giovedì 26 maggio 2011

Federali Mattino-27 maggio 2011. Torre Annunziata. Il Comune, vista la grave crisi economica, ha deciso di distribuire pane, farina e i formaggi. Succede però che le famiglie escluse (1040 su 1600) dalle graduatorie stilate dall’amministrazione che ogni mese, fino al 2012, garantirà ai beneficiari la consegna di un pacco alimentare, non ci stanno e, a finire nel mirino è l’assessorato alle Politiche sociali che ha promosso il provvedimento. A Pompei si è riunito anche un altro folto gruppo di maestranze ma per un diverso scopo: pregare la Madonna del santuario. Solo all'esterno però: quando la pattuglia di lavoratori ha provato ad entrare le porte della cattedrale sono state chiuse. Per circa una decina di minuti, in piedi, gli operai hanno invocato l’intervento della Madonna per la soluzione della grave crisi che ha portato alla chiusura (per ora) del cantiere.----Padova. E’ stato accertato che in quattro conti correnti, accesi all'ombra del Monte Titano, sono transitati nel breve volgere di un anno, più di 1500 assegni, per un ammontare complessivo di oltre 22 milioni di euro. Impressionanti anche i numeri dell'evasione fiscale perpetrata dalla gang del crimine finanziario: 10 milioni di ricavi non dichiarati, 2,8 milioni di iva dovuta e proventi illeciti che superano i 1,4 milioni di euro.

Il Dollaro fa girare il mondo:
Libia. Il Fondo sovrano libico ha perso milioni di dollari in derivati ed hedge gestiti dalle banche occidentali
Svizzera. Provincia autonoma della Vojvodina, Repubblica di Serbia:  arrestato Ratko Mladic
Svizzera. Una scelta coraggiosa, ma ricca di incognite

Neorealismo? No, realta’:
Padova. Cittadella, maxi-evasione da 22 milioni: i soldi a San Marino
Campania. Crisi, a Torre Annunziata il Comune dà pane e formaggi: sit in degli esclusi
Torre Annunziata. Fincantieri. Gli operai bloccano Pompei e pregano


Libia. Il Fondo sovrano libico ha perso milioni di dollari in derivati ed hedge gestiti dalle banche occidentali
Il Fondo sovrano libico Libyan investment authority (Lia) avrebbe perso milioni di dollari in prodotti derivati e hedge fund investiti in banche occidentali, come Société Générale, Hsbc e Goldman Sachs, secondo quanto risulta da un documento del fondo sovrano libico reso noto da Global Witness a Londra. SocGen avrebbe avuto in mano un portfolio di 5 milioni di dollari dalla Lya. Ed è tra le banche che avrebbe sofferto più le perdite: gli investimenti del fondo sovrano libico. in particolare, avrebbero subito una perdita del 98,5% del loro valore. SocGen rifiuta di commentare la notizia.

Anche Hsbc e Goldman Sachs sarebbero tra le banche che hanno gestito investimenti del fondo sovrano libico governativo Lya. Hsbc gestiva 297,7 milioni di dollari attraverso 10 conti bancari e Goldman Sachs almeno 44 milioni di dollari attraverso 4 conti,
Le tre banche rifiutano di confermare che hanno gestito gli investimenti per il fondo sovrano. Il fondo sovrano libico alla fine del secondo quadrimestre del 2010 possedeva asset per un totale di 53,3 miliardi di dollari, secondo il report. I governi occidentali potrebbero costringere le banche a svelare l'ammontare dei fondi gestiti, afferma ancora Global Witness. «Questi fondi appartengono al popolo libico che deve riprenderseli, non bisogna lasciare che restino in mano a Gheddafi e alla sua famiglia» ha detto Gavin Hayman dirigente di Global Witness. Secondo l'organizzazione il documento è autentico e sarebbe stato verificato prima della pubblicazione.

