sabato 26 marzo 2011

Federali-Mattino. 26 marzo 2011. Speciale Raixe venete. Quello veneto è un popolo tra i più antichi e ha contribuito a fondare la civiltà del Mediterraneo. È perciò sacrosanto che questa festa ci sia. Ed è intelligente anche che quest’anno i festeggiamenti siano stati organizzati su tutto il territorio, in collaborazione con enti locali e associazioni culturali. Che cambi mestiere. Parla senza conoscere. Gli consiglio l’etilometro. Come si fa a non accogliere chi si trova nel bisogno? Pronti a ospitare trenta profughi a Verona. Trenta posti, rosicati in una casa d’accoglienza per senzatetto gestita dalla Caritas. Ecco quanto guadagna il Veneto.

http//www.rivolte:
In migliaia nelle piazze di Yemen e Siria
Siria, la polizia spara sui manifestanti: 20 morti
Yemen, spari ad una manifestazione. Saleh : “Lascio il potere solo in mani sicure”.
La Costa d’Avorio sull’orlo della guerra civile
Tutti quei migranti dalla Libia, dove sono finiti?

Ospiti:
Immigrazione, Mantovano: “In Italia 13 nuovi Cie provvisori”.
Il leghista Tosi: «Pronti a ospitare trenta profughi a Verona»
Venezia. «Come si fa a non accogliere chi si trova nel bisogno?».
Finale Ligure. Libia, Finale Ligure pronta ad accogliere i profughi.
Firenze. Tre siti in Toscana per i profughi

Popolo tra i più antichi:
Veneto. «Col voto alla Lega il Veneto non sa più pensare in grande»
Padoan ribatte: "Sono incompetenti"
Venezia. Avanza il federalismo regionale «Ecco quanto guadagna il Veneto»
Milano. Vendola: “Questo federalismo è una porcheria. Rischio secessione di fatto”.
Padova. Bruciarono Garibaldi: invitati nelle scuole.
Venezia. Galan: "Al Cinema basta Venezia", Alemanno: "Giù le mani da Roma".
Vendola: Lombardia regione più mafiosa. Formigoni: Miserabile
La Germania ride di noi: “Senza media indipendenti si fa la fine dell’Italia”.

In migliaia nelle piazze di Yemen e Siria
Sanaa, interviene l'esercito. Proteste a Damasco
e manifestanti in marcia verso Daraa
MILANO - In migliaia nelle piazze della Siria e dello Yemen. Proprio mentre a Bruxelles il vertice dei capi di Stato e di governo dell'Ue esprime preoccupazione per la crisi nei due Paesi e nel Bahrein, la rivolta continua ad allargarsi.

YEMEN - I dimostranti anti-regime - decine di migliaia scrive la Bbc online - si sono riuniti per una grande protesta nella mattinata di venerdì nella capitale Sanaa. L'esercito governativo è intervenuto sparando colpi in aria per tenerli a distanza dai sostenitori del presidente Ali Abdullah Saleh, anche loro scesi in piazza. Sempre secondo la Bbc, le ambasciate stanno evacuando il loro personale e i voli per lasciare la capitale sono pieni. Saleh, al potere da 32, anni, si è detto pronto ad abbandonare il potere entro un anno, ma i dimostranti chiedono le dimissioni immediate. L'opposizione pretende anche una nuova Costituzione, le dimissioni del governo e lo scioglimento dei servizi di sicurezza interna. Le proteste durano da circa un mese e hanno conosciuto un'escalation di violenza. Venerdì scorso circa 50 persone sono state uccise da colpi d'arma da fuoco a Sanaa.

SIRIA - La protesta si allarga anche in Siria. Migliaia di persone si sono riunite venerdì mattina nel centro di Daraa, nel sud del Paese, teatro delle più massicce proteste anti-governative. Al termine della preghiera del venerdì sono stati intonati slogan per «la libertà» e per «vendicare il sangue dei martiri». Lo riferiscono testimoni oculari citati da attivisti siriani che trasmettono su Twitter. Fonti mediche locali riferiscono che in una settimana sono morte a Daraa oltre 40 persone. Secondo Al Jazeera, verso la città assediata dall'esercito e dalle forze di sicurezza, si stanno dirigendo a offrire il loro sostegno centinaia di siriani. Le proteste intanto si sono accese anche in altre città. A partire da Damasco, dove almeno 200 persone hanno tentato di sfilare in centro a sostegno dei manifestanti di Deraa. Le forze di sicurezza, tuttavia, sono subito intervenute per interrompere il corteo che intonava «Sacrifichiamo il nostro sangue, la nostra anima per te, Daraa». Decine di manifestanti sono stati arrestati. Proteste anche a Homs, nell'ovest del Paese, dove i manifestanti in piazza cantano «Il popolo vuole la caduta del governatore!».

Siria, la polizia spara sui manifestanti: 20 morti
BEIRUT – Le forze di sicurezza siriane hanno aperto il fuoco contro manifestanti a Samnin, località nei pressi di Daraa, nel sud della Siria ed epicentro delle rivolte anti-regime. Lo riferiscono testimoni oculari citati dalla tv panaraba al Arabiya, che parlano di 20 morti.
Nel paese oggi, 25 marzo, anche una manifestazione pro-regime. Migliaia di siriani hanno sfilato a Damasco in sostegno del presidente Bashar al Assad, al potere da undici anni dopo averlo ereditato dal padre Hafez, e in favore del Baath, di fatto il partito unico da quasi mezzo secolo. Lo riferisce la tv di Stato siriana, che ha trasmesso le immagini del corteo lealista, che dalla centrale Grande Moschea degli Omayyadi, ha sfilato nelle vie della città vecchia e del mercato coperto Hamidiye, mostrando poster del rais, sventolando bandiere siriane e brandendo cartelloni con su stampato il logo del ”partito arabo socialista Baath”.
”Con lo spirito, col cuore, ci sacrifichiamo per te oh Bashar”, è stato lo slogan più scandito, secondo quanto mostrato dall’emittente di regime.

Yemen, spari ad una manifestazione. Saleh : “Lascio il potere solo in mani sicure”. ROMA – L’esercito yemenita ha sparato oggi, 25 marzo, colpi in aria a Sanaa per tenere a distanza manifestanti, sia sostenitori del presidente Saleh che dimostranti anti regime, entrambe le fazioni scese in piazza numerose.
Il presidente, rivolgendosi ad una folla di decine di migliaia di suoi sostenitori nella capitale Sanaa, ha detto:  ”Le proteste anti governative non aiutano il Paese”.

Il presidente ha detto ad una folla di migliaia di sostenitori nella capitale Sanaa che è pronto a cedere il potere per evitare spargimento di sangue, ma solo ”in mani sicure”. ”Non vogliamo il potere, ma abbiamo bisogno di passare il potere in mani sicure e non malate, rancorose o corrotte”, ha detto Saleh durante il suo discorso trasmesso dalla tv di Stato.
”Siamo contro l’esplosione anche di un singolo colpo e quanto forniremo delle concessioni lo faremo per assicurare che non ci sia spargimento di sangue”, ha aggiunto.
Le trattative avviate nelle ultime 48 ore fra il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh e un alto ufficiale, il genelarle Mohsen Ali al Ahmar, che è passato dalla parte dell’opposizione sono fallite. Lo hanno riferito alla France Presse fonti politiche vicine alle due parti.

