giovedì 26 maggio 2011

Federali Sera-26 maggio 2011. Terremoto all'Aquila: rinviati a giudizio per omicidio colposo sette componenti della commissione Grandi rischi.----Bozen. Migranti. Sono già stati completati lo screening sanitario e le abituali procedure legati ai controlli della Questura. Tutta l'operazione è stata seguita dai funzionari delle Ripartizioni provinciali Famiglia e politiche sociali e Protezione civile, che sin dall'avvio del piano di riparto nazionale coordinano gli arrivi e l'accoglienza a livello locale.----Canton Ticino. Le banche svizzere – e probabilmente anche quelle ticinesi – possono essere competitive anche senza ricorrere ai sotterfugi del segreto bancario. Anzi siamo convinti che la totale trasparenza possa addirittura portare dei vantaggi, perché cadrebbe quell’alone di omertà al quale sono associati i nostri istituti finanziari.

Forza Oltrepadani:
La Svizzera decide di eliminare l'energia nucleare entro il 2034
Svizzera. Lugano. Conti molto meglio del previsto, giù il moltiplicatore
Svizzera. Di Tremonti, scudi, banche e segreti
Bozen. Migranti: arrivati altri 15 profughi a Bolzano, ora sono 85
Bressanone. «Via Tridentina»: la cultura dice sì

Italiani:
Terremoto all'Aquila: rinviati a giudizio per omicidio colposo sette componenti della commissione Grandi rischi
«Tg1 di parte, non ci metto la mia faccia»
«Aiuti alle imprese primato pugliese»


La Svizzera decide di eliminare l'energia nucleare entro il 2034
Il governo svizzero oggi ha deciso di eliminare l'energia nucleare entro il 2034 dopo che il disastro giapponese ha minato la fiducia della gente, ma ha precisato che non chiuderà nessuna centrale prematuramente. Il governo svizzero ha sospeso il processo di approvazione per tre nuovi impianti nucleari a marzo, nell'ambito di una revisione sulla sicurezza seguita al disastro della centrale di Fukushima.

Lo scorso fine settimana 20mila persone hanno manifestato contro il nucleare. Si è trattato della più vasta protesta del genere dagli anni Ottanta. Il governo ha deciso di non costruire altri reattori nucleari. Tra i reattori in funzione, quello più vecchio raggiungerà il limite di attività nel 2019, quello di più recente costruzione nel 2034. "Le centrali nucleari esistenti verranno chiuse alla fine della loro vita operativa e non saranno rimpiazzate da centrali nucleari nuove", dice il governo in un comunicato.

La decisione sembra favorevole a gruppi industriali che avevano messo in guardia da una chiusura prematura dei reattori svizzeri e dai costi più alti per l'energia e dall'impatto negativo sul settore manifatturiero del Paese che questa comporterebbe. Non piacerà, invece, a Verdi e Socialdemocratici (Sp), che avevano chiesto di chiudere al più presto gli impianti. Le utility svizzere Axpo, Alpiq e Bkw avevano manifestato interesse nella costruzione di nuove centrali, e decisioni sui siti erano attese a metà 2012. La Svizzera ha cinque centrali nucleari che coprono il 40% dell'elettricità che consuma.

