirlo sono stati gli stessi Maroni e Frattini dopo i colloqui con il primo ministro Caid Essebsi e con i ministri dell’Interno e degli Esteri del paese nordafricano. L’Italia fornirà in cambio mezzi, addestramento e una linea di credito per 150 milioni di euro.
“Abbiamo chiesto al governo tunisino – ha spiegato Maroni – di rafforzare i controlli marittimi: è una preoccupazione ben presente in loro, ci hanno detto che intensificheranno la vigilanza”. E’, ha aggiunto, “un risultato positivo e incoraggiante che, se sarà seguito da fatti concreti, potrà bloccare i flussi che in due mesi e mezzo hanno portato 15.700 tunisini a Lampedusa”.
Maroni: profughi in tutte le regioni tranne in Abruzzo. Il piano per accogliere eventuali 50mila profughi in fuga dalla Libia “è pronto e lunedì lo consegneremo al presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani”. Lo annuncia il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, in visita a Tunisi insieme al ministro degli Esteri, Franco Frattini.
“Non ci sono – chiarisce Maroni – regioni esentate, anche se nessuno vuole i profughi. Solo l’Abruzzo, alle prese con il post-terremoto, non parteciperà al piano. La distribuzione dei migranti sarà equa”.
25 marzo 2011 | 15:00

Lombardo:”Lampedusa e la Sicilia non siano territori a perdere”
di BlogSicilia 25 marzo 2011 - “Lampedusa è un dramma e il governo se ne è fregato. Avrebbe dovuto prevenire quello che sta capitando non eleggendo Lampedusa a isola per tutti gli approdi ma portando gli approdi oltre Lampedusa, su delle navi in cui ospitare i profughi, identificarli e poi imbarcarli sugli aerei e portarli laddove, mi auguro, si sappia di doverli portare”.
A dichiararlo è il presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo dalle pagine del suo blog. Sono parole dure quelle del governatore nei giorni degli sbarchi, con correlate proteste dei residenti sull’isola.
“Credo che il governo ancora non abbia idea perché le regioni dicono sì, noi la nostra parte ce la carichiamo, ma le altre? – continua il governatore – . A Lampedusa ci sono più tunisini che isolani, le condizioni igieniche sono allo stremo. Noi abbiamo mandato approvvigionamenti idrici, una squadra speciale per le pulizie, potenziata la sanità con un secondo elicottero, un presidio di protezione civile. Manderemo tutto ciò che serve nonostante l’ordinanza del presidente del consiglio sia rivolta ad un commissario e la Regione ad oggi non è stata chiamata a collaborare. E’ stato statalizzato il problema, la Regione fa tutto ciò che deve fare anche se nessuno ce lo chiede. Abbiamo a Lampedusa un nostro assessore che ci informa e attiva le misure di intervento necessarie”.
“La devono smettere – conclude – . Io andrò a Lampedusa e ci starò fino a quando il governo non risolve il problema. Mi sono rivolto al capo dello Stato, garante dell’unità nazionale, il quale non potrà non farsi sentire per chiedere che il governo intervenga e non consideri Lampedusa, la Sicilia e il sud un territorio a perdere.

Lampedusa, Regione: “Stop ai tributi e ai mutui”
di BlogSicilia 25 marzo 2011 -
Sospensione dei versamenti delle imposte (Irpef, Irpeg, Ires, Iva e Irap), dei contributi previdenziali ed assistenziali, dei pagamenti dei premi obbligatori per le assicurazioni contro gli infortuni e le malattie professionali, sospensione delle rate di mutui i prestiti per tutti gli abitanti e le attività commerciali dell’isola di Lampedusa.
E’ quanto chiede il governo della Regione con una lettera al Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti.
La decisione di procedere formalmente a questa richiesta è stata assunta dalla giunta di governo riunita sotto la Presidenza di Raffaele Lombardo, dopo avere ascoltato la relazione resa dall’assessore al Turismo di quel comune, Pietro Busetta.
“A fronte di un fenomeno così allarmante che determina inevitabilmente refluenze sotto il profilo economico – si legge nella missiva – è impensabile che gli oneri derivanti da tale situazione possano gravare unicamente e interamente sulla Regione siciliana. Al verificarsi di eventi calamitosi di eccezionale gravità – ricorda la Regione – il governo nazionale è sempre intervenuto con provvedimenti ‘ad hoc’ di sospensione dei versamenti e degli adempimenti a favore dei contribuenti residenti nelle zone interessate dagli eventi stessi”.
(gc)

Affollamento carceri: il primato a Lamezia
Venerdì 25 Marzo 2011 11:32
di Dario Benincasa - 14 suicidi in cella, 194 tentati suicidi, un surplus di 22.259 detenuti in più rispetto alla massima capienza che comporta un affollamento medio, pari al 54,2 %, 59 casi di aggressione a poliziotti penitenziari , e seguono proteste, scioperi della fame e rifiuti delle terapie mediche. 
Sono questi i dati emersi dalla UIL PA Penitenziari che, tramite il segretario generale Eugenio Sarno, sono stati diffusi , definendoli "eventi critici".
Tra le regioni che detengono il maggior rapporto di sovraffollamento vi sono, la Calabria (77,6 %) seguita da Puglia (76,3%), Emilia Romagna (73,7%) , Marche (72,1%) e Lombardia (65,9%)" .
A Lamezia spetta il primato in Italia per sovraffollamento carcerario. Con una presenza di 1446 detenuti in piu' rispetto alla capacita' ricettiva massima degli istituti di pena calabresi , rilevata al 31 dicembre, si ha una nitida fotografia del sistema penitenziario.
Non di meno preoccupanti i livelli di affollamento a Locri (124% ) 10* nazionale, Reggio Calabria ( 119,5 %) 14* nazionale e Castrovillari (116,8%) 15* nazionale"
Sarno – aggiunge nella relazione- (con riferimento al territorio calabrese) anche i casi in cui sono verificati tre suicidi (Palmi, Reggio Calabria e Vibo Valentia). In tutti gli istituti (ad esclusione di Laureana di Borrello) sono stati posti in essere tentati suicidi, per un totale di 48 ( 14 a Reggio Calabria; 9 a Catanzaro; 8 a Cosenza; 4 a Locri e Castrovillari ; 2 a Lamezia Terme, Paola e Vibo Valentia; uno a Crotone, Palmi e Rossano ) . Gli atti di autolesionismo - segnala - ammontano a 160. I detenuti che hanno fatto ricorso a scioperi della fame sono risultati essere 340. Gli atti di aggressione perpetrarti in danno di poliziotti penitenziari assommano a 9 (2 a Castrovillari, Catanzaro e Reggio Calabria; 1 a Cosenza, Palmi e Rossano)".