La Costa d’Avorio sull’orlo della guerra civile
di Davide Matteucci
Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla Libia e sulle rivolte nordafricane, a sud del Sahara la tensione aumenta pericolosamente. Francia e Nigeria sono troppo prese da altro per occuparsi della crisi ivoriana.
Le elezioni che si sono svolte in Costa d’Avorio alla fine dello scorso novembre avrebbero dovuto permette al paese di superare una crisi vecchia ormai di quasi un decennio. Si pensava che il voto potesse rappresentare l’atto finale del processo di pace nato dall’accordo di Ouagadougou, che nel 2007 aveva posto fine alla guerra civile scoppiata cinque anni prima.
Dopo il doppio turno elettorale, la Commissione elettorale indipendente aveva proclamato vincitore l’ex primo ministro Alassane Ouattara con il 54% dei voti. Tuttavia il presidente uscente Laurent Gbagbo non ha accettato la sconfitta e, grazie alla complicità del Consiglio costituzionale, ha dichiarato nulli - causa presunti brogli - migliaia di voti espressi nelle regioni settentrionali del paese, dove Quattara aveva raccolto la maggioranza delle preferenze.
Gbagbo ha ribaltato l’esito delle elezioni nonostante le operazioni di voto fossero state giudicate regolari da tutti gli osservatori internazionali. La vittoria di Ouattara è stata inoltre certificata dalla missione di pace delle Nazioni Unite (Onuci), un compito assegnatole dal già citato accordo di pace che lo stesso Gbagbo aveva sottoscritto nel 2007.
Gran parte della comunità internazionale ha riconosciuto Ouattara quale nuovo presidente del paese, mentre nei confronti del regime di Gbagbo sono state adottate pesanti sanzioni economiche.
Dal mese di gennaio le sanzioni sono state estese al divieto di esportare cacao, di cui la Costa d’Avorio è il primo produttore mondiale, mentre l’appartenenza dell’economia ivoriana all’area del franco Cfa ha permesso di paralizzare il sistema bancario e monetario del paese.
Alla pressione economica si è affiancata un’intensa attività diplomatica. Tuttavia l’esplosione delle rivoluzioni a nord del Sahara e soprattutto l’evoluzione degli eventi libici hanno avuto l’effetto di ridurre l’attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica mondiale sulla crisi di un paese assai meno strategico come la Costa d’Avorio.
A sostegno di questa tesi, la straordinaria prontezza con la quale la Francia ha inviato i propri caccia sui cieli libici. Una prontezza che gli stessi transalpini, la cui influenza nel paese africano è ancora molto forte, non hanno dimostrato quando le Nazioni Unite hanno richiesto l’invio di rinforzi per la loro missione di pace per tentare di fronteggiare la crisi.
Sebbene il consigliere speciale di Sarkozy, Heinri Guaino, abbia dichiarato che la Francia sta tentando in ogni modo di convincere Gbagbo a cedere il potere, la gestione della situazione sembra ormai essere a carico delle sole organizzazioni regionali africane. All’interno dell’Unione Africana però è mancata, almeno finora, la necessaria unità di intenti.
Paesi come Angola, Zimbabwe e Uganda si sono schierati in modo più o meno esplicito a sostegno di Gbagbo, tanto da essere sospettati di finanziare il regime, vanificando in questo modo l’efficacia delle sanzioni economiche. Secondo l’Economist il presidente angolano Dos Santos avrebbe addirittura inviato soldati a protezione del palazzo presidenziale di Abidjan, mentre Mugabe è accusato di aver fornito armi a Gbagbo, in violazione dell’embargo in vigore dal 2004.
Del comportamento di noti antidemocratici come Mugabe e Dos Santos non c’è da stupirsi. Degna di nota è invece la cautela con cui il Sudafrica, paese guida nell’Africa subsahariana, si è allineato alla posizione internazionale. La proposta di Pretoria sarebbe stata quella di realizzare un compromesso in base al quale dare vita a un periodo di condivisione del potere tra Gbagbo e Ouattara.
A opporsi fermamente a questa ipotesi sono i paesi appartenenti alla Comunità economica dell’Africa occidentale (Ecowas). Direttamente interessati dagli effetti che la crisi ivoriana potrebbe avere sulla stabilità regionale, questi hanno più volte minacciato di ricorrere all’uso della forza qualora la situazione non dovesse sbloccarsi a favore dell’ex premier.
Un intervento militare a guida Ecowas appare però una soluzione poco probabile, almeno nel breve periodo. Le elezioni previste in Nigeria ad aprile catalizzano infatti l’attenzione nel paese leader in Africa Occidentale, impedendo al presidente Goodluck Jonathan di esporsi su un terreno così delicato. E senza la partecipazione delle truppe nigeriane un intervento armato  non ha numericamente la possibilità di concretizzarsi. D’altro canto, un accordo che consentisse al presidente uscente di rimanere anche solo parzialmente al potere rappresenterebbe un pericoloso precedente, tanto più in un 2011 che prevede lo svolgersi di importanti turni elettorali in diversi paesi subsahariani.
Le divergenze in seno all’Unione Africana sembrano essere state superate grazie alla mediazione realizzata dal gruppo di cinque capi di Stato che l’Ua aveva istituito con l’obiettivo di rafforzare la sua azione diplomatica.
Il 10 marzo scorso, infatti, il Consiglio per la sicurezza e la pace dell’organizzazione panafricana, riunitosi ad Addis Abeba, ha reso nota la proposta formulata dal gruppo: in essa si conferma la validità della vittoria elettorale di Ouattara, al quale viene richiesta la formazione di un governo di unità nazionale comprendente esponenti del partito rivale. A Gbagbo verrebbe garantita un’uscita di scena dignitosa, senza però alcuna possibilità di far parte del nuovo esecutivo.
Tuttavia, l’intenzione di avviare una trattativa diretta tra le parti è fallita. Mentre l’ex primo ministro si è recato nella capitale etiope, Gbagbo ha delegato un suo rappresentante a ribadire di non essere disposto a cedere la presidenza, bloccando così ogni possibilità di accordo.
Nel frattempo, sul terreno la situazione appare sempre più fuori dal controllo dei caschi blu dell’Onu, impegnati principalmente nella protezione del Hotel de Gulf di Abidjan, dove Ouattara ha stabilito il suo quartier generale: la sua permanenza nella capitale economica è considerata strategica: qualora dovesse essere costretto a stabilirsi nelle regioni settentrionali a lui fedeli si riproporrebbe la divisione geografica che ha caratterizzato la guerra civile.
Alla fine di febbraio, in aree periferiche vicine al confine con la Liberia, si sono registrati i primi scontri diretti tra i ribelli che sostengono l’ex premier e l’esercito fedele a Gbagbo. A preoccupare, però, è soprattutto l’intensificarsi della violenza che sta colpendo le aree urbane di Abidjan.
Nella capitale economica del paese la proliferazione di gruppi armati non regolari e la repressione attuata dal regime nei confronti delle manifestazioni di protesta hanno già causato centinaia di vittime.
L’uso dell’artiglieria pesante contro la popolazione durante gli ultimi episodi repressivi ha inoltre segnato un’ulteriore escalation della violenza. In seguito a tali episodi, l’alto commissariato dell’Onu per i Diritti umani ha accusato Gbagbo di possibili crimini contro l’umanità, mentre Francia e Inghilterra hanno chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta da parte delle Nazioni Unite.
A rendere ancora più grave l’emergenza umanitaria vi sono le ingenti masse di sfollati e rifugiati, che mettono a rischio la già fragile stabilità regionale: i 90mila rifugiati che hanno raggiunto la vicina Liberia rappresentano una preoccupazione per la sicurezza di un paese che si trova ancora in piena ricostruzione postbellica.
In questo contesto, i due schieramenti sembrano prepararsi al peggio. Ouattara ha annunciato la formazione di un nuovo esercito nazionale, mentre Gbagbo ha chiamato alle armi migliaia di giovani. D’altro canto il vincitore delle elezioni ha accettato l’ipotesi di un governo di unità nazionale avanzata dall’Ua e ha lanciato un ultimatum a Gbagbo, il cui regime, peraltro, sarebbe ormai finanziariamente stremato dalle sanzioni economiche. Uno scenario che non lascia ben sperare.
Con la Francia (principale stakeholder occidentale) impegnata in Libia e la Nigeria (leader regionale) in attesa di quelle che sono considerate le elezioni più incerte della sua storia democratica, l’eventualità che Gbagbo riesca a tenere duro trascinando il paese in una nuova guerra civile sembra inevitabile.