Svizzera. Lugano. Conti molto meglio del previsto, giù il moltiplicatore
Un po’ a sorpresa Lugano abbassa il moltiplicatore, limando 2 punti e mezzo all’attuale 72,5%. La sorpresa sta nel fatto che negli ultimi mesi – Lega a parte – si era sempre detto che toccare il moltiplicatore non avrebbe avuto gran senso, in quanto il futuro non era certo. Ma allora cos’è cambiato? Ci risponde Erasmo Pelli, capodicastero Finanze: «Beh, prima di tutto c’è l’avanzo registrato a consuntivo, che non riflette quanto preventivato (la differenza è di 40 milioni, ndr). Poi c’è la nuova prassi che stabilisce che a decidere del moltiplicatore sia il Consiglio comunale, che statuisce su una proposta del Municipio. Dopo 2-3 anni di avanzi qualcuno avrebbe potuto lanciare la discussione e noi abbiamo anticipato un po’ i tempi, proponendo un ritocco verso il basso. C’è infine la piena consapevolezza che la crisi non è stata così dirompente, anzi direi che per noi è stata contenuta. Davanti abbiamo un futuro tranquillo, con un gettito solidificato». Due punti e mezzo in meno significa piuttosto poco per un reddito medio, ma abbastanza per i conti di un’amministrazione. Non è una forzatura, la vostra? «Direi di no. Si tratta di un segnale che mandiamo alla popolazione e alle società che operano sul nostro territorio, un segnale di stabilità e di elevata competitività. Quanto costerà alla Città questa operazione? Circa 5 milioni di franchi. Una cifra ampiamente alla nostra portata». I maligni diranno: ecco, è il solito regalino che si fa alla Lega, che da tempo chiede quanto fatto ora: «Guardi, la proposta l’ho portata io direttamente in Municipio stamattina (ieri per chi legge, ndr) senza pressioni, ma soltanto dopo aver visionato numeri e dati. Si tratta quindi di una pura constatazione aritmetica. Così come sarebbe riduttivo pensare che ci siamo mossi in questa direzione in vista delle comunali del 2012: tra il 72,5% e il 70% non è che cambia tantissimo». Come detto da Pelli, la competenza finale di fissazione del moltiplicatore spetterà, a seguito delle modifiche legislative in atto, al CC. Conseguentemente il Municipio presenterà un apposito messaggio con la sua (allettante) proposta.

IL PESO DEI NUMERI – Pelli, lo ha detto lui stesso, ha preso spunto dai numeri. Per la precisione, sono quelli del consuntivo 2010, chiuso con un avanzo di 12,5 milioni (uscite per 414,1 milioni ed entrate per 426,6 milioni), mentre il preventivo parlava di un disavanzo di 28,5 milioni. Risultato in gran parte riconducibile ai seguenti fattori: adeguamento del gettito di consuntivo a 188 milioni (125 per le persone fisiche e 63 per le persone giuridiche) contro i 180 milioni di preventivo; emissione di sopravvenienze d’imposta per complessivi 53 milioni contro i 28 preventivati; incasso di imposte comunali suppletorie per persone fisiche di 5,2 milioni (a preventivo 1,8). Cifra notevole quella relativa ai beni patrimoniali a bilancio: ammonta infatti a 430,9 milioni. Il capitale proprio è di 155,8 milioni, mentre la liquidità immediata o disponibile a breve sfiora i 185 milioni.
26.05.2011

Svizzera. Di Tremonti, scudi, banche e segreti
di Ronny Bianchi - 05/26/2011
Nelle sue recenti esternazioni, il ministro Tremonti ha omesso un elemento essenziale, ha affermato una cosa falsa e una giusta.

Iniziamo dall’elemento mancate.
Il sistema fiscale italiano è storicamente incapace di far fronte ai suoi compiti. Secondo una valutazione dell’Ocse, il 25-30% del prodotto interno lordo deriva da economia sommersa. Si tratta quindi di miliardi di euro che ogni anno sfuggono al fisco italiano. Inoltre, il sistema tributario è efficace esclusivamente sul reddito delle attività dipendenti per il semplice motivo che è percepito alla fonte. La maggior parte delle attività indipendenti, in un modo o nell’altro, riescono invece a sfuggire alle maglie della finanza. La prima preoccupazione di Tremonti dovrebbe dunque essere quella di implementare un sistema fiscale equo e universale.

Il punto falso è che con i vari scudi fiscali non è riuscito a risolvere un altro problema fondamentale, vale a dire il perseguimento delle società e non solo dei capitali privati.
È dunque abbastanza evidente che quando i suoi connazionali portano i loro capitali nelle banche svizzere cerchino di nasconderli tramite società, più o meno, fittizie.