Svizzera. Provincia autonoma della Vojvodina, Repubblica di Serbia:  arrestato Ratko Mladic
swissinfo.ch e agenzie
L’ex generale serbo Ratko Mladic, passato alla storia come il «boia di Srebrenica», è stato catturato in Serbia. Con il suo arresto – tre anni dopo quello di Radovan Karadzic – il lavoro avviato da Carla del Ponte è finalmente coronato dal successo.
 L'annuncio ufficiale è stato dato giovedì dal presidente serbo Boris Tadic: Ratko Mladic (1942), ex capo militare dei serbi di Bosnia e latitante dal 1996, ricercato per genocidio e crimini contro l'umanità, è nelle mani nella polizia serba.
I dettagli dell’operazione non sono stati comunicati; secondo diverse fonti serbe, tuttavia, l’uomo – che si faceva chiamare Milorad Komadic – sarebbe stato individuato nella Voivodina (Serbia settentrionale), dove lavorava in una fattoria.
«L'operazione che ha portato all'arresto di Mladic rende la Serbia più sicura e più credibile. […] Ora bisogna continuare a cercare i suoi complici, quelli che l'hanno aiutato a nascondersi per tutti questi anni, anche tra membri del governo», ha affermato Tadic. Quest’ultimo ha poi ribadito l’intenzione di arrestare anche l’altro grande ricercato, l'ex capo politico dei serbi di Croazia Goran Hadzic.
Secondo Tadic, la cattura di Mladic indica la chiara volontà della Serbia di «rispettare le leggi nazionali e internazionali», e dovrebbe costituire un importante lasciapassare per consentire al paese di aderire all’Unione europea. «Oggi si è chiuso un difficile periodo della nostra storia ed è stata eliminata l'ombra che gravava sulla Serbia e sul suo popolo», ha concluso.
Contro Ratko Mladic, così come contro Radovan Karadzic e Goran Hadzic, il Tribunale penale internazionale (Tpi) aveva formalizzato, nel luglio e nel novembre 1995, due atti di accusa per genocidio e crimini contro l'umanità. Nel 1996, il Tpi ha emesso contro i due un mandato di cattura internazionale.

La previsione di Carla del Ponte
Nell’agosto del 2008, la svizzera Carla del Ponte – ex procuratrice del Tpi – aveva commentato l’arresto di Karadzic affermando che pure Mladic sarebbe prima o poi stato catturato, poiché da parte serba vi era una chiara volontà politica in tal senso.
«Dopo la mia partenza dal Tpi nel dicembre 2007 ero frustrata per non aver potuto ottenere gli arresti. Oggi sono molto contenta: i fatti mostrano che la nostra strategia era giusta», aveva dichiarato allora. A tal proposito, giovedì Boris Tadic ha pure annunciato l'immediata estradizione di Mladic all’Aia.
Secondo l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea, Catherine Ashton, l'arresto di Mladic costituisce «un importante passo in avanti per la Serbia e per la giustizia internazionale». Dal canto suo, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha sottolineato che l'arresto del latitante «offre la possibilità di fare
giustizia», ricordando che Mladic ha svolto un ruolo cruciale in alcuni dei più terribili episodi di Balcani e della storia europea.

I tempi cambiano
Secondo Pierre Hazan, giornalista, ricercatore nel settore dei diritti umani e conoscitore dei Balcani, «in Serbia i ricordi del conflitto stanno lentamente sbiadendo. Il paese ha molti problemi economici, vuole far parte dell’Unione europea e ha bisogno di buoni contatti con il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, in cui gli Stati occidentali hanno un ruolo chiave».
Per questo motivo, continua, «ritengo che l’arresto di Mladic è stata una buona manovra da parte del governo di Belgrado».
In merito alla reazione dell’opinione pubblica, Hazan evidenzia come «oggigiorno un numero maggiore di persone rispetto a dieci anni fa riconosce le atrocità commesse a Srebrenica. Ovviamente tali cambiamenti richiedono tempo, ma ho l’impressione che le giovani generazioni vogliano soprattutto lasciarsi il passato alle spalle e occuparsi dei problemi attuali, segnatamente quelli legati all’occupazione».

Una vita in guerra
L’esistenza di Mladic è segnata dal contatto continuo con la violenza: a due anni il padre viene ucciso dagli ustascia croati, alleati dei nazifascisti. Secondo quanto scritto su di lui, l’episodio determinerà un odio mai sopito verso i croati e i musulmani.
Quando esplode la guerra con la Croazia nel 1991, Mladic con il grado di colonnello assume il comando delle unità dell'esercito federale iugoslavo a Knin, che diventerà di lì a poco la capitale dei secessionisti serbi di Croazia. Mladic dirige in seguito l'esercito dell'autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia.
In sei mesi di guerra, Mladic conquista il 70% del territorio della Bosnia, avendo a disposizione la potenza militare dell'Armata popolare iugoslava contro bosniaci e croati disarmati e inesperti. I suoi uomini attuano una brutale pulizia etnica (due milioni e mezzo di persone cacciate dalle loro terre e dalle loro case) in nome della Grande Serbia. Migliaia di prigionieri vengono picchiati, torturati, affamati e uccisi. Lo "stupro etnico" viene praticato come arma di guerra.