Tutti quei migranti dalla Libia, dove sono finiti? di Hein de Haas – 17 marzo 2011
Pubblicato in: Olanda. I malintesi riguardo l’imminente onda migratoria di profughi dalla Libia verso l’Europa sono moltissimi. Tanto per iniziare: una simile onda non esiste affatto. I politici e i media stanno seminando molto panico inutilmente, afferma Hein de Haas.
Dove sarebbero le centinaia di migliaia di africani scappati dalla Libia per cercare rifugio in Europa? Non sono arrivati.
L’idea che i migranti vorrebbero o potrebbero imbarcarsi in massa in Libia su piccoli pescherecci diretti verso l’Europa è basata su un errore di valutazione sin dall’inizio. Quest’idea parte dall’errato presupposto che gli oltre due milioni di migranti in Libia fossero in viaggio verso l’Europa. La Libia, ricca di petrolio, è invece principalmente un punto d’arrivo.
Dopo lo scoppio delle violenze in Libia è diventato chiaro che quasi tutti i migranti vogliono tornare a casa. Almeno 300.000 egiziani, europei, turchi, cinesi e bengalesi si sono diretti verso i loro Paesi di provenienza nel corso delle ultime settimane.
Purtroppo, il timore infondato di un’invasione di migranti ha distolto l’attenzione dal destino di centinaia di migliaia di migranti africani, bloccati in Libia in condizioni rischiose per le loro vite. Sono vittime di violenza razzista e la maggior parte di essi non possono lasciare il Paese. Sono impotenti come topi in trappola. È questo il vero dramma dei profughi, per lo più invisibile.
Nelle scorse settimane, i politici europei hanno speculato ampiamente sulla migrazione di massa a cui andremo incontro. Il Ministro degli Interni italiano Maroni ha persino messo in guardia contro un esodo di proporzioni bibliche. Geert Wilders ha sottolineato che l’Olanda deve chiudere le porte alle masse di profughi provenienti dalla Libia.
A questo proposito i politici vengono aiutati dai media, che tendono a interpretare ogni drammatica immagine di barchetta da pesca stipata di migranti come avvisaglia di un esodo africano. L’insieme di tutto questo crea la sensazione di una minaccia, del ‘pericolo nero’, uno tsunami delle migrazioni. Questa sensazione di ondata travolgente non è però basata su alcuna conoscenza di fatto.
L’esodo dalla Libia viene confuso con la normale migrazione via mare dal Nord Africa al Sud Europa, che ha luogo già da più di vent’anni. Nelle ultime settimane circa settemila migranti, soprattutto tunisini, sono sbarcati sull’isola italiana di Lampedusa. Probabilmente ne seguiranno
degli altri, favoriti dal rilassamento dei controlli da parte delle autorità tunisine.
Ciò è parte del normale flusso primaverile di migranti, che ha luogo ogni anno quando il tempo è favorevole e il Mediterraneo è calmo. Questi sbarchi illegali si susseguono dai primi anni Novanta, quando la maggior parte dei Paesi europei ha introdotto l’obbligo di un visto per i nordafricani.
Secondo le stime, si tratta di alcune decine di migliaia di migranti all’anno, ossia il 2 per cento del totale della migrazione verso l’Unione Europea. Non sono profughi, come i media si ostinano a definirli; quasi tutti sono giovani nordafricani che vengono in Europa per lavorare nell’agricoltura, nell’edilizia, nella ristorazione e nella sanità informale, settori che ancora richiedono questo tipo di manodopera a buon mercato nonostante la crisi.
Questi sbarchi di migranti di proporzioni limitate non hanno nulla a che vedere con un esodo biblico di profughi disperati e non devono essere confusi con il flusso di migranti ben superiore che lasciano la Libia verso casa.
La fomentazione della paura di un’invasione di migranti è in parte dovuta a una spaventosa mancanza di conoscenza dei fatti, ma sembra anche far parte di una consapevole strategia elettorale. La creazione di un immaginario dell’invasione rientra perfettamente negli schemi di una nuova generazione di politici europei che, dopo la fine della Guerra Fredda, è riuscita a definire “l’immigrazione (di massa)”, il problema centrale dei nostri tempi. Paura delle migrazioni e paura dell’Islam vanno spesso perfettamente a braccetto, inoltre sono un efficace rimedio per distogliere l’attenzione dai problemi interni. In Italia, per esempio, la proclamazione dello stato d’emergenza per le migrazioni è stata sia una conveniente manovra per distrarre l’attenzione dagli scandali a sfondo sessuale del governo Berlusconi che un modo per ottenere ulteriori aiuti finanziari dalla UE.
I politici vengono aiutati dal sensazionalismo dei media. È grave che questo distolga l’attenzione dal destino delle centinaia di migliaia di migranti subsahariani che sono imprigionati in Libia. Sono i più poveri tra i migranti in Libia e non hanno i soldi per tornare a casa. Sono imprigionati tra i due contendenti nel conflitto e sono vittima di attacchi omicidi da parte dei libici, che a torto li ritengono ‘mercenari neri’.
Più si prolungherà la violenza sistematica contro i cittadini libici e contro i migranti, maggiori saranno i rischi di una vera crisi umanitaria di profughi, a molti dei quali l’Europa sarà forse costretta a concedere asilo. Sono in gioco migliaia di vite umane.