Brindisi. Fotovoltaico, è la rivolta degli schiavi
Brindisi sottosopra in pieno centro
Da tre mesi senza stipendio 200 africani protestano
Assediata ieri pomeriggio la sede della Tecnova Inatalia
BRINDISI - E’ la rivolta degli schiavi. E sono proprio loro, i tanti africani che hanno lavorato per mesi alla costruzione di impianti fotovoltaici della Tecnova Inatalia senza ricevere lo stipendio, a definirla così. Ieri pomeriggio, dopo tre mesi di lavoro non retribuito, hanno atteso fino alle 17 davanti al cantiere tra le campagne di San Pancrazio Salentino ed Erchie, poi hanno deciso di occupar via Bastioni San Giacomo, a Brindisi, dove è situata la sede legale della società. Sono pakistani, senegalesi, marocchini, ma c’è anche qualche italiano e da agosto del 2010 sono stati assunti, con contratti che prevedevano sette ore di lavoro (ma loro raccontano di aver lavorato anche per quindici al giorno) e, questa mattina, hanno in programma di chiedere un intervento diretto al prefetto di Brindisi. «Hanno sfruttato il nostro lavoro - spiega Wissem, uno dei loro portavoce, che lavora in Italia da sei anni - ma soprattutto hanno sfruttato il nostro bisogno estremo di lavorare. Ci sentiamo insultati e offesi. Abbiamo presentato centinaia di denunce ma nessuno, fino ad oggi, ci ha ascoltato».

Ieri sera, in via Bastioni, erano circa duecento ma ci sono almeno cinquecento - tra fornitori e lavoratori diretti - che non hanno ricevuto i dovuti pagamenti. La sede della società è vuota da due giorni e, solo gli stessi dipendenti a rivelarlo, hanno lasciato l’Italia da ieri pomeriggio. Mentre loro erano in attesa di ricevere gli stipendi, i rappresentanti sarebbero infatti partiti per la Spagna, raccontano. L’esasperazione di tutti ha provocato qualche tensione in strada, tra gli automobilisti spazientiti e le diverse fazioni degli immigrati, unite dall’obiettivo (cioè ottenere il proprio denaro) ma divise nella voglia di manifestare. L’arteria del centro è rimasta bloccata per qualche ora, con un paio di pattuglie della polizia impegnate a deviare il traffico e a sedare (a malapena) l’agitazione dei manifestanti. Tra loro, c’erano quelli desiderosi di creare disordini, molti di più erano invece quelli che cercavano un confronto proficuo con le forze dell’ordine: l’intento era portare all’attenzione generale il loro problema. «Abbiamo famiglie da mantenere, siamo disperati», racconta Patrick, un quarantenne senegalese che, dopo aver trascorso anni come venditore ambulante pensava di aver finalmente trovato un lavoro; al punto che in Italia, e alla Tecnova, ha fatto arrivare anche suo fratello. «Adesso i nostri figli non hanno da mangiare - continua - e anche noi siamo in seria difficoltà. Abbiamo passato mesi a lavorare come schiavi, sotto la pioggia e nel fango e non abbiamo visto neppure un centesimo». Quasi tutti i lavoratori, che hanno montato i pannelli e creato gli impianti elettrici per gli impianti fotovoltaici di Salice Salentino, Galatina, Collepasso e San Pancrazio Salentino, sono stati assunti in estate ed hanno ricevuto regolarmente lo stipendio fino a dicembre. Poi la società ha smesso di emettere pagamenti di qualsiasi tipo: ognuno di loro vanta crediti dai 2mila ai 5mila euro. Dopo un pomeriggio passato in attesa di recuperare il loro denaro, gli animi erano particolarmente agitati e giunti a Brindisi hanno cercato anche di sfondare nella sede della società. Al primo piano del palazzo che la ospitava - ormai all’esterno c’è anche un cartello che ne annuncia la vendita - non hanno trovato nessuno e i poliziotti gli hanno convinti a desistere.
Per convincerli a liberare la strada è invece intervenuta l’avvocato Paola Maddalo, che rappresenta una cinquantina di loro. «Capisco la loro esasperazione ma ho cercato di convincerli a non aggravare la situazione - spiega insieme alla collega Veronica Merico del sindacato Ugl - abbiamo presentato i decreti ingiuntivi, devono avere pazienza». Da almeno due mesi infatti, hanno raccontato i lavoratori, vengono presentate denunce contro la società: oltre ai mancati pagamenti, ci sarebbero anche tante irregolarità nel rispetto del contratto e, in particolare, per l’orario di lavoro e per i diritti maturati, come il trattamento di fine rapporto. Mentre la Cgil di Lecce ha già chiesto un intervento del prefetto Mario Tafaro, a Brindisi è in programma una manifestazione per il 30 marzo. Questa mattina invece, i lavoratori hanno in programma di continuare a protestare in piazza Santa Teresa, vicino alla sede della prefettura. «Per tutto questo tempo abbiamo parlato, spiegato, raccontato, denunciato ma non abbiamo trovato nessuno disposto ad ascoltarci - spiega esasperato Wissen - per questo stiamo alzando la voce. Non è possibile che in un Paese come l’Italia accada tutto questo, che un’azienda possa compiere simili reati, senza che nessuno muova un dito. Sono disperato ma soprattutto deluso». Come lui, anche tutti gli altri che sono giunti in Italia regolarmente, hanno lavorato regolarmente e non sono stati pagati. Regolarmente.
Francesca Cuomo

Fincantieri, in tremila allo sciopero
Castellammare, tensione quando una parte dei manifestanti ha sfondato le transenne davanti al Comune
NAPOLI - Momenti di tensione a Castellammare di Stabia dove si è tenuto lo sciopero in difesa della Fincantieri. I manifestanti hanno sfondato la barriera formata da transenne che limitavano l’area antistante la sede del Comune di Castellammare che, per una disposizione del sindaco, Luigi Bobbio, non può essere occupata da persone o veicoli. Una reazione era in qualche modo temuta perchè le transenne al Comune erano state interpretate, da alcuni degli organizzatori, come simbolo delle distanze esistenti tra l’amministrazione comunale ed i problemi sociali della città.

IN TREMILA - Circa tremila persone hanno partecipato manifestazione cittadina indetta dai sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl. I manifestanti, tra cui studenti, operai Fincantieri e dell’indotto, dell’ex Avis, di Meridbulloni e di altre realtà industriali dismesse dell’area, hanno sfilato da piazza Umberto verso piazza Spartaco.

LA CISL - La Cisl Campania sottolinea «la grande partecipazione dei lavoratori e dell’intera città al corteo, a Castellamare di Stabia, per il futuro della Fincantieri e del territorio». La Cisl contestualmente stigmatizza «l’assenza dei livelli istituzionali locali e regionali a un momento importante per un’area dalle enormi potenzialità economiche ed occupazionali e auspica che questo non sia l’ennesimo segnale dell’aumento della distanza tra i lavoratori e il ’Palazzò». «La riunione in programma a Roma per il prossimo 31 marzo, ottenuta grazie principalmente all’attivismo della Cisl e dei lavoratori - si evidenzia in una nota - rappresenta un’occasione decisiva su questo fronte. La Regione Campania deve parteciparvi con un ruolo di protagonista, richiamando alle proprie responsabilità anche il Governo nazionale e l’azienda».

PLAUSO AI COMMERCIANTI - Durante la manifestazione grande plauso sia da parte dei sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl regionali che dalle segreterie dei metalmeccanici, è stato espresso nei confronti dei commercianti che hanno partecipato con compattezza alla mobilitazione. «È la prima volta in Italia che si manifesta per il lavoro con questa unità di intenti», ha rilevato il segretario nazionale Uil, Anna Rea. Su ogni serranda dei negozi era stato affisso un volantino in cui i commercianti spiegavano: «Chiuso per sciopero. Uniti per la ripresa. La crisi del lavoro è la nostra crisi». «I commercianti stabiesi solidali con tutti i lavoratori delle aziende in crisi - è il contenuto del volantino - esortano le forze politiche tutte ad ogni livello di governo a mettere in campo piani concreti di ripresa e sviluppo economico sul nostro territorio».

Rifiuti, sottosegretario Letta scrive a Comune e Provincia Napoli
Napoli, 25 mar (Il Velino/Il Velino Campania) - Mille tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli. Soltanto due mesi fa la firma a Roma di un accordo per risolvere l'emergenza. Sessanta giorni dopo, complice il caos per la discarica di Chiaiano, la crisi avanza. L'immagine delle strade nuovamente sporche ha mosso il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta a scrivere a Comune e Provincia di Napoli: “Assumere ogni urgente adeguata iniziativa volta ad ottenere nel più breve tempo possibile, risultati concreti rispetto all'esercizio delle competenze cui si è fatto cenno, sì da poter dimostrare l'ottemperanza alla normativa comunitaria di settore”. Il riferimento di Palazzo Chigi è all'Unione europea che sul tema rifiuti ha più volte bacchettato l'Italia. Dunque da un lato serve ripulire la città e le strade dell'hinterland, dall'altro evitare nuove sanzioni. Per farlo bisogna dare seguito al piano siglato a Roma all'inizio dell'anno che prevedeva una serie di interventi come la realizzazione di una discarica da un milione di tonnellate in provincia di Napoli, di impianti di compostaggio negli Stir e di un altro per il trattamento dell'indifferenziato. A questo si doveva aggiungere l'avvio di una capillare raccolta differenziata.
(rep/red) 25 mar 2011 10:53

Baldassarri (Fli): Se questo è federalismo io sono Richard Gere
Più tasse per tutti in generale e, in particolare, per i tartassati. Capisco posizione Pd, ma Pdl è in difficoltà politica e ideologica. La Lega? Suoi elettori non saranno d'accordo
 Roma, 25 mar (Il Velino) - “Se questo è federalismo allora io mi definisco Richard Gere”. Mario Baldassarre intervistato da Sky Tg 24 per la rubrica ‘un caffè con..’ usa l’ironia per ribadire le sue critiche al decreto legislativo sul federalismo regionale approvato ieri dalla ‘bicameralina’ per l’attuazione del federalismo fiscale con l’astensione del Pd e il voto contrario del terzo Polo. Per L’esponete Fli “i nodi sono evidenti: non c’è nessun controllo in prospettiva sulla spesa. I costi storici - sottolina Baldassarri - vengono cambiati di nome e chiamati standard ma possono crescere e se crescono le Regioni sono chiamate ad aumentare le tasse”. In sostanza con questo federalismo ci saranno “più tasse per tutti in generale - è la sintesi del presidente della commissione Finanze del Senato - e, in particolare, più tasse per i tartassati”.

Per Baldassarri “il Pd, che governa tante regioni, trae il vantaggio di essersi garantito uno spazio e dal punto di vista di un partito di sinistra è anche comprensibile che si voglia mantenere l’equilibrio finanziario non tagliando la spesa ma aumentando le tasse. Ma è il centrodestra che è in difficoltà politica ed ideologica perché è nato per le grandi riforme liberali che dovrebbero contenere la spesa e ridurre la pressione fiscale”. Quanto alla Lega “quello che penso l’ho detto ieri a quattr’occhi a Bossi – conclude Baldassarri -: quando i suoi elettori sia accorgeranno che viene chiamato federalismo un dilagare ulteriore della spesa pubblica, coperto da aumenti della pressione fiscale, forse non saranno tanto d’accordo”.
(chi) 25 mar 2011 11:33

Abruzzo, venti milioni di euro per gli agriturismi
25.03.11
La linea d'azione 1 della Misura 3.1.1 del Piano di sviluppo rurale prevede investimenti in aziende agricole dedicate all'attività agrituristica, comprendenti la manutenzione straordinaria, la ristrutturazione e il restauro di fabbricati già a servizio dell'azienda agricola al fine di realizzare ed allestire sia nuovi alloggi agrituristici sia punti di ristoro.

L'assessore alle Politiche agricole, Mauro Febbo comunica che sul Bura del 23/03/2011 n. 20 è disponibile il bando pubblico riguardante l'attivazione della Misura 311 "Diversificazione verso attività non agricole- Azione 1: Investimenti in azienda per attività agrituristica". "Grazie al Programma di sviluppo rurale 2007/2013 (Psr), afferma l'assessore Mauro Febbo, la Regione Abruzzo ha la possibilità di sviluppare un'azione che
prevede investimenti pari a 20 milioni di euro destinati al rilancio di un settore strategico come quello dell'agriturismo. Da oggi infatti sono aperti i termini di presentazione delle domande per le istanze da parte dei beneficiari". La linea d'azione 1 della Misura 3.1.1 del Piano di sviluppo rurale prevede investimenti in aziende agricole dedicate all'attività agrituristica, comprendenti la manutenzione straordinaria, la ristrutturazione e il restauro di fabbricati già a servizio dell'azienda agricola al fine di realizzare ed allestire sia nuovi alloggi agrituristici sia punti di ristoro. Inoltre il finanziamento prevede la possibilità di realizzare piazzole di sosta per caravan e camper; l'abbattimento delle barriere architettoniche; la sistemazione di spazi esterni all'azienda agrituristica con parcheggi autovetture, giardini, illuminazione, sistemazione viabilità aziendale; laboratori polifunzionali, dispense, locali per la degustazione dei prodotti aziendali offerti ai visitatori; lo sviluppo di attività didattiche, culturali, sportive, ricreative, di artigianato rurale non agricolo, escursionistiche e ippoturismo. L'azione sarà applicata nelle aree collinari e montane ed è rivolta agli imprenditori agricoli nella forma di impresa singola e associata. "Si tratta di un passaggio molto atteso e fondamentale per la nostra azione di governo, ha ribadito l'assessore regionale Mauro Febbo, che finalmente è stato portato a termine e che ci permette di realizzare interventi sostanziosi. Si tratta di azioni indispensabili per il rilancio dell'attività agrituristica che, siamo certi, rappresenta un aspetto chiave per il mondo agricolo e un volano per la ripresa dell'economia regionale". "Voglio ricordare che il bando arriva contemporaneamente alla nuova legge sugli agriturismi il cui obiettivo rilevante è quello di restituire loro la natura originaria: difendere e valorizzare l'immenso patrimonio naturalistico ed enogastronomico abruzzese. "Stiamo lavorando con la direzione Agricoltura, ha concluso Mauro Febbo, affinché sia possibile porre fine alla confusione con il mondo della ristorazione, per ridisegnare e per marcare sempre di più le differenti vocazioni, in modo che il consumatore abbia la massima certezza sulla qualità e l'origine dei prodotti che gli verranno offerti".

Le tavole degli italiani sono sempre più «povere»
Le vendite alimentari perdono l’1,2 per cento rispetto allo stesso mese del 2010. Dopo il calo complessivo dell’anno scorso (meno 0,6 per cento), il 2011 si apre ancora peggio
Fonte: © CIA.it - Pubblicata il 25/03/2011
ROMA - Altro che crisi finita. Gli italiani continuano a tirare la cinghia, risparmiando ancora una volta sulla tavola. Il 2010 è stato già un anno negativo per i consumi domestici, eppure il 2011 si è aperto ancora peggio: le vendite di prodotti alimentari sono diminuite dello 0,5 per cento rispetto a dicembre e dell’1,2 per cento nel confronto con lo stesso mese dell’anno precedente. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, commentando i dati diffusi oggi dall’Istat sul commercio fisso al dettaglio.

TAGLI SU «TUTTO» - Ciò che desta più allarme però - osserva la Cia - è il calo indistinto degli acquisti a prescindere dal canale di vendita. Nel 2010 le famiglie italiane si erano rivolte ai discount abbandonando le botteghe di quartiere e i «classici» supermercati pur di risparmiare qualcosa sul carrello della spesa. Così il dettaglio tradizionale aveva perso nell’anno il 5,7 per cento rispetto al 2009 e iper e supermercati un più lieve 1,1 per cento, mentre discount e liberi servizi erano volati rispettivamente dell’1,4 per cento e del 6 per cento. A gennaio invece il crollo è generale: perdono le imprese operanti su piccole superfici (meno 1,5 per cento), gli ipermercati (meno 2,7 per cento), i supermercati (meno 1,4 per cento), ma soprattutto cedono il passo anche i discount. Segnando per la prima volta «rosso», con un meno 0,6 per cento.
Questo vuol dire che la gente semplicemente non compra - spiega la Cia - e che, rispetto a dodici mesi, fa la situazione non è affatto migliorata. Anzi, la percezione sulla situazione economica resta negativa e, di conseguenza, gli italiani continuano a «tagliare» su tutto, anche sul cibo.

STALLO ANCHE NEL 2011 - Eppure - ricorda la Cia - già nel 2010 le famiglie avevano cambiando drasticamente menù e abitudini alimentari, rinunciando non più solo al superfluo ma a prodotti di prima necessità come pane e pasta (calati rispettivamente del 2,7 per cento e dell’1,8 per cento sul 2009), carne rossa (meno 4,6 per cento), pesce (meno 2,9 per cento), frutta e agrumi (meno 1,8 per cento), vino da tavola (meno 2,1 per cento).
Lo stallo dei consumi, insomma, sembra destinato a rimanere tale anche nel 2011 - conclude la Cia - mentre, secondo le nostre stime, continuerà a crescere la quota di italiani che, proprio a causa delle difficoltà economiche, acquisterà prodotti alimentari di qualità inferiore e ricorrerà quasi esclusivamente alle «promozioni» commerciali: era pari al 30 per cento nel 2010, potrebbe salire fino al 40 per cento quest’anno.
© DIARIODELWEB.it

Il vino si conferma prima voce della bilancia agroalimentare
L’export spinge il settore oltre la crisi internazionale. Vinitaly rassegna leader che traina la promozione sui mercati nazionali ed esteri
Fonte: © VINITALY.com - Pubblicata il 25/03/2011
VERONA - Con un export 2010 di 3,9 miliardi di euro, oltre 20 milioni di ettolitri e più di 2,5 miliardi di bottiglie tricolori stappate nel mondo, il vino italiano si conferma prima voce dell’export agroalimentare nazionale spingendo il settore oltre la crisi globale dell’ultimo anno. Un vero e proprio boom che registra una performance positiva anche in termini di valore: +11,7% sul 2009.
È questo lo scenario del mercato che preannuncia la 45^ edizione di Vinitaly (Veronafiere, 7-11 aprile; www.vinitaly.com), il Salone internazionale del vino e dei distillati che, con i suoi 4.000 espositori provenienti da tutto il mondo, richiama in media ogni anno oltre 150 mila visitatori specializzati, di cui più di un terzo da 114 Paesi.
In mostra a Vinitaly tutto l’universo enologico, in rappresentanza di un settore che vale complessivamente per il nostro Paese 13,5 miliardi di euro di fatturato (2010), a cui si aggiungono ulteriori 2 miliardi di indotto, e che occupa 1,2 milioni di addetti nelle 770 mila aziende sparse su tutto il territorio nazionale.
A trainare l’export è il mercato americano, dove l’Italia è il primo esportatore di vino sia in termini di valore che di quantità: circa il 33% del vino consumato negli Usa, per un valore di circa 827,3 milioni di euro, è made in Italy. Buoni risultati anche in Russia (+59,6% l'export nel 2010) dove il valore delle nostre esportazioni ha superato i 100 milioni di euro, in Canada e in Svizzera (rispettivamente +28,6% e +12,5%), anche se la Germania rimane il nostro primo importatore con quasi 850,6 milioni di euro.

La promozione e la valorizzazione del ‘sistema Italia’ nel mondo è tra i punti cardine della manifestazione che, con il Vinitaly in the World, porta il meglio dell’enologia nazionale nei principali Paesi esteri, soprattutto extra Ue, che condensano il 23% dell’esportazioni nazionali. Tra i mercati emergenti, soprattutto quello cinese che ha registrato un +109% lo scorso anno, con un raddoppio del valore del vino italiano, facendo diventare la città di Hong Kong il centro per la distribuzione e il commercio del vino in Asia. Proprio a questo importante hub del mercato asiatico, Vinitaly dedica uno dei suoi focus internazionali in calendario durante la rassegna.

Galan, neoministro: parto da Pompei ma basta con le polemiche sui crolli
Il successore di Bondi ai Beni culturali: «Ci sono 80 milioni per la manutenzione. Cominciamo dagli Scavi»
NAPOLI – «Ci sono le risorse (80 milioni per la manutenzione dei beni) e le impiegheremo». Dove? «Partendo da Pompei», dice in una intervista a La Stampa Gianfranco Galan che da qualche giorno è il nuovo ministro dei Beni culturali dopo le dimissioni di Sandro Bondi. L’ex governatore veneto aggiunge che la questione di Pompei sarà affrontata insieme a tutti gli altri siti archeologici del Paese. Mentre in un’altra intervista, questa volta al Mattino, il ministro si sofferma sui recenti crolli che hanno interessato negli ultimi mesi gli Scavi. «Bisogna smetterla con l’ipocrisia – dice Galan -: Pompei durante la guerra è stata bombardata, basta, dunque, continuare a lamentarsi per il crollo della Schola Armaturarum. Anche perchè non esiste solo Pompei: soffermarsi solo sugli scavi significa non conoscere la storia di grande capitale europea della cultura che Napoli è stata e deve continuare ad essere». Parole, quelle del ministro, che sembrano tuttavia proiettarsi in un’ottica diversa dalle affermazioni del suo successore alla guida della Regione Veneto, Luca Zaia, che aveva definito Pompei: «quattro sassi». Per Galan occorre puntare soprattutto sulle idee «e su progetti sostenibili e realizzabili» per rilanciare il sito archeologico. «Troveremo i finanziamenti necessari e indispensabili a ridare senso e vitalità alla cultura», aggiunge poi in merito. Come? Oltre ai finanziamenti pubblici che per il ministro devono essere «ordinari, stabili e sufficienti, e assegnati non «una tantum» e dopo «appelli e proteste di piazza», anche tirando in ballo i privati, per cui dice, «bisogna quindi creare le norme perchè questo possa avvenire con regole certe».