In quanto all’affermazione corretta il ministro dell’Economia ha invece perfettamente ragione ad arrabbiarsi perché una parte importante dei risparmi italiani, andando all’estero, si sottraggono al fisco italiano e quindi fanno perdere alla vicina Repubblica diversi milioni di euro. Qualsiasi ministro delle Finanze, degno di questo nome, ragiona in questo modo. Non è quindi un caso che i suoi colleghi di altri paesi stanno cercando di raggiungere un compromesso con la Svizzera per cercare di limitare i danni. Tremonti questo non lo vuole fare, sembra, più che altro, per una questione di principio. Secondo il ministro delle Finanze italiano, appena i risparmi dei suoi concittadini varcano la frontiera di Chiasso, vengono trasferiti su società offshore, cioè in strutture giuridiche difficili da controllare e registrate nei veri paradisi fiscali.

Riteniamo che quest’affermazione sia vera perché in questi mesi di accese discussioni non abbiamo mai sentito un banchiere svizzero, e in particolare ticinese, smentire le affermazioni di Tremonti. Dobbiamo quindi dedurre che le banche svizzere adottino effettivamente questo dispositivo per favorire i loro clienti, penalizzando però così pesantemente il paese dal quale provengono. Possiamo leggere questa situazione da un punto di vista strettamente tecnico oppure etico.

Dal punto di vista tecnico le banche ticinesi svolgono semplicemente le attività che la legislazione svizzera permette loro di attuare. Non siamo esperti giuridici ma riteniamo che se questa è effettivamente la situazione, lo è perché la legge del nostro paese lo permette.

Il problema etico è un po’ più complesso. È giusto che uno Stato sovrano sottragga risorse finanziarie a un altro Stato sovrano? Noi crediamo non lo sia. Pensiamo che le relazioni tra buoni vicini – come nel caso di Francia, Germania, Italia, eccetera – debbano essere improntate sulla massima trasparenza e la massima onestà. Certo, ogni Stato è libero di dotarsi delle leggi che ritiene più opportune, compreso il segreto bancario. Ma se questa soluzione poteva essere giustificata in passato, ci sembra che oggi dovrebbe essere profondamente rivista. In un mondo globalizzato dove i rapporti economici, sociali e politici sono sempre più importanti, sembra una strategia anacronistica.
Le banche svizzere – e probabilmente anche quelle ticinesi – possono essere competitive anche senza ricorrere ai sotterfugi del segreto bancario. Anzi siamo convinti che la totale trasparenza possa addirittura portare dei vantaggi, perché cadrebbe quell’alone di omertà al quale sono associati i nostri istituti finanziari.

Bozen. Migranti: arrivati altri 15 profughi a Bolzano, ora sono 85
Sono già stati completati lo screening sanitario e le abituali procedure legati ai controlli della Questura. Tutta l'operazione è stata seguita dai funzionari delle Ripartizioni provinciali Famiglia e politiche sociali e Protezione civile, che sin dall'avvio del piano di riparto nazionale coordinano gli arrivi e l'accoglienza a livello locale.
BOLZANO. Nel quadro del piano di riparto nazionale concordato tra Stato e Regioni a seguito dell'emergenza nel Nordafrica, sono giunti in Alto Adige 15 migranti, accolti all'ex caserma Gorio ai Piani di Bolzano.

I quindici nuovi arrivati sono tutti uomini adulti originari dal Bangladesh e transitati per la Libia. Finora erano ospitati nella struttura di Manduria in Puglia, da oggi sono a Bolzano nei locali dell'ex caserma Gorio a Piani.
Sono già stati completati lo screening sanitario e le abituali procedure legati ai controlli della Questura. Tutta l'operazione è stata seguita dai funzionari delle Ripartizioni provinciali Famiglia e politiche sociali e Protezione civile, che sin dall'avvio del piano di riparto nazionale coordinano gli arrivi e l'accoglienza a livello locale.
Ieri era stato trasferito a Merano, nella struttura ex Arnika, un gruppo di 12 profughi: una famiglia con due bambine e quattro coppie. Trenta persone giunte a Bolzano nelle ultime settimane erano già state trasferite a Merano qualche giorno fa.

Il collaudato meccanismo di accoglienza dei profughi in arrivo in Alto Adige - sulla base degli accordi siglati dal Governo italiano con le Regioni e le Province autonome - prevede, una volta espletate le operazioni di accoglienza e appurate particolari condizioni di bisogno, il trasferimento dei profughi nelle strutture già individuate sul territorio provinciale.

La situazione, dai primi arrivi del 16 aprile, registra la presenza in Alto Adige di 85 migranti: 42 sono al  momento ospitati a Merano e 43 a Bolzano. 25 maggio 2011

Bressanone. «Via Tridentina»: la cultura dice sì
Parere unanime dei "quattro saggi": è un pezzo di storia della città
di Tiziana Campagnoli
BRESSANONE. Il mondo della cultura e del sociale di lingua tedesca brissinese è favorevole all'intitolazione di una strada alla Brigata Alpina Tridentina e si appella ai politici affinchè superino barriere etniche e passati storici in nome della convivenza e della pace.  Josef Gelmi, presidente del Palazzo Vescovile ma soprattutto storico, ritiene che in tutte le cose occorra trovare il compromesso in nome della pacifica convivenza: «Sono uno storico religioso - spiega - ma in in ogni discussione si deve cercare di arrivare ad un compromesso in nome della convivenza e della pace. La Brigata Alpina Tridentina è stata presente per moltissimi anni, come è noto ha operato per la pace, e quindi ben venga un'intitolazione. La cittadinanza è composta da persone di madrelingua diverse, e quindi se i cittadini di madrelingua italiana chiedono compatti che la Brigata venga ricordata e onorata intitolandole una strada allora ritengo che la cosa vada presa in considerazione. E' ovvio che devono decidere i politici, ma intitolare una strada ad un corpo militare in cui la gente si identifica non deve essere considerato un affronto ad un gruppo linguistico. Quindi, dico sì».  Dello stesso avviso don Paolo Renner, vicepreside dello Studio teologico accademico di Bressanone: «Intitolare una strada alla Brigata sarebbe un modo per riconoscere il ruolo che ha avuto nella nostra città ed il servizio svolto a favore di tutta la cittadinanza, italiana e tedesca - spiega don Renner - La discussione su questo tema non dovrebbe neanche esserci, ritengo assurde le polemiche che si sono innescate tra i partiti. Migliaia di militari hanno operato per tanti anni in città al servizio della gente, intervenendo anche in missioni di pace o di protezione civile. E ancora oggi migliaia di famiglie sono presenti influenzando positivamente tutta l'economia. La Brigata ha avuto una funzione di pace, e questo deve essere ricordato».  Della storia passata va ricordato tutto, il bene e il male, e ignorare vuol dire non comprendere la storia. Quindi, soprattutto nel caso della Brigata, corpo militare di pace, chi di dovere dovrebbe riconoscerle il valore e la funzione che ha avuto. Ne è certa la dirigente dell'Ufficio beni  culturali e archeologici della Provincia, la brissinese  Waltraud Kofler Engl.  «Sono una storica di beni artistici e culturali, ma penso che ogni evento, associazione, corpo militare, architettura che facciano parte della storia, vada accettato, nel bene e nel male, senza cancellarlo - afferma - la Brigata ha fatto parte della storia della città per tanti anni, ha avuto una sua funzione di pace, e quindi se i cittadini di madrelingua italiana vi si riconoscono e chiedono che le venga intitolata una strada allora va fatto. Polemizzare sulla storia è sbagliato. Occorre andare avanti, senza rinnegare niente».  Acceso sostenitore dell'intitolazione di una strada alla Brigata è il direttore del centro giovanile tedesco Kassianeum, Peter Lienzberger: «Ero un alpino, ho fatto il militare a Brunico e quindi sono favorevole all'intitolazione di una strada alla Brigata Tridentina - spiega Lienzberger - gli alpini sono un'istituzione, hanno avuto un ruolo importante nella nostra città e quindi è doveroso ricordarli e onorarli. Insomma, la Brigata merita un riconoscimento e quindi ritengoo una discussione sterile su un tema che dovrebbe accomunare. Qualcuno parla di corpo militare di occupazione. Non è stato così e chi conosce la storia lo sa bene. Quindi, ben venga una strada dedicata alla Tridentina e basta considerare una simile intitolazione come una provocazione o un'offesa nei confronti del gruppo linguistico tedesco. Ne sono la prova io. Sono di lingua tedesca e alpino». 

Terremoto all'Aquila: rinviati a giudizio per omicidio colposo sette componenti della commissione Grandi rischi
Sette componenti della Commissione grandi rischi sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo plurimo per avere, secondo l'accusa, al termine della riunione tenuta all'Aquila il 31 marzo del 2009, sei giorni prima del sisma, fatto dichiarazioni rassicuranti che avrebbero indotto molti aquilani a restare nelle loro case. Lo riporta il quotidiano locale Il Centro. Il giudice per le udienze preliminari, Giuseppe Romano Gargarella, ha quindi accolto le richieste del Pm Fabio Picuti della Procura dell'Aquila.

Il rinvio a giudizio è stato disposto nei confronti di Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Franco Barberi, presidente vicario della Commissione grandi rischi, Bernardo De Bernardinis, vice capo del settore tecnico operativo del dipartimento nazionale di Protezione civile, Enzo Boschi, presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Gian Michele Calvi, direttore della fondazione Eucentre e responsabile del Progetto case, Claudio Eva ordinario di Fisica all'Università di Genova e Mauro Dolce, direttore dell'ufficio Rischio sismico del dipartimento di Protezione civile. Il processo inizierà il 20 settembre di fronte al tribunale dell'Aquila in composizione monocratica.

La battaglia dei familiari delle vittime
Nell'agosto del 2010 una trentina di famiglie delle vittime del sisma dell'Aquila ha avanzato richieste di risarcimento danni alla Presidenza del Consiglio dei ministri per complessivi 22 milioni e mezzo di euro. L'atto di citazione per responsabilità civile è stato presentato presso il Tribunale civile dell'Aquila dagli avvocati del foro aquilano Maria Teresa di Rocco e Silvia Catalucci. L'iniziativa legale si basa proprio sulle risultanze del lavoro della Commissione Grandi Rischi riunita all'Aquila il 31 marzo 2009, a cinque giorni dalla tragica scossa, in particolare in riferimento ai messaggi rassicuranti lanciati dai protagonisti di quel summit alla popolazione aquilana che era alla prese con uno sciame sismico da alcuni mesi. Il risarcimento in sede civile è stato inoltrato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, perché la Commissione Grandi Rischi è organo consultivo della presidenza dell'esecutivo.

Nel terremoto che la notte del 6 aprile 2009 distrusse il centro storico de l'Aquila e tanti paesi dell'Abruzzo e del Lazio, sono morte 308 persone, con circa 1.600 feriti, di cui 200 gravissimi. Il capoluogo abruzzese è ancora una città fantasma.
 25 maggio 2011

«Tg1 di parte, non ci metto la mia faccia»
Esplode il caso di Elisa Anzaldo: ha deciso di lasciare la conduzione dopo molte notizie censurate da Minzolini
ROMA - Ha il volto di Elisa Anzaldo, giornalista e conduttrice del Tg1, l'ultima querelle in casa Rai: la cronista con un avviso nella bacheca della redazione ha annunciato di voler rinunciare alla conduzione del telegiornale diretto da Augusto Minzolini, considerato troppo appiattito sulle posizioni della maggioranza e lontano dai criteri di oggettività che dovrebbero sottendere alla corretta informazione. La Anzaldo, come ha raccontato Repubblica, dice di non volere «mettere la faccia» per un telegiornale che nasconde le notizie per non creare problemi ad una parte politica, nella fattispecie il Pdl. Già ad aprile la giornalista aveva preso posizione contro il suo direttore chiedendo spiegazioni sul perché alcune notizie - dal caso Ruby al caso dei manifesti che accusavano i magistrati milanesi di essere brigatisti - fossero state oscurate o date sottotono rispetto a quanto hanno fatto altri tiggì o carta stampata. Minzolini l'aveva convocata per spiegare perché a suo parere quelle di cui si denunciava la censura non erano in realtà notizie meritevoli di spazio sull'ammiraglia dell'informazione pubblica. Spiegazioni che non hanno evidentemente convinto la Anzaldo che, nei giorni scorsi, ha messo per iscritto la propria protesta decidendo di fare un passo indietro: «Per motivi professionali e deontologici non ritengo più possibile mettere la faccia in un tg che fa una campagna di informazione contro». Augusto Minzolini, dal canto suo, liquida la vicenda con una battuta: «È una cosa che riguarda lei» si è limitato a dire all'Adnkronos che lo aveva interpellato in materia.

LE REAZIONI - L'opposizione ha commentato negativamente l'episodio. Francesco Pardi, capogruppo Idv nella Vigilanza Rai, evidenzia che «sono sempre di più i professionisti dell'informazione che si vergognano a metterci la faccia o la firma. Non vogliono, insomma, che il loro nome sia accostato al Tg1 del direttorissimo». Pardi cita i precedenti della Busi e dei montatori di corso Sempione. E aggiunge: «A leggere la sua missiva vengono i brividi pensando a quante notizie vengono omesse o manipolate a uso e consumo del megafono di Arcore. Alla Anzaldo va tutta la mia solidarietà e la mia stima, ma mi chiedo quanti professionisti debbano ancora perdere la possibilità di fare bene il loro lavoro, che tra l'altro è un servizio pubblico pagato dai cittadini, prima che cambino le cose». Anche il Pd ha preso posizione sull'accaduto: «Le dimissioni di Elisa Anzaldo - ha detto la senatrice Vittoria Franco - , confermano quel che ormai, dopo la multa salatissima inflitta alla testata dall'Agcom, è chiarissimo: l'aria al Tg1 è diventata irrespirabile. Altro che problema della giornalista, come dice oggi molto poco elegantemente Minzolini. Il problema è di tutti gli italiani, visto che stiamo parlando del servizio televisivo pubblico che dovrebbe garantire pluralismo e libertà di informazione». Per Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, la lettera dell'Anzaldo «riguarda la scomparsa dei fatti e le ragioni della perdita di credibilità del più importante tg della Rai e della azienda nel suo complesso» che «ogni giorno rischia di violare i più elementari doveri dell'informazione pubblica: l'equilibrio, l'imparzialitá, la correttezza, la completezza. Le dimissioni di Elisa Ansaldo sono la spia di un malessere che attraversa migliaia e migliaia di dipendenti che, da sempre, hanno amato e amano le ragioni del servizio pubblico. La Rai deve scegliere tra la loro passione e le arroganze di chi ha scelto di legare le proprie fortune ai destini di una sola persona, per di più il proprietario di quella che un tempo era considerata dai grandi dirigenti della Rai del passato, come l'azienda concorrente». 25 maggio 2011

«Aiuti alle imprese primato pugliese»
di BEPI MARTELLOTTA
BARI - Nichi Vendola tira le fila della poderosa manovra anticiclica avviata due anni orsono e snocciola dati che raccontano di una Puglia in pole position tra le regioni europee negli incentivi all’innovazione del sistema d’impresa. I 18 bandi lanciati nel biennio 2009-2010 (7 dei quali, per 590 milioni di euro, ancora aperti fino all’esaurimento delle risorse), con un’iniezione complessiva di fondi pubblici pari a 820milioni di euro stanno già generando 1,8 miliardi di euro di investimenti con l’ammissione di 3.500 progetti industriali. È l’equivalente del 3,4% del pil pugliese, un dato che se confrontato con la media nazionale (0,6% nel 2009, a fronte dell’1% totalizzato dalla Puglia) fa capire perché oggi la Regione faccia da apripista - sottolinea il governatore affiancato dalla vicepresidente Loredana Capone e dal supermanager allo Sviluppo Davide Pellegrino - nelle polithce per lo sviluppo.

Da questo punto di vista, la Puglia negli ultimi due anni è passata dal terzo al primo posto in Italia per erogazione di aiuti alle imprese, un trend che però - chiariscono - non deve ingannare: la partita dello sviluppo è giocata solo in parte sugli incentivi pubblici, in larga parte si misura sulla capacità dei governi di accompagnare gli investimenti nell’innovazione e su quella delle imprese (piccole o grandi che siano) di rispondere alle sfide del mercato, pena l’e stinzione. Il sistema ha risposto, dice la Capone, se con qui 18 bandi si sono generate manifestazioni d’interesse per oltre 4 miliardi e dalle quali si spera - ma tirare il bilancio sull’occupazione è prematuro, trattandosi di investimenti che si concretizzano nell’arco di 3 anni - almeno 4.200 posti di lavoro. Solo nel primo anno di aiuti (il 2009) con stanziamenti per 524 milioni di euro il 25% delle imprese manifatturiere pugliesi concludeva l’anno con un fatturato in aumento. Molte le aziende entrate in crisi, tante quelle che hanno saputo re-inventarsi con l’innovazione (nell’indotto dell’Alenia di Grottaglie c’è chi ha abbandonato la produzione di tende per specializzarsi nei rivestimenti ad alta rifinitura tecnologica degli aerei Boeing).

E poi, l’internazionalizzazione delle imprese agroalimentari (3 milioni), le infrastrutture per gli insediamenti (i 100 milioni che hanno finanziato l’ammoder - namento delle zone Asi), gli aiuti di 10 milioni per le tlc nelle piccole imprese (la banda larga) e quelli per gli investimenti nella ricerca (48 milioni). Sin qui i bandi chiusi, perché ci sono i 168 milioni per i Pia, gli aiuti per 43 milioni allo start-up (l’avvio d’impresa), i 25 milioni per incentivare il turismo e, soprattutto, i 230 milioni dei Contratti di Programma destinati alle grandi imprese. Ed è qui che Vendola gonfia il petto, ricordando l’epoca buia (tre anni orsono) quando le grandi aziende metalmeccaniche del Barese come Getrag e Bosch erano intenzionate a fare le valigie.
Oggi è un’altra storia. La Getrag, che a regime forniva 200mila cambi per auto su commessa della Ford e che negli ultimi tempi era scesa a 40mila pezzi l'anno (mandando in cassintegrazione 400 dei 720 addetti) ha ottenuto una commessa da Mercedes e Renault che prevede la fornitura di altri 300mila cambi: i livelli di produzione arriveranno, così, a 500mila pezzi l'anno e, oltre ai 720 addetti, è previsto un aumento del personale di almeno 100 unità.

Si è lavorato, ha spiegato Pellegrino, anche sui prestiti alle pmi (i rapporti tra banche e imprese storicamente non sono mai stati felici): oltre alla qualificazione dei Confidi (ridotti a 8 dopo anni di frantumazione del sistema) e si sono messi in campo bandi (50 milioni di euro per 1 miliardo di prestiti) anche per agevolare i mutui: il risultato è un trend a gennaio del +6,9% (a fronte del 5,7% della media italiana) che a settembre si è tradotto negli aiuti maggiori d’Italia in tutti i comparti. La nota politica dolente, rimarca Vendola, è che «il governo è colpevolmente assente e non c’è una politica industriale da anni». Le prove stanno nella crisi del sistema portuale di Fincantieri ma anche, in Puglia, nella caduta di Teleperformance, la società di call center che a Taranto conta 712 addetti per i quali si profila il licenziamento. Ieri i lavoratori hanno scritto al Capo dello Stato, ricordando che grazie alla stabilizzazione dei loro contratti sono nati 530 bambini e si sono create nuove famiglie. E Vendola - sorretto dal presidente del consiglio regionale Onofrio Introna - inveisce contro la politica «dell’illegalità e del lavoro nero» che il governo ha consentito alla concorrenza mentre in Puglia, nel call center, si adottava la legge Damiano.
25 Maggio 2011

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