Ovviamente, il regime di Gheddafi deve essere ritenuto il principale responsabile di questa violenza, ma, dal punto di vista umanitario, i governi europei hanno il dovere morale di fare il possibile per fermare il terrore del regime del raìs. Devono offrire protezione ai profughi e smetterla di seminare panico infondato con la minaccia di un’invasione di migranti, per puri motivi elettorali.
L’esodo dalla Libia viene confuso con i normali sbarchi di migranti. La Libia, ricca di petrolio, è innanzitutto un punto d’arrivo.
Hein de Haas è Senior Research Fellow presso l’International Migration Institute dell’Università di Oxford.
[Articolo originale "Die vele migranten uit Libië, waar zijn ze dan?" di Hein de Haas]

Immigrazione, Mantovano: “In Italia 13 nuovi Cie provvisori”. BARI – ”Sull’intero territorio nazionale sono previsti 13 nuovi Centri di identificazione ed espulsione (Cie), con caratteristiche di provvisorietà. Saranno realizzati in siti militari dismessi e messi a disposizione dal ministero della Difesa. E probabilmente quello di Manduria (Taranto) sarà il primo, perchè è quello che si trova nelle condizioni più adatte per un ripristino rapido”. Lo ha annunciato stamattina a Bari il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, parlando con i giornalisti.
”I Centri di identificazione e di espulsione – ha spiegato – cioè quei centri che riguardano i migranti irregolari, sono oltre ogni limite di presenze e ne servono degli altri che hanno le caratteristiche della provvisorietà perchè ci auguriamo che i controlli riprendano dalla Tunisia”.
”Questi centri – ha aggiunto – sono frutto in questo momento di una verifica” e ”abbiamo chiesto la disponibilità al ministero della Difesa” perchè ”la competenza per i Cie, e ripeto stiamo parlando solo di clandestini, è del governo”. ”Il ministero della Difesa – ha precisato – ci ha indicato 13 siti, tra questi c’è anche quello collocato a cinque chilometri da Manduria”.
”E’ un sito – ha sottolineato – che sarà allestito in condizioni di assoluta sicurezza, con una recinzione, con un contingente di poliziotti e di carabinieri adeguato e aggiuntivo”. ”Quindi – ha aggiunto – il territorio non sarà sguarnito nelle sue esigenze di sicurezza per questo centro. E diventerà operativo non appena saranno effettuati i sopralluoghi e i lavori necessari. Tutto questo speriamo di contenerlo nel minor tempo possibile, nel tempo che sarà impiegato per restituire i clandestini alla Tunisia e per ripristinare il meccanismo di controllo”.
25 marzo 2011 | 11:48

Il leghista Tosi: «Pronti a ospitare trenta profughi a Verona»
Il sindaco disponibile ad accogliere l’appello di Maroni Zaia: «Disperati? Hanno scarpe firmate e telefonino»
VERONA — Sarà la corrispondenza di amorosi vessilli. Entrambi verdi, dello stesso verde. Quello degli insorti libici e quello della Padania. Ma in Veneto la distinzione tra migranti è netta. «Non ci interesseremo dei profughi provenienti dalla Tunisia che sono illegali, ma il nostro impegno riguarderà solo eventuali profughi provenienti dalla Libia», ha detto tre giorni fa il governatore Zaia. E giovedì quell’impegno si è concretizzato. Giustappunto da parte di un borgomastro leghista. Già, perchè è Verona la prima città del Veneto a dare disponibilità a ospitare quei profughi. Trenta posti, rosicati in una casa d’accoglienza per senzatetto gestita dalla Caritas. Periferia cittadina, frequentata da chi vive per strada nei mesi invernali, con il tepore primaverile ha i letti che si liberano. Con il distinguo del sindaco Flavio Tosi che è pari pari a quello di Zaia. «E’ stata chiesta la disponibilità a varie strutture . - spiega il primo cittadino scaligero - nel territorio cittadino d’accordo con chi la gestisce è stata individuata questa. I profughi vanno aiutati, come ha detto Luca. Ma i profughi, non i clandestini».
Vale a dire quelli che il governatore identifica in chi arriva sul suolo italiano «armato » di palmare e vestiti griffati. «Di sicuro - ha detto in un’intervista a Stefano Filippi su Il Giornale - quelli che arrivano con le scarpe da ginnastica firmate, il giubbottino all’occidentale e il telefonino in mano non è gente che chiede asilo politico. Lampedusa non è invasa da rifugiati politici o disperati, ma da tunisini che fuggono da un territorio nel quale è ripresa la vita normale». Il fatto è che degli altri - dei veri «profughi» - al momento non c’è traccia. Nessun arrivo «certificato». Nè a Lampedusa nè altrove. «Non è detto - ha spiegato il prefetto di Verona Perla Stancari che ha vagliato tutte le strutture disponibili tra città e provincia - che vengano qui». Tant’è. In terra scaligera trenta posti per i profughi che dovranno essere «autenticati » dal ministero degli Interni sono disponibili. E sono stati trovati seguendo i «criteri » stabiliti anche da Zaia. Niente strutture alberghiere, con la stagione turistica alle porte. Niente realtà che gravino in zone vicino a quelle alluvionate. Verona ha eseguito. E’ negli altri capoluoghi veneti che si cincischia. «Allo stato attuale non c'è nulla di certo né di deciso - ha spiegato il questore di Padova Luigi Savina - Tutto è ancora da decidere. Dobbiamo capire se sarà il Veneto e Padova ad aiutare i profughi. E soprattutto non sappiamo quando e in che misura e in che strutture. Penso che ogni considerazione al momento sia prematura». In realtà le prefetture dovrebbero aver già comunicato al prefetto di Venezia le varie disponibilità.