CARANDINI, PRONTO A RITIRARE DIMISSIONI – Andrea Carandini, che il 14 marzo scorso si era dimesso da presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali per la «progressiva e massiccia diminuzione degli stanziamenti di bilancio», si dice pronto a ritirare le dimissioni, dopo il rientro dei fondi destinati alla cultura che dice «non è la ciliegina sulla torta, ma la torta stessa». L’archeologo poi rilascia anche una dichiarazione sull’ormai ex ministro Bondi: «E' una persona di grande onestà intellettuale», dice. «Ha i suoi meriti, come il coraggioso vincolo sull’Agro Romano. La responsabilità di questo periodo, in assoluto il più buio nella recente storia del dicastero, non è solo sua», aggiunge. «E forse – conclude - il suo sacrificio è servito a voltare pagina».
Francesco Parrella

Imprese siciliane e pagamenti: affidabili solo il 2,81 per cento
320 mila le aziende prese in considerazione, Siracusa provincia siciliana con percentuale di rischio più alta
PALERMO - Il 14,75 per cento delle imprese siciliane presenta un livello di rischiosità alta, cioè risulta inaffidabile nei pagamenti, il 43,52 per cento una rischiosità media, il 38,59 per cento una rischiosità medio-bassa e solo il 2,81 per cento risulta affidabile. Questi sono i dati emersi da un'analisi di Cribis D&B sul livello di rischiosità commerciale e abitudini di pagamento delle imprese nazionali, presentati nella sede Confindustria Palermo, durante il workshop su «L'evoluzione nella gestione del credito commerciale: Strumenti ed esperienze».

Sono state 320 mila le aziende prese in considerazione in Sicilia. La provincia siciliana con la percentuale di rischio più alta risulta essere Siracusa con il 17,03 per cento, seguita da Palermo con il 15,41 per cento, Catania con il 15,40 per cento, Messina 15,18 per cento, Caltanissetta 14,19 per cento, Trapani con il 13,23 per cento e Agrigento con il 12,68 per cento. Ultimo posto per Enna con il 10,33 per cento. Ragusa invece risulta avere la maggiore percentuale di aziende a basso rischio, il 3,53 per cento. Per quanto riguarda le abitudini di pagamenti, dalla studio emerge che il 29,86 per cento delle aziende siciliane paga alla scadenza, il 54,48 per cento 30 giorni dopo e lo 0.47 per cento oltre i 120 giorni.

«Dati importanti», ha sottolineato Giovanna Costantini, senior sales coordinator Cribis D&B, «sono le abitudini di pagamento a seconda della tipologia di azienda. Infatti, le micro aziende esibiscono una percentuale di pagamento puntuale maggiore, il 43,87 per cento, rispetto all'11,10 per cento registrato dalle grandi. «Queste ultime, avendo una liquidità maggiore, però», ha aggiunto, «presentano una minore quota di rischiosità, solo il 6,72 per cento, contro il 9,87 per cento delle medie e l'11,58 per cento delle piccole». A livello nazionale, il 9,96 per cento delle imprese italiane presenta un'alto rischio di insolvenza, il 5,53 per cento una rischiosità bassa, il 37,76 per cento medio bassa e il 46,75 per cento presenta un livello nella media. Il rischio più alto riguarda il 13,58 per cento delle aziende del sud e delle isole, segue il centro con l'11,09 per cento , il nord ovest con l'8 per cento e per ultimo il nord est con il 6,10 per centio. «Stare in regola con i pagamenti», ha affermato il presidente di Confindustria Palermo, Alessandro Albanese, «non è facile per le imprese, soprattutto a causa dei ritardi dei pagamenti da parte degli enti. Nessuno ancora ha tirato fuori una legge che possa compensare le tasse con i crediti vantati nei confronti degli enti».
Fonte Italpress

L’opposizione al regime libico
Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione Autore:        Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo:     L'opposizione al regime libico
Serie:      Documentazione e ricerche    Numero: 211
Data:       23/03/2011
23 marzo 2011               
n. 211/0  
Precedentemente allo scoppio delle proteste e del conflitto armato interno libico, la condizione dei movimenti di opposizione al regime libico risultava di estrema debolezza e le principali articolazioni di tali movimenti operavano in esilio, mentre presenti sul territorio libico risultavano i movimenti islamisti dei fratelli musulmani, che operava in condizioni di semi-clandestinità, e del gruppo di combattimento islamico libico. La rivolta ha invece visto, in un contesto in cui un peso determinante lo ha assunto l’atteggiamento delle tribù, l’affermazione di nuove forme di organizzazione dell’opposizione al regime, la cui articolazione più evoluta appare rappresentata dal consiglio nazionale transitorio libico, con sede a Bengasi e presieduto dall’ex-ministro della giustizia libico Jalil. La presente nota si sofferma dapprima sulla condizione delle forze di opposizione al regime libico precedentemente allo scoppio della rivolta e quindi sull’attuale organizzazione delle forze di opposizione.
Le forze di opposizione al regime libico precedentemente allo scoppio della rivolta libica
Dal punto di vista idelogico, le tradizionali forze di opposizione al regime libico appaiono riconducibili a tre diverse aree: quella monarchica; quella democratica e quella islamista.
Gran parte dei movimenti di opposizione, inoltre, opera in esilio (dove sono stati in passato raggiunti dagli attacchi e dagli omicidi mirati dei servizi segreti libici; a loro volta esponenti dell’opposizione si sono resi responsabili dell’omicidio di esponenti governativi libici all’estero). Centro dell’emigrazione politica libica risulta in particolare Londra: nella capitale britannica hanno sede l’Alleanza nazionale; il Movimento nazionale libico; il Movimento libico per il cambiamento e la riforma; il Raggruppamento islamista; il Fronte nazionale di salvezza libico e il Raggruppamento repubblicano per la democrazia e la giustizia. Sempre a Londra ha sede il movimento monarchico che sostiene Mohammed Al Sanusi, nipote dell’ultimo re di Libia Idris, deposto da Gheddafi nel 1969. Questi movimenti hanno costituito nel 2005 l’Accordo nazionale, chiedendo le dimissioni di Gheddafi e la costituzione di un governo transitorio. Il ritorno in Libia, tra il 2005 e il 2006, di circa 787 dissidenti in esilio aveva lasciato intravedere la possibilità dell’avvio di un processo di dialogo, successivamente sfumato.

Sul territorio libico opera in condizioni di semiclandestinità la Fratellanza musulmana libica. Centinaia di componenti della Fratellanza sono stati sottoposti ad ondate di arresti, processi e condanne, lungo tutta la durata del regime di Gheddafi, in particolare nel 1973 e nel 1998. Anche nel 2001-2002 due leader eminenti della Fratellanza sono stati condannati a morte e oltre settanta all’ergastolo. Leader attuale della Fratellanza libica è Suleiman Abdel Qadir, che, nel 2005 ad Al Jazeera, ha descritto gli obiettivi della fratellanza come pacifici ed ha richiesto l’abrogazione delle leggi che sopprimono i diritti politici. Nel 2008, sempre ad Al Jazeera, Qadir ha espresso apprezzamento per gli intenti riformatori di Saif Al Islam Gheddafi, che, a sua volta, era apparso rivolgere alcune aperture nei confronti della Fratellanza.

Presente sul territorio libico è anche il Gruppo di combattimento islamico libico, organizzazione islamista armata. Saif Al Islam Gheddafi ha avviato negli scorsi anni un dialogo con i leader in prigione del gruppo, ottenendo nel 2009 alcuni impegni sulla rinuncia alla violenza da parte del movimento. Allo stesso tempo, nel 2007, il leader di Al Qa’ida Ayman Al-Zawahiri ha annunciato la fusione tra il gruppo ed Al Qa’ida, fusione smentita da esponenti del gruppo a Londra[1].

L’organizzazione della rivolta libica
L’effettivo collegamento tra i movimenti di opposizione al regime libico e la rivolta scoppiata a metà di febbraio 2011 appare dubbio. Da fonti di stampa, la ricostruzione più attendibile individua la causa scatenante della rivolta nell’arresto, il 15 febbraio, di Fatih Tarbel, avvocato di Bengasi che aveva assunto la difesa dei parenti dei circa 1.200 deceduti nella repressione della rivolta del carcere di Abu Salim nel 1996 (nel marzo 2010 i parenti delle vittime avevano rifiutato gli indennizzi offerti in cambio della rinuncia all’azione legale; la protesta dei parenti, la maggior parte dei quali di Bengasi, andava avanti dal 2007; al riguardo cfr. box sotto). La protesta per l’arresto aveva coinvolto, a Bengasi, circa 2000 persone già lo stesso 15 febbraio[2]. Inoltre, un gruppo su Facebook, animato da un esule trentenne in Svizzera, Hassan Al Djahmi e chiamato “17 febbraio – il giorno della rabbia”, ha convocato, appunto per il 17 febbraio, una manifestazione di protesta (“giornata della rabbia”) contro il regime libico, raggiungendo oltre 30.000 iscritti in 48 ore[3]. Le manifestazioni del 17 febbraio 2011 avrebbero visto la partecipazione di oltre 100.000 persone e si sono successivamente estese ad altre città della Cirenaica, come Bengasi, Al Bayda, Tobruk, Derna[4]; dalla repressione, che avrebbe causato decine di vittime e visto l’intervento di mercenari africani al soldo del regime libico, si sarebbero rapidamente dissociate, per unirsi ai ribelli, le forze di polizia locali (fornendo in questo modo la ribellione anche di armi). Questo ha condotto alla costituzione, in diverse città della Cirenaica, già tra il 15 e il 21 febbraio, di diversi comitati locali, consigli civici e militari, che avrebbero assunto il controllo delle città cadute in mano alle forze ribelli e organizzato milizie locali di difesa, coordinandosi con le forze dell’ordine e militari passate dalla parte della rivolta. Dopo un’iniziale ambiguità, il 22 febbraio, si è unito alla rivolta, insieme alle sue truppe, Abdel Fattah Younes, comandante per la regione di Bengasi delle forze speciali “Saiqa” e già ministro dell’interno[5]. Younes, divenuto leader del comitato militare di Bengasi, è comunque giudicato da altri esponenti della rivolta come eccessivamente compromesso con il regime di Gheddafi. Intorno al 6 marzo 2011 le forze militari libiche passate dalla parte della rivolta ammonterebbero a circa 12.000 unità[6].

Elemento fondamentale nella propagazione della rivolta, in particolare al di fuori della Cirenaica, è stato poi il contributo di molte delle tribù nelle quali è articolata la struttura sociale libica (per dettagli cfr. box sotto): tra queste merita ricordare quella dei Farfalla, Orfella, Rojahan e Zintan: a contribuire alla disaffezione delle tribù nei confronti di Gheddafi sarebbero stati anche i contrasti sulla ripartizione della rendita dei proventi petroliferi, che, peraltro, negli anni 2008-2009 hanno subito una restrizione a causa della crisi economica internazionale[7].

In questo contesto, è sorto, a coordinare la rivolta e l’attività dei diversi comitati locali (ai quali è rimasta affidata l’amministrazione delle diverse città), a partire da sabato 26 febbraio 2011, il Consiglio transitorio nazionale libico, guidato dall’ex-ministro della giustizia di Gheddafi, passato con i rivoltosi, Mustafa Abdel Jalil[8]. La formazione del consiglio, e in particolare la designazione alla leadership di Jalil è apparsa tormentata[9]. In particolare, già domenica 27 febbraio, la leadership di Jalil, annunciata il giorno prima, è stata messa in discussione da un avvocato dissidente di Bengasi, esponente del comitato locale, Abdel-Hadifiqh Ghoga, autodesignatosi portavoce del consiglio, che avrebbe accusato Jalil di avere un’influenza limitata alla sua città natale di Al Bayda. Il 6 marzo si è giunti ad un accordo sulla composizione del consiglio che ha designato alla presidenza Jalil, e ha confermato Ghoga come portavoce. Il consiglio è poi composto da, oltre al presidente, altri trenta esponenti (cinque dei quali donne. Solo i nome di nove (o, secondo altre fonti, quattordici) componenti sono stati però resi noti, per tutelare gli altri che si troverebbero in zone sotto il controllo delle forze fedeli a Gheddafi. Tra gli esponenti i cui nomi sono stati resi noti si segnalano personalità legate al regime di Gheddafi come, oltre a Jalil, l’ex-ministro dell’interno Al Obedi. Risultano però presenti anche esponenti della, peraltro assai debole, borghesia delle professioni libica, emersi alla guida del comitato locale di Bengasi, come il professore di scienze politiche Fathi Mohammed Baja, e Ahmed Al-Abaar, dirigente di una banca agricola, e dissidenti del regime, come l’avvocato Fethi Terbil, dal cui arresto le proteste di Bengasi hanno avuto inizio, e l’ex prigioniero politico al-Sharif. Ad un altro ex-prigioniero politico, Omar Al Hariri, per oltre 20 anni rinchiuso nelle carceri del regime libico, e in precedenza comandante dell’esercito a Tobruk, è stata affidata la responsabilità degli affari militari[10]. La designazione di Al Hariri avrebbe peraltro determinato uno strisciante contrasto con il già ricordato generale Younes, che comunque eserciterebbe di fatto il comando delle forze ribelli[11].