Protezioni importanti
Nel novembre del 1996, ricercato dal Tpi, Mladic viene destituito dal comando dell'esercito serbo-bosniaco ma continua a vivere tra Bosnia e Serbia, protetto dai suoi ex subordinati bosniaci e da quelle truppe di cui ha sempre fatto parte.
Protezioni che proseguiranno anche dopo la caduta del presidente Slobodan Milosevic, nell'ottobre 2000, e gli garantiranno tranquillità durante tutto il 2001. Dal 2002, pur costretto a maggiore prudenza, può comunque contare ancora a lungo su una rete di appoggio clandestina di militari, ex militari e civili nazionalisti.
Una situazione mutata negli ultimi anni, quando le pressioni sulla Serbia – intenzionata ad aderire all'Unione europea – hanno determinato le condizioni per assicurarlo alla giustizia internazionale.

Guerra di Bosnia
La guerra in Bosnia ed Erzegovina si svolse dal 1992 al 1995 e portò alla morte di 100'000 persone.
Dopo la dissoluzione della Repubblica federale di Iugoslavia, una parte importante della popolazione serba si adoperò a favore di un'adesione alla Serbia, i croati per un'adesione alla Croazia e i bosniaci per la creazione di un proprio Stato.
La tensione crebbe quando, nel marzo 1992, fu proclamata l'indipendenza della Repubblica di Bosnia-Erzegovina e la secessione della Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina.
La cosiddetta pulizia etnica sfociò nel conflitto armato tra i tre maggiori gruppi etnici.
I serbi di Bosnia, difesi militarmente dalla repubblica serva di Slobodan Milosevic, controllavano quasi il 70% del territorio della Bosnia-Erzegovina.
Nonostante gli sforzi di mediazione e la presenza delle truppe ONU, per lungo tempo il conflitto non poté essere arginato.
Dopo che il campo serbo fu costretto alla difensiva, la mediazione tra le parti in conflitto portò all'accordo di Dayton, nell'Ohio, che pose fine alla guerra.
Il trattato di pace trasformò la Bosnia-Erzegovina in una repubblica federale, assegnandone il 51% del territorio alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina e il restante 49% alla Repubblica Serba.
La Bosnia ed Erzegovina fu posta sotto controllo internazionale, militare e civile, tuttora in vigore.

Svizzera. Una scelta coraggiosa, ma ricca di incognite
Di Luigi Jorio, swissinfo.ch
Il 25 maggio il governo svizzero ha deciso di non temporeggiare e di uscire progressivamente dal nucleare. Una determinazione accolta positivamente dalla stampa svizzera, che si interroga tuttavia sul futuro dell’approvvigionamento energetico.
 «È una scelta forte e coraggiosa», scrive il quotidiano ticinese La Regione, che analogamente a molti giornali, soprattutto romandi, sottolinea la svolta storica decisa dal Consiglio federale.
Una scelta che fa della Svizzera uno dei primi paesi al mondo a optare per un futuro senza atomo, rileva il vodese 24 Heures. «Per un paese così cauto - osserva Le Matin - si tratta di una sorta di rivoluzione». La Svizzera, concorda il Corriere del Ticino, «ha preso tutti in contropiede».
Per il Blick, non si tratta soltanto di un segnale in favore di un’energia senza nucleare. «È anche una prova che le donne in Consiglio federale hanno a cuore l’interesse della Svizzera, senza farsi influenzare dalla potenti lobby del nucleare».

Le donne contro il nucleare
Per il quotidiano svizzero tedesco, che cita fonti insider, sono state in effetti le quattro donne dell’esecutivo - Doris Leuthard, Simonetta Sommaruga, Micheline Calmy-Rey ed Eveline Widmer-Schlumpf - a schierarsi contro il nucleare.
 Donne, scrive l’editorialista, «che hanno fatto un regalo alla Svizzera e alla prossima generazione», creando i presupposti per la creazione di nuovi impieghi in un mercato (efficienza energetica ed energie rinnovabili) in pieno boom.
Più critica invece la Basler Zeitung, per la quale le quattro ministre hanno fissato la politica energetica dei prossimi 50-80 anni «senza discutere con l’industria elettrica, senza considerare l’opinione del mondo economico e senza ascoltare gli esperti indipendenti».
Un «normale governo svizzero», sostiene il giornale di Basilea, non avrebbe ceduto così in fretta alla pressione di un’opinione pubblica apparentemente insicura, ma avrebbe temporeggiato. Perlomeno fino alla pubblicazione di un rapporto dettagliato sull’incidente in Giappone e fino alla valutazione della sicurezza delle centrali svizzere.
Per la Basler Zeitung, l’abbandono dell’atomo è stato dettato dall’imminenza delle elezioni federali. Il governo, scrive, non si preoccupa della sicurezza della popolazione, bensì ha paura degli elettori. «È duro da accettare».
Anche la Neue Zürcher Zeitung si rammarica del fatto che il Consiglio federale si sia accontentato di seguire la posizione dei partiti. «Nel campo borghese non c’è più la volontà di difendere il nucleare».