Tra le strutture non dovrebbero esserci comunque delle caserme. Quelle dismesse non sono in condizioni di ospitare nessuno. Parola dello stesso Zaia: «Quelle buone sono state vendute, quelle rimaste sono ferrivecchi, ci vogliono mesi per sistemarle ». ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha fornito un elenco di tredici siti «ubicati in ogni parte del territorio nazionale - nord, centro e sud - per un totale di circa 4.600 ettari per ogni opportuno utilizzo demandato ad altri ministeri e, in particolare, al Ministero dell'Interno». Linguaggio assolutamente diplomatico che nulla aggiunge, ma nemmeno nulla toglie, alle ipotesi che aleggiano sull’ex caserma Romagnoli di Padova e sulla Zannettelli di Feltre. In ogni caso a mancare, oltre all’indicazione ufficiale sulla disponibilità da parte delle altre città venete esclusa Verona, al momento sono quelli che dovrebbero essere accolti. I profughi «doc». E fino ad allora si potrà campare di ipotesi.
Angiola Petronio

Venezia. «Come si fa a non accogliere chi si trova nel bisogno?». VENEZIA. «Come si fa a non accogliere chi è nel bisogno? Il problema è assumersi tutti una corresponabilità e mi pare che le regioni si stiano predisponendo»: lo ha detto il patriarca di Venezia, card. Angelo Scola, rispondendo a una domanda sul possibile arrivo di profughi dalla Libia. Una corresponsabilità, ha sottolineato Scola, che di fatto «consente a chi ha la responsabilità di governo di procedere a questo nell'ordine. Un conto è il giusto impeto e la prima condivisione; un conto è la politica organica che deve essere per forza ordinata anche in un caso di emergenza come questo».
«Dobbiamo auspicare che l'elemento di violenza finisca il prima possibile e che la pace ritorni per quelle popolazioni e non ci siano tragedie ulteriori. Ogni morto è di troppo», ha anche detto Scola, riferendosi alla guerra in Libia. «Io credo nell'importanza della preghiera e l'invito del Papa alla pace resta prioritario. Istintivamente non credo che le armi possano fare molto in questi conflitti, anche se la pace non è un automatismo utopistico ma bisogna costruirla giorno per giorno nella realtà.

Finale Ligure. Libia, Finale Ligure pronta ad accogliere i profughi. 25 marzo 2011
Finale Ligure - Continuano le adesioni in Liguria dopo l’appello del ministro Maroni per l’emergenza profughi del Nord Africa. Dopo Albisola Superiore, anche Finale Ligure si dice pronto a ospitare una trentina di profughi provenienti dalla Libia. Lo ha deciso la giunta del piccolo comune in provincia di Savona.
Gli immigrati saranno sistemati nell’ex ostello della gioventù, che potrebbe arrivare ad ospitare fino a sessanta persone. Per il Comune l’operazione comporterà una spesa di circa 1.500 euro al giorno.
Alla Spezia una donna ha dato la sua disponibilità per accogliere 3 profughi.

Firenze. Tre siti in Toscana per i profughi
Rossi: «La Lega è scandalosa»
Sarebbero tre i siti in Toscana pronti ad ospitare i profughi della Libia, secondo il piano di La Russa: immediatamente disponibile l'ex polverificio Boceda a Massa, disponibili dopo un'adeguata sistemazione la Caserma Gonzaga di Firenze e l'ex deposito munizioni di Villafranca Lunigiana

Sarebbero tre i siti in Toscana pronti ad ospitare i profughi della Libia, secondo il piano di La Russa pubblicato sul quotidiano QN: immediatamente disponibile l'ex polverificio Boceda a Massa, disponibili dopo un'adeguata sistemazione la Caserma Gonzaga di Firenze e l'ex deposito munizioni di Villafranca Lunigiana. Sulla questione profughi interviene il presidente della Regione Enrico Rossi: «Questo giochino sui profughi comincia ad essere scandaloso», perchè «si utilizza in modo disumano e vergognoso la povera gente» per fare «becera campagna elettorale». Rossi attacca le posizioni assunte dalla Lega Nord sulla possibile emergenza profughi dalla Libia, e annuncia un incontro martedì prossimo per mettere a punto la macchina dell’accoglienza in regione.

«Ci sono questi esponenti nazionali della Lega - ha affermato, a margine di un convegno sulla giustizia alternativa a Firenze - che si alzano contro i profughi, come se adesso fossimo noi a favore dei profughi: noi siamo per garantire l’accoglienza all’umanità e il rispetto della Costituzione. Ma i signori della Lega che urlano contro i profughi devono dire a Maroni, che è il ministro degli Interni, di prendere l’aereo, convocare i presidenti del Consiglio europei e i ministri degli Interni, e di costringere anche l’Europa ad aprire le porte ai profughi che vengono dalla Libia e dalla Tunisia».

Rossi ha criticato anche il comportamento della Lega Nord di Prato, che ha affermato di non volere profughi nella provincia: «Siamo nella stessa logica, una logica in cui si utilizza in modo disumano e vergognoso la povera gente, dei giovani disgraziati, per fare becera campagna elettorale, stimolando paure sulla pelle della povera gente. Questo a me non va bene». Riguardo ai libici in fuga, il governatore Toscano ha detto che «ieri sera li ho visti in televisione, e mi hanno fatto venire i brividi, le lacrime agli occhi», e ha ribadito che «ci stiamo attrezzando per fare la nostra parte, ma non possiamo consentire un gioco politico sporco di questo tipo».

Veneto. «Col voto alla Lega il Veneto non sa più pensare in grande»
L'INTERVISTA. L'ex ministro Gianni De Michelis di Costituente socialista
«La vera partita sarà realizzare nel cuore regionale un grande sistema metropolitano di scala europea». Un Veneto dalle mille contraddizioni. Con una classe politica miope, il cui sguardo non si alza dal territorio, e potenzialità straordinarie oltre frontiera. Incapace di progettare un sistema metropolitano che abbracci il Nord Est e l'Est europeo confinante. Insomma, che non ha ancora abbozzato un vero "progetto di lungo respiro". O per dirla alla Gianni De Michelis, ex ministro degli Esteri oggi promotore della Costituente socialista, «che non sa pensare in grande».
Onorevole siamo alle solite?
La costante del Veneto politico è bifronte. Da un lato, ha sempre avuto un rapporto concreto legato ai problemi del territorio, con una visione anche limitata ma molto approfondita localisticamente. E dall'altra, c'è sempre stata una parte della classe politica che pensava e guardava in grande, io appartenevo, in passato, a quella parte e cercavo di guardare in grande. A cominciare dalle varie idee che ho avuto, molte sfortunate, anche se tutte quante giuste dall'Expo di Venezia al Corridoio V, all'idea di un ruolo per il Veneto di carattere europeo. Questo significava pensare in grande.
E nel Veneto di oggi il pensiero si è rimpicciolito?
Diciamo che il prevalere progressivo della Lega Nord si è legato, nella società veneta, a una visione più ristretta e di breve periodo.
Per dirla tutta il presidente Zaia aveva cercato di portare a casa le Olimpiadi 2020.
Certo. Devo dire, però, che l'avventura olimpica è stata preparata in fretta e male, senza sufficiente appoggio ed è stata anche rapidamente dimenticata. Speriamo che vada meglio per Venezia capitale europea della cultura.
Secondo lei Venezia avrà più chances?
Dovremmo avere delle carte oggettive difficilmente confutabili, in grado di farci aggiudicare questo ruolo nel 2019. Ma non basta, serve un progetto, una visione.
Ritorniamo al 'pensare in grande'?
La vera partita si giocherà nel corso dei prossimi anni attraverso la capacità di progettare e realizzare ,nel cuore del Veneto, un grande sistema metropolitano di scala europea, di dimensioni demografiche che coinvolgano milioni di persone. Un sistema capace di mettersi in concorrenza con i grandi poli metropolitani come Londra,Parigi, Monaco di Baviera, ma anche con il polo che si sta organizzando attorno a Milano e Torino. Così il Veneto potrebbe ritrovare le condizioni per diventare il baricentro di una regione europea molto più vasta di circa 50 milioni di persone, estesa a Slovenia, Croazia, Ungheria, Slovacchia e Austria.
In poche parole, serve un progetto politico di sviluppo?
È evidente. Se non ci sarà un progetto di lungo respiro per questa regione il destino inevitabile è quello di diventare periferia, nonostante le potenzialità che potrebbe esprimere. Se non diamo corpo a questo progetto, al posto del sistema metropolitano del Nord Est d'Italia, si costruiranno nei prossimi quinquenni altri sistemi metropolitani, dislocati in zone che hanno potenzialmente meno vantaggi rispetto al Veneto. E la nostra assenza decreterà la nostra marginalizzazione.
Ad aprile sarà un anno di governo leghista del Veneto. Qual è il suo giudizio?
Non credo che si possa registrare un peggioramento tra la gestione Galan e la gestione Zaia. Entrambi hanno quello che non definirei un difetto, ma piuttosto un limite. Ambedue hanno fatto prevalere logiche di breve periodo e una visione angusta e territoriale. È la cifra che ha prevalso sia col centrodestra che col centrosinistra in tutt'Italia in questi vent'anni di Seconda Repubblica. Visione che si è riscontrata anche nella vicenda libica.
Libia e profughi. Zaia inizialmente aveva dichiarato che non sarebbero arrivati in Veneto, invece ha dovuto piegarsi alla ragion di Stato.
Ovviamente. Come si poteva pensare di chiudere gli occhi e far finta di essere isolati dal mondo? Quanto sta accadendo in Libia rappresenta un evento eccezionale, come lo tsumani in Giappone. Quando arriva lo tsunami si può solo chinare la testa e tentare di ripartire e recuperare, non si può pensare di astrarsi dalla realtà. Sarebbe una sciocchezza. Non c'è altra scelta che sostenere il popolo libico contro Gheddafi. E prima finisce, meglio è.
Galan ministro dei Beni culturali, cosa ne pensa?
Mi fa piacere. Mi auguro che possa fare altrettanto bene così come ha fatto da ministro dell'Agricoltura. La cultura è un tema cruciale per il Veneto, che diventa ancora più importante con la candidatura di Venezia a capitale europea della cultura per il 2019. Gli faccio davvero tanti auguri. E tanti auguri anche a Franco Miracco.
Antonella Benanzato

Padoan ribatte: "Sono incompetenti"
Duro attacco del dg a Padrin. «Parla senza conoscere. Gli consiglio l’etilometro». VENEZIA. Toni Padoan comincia ad avere la mosca al naso: non può fare il direttore generale dell'Usl 12 cercando di cavare soldi letteralmente dalle pietre e poi vedersi boicottato da gente incompetente. Padoan non adopera la parola "boicottaggio" ma il senso del ragionamento è questo. E sull'"incompetenza" della commissione sanità è drastico: «Non è compito loro discutere sulla valutazione dell'immobile».
Perché no? C'è una legge regionale che lo prevede.
«La legge regionale prevede che ci sia una perizia sull'immobile fatta da un professionista, questi offendono non me che non c'entro, ma il perito. I valori di mercato a Venezia sono particolari: abbiamo venduto l'Isola delle Grazie con base d'asta 7 milioni e siamo andati a 10. Avevamo stimato Villa Tevere 3 milioni, invece è scesa a 2 e alla fine l'asta è andata deserta. Questo è il solito modo di ragionare dei padovani».
Ci sono anche dei veneziani, tra i commissari...
«Come fanno a dire che l'appartamento non vale quel prezzo se non sanno dov'è, com'è, se è affittato o no, se deve essere ristrutturato, quanto costa farlo. Non sanno nulla. Io mi stupisco, continuo a stupirmi per la sommarietà di questi giudizi. A Venezia tu puoi mettere un prezzo basso e trovarti il mercato che te ne fa uno più alto, o viceversa. Se hanno dubbi facciano un esposto alla procura ma non si permettano di dare giudizi sul tecnico che ha fatto la perizia, senza sapere nulla di Venezia».

Furlanetto è veneziano e sostiene che i prezzi vanno da 7.000 a 10.000 euro a metro quadrato.
«Che cambi mestiere».

Perché, che mestiere fa?
«Qualunque mestiere faccia. A Venezia non riesci a vendere niente a 7.000 euro il metro quadrato: il mercato non ti dà questa valutazione, perché soldi non ce ne sono. Questa valutazione esiste se te la dài tu, ma i soldi te li dànno gli altri».

Padrin ha un'obiezione diversa: dice che l'Usl 12 non dà sufficente pubblicità alla vendita.
«Come posso dare pubblicità alla vendita se non sono ancora autorizzato a farla? Farò pubblicità dopo che mi avranno dato l'autorizzazione a vendere. Altrimenti Padrin modifichi la legge. Io mi domando da dove viene: gli consiglio l'etilometro. Se uno mi dichiara guerra da solo, perché questo sta facendo, gli rispondo per le rime».

Padrin è sempre il presidente della commissione.
«Allora si metta d'accordo con se stesso: continua a dire che l'Usl Veneziana deve avere lo stesso trattamento delle altre. Ma se vendo un immobile a Venezia devo fare la pubblicità sull'intero universo, sul Bur mondiale che non esiste, perché Venezia non è uguale alle altre città. Si decida: Venezia ha una specificità o no? In questi dieci anni io ho messo a norma tutte le sedi dell'Azienda, la stessa cosa ho fatto per gli ospedali. La Regione non mi ha dato una lira e io a Venezia non ho le fondazioni bancarie che mi regalano milioni, come hanno Padova, Verona o Treviso. Ho cercato di non gravare sui cittadini alienando quella parte del patrimonio che ritengo superflua. Non va bene così, bisogna gravare sulla collettività? Non è un problema mio: i cittadini sappiano chi ringraziare».

Venezia. Avanza il federalismo regionale «Ecco quanto guadagna il Veneto»
Le regioni incassano i 425 milioni per il trasporto pubblico. Addizionali in crescita, ma dal 2013. La Cgia: sommando anche quello municipale, 79 euro pro capite in più
VENEZIA — La notizia buona - l’approvazione di un testo concordato sul federalismo regionale prossimo venturo, avvenuta ieri pomeriggio nell’apposita commissione bicamerale - potrebbe rivelarne un’altra ancora più bella per il Veneto e l’agognata possibilità di migliorare il suo residuo fiscale nei confronti dello Stato centrale. Ma partiamo dalle cose certe. Le Regioni nel loro complesso hanno portato a casa diverse partite importanti con il governo: la certezza di poter contare su 425 milioni di euro - prima solo promessi, ora messi nero su bianco - da destinare al traporto pubblico locale; la revisione dei pesantissimi tagli imposti dal governo per quelle regioni che rispettano il Patto di stabilità; la clausola di salvaguardia che, nel 2013, tutelerà le Regioni rispetto ai tagli disposti con la manovra statale del 2010.
Quanto ai soldi per il trasporto pubblico, seguirà ora braccio di ferro tra le Regioni per decidere i criteri di spartizione del tesoretto: il Veneto si batte perché venga riconosciuto un criterio di premialità relativo agli investimenti effettuati, che potrebbe, se accettato, garantire un surplus di 10-20 milioni per le casse di palazzo Balbi. Per quanto riguarda il Veneto, c’è un’ulteriore buona notizia. Secondo una proiezione elaborata a tamburo battente dalla Cgia di Mestre, che ha sommato gli effetti del federalismo municipale e regionale, sarebbero proprio il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna a guadagnarci di più sul piano finanziario. Un calcolo al netto, va detto per la precisione, degli interventi correttivi che verranno effettuati attraverso i Fondi perequativi. Nel dettaglio, il Veneto avrebbe un beneficio di +79 euro pro capite, meno della Lombardia (+98) e più dell’Emilia (+69). Segno meno, invece, a Centro-Sud. «Una cosa è certa: per le casse dello Stato centrale - commenta Giuseppe Bortolussi, consigliere regionale e segretario della Cgia - l’operazione è a somma zero: a fronte di un taglio dei trasferimenti a Comuni, Province e Regioni di 18,289 miliardi di euro, altrettanti 18,289 miliardi saranno devoluti. A livello territoriale, però, alcuni potrebbero guadagnarci e altri invece rimetterci, anche se i Fondi perequativi avranno il compito di smussare queste disparità».

Il governatore Luca Zaia si compiace del risultato raggiunto: «Alla fine l’impegno delle Regioni è stato premiato e nel Governo abbiamo trovato un interlocutore responsabile e attento come il ministro Calderoli. Questo conferma che l’accordo di massima raggiunto a dicembre, soprattutto per il finanziamento al trasporto pubblico locale, era credibile e attuabile ». Veniamo a un punto interrogativo contenuto nel testo approvato ieri in Bicamerale. L’incognita riguarda l’applicazione delle addizionali regionali Irpef. Il nuovo meccanismo di applicazione entrerà in vigore nel 2013, con una gradualità di possibili aumenti dell’addizionale (vedi scheda a lato). Ma cosa succede in questi due anni che ci separano dal traguardo? Dice il provvedimento: fino al 2013, rimangono ferme le aliquote dell’addizionale Irpef delle Regioni che, alla data di entrata in vigore del decreto, sono superiori alla quota fissa e obbligatoria dello 0,9%. Caso mai chi sta sopra può ridurre l’aliquota fino allo 0,9, ma non viceversa. Insomma, suona come una sorta di blocco delle addizionali per due anni. Ma chi, come il Veneto, l’addizionale eccedente allo 0,9% non ce l’ha più - poiché così venne deciso dall’ultima amministrazione Galan, che rinunciò a riscuoterla per il 2010 - come si deve regolare? In altre parole: se di blocco fino al 2013 si trattasse, significa che la Regione Veneto non può più reintrodurre l’addizionale, a meno che non si trovi costretta a farlo per rimediare a un deficit fuori controllo della spesa sanitaria? Roberto Ciambetti, assessore regionale al Bilancio, esclude questa rigidità: «La possibilità di agire con una manovra tributaria per noi rimane intatta», assicura al rientro da Roma. Sempre che ce ne sia la necessità, naturalmente.
A.Z.

Milano. Vendola: “Questo federalismo è una porcheria. Rischio secessione di fatto”. MILANO – Il modello federalista, passato in commissione bicamerale, ”non è federalismo ma una porcheria”. E’ quanto ha affermato il leader di Sel, Nichi Vendola, a margine della ‘Fabbrica dell’economia’ a piazza Affari.
”Politicamente considero un’avventura e, forse, una sciagura un federalismo che nasce male – ha osservato – che nasce parlando di fisco, di denaro. Non un federalismo che nasce dalle fondamenta, cioè da un patto che può tenere unita l’Italia”.
A giudizio di Vendola ”il rischio è che ci troviamo di fronte a una secessione di fatto. Le aree più ricche del Paese già camminano a velocità divaricata: il rischio è che ci troviamo a calcolare, dopo, i danni”. ”Io sono a favore del federalismo – ha sottolineato ancora Vendola – ma questo non è federalismo ma una porcheria che nasce dalla predicazione antimeridionale su uno stereotipo malevolo che vede il nord laborioso e sano che ha sulle proprie spalle un sud parassitario e mafioso”.

Padova. Bruciarono Garibaldi: invitati nelle scuole. Il Pd: «Scelta deprecabile, è diseducativo»
«Raixe venete» a Padova, è polemica. Venerdì si celebra la festa del popolo veneto nelle 7 province della regione. PADOVA — Un mese fa, all’esterno di una discoteca di Schio, hanno bruciato il fantoccio di Garibaldi. Venerdì, invece, gli indipendentisti di «Raixe Venete», invitati dall’assessore all’Identità della Provincia di Padova Leandro Comacchio, incontreranno gli alunni delle scuole elementari e medie di Piove di Sacco, in occasione della Festa del popolo veneto. Sul caso, però, fioccano già le polemiche. «Siamo di fronte ad una scelta deprecabile — attacca Piero Ruzzante, consigliere regionale del Pd —. Non si possono portare ai ragazzini esempi truci come quelli proposti da "Raixe Venete". Ricordiamoci che tali soggetti sono stati criticati anche dal presidente della Regione, Luca Zaia. Sono portatori di una forma esasperata di venetismo».
Ruzzante prosegue. «Al di là dei fatti diseducativi dal punto di vista storico che questi soggetti suggeriscono, mi chiedo perché l’assessore sia andato a scegliere livelli così bassi. Siamo alla frutta: è una cosa demagogica e sbagliata. Ed è scandaloso che questo avvenga a pochi giorni dal festeggiamento popolare dell’Unità d’Italia». A Ruzzante risponde lo stesso Comacchio. «La manifestazione non è in contrapposizione con la festa dei 150 anni— sostiene l’assessore provinciale —. "Raixe Venete" entrerà nella scuola perché in questi giorni sta portando in giro per il Veneto il vessillo di San Marco nell’ambito di una marcia tradizionale. La loro è un’iniziativa pacifica e culturale, che tra l’altro è stata approvata anche dal Patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola». Gli indipendentisti dunque si presenteranno all’istituto comprensivo di Piove di Sacco.

«Porteremo il nostro saluto — spiega Matteo Grigoli di «Raixe Venete » — spiegheremo quello che stiamo facendo e daremo a tutti il volantino della manifestazione. Da sabato stiamo portando con una staffetta il vessillo di San Marco per il Veneto. Per questo l’assessore Comacchio ha voluto che prendessimo parte alle celebrazioni della Festa del popolo veneto. Noi abbiamo detto sì, ma la nostra è un’iniziativa semplice e apolitica, che vorremo rimanesse tale». E sul rischio di trasmettere messaggi contraddittori ai più piccoli, ecco ancora Grigoli. «Noi cerchiamo solo di far riscoprire ai giovani i valori — afferma l’indipendentista —come quello di San Marco. Dunque nessuna contrapposizione». Intanto, però, per la Festa del popolo veneto si scaldano i leghisti. In primis, il governatore Luca Zaia. «Quello veneto è un popolo tra i più antichi e ha contribuito a fondare la civiltà del Mediterraneo— sostiene il presidente —. È perciò sacrosanto che questa festa ci sia. Ed è intelligente anche che quest’anno i festeggiamenti siano stati organizzati su tutto il territorio, in collaborazione con enti locali e associazioni culturali».

Sulla stessa linea l’assessore all’Identità veneta, Daniele Stival. «E’ una giornata di grande significato — sottolinea — che restituisce al nostro popolo l’orgoglio della sua storia, delle sue tradizioni, della sua lingua, di una cultura millenaria con pochi eguali al mondo. Quest’anno inoltre abbiamo voluto dare una svolta alle celebrazioni del 25 marzo, perché c’è stato il coinvolgimento pressoché di tutte le province venete, che offriranno un ricco programma di manifestazioni e incontri volti a favorire la conoscenza della storia del Veneto». E così l'assessore al Bilancio, Roberto Ciambetti. Che esulta. «Buon compleanno Venezia. La tradizione vuole che il 25 marzo sia la data della mitica fondazione della città lagunare, destinata a diventare una tra le città più importanti d’Europa. La forza della storia di questa città è tale da farci sperare ancora nella Rinascita, nella nuova primavera». Densissimo il programma di appuntamenti, che coinvolgeranno amministrazioni comunali e provinciali, scuole, associazioni culturali.
Giovanni Viafora 25 marzo 2011

Venezia. Galan: "Al Cinema basta Venezia", Alemanno: "Giù le mani da Roma". VENEZIA. Un festival del cinema in concorrenza con quello di Venezia è "a dir poco stravagante".
Giancarlo Galan, neoministro della Cultura, in tre interviste a La Stampa, Il Mattino e il Sole 24Ore delinea le priorità del suo mandato al dicastero dei Beni Culturali. E se l'emergenza è Pompei, subito dopo il pensiero va al cinema: due festival sono troppi, ne va salvato solo uno deve essere Venezia «"l più antico del mondo".
Pronta la replica del sindaco di Roma Gianni Alemanno: "Il Festival internazionale del Film di Roma non si tocca e al ministro Galan voglio dire due cose. Primo che quella tra il festival di Roma e quello di Venezia è ormai una polemica superata. E un ministro della Repubblica deve unire i territori e non dividerli riaprendo vecchi e superati contenziosi. Secondo, il Festival di Roma lo pagano innanzitutto sponsor privati e poi, solo in minima parte, le Istituzioni del territorio, mentre il Ministero ci dà soltanto 200mila euro su progetti mirati a fronte di 7 milioni di euro che ogni anno vengono dati in maniera fissa al Festival di Venezia. Quindi se continuare a svolgere il Festival del Cinema lo decide la città di Roma".

Vendola: Lombardia regione più mafiosa. Formigoni: Miserabile
Milano, 25 mar (Il Velino) - È ancora scontro tra Nichi Vendola e Roberto Formigoni. Il presidente della Puglia, in visita a Milano, è tornato sulla stessa polemica innescata durante una precedente trasferta milanese, sostenendo che “la Lombardia è la regione più mafiosa d’Italia, i boss della ‘ndrangheta controllano le Asl e organizzano incontri negli ospedali, hanno un circuito di appalti interno a tutte le amministrazioni pubbliche locali. Però non abbiamo mai avuto la fortuna di vedere Roberto Formigoni o Letizia Moratti sui tg nazionali, associati ai fatti di cronaca giudiziaria che dimostrano la pervasione della ‘ndrangheta”. Stesso copione anche per il presidente della Lombardia, che ha risposto citando l’inchiesta sul’ex assessore pugliese Alberto Tedesco: “Vendola è un miserabile, forse sotto l’effetto di qualche sostanza – ha attaccato Formigoni -. Spieghi perché Tedesco non è in carcere: perché il Pd lo ha messo a senatore. E spieghi perché non è in carcere anche lo stesso Vendola, visto che secondo Tedesco hanno compiuto tutti e due gli stessi reati. Risponda a queste domande che gli pongo da un mese, e poi potrà parlare di una Regione che è esempio per la sanità non solo pugliese, ma anche per quella di tutte le altre Regioni”.
Ancora non abbastanza per spegnere i fuochi: “Non vorrei che le dichiarazioni del presidente Vendola fossero dettate dall’invidia – ha aggiunto Luciano Bresciani, assessore alla Sanità lombardo -. Io credo che ognuno debba guardare nella propria casa”. A chiudere è ancora il leader di Sel: “Formigoni non si è arrabbiato, ha proprio perso le staffe. Si guardi attorno e non eviti il merito della questione: la ‘ndrangheta è nella sanità lombarda, uno dei suoi capi era un direttore di Asl scelto da Formigoni stesso. Mi attacca su Tedesco, ma quando nella mia giunta qualcuno è finito sotto indagine, ho azzerato la giunta. Quando hanno arrestato l’assessore lombardo Piergianni Prosperini, Formigoni ha manifestato solidarietà nei suoi confronti finché non ha patteggiato la pena, ammettendo il reato. Su di me hanno indagato per tre anni, e nelle intercettazioni non hanno trovato nemmeno una parolaccia”.
(jon) 25 mar 2011 17:09
La Germania ride di noi: “Senza media indipendenti si fa la fine dell’Italia”. BERLINO – La Germania deride l’Italia sulla libertà dei media. Una campagna pubblicitaria ideata dall’agenzia Serviceplan e lanciata dalle emittenti pubbliche tedesche ARD e ZDF recita: ”Senza media indipendenti si rischia di fare la fine dell’Italia”.
Lo spot, lanciato in occasione delle elezioni negli stati del Baden-Würtenberg e della Renania Palatinato e promosso su diversi quotidiani nazionali, presenta in primo piano una foto di Silvio Berlusconi che ride con sotto lo slogan: “Una democrazia è forte quando ha media liberi”.
“La Germania ha un panorama televisivo tra i più ricchi e variegati al mondo – si legge sul cartellone pubblicitario – Siamo noi tutti che lo rendiamo possibile grazie al canone che paghiamo”. Inoltre come si legge sul sito www.wuv.de, rivista che si occupa di media e pubblicità, una democrazia funziona “non solo quando ci sono elezioni libere, ma anche quando i media non sono sottomessi al potere politico”.
25 marzo 2011 | 19:16

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