Responsabile invece degli affari esteri nel consiglio è Ali al-Assawi, già ambasciatore libico in India. Insieme ad al-Assawi altri esponenti del corpo diplomatico libico sono passati a sostenere la rivolta, a partire dall’ambasciatore in carica all’ONU (già ambasciatore in Italia) Abdurrahim Shalgam.

Il consiglio transitorio nazionale ha dichiarato il proprio impegno per il mantenimento dell’unità nazionale libica: risulterebbe inoltre allo studio la costituzione di un “parlamento transitorio”, in attesa di poter convocare libere elezioni su tutto il territorio libico; tale parlamento risulterebbe composto da cinque rappresentanti per ciascuna delle principali tribù della Libia; la rappresentanza paritaria è stata però rifiutata dai rappresentanti delle tribù più grandi, mentre la determinazione di un criterio di rappresentanza proporzionale tra le tribù in questa fase appare non facilmente perseguibile. Peraltro, nel corso della rivolta, è stato anche costituito un comitato per il dialogo, composto da rappresentanti delle tribù, che ha proposto, il 14 marzo 2011, una mediazione tra le parti in conflitto[12].

Ali Al-Assawi, nella sua funzione di responsabile degli affari esteri del consiglio nazionale transitorio libico, ha incontrato il 9 marzo 2011 l’alto rappresentante della politica estera e di sicurezza Catherine Ashton. Il 10 marzo il governo francese ha riconosciuto il consiglio come legittimo rappresentante del popolo libico. Il consiglio nazionale transitorio libico si è dotato anche di un proprio sito Internet: www.ntclibya.org.


Box 1: Le proteste per la repressione della rivolta del carcere di Abu Salim[13]
Nel 1996 circa 1200 detenuti risultarono uccisi nella repressione, da parte delle forze di sicurezza libiche, della rivolta scoppiata nel carcere di Abu Salim, a Tripoli, rivolta motivata dalle difficili condizioni di vita nel carcere, che risulterebbe notorio, secondo fonti internazionali, per l’ampio ricorso al suo interno a torture e maltrattamenti dei prigionieri. In particolare, il massacro da parte delle forze di sicurezza libiche sarebbe avvenuto a rivolta già domata, aprendo deliberatamente il fuoco su centinaia di prigionieri condotti nel cortile interno della prigione. Il governo libico ha dapprima, e per un lungo periodo, negato il massacro. Molti dei morti della rivolta provenivano da Bengasi. Nel 2007 30 di queste famiglie, assistite dal giovane avvocato Fathi Terbil, hanno avviato un’azione legale al tribunale di Bengasi, al fine di chiedere informazioni sulla sorte dei propri congiunti. Il tribunale ha appoggiato la loro richiesta, che tuttavia non ha trovato risposta dalle autorità governative libiche. Sono quindi iniziate, nello stesso anno, ogni sabato, manifestazioni di protesta dei familiari. Il governo libico, pur procedendo in varie occasioni ad arresti ed interrogatori dei partecipanti, ha tollerato le manifestazioni, in una fase nella quale era interessato al miglioramento della propria immagine internazionale. Consapevoli di tale interesse del governo libico, i manifestanti peraltro hanno cercato di coinvolgere organismi internazionali come l’ONU e l’opinione pubblica internazionale sulla questione; le pressioni hanno condotto nel 2010 il governo libico a riconoscere il massacro, a consegnare ad oltre 900 famiglie i certificati di morte dei propri congiunti e ad offrire un indennizzo di circa 100 dollari per ogni detenuto ucciso, indennizzo, come già si è accennato, rifiutato da molti familiari, che insistevano invece per conoscere le esatte circostanze della morte dei loro congiunti e l’individuazione dei responsabili.


Box 2: L’assetto tribale della società libica
La società libica appare ancora oggi fortemente influenzata dai legami di clan e tribali. In questo contesto, per tribù, termine peraltro soggetto a diverse definizioni ed anche contestazioni in campo antropologico, si intendono “raggruppamenti genealogici”, vale a dire fondati sulla presunzione di una consanguineità[14]. Nel contesto libico, lo storico libico, Faraj Najm ha individuato centoquaranta tribù, delle quali però solo trenta avrebbero un peso demografico considerevole.
Tra queste si segnalano, nella parte occidentale del paese, i magariha, i warfalla, i firqan, i misrata e i gaddafa (tribù di Gheddafi), mentre nella regione orientale sono presenti i mugarba, gli awaqir, i zuwaya, i fawahir, i mugabra e gli ubaydat.

Il 15 per cento della popolazione libica non appartiene però a nessuna tribù (gli abitanti autoctoni di Tripoli, ovvero coloro che vi abitano da molte generazioni, i berberi, vale a dire i discendenti delle popolazioni autoctone nordafricane, preesistenti alla penetrazione islamica, i libici discendenti di schiavi di origine africana)[15].

In Cirenaica, la zona orientale del paese, con capoluogo Bengasi, appare invece ancora esercitare una forte influenza la tradizione senussa: i senussi sono una confraternita di revival islamico di orientamento sufi sorta alla fine del ‘700 che assunse rapidamente il controllo de facto della Cirenaica. Animatori dell’insurrezione antitaliana nel periodo coloniale, con il loro leader Omar Al Muktar, si schierarono successivamente, durante la seconda guerra mondiale, in funzione antitaliana a fianco dei britannici. Senusso era il re Idris, insediatosi al potere dopo la seconda guerra mondiale.
 [1]    Fonte: Congressional Research Service, Libya: Background and US relations (16 luglio 2010), in www.opencrs.com
[2]   M. Palumbo, La Libia a rischio secessione, intervista con Mansour El Kikhia, “Europa” 17 febbraio 2011
[3]    A. Guerrera, Hassan e i ragazzi del “17 febbraio”, “La Repubblica” 19 febbraio 2011
[4]    Id., La Cirenaica da sempre contro Gheddafi, “La Stampa” 19 febbraio 2011
[5]    L. Cremonesi, Bengasi. Il Consiglio nazionale arruola volontari, “Corriere della Sera” 28 febbraio 2011
[6]    R. Scolari, Obama ancora cerca il suo uomo a Bengasi per rovesciare Gheddafi, “Il Foglio” 5 marzo 2011
[7]J. Moisseron, Libye, la rupture du pacte tribale,  Liberation  24 febbraio 2011
[8]    L. Cremonesi, cit.
[9]    Libya’s Opposition Leadership Comes into Focus, in www.stratfor.com (20 marzo 2011)
[10]   G. Ruotolo, Ex-ministri e ambasciatori il volto dell’opposizione, “La Stampa” 8 marzo 2011
[11]    Libya’s Opposition Leadership Comes into Focus, in www.stratfor.com (20 marzo 2011)
[12]  la notizia in www.corriere.it (14 marzo 2011)
[13]    J. Becker, Events of Two Years Ago sparked current uprising in Libya, Human Rights Watch Report, in: www.hrw.org
[14]  U. Fabietti, Tribù, in Istituto dell’Enciclopedia italiana – Treccani, Enciclopedia delle scienze sociali, (ora disponibile in www.treccani.it)
[15]   C. Gazzini, Non solo tribù, in “Limes” 1/2011

Unesco, due nuove candidature per l’Italia
25.03.11
Ufficialmente consegnate il 25 marzo all'Ambasciatore italiano presso l'Unesco, le candidature de “L’arte tradizionale dei Pizzaiuoli napoletani” e de “La pratica agricola della coltivazione della vite ad alberello dell’isola di Pantelleria" per l’iscrizione nella prestigiosa Lista del patrimonio immateriale dell’Umanità dell'Unesco.
Il 25 marzo vengono ufficialmente consegnate all'Ambasciatore italiano presso l'Unesco, Maurizio Serra, le candidature de “L’arte tradizionale dei Pizzaiuoli napoletani” e de “La pratica agricola della coltivazione della vite ad alberello dell’isola di Pantelleria" per l’iscrizione nella prestigiosa Lista del patrimonio immateriale dell’Umanità dell'Unesco. I due complessi dossier sono stati realizzati dal gruppo di lavoro Unesco del Ministero delle politiche agricole, coordinato dal prof Pier Luigi Petrillo, con il costante supporto delle comunità di Napoli e di Pantelleria. Dopo il successo dell’iscrizione della Dieta mmediterranea nella Lista dell'Unesco, altri due elementi rappresentativi del ricco patrimonio immateriale di tradizioni legate al mondo agroalimentare del nostro Paese saranno valutati dagli organi tecnici dell’Unesco. In particolare, la pratica agricola della coltivazione dello Zibibbo, se valutata positivamente dall’Unesco, sarebbe la prima pratica agricola al mondo iscritta nella prestigiosa Lista.

«Gli italiani non hanno più soldi nemmeno per i discount»
Codacons: «Il Governo non aumenti la benzina»
Fonte: © CODACONS.it - Pubblicata il 25/03/2011
ROMA - Secondo i dati resi noti oggi dall'Istat le vendite al dettaglio a gennaio sono calate dell'1,2% rispetto allo stesso mese del 2010 e dello 0,3% rispetto a dicembre.
Per il Codacons è un dato ormai drammatico quello del crollo del comparto alimentare. Le vendite di prodotti alimentari scendono dello 0,5% rispetto a dicembre 2010. La diminuzione, poi, non è solo per le imprese operanti su piccole superfici (-1,5% su base annua) ma anche per la grande distribuzione (-0,9%). Insomma gli italiani sono ormai talmente poveri e fanno talmente fatica ad arrivare a fine mese che non basta più abbandonare il piccolo negozio sottocasa o i brand leader della produzione alimentare italiana, passando a prodotti meno noti e più economici. Il calo, infatti, oltre agli ipermercati, le cui vendite precipitano su base annua del 2,7%, riguarda anche i discount alimentari, con un meno 0,6%. Gli italiani, insomma, mangiano sempre meno perché hanno finito i soldi.

NO ALL'AUMENTO DELLA BENZINA - Ma il Governo, invece di aiutare le famiglie italiane a conservare la loro capacità di spesa, facendo una politica dei redditi e restituendo quello che ha incassato in più in questi anni grazie all'aumento della pressione fiscale, non ha saputo fare altro che smantellare la social card e aumentare le accise sulla benzina. Aumentare di 1 o 2 centesimi le imposte sulla benzina è un atto irresponsabile non solo perché determina un aumento dei carburanti i cui prezzi sono già alle stelle, non solo perché colpisce indifferentemente poveri o ricchi secondo il criterio «più sei costretto a viaggiare più paghi», ma anche perché determinerà una traslazione di questo costo sui prodotti alimentari trasportati, che gli italiani, drammaticamente, faticano già a comperare, come dimostrano i dati Istat di oggi.
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Bergamo divisa mentre l’Italia celebra l’anniversario dell’indipendenza
di Philippe Ridet – 22 marzo 2011
Pubblicato in: Gran Bretagna
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Bergamo è addobbata con bandiere. Salendo per la strada che porta dalla parte bassa fino alla parte alta della città ci sono tricolori appesi da tutte le finestre per i festeggiamenti del 150esimo anniversario dell’Unità.

La città ha sfoggiato il suo fervore patriottico il 2 febbraio scorso dando il benvenuto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lungo la strada la folla ha sventolato bandiere e urlato “Viva l’Italia”. Nulla di sorprendente visto che nel 1860 la città contribuì con 180 volontari alla famosa spedizione dei Mille di Garibaldi. L’anno successivo, il 17 marzo 1861, la sua campagna portò alla creazione del Regno d’Italia, unito e sovrano. Ma questo è quasi un paradosso in questa roccaforte della Lega che vorrebbe la secessione del Nord d’Italia.

Il capo del consiglio provinciale della Lega, Ettore Pirovano, che ha raccolto più di un terzo delle preferenze alle elezioni del 2010, è un esempio perfetto di questa contraddizione. Due dei suoi antenati si unirono al gruppo di Garibaldi: ne mostra con orgoglio le loro foto sul computer. “Erano degli avventurieri”, afferma. “Pensavano che Garibaldi fosse una specie di Buffalo Bill”. Non sembra passargli per la testa che ciò possa sembrare un po’ strano. “Da Garibaldi alla Lega Nord, tutto fa parte della stessa storia”, ha spiegato. “Sì, anche noi cerchiamo di aiutare il Sud portando avanti la riforma fiscale in senso federalista, senza la quale l’Unità resterà incompiuta. Se avremo successo, riusciremo a riconciliare gli italiani con lo Stato e continuare l’avventura di Garibaldi”.

L’anniversario è stato dichiarato giorno di festa nella provincia, malgrado l’opposizione della Lega. Molti a Bergamo pare cerchino di mantenere due fedeltà contrastanti, quella dell’Unità e l’ideale dell’indipendenza. “E’ il nostro paradosso”, ha dichiarato Ettore Oncis, editore del quotidiano locale, L’Eco di Bergamo. “Abbiamo contribuito all’unificazione dell’Italia, ma facciamo sempre più fatica a conviverci. La Lega è l’unico parito che dà voce a questo disagio. Non è contro l’Unità, ma contro l’uso che se ne fa, il quale va contro la diversità e incoraggia il parassitismo, la burocrazia e l’eccessiva centralizzazione del potere.”

La Lombardia è una regione ricca, e lo Stato viene visto come il nemico. “Il lavoro conta per circa tre quarti dell’identità di una persona qui,” ha aggiunto Oncis. “Cosa vogliono dallo Stato? Meno problemi e maggiore efficienza. Ma questo non vuol dire che non hanno il senso di un destino condiviso”.

L’avvocato Carlo Salviano, che ha contribuito all’allestimento di un museo dedicato agli eroi locali dell’Unità, non è molto contento dell’idea di mettere Garibaldi su una camicia verde – il colore della Lega. “Garibaldi è una figura così potente che tutti vorrebbero averlo dalla sua parte come sostegno alla propria ideologia”, ha dichiarato. Tra un busto e un dipinto, siamo riusciti a scorgere la camicia di Garibaldi, ancora rossa.

[Articolo originale "Bergamo divided as Italy celebrates anniversary of independence" di Philippe Ridet]

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