Quali alternative?
Il governo ha indicato la direzione, osserva il 24 Heures, ma non è ancora chiaro quale sarà la strada da seguire. «Quale spazio sarà dato alle energie rinnovabili e alle centrali a gas? E dove si troveranno i fondi necessari?», s’interroga il foglio di Losanna.
Dobbiamo trovare velocemente alternative per disporre di sufficiente elettricità, avverte il Tages Anzieger. Fra una decina di anni, rammenta il giornale di Zurigo, le centrali di Mühleberg e Beznau verranno disattivate e scadranno i contratti di fornitura di energia nucleare dalla Francia.
Il 39% della produzione elettrica in Svizzera proviene dalle cinque centrali nucleari, ricorda Le Matin. «Bisognerà trovare alternative per compensare questi 26 miliardi di kWh».
Molti interrogativi rimangono aperti, ritiene anche la Berner Zeitung, ricordando ad esempio che l’ampliamento delle strutture di produzione di energia idroelettrica - la principale fonte rinnovabile del paese - suscita forti opposizioni. Anche lo sviluppo dell’energia geotermica, sottolinea, è ancora a uno stadio primordiale.

Mettere mano al borsellino
Secondo l’editorialista de La Regione, si dovrà «investire con decisione nella ricerca ad alto livello» per riuscire ad offrire all’economia ed alle economie domestiche «energia a sufficienza a costi accessibili».
Trovare le risorse, aggiunge, «non dovrebbe essere impossibile, visto il buono stato delle nostre casse pubbliche». A livello economico, ritiene Le Temps, «lo sforzo chiesto ai consumatori finali di elettricità sarà importante, ma sopportabile».
Se non si sarà pronti a mettere mano al borsellino - avverte il Tages Anzeiger - la politica si troverà bloccata: nessuna maggioranza in favore di nuove centrali atomiche e nessuna maggioranza a sostegno del necessario ampliamento delle capacità di approvvigionamento.
«Il peggio che può succedere è che ci dimenticheremo di Fukushima e rinunceremo ad uscire dall’atomo».
Toccherà ora al Parlamento, che dibatterà sul nucleare durante la sessione estiva, sostenere la proposta del governo, conclude il Blick. «Ne va dell’interesse della Svizzera».
 Luigi Jorio, swissinfo.ch

Cittadella, maxi-evasione da 22 milioni: i soldi a San Marino
PADOVA. Gli uomini della Guardia di finanza di Padova hanno scoperto una maxi evasione da oltre 22 milioni di euro che coinvolge una impresa attiva nel settore del materiale plastico di Cittadella.

Il meccanismo fraudolento era cosi' congegnato: i due titolari dell'ingrosso di materiale plastico (e da qui il nome dell'operazione, ''Dirty Plastic''), con l'ausilio di cinque complici riuscivano ad ottenere linee di credito dalle banche presentando distinte di ricevute bancarie compilate con dati falsi. Crediti fasulli, vantati a fronte di fittizi rapporti commerciali con altre aziende operanti nel medesimo comparto merceologico, alcune delle quali amministrate sempre dagli stessi truffatori. Grazie a questo sistema, la banda è riuscita ad accumulare in due anni oltre un milione e 400mila euro di indebiti finanziamenti. Quasi l'intera somma è stata poi riciclata da altri tre complici della banda in alcune banche di San Marino, con la negoziazione allo sportello di 147 assegni recanti importi volutamente bassi per sfuggire alla normativa antiriciclaggio.

Attraverso una rogatoria internazionale sono stati identificati i tre ''pulitori'' del denaro sporco ed è stato accertato che in quattro conti correnti, accesi all'ombra del Monte Titano, sono transitati nel breve volgere di un anno, più di 1500 assegni, per un ammontare complessivo di oltre 22 milioni di euro. Impressionanti anche i numeri dell'evasione fiscale perpetrata dalla gang del crimine finanziario: 10 milioni di ricavi non dichiarati, 2,8 milioni di iva dovuta e proventi illeciti che superano i 1,4 milioni di euro. 26 maggio 2011

Nessun commento: