mercoledì 25 maggio 2011

Federali Sera-25 maggio 2011. Svizzera. Sergio Morisoli: Economicamente l’UE sa produrre solo dis-economia pianificata (voi producete olive, voi olio, voi vino, voi formaggi, voi pescate questo, ecc. secondo norme burocratiche centrali); la disoccupazione di molti Stati è alle stelle e le bilance dei pagamenti non quadrano tra gli Stati membri. La crescita economica non appare sufficiente. La politica finanziaria non esiste, giacché ogni stato dell’UE fa ciò che vuole (Grecia, Spagna, Portogallo e Italia insegnano); Germania e Francia fanno saltare i parametri di Maastricht perché impossibili da rispettare; gli Inglesi poi non sanno che farsene di una politica finanziaria continentale. Il federalismo svizzero non è un progetto che qualcuno abbia calato dall’alto come vorrebbe essere quello dell’UE, ma un processo costruito nei secoli partendo dal basso con infiniti equilibrismi e compromessi di cui solo noi svizzeri deteniamo la formula e la chiave interpretativa.----Firenze. Il Comune ha deciso di inserire anche i figli fino a 25 anni, per calcolare gli sconti per i servizi di asili nido e mensa gestiti da Palazzo Vecchio. I figli (a carico) sono «piezz ’e core».----Reggio Emilia. La povertà è diventata cronica.

Forza Svizzera:
Svizzera. Federalisti europei? No grazie, così non si può
Svizzera. È conveniente abitare all'ombra di Tell
Svizzera. Maggior sostegno alle famiglie e più ecologia

I conti non quadrano:
Dall’Ue nuove misure contro l’immigrazione clandestina
Istat: popolazione italia sopra 60 mln, crescita solo grazie a immigrati
Emilia Romagna sempre più affollata
Istat, Giovannini: dati povertà stabili a 13%, no 25%
Reggio Emilia. «La povertà è diventata cronica»
Multinazionali in fuga dalla Marca
Parma. Pomodoro da industria, si preannuncia una campagna soddisfacente

Asilo infantile:
Bozen. Alto Adige: il governatore del Tirolo chiede grazia per i terroristi degli anni Sessanta
Firenze. Lo sconto all'asilo... fino a 25 anni

A Monfalcone e Trieste son belle giornate:
Palermo. Fincantieri, mercoledì assemblea ai Cantieri Navali di Palermo
Fincantieri, la rabbia di Genova


Svizzera. Federalisti europei? No grazie, così non si può
di Sergio Morisoli
Su questo giornale il vice presidente del parlamento europeo Mario Mauro ha presentato l’idea di un federalismo europeo che potrebbe, dice lui, interessare anche alla Svizzera. Seguo l’onorevole Mauro da anni e su molte sue iniziative a livello europeo e penso sia un fedele interprete moderno, tra i pochi rimasti, del disegno di Adenauer-De Gasperi-Schuman. Questa volta però devo dissentire dalla sua proposta. Posso capire che un sistema federalista potrebbe essere forse l’ultimo tentativo organizzativo-amministrativo per salvare l’UE il cui fallimento, quanto progetto politico, è sotto gli occhi di tutti. Economicamente l’UE sa produrre solo dis-economia pianificata (voi producete olive, voi olio, voi vino, voi formaggi, voi pescate questo, ecc… secondo norme burocratiche centrali); la disoccupazione di molti Stati è alle stelle e le bilance dei pagamenti non quadrano tra gli Stati membri. La crescita economica non appare sufficiente. La politica finanziaria non esiste, giacché ogni stato dell’UE fa ciò che vuole (Grecia, Spagna, Portogallo e Italia insegnano); Germania e Francia fanno saltare i parametri di Maastricht perché impossibili da rispettare; gli Inglesi poi non sanno che farsene di una politica finanziaria continentale. La moneta è unica ma non basta per definire un sistema economico continentale; in più è debolissima e, visto che non è possibile disporre centralmente di leve sulla politica economica e su quella finanziaria, è a rischio la sua stessa sopravvivenza. Detto questo, penso che per Paesi come l’Italia e altri Stati centralisti il federalismo europeo potrebbe essere un passo verso un miglioramento della propria politica interna, mentre per un gruppo di altri Stati potrebbe essere l’acceleratore in vista di un progresso democratico verso la modernità politica (alludo agli ex stati dell’Est). Per la Svizzera, al contrario, si tratterebbe di un passo, anzi di diversi passi indietro rispetto alla situazione odierna. Il federalismo svizzero non è un progetto che qualcuno abbia calato dall’alto come vorrebbe essere quello dell’UE, ma un processo costruito nei secoli partendo dal basso con infiniti equilibrismi e compromessi di cui solo noi svizzeri deteniamo la formula e la chiave interpretativa. Per noi sarebbe come metterci in un autosilo, senza poter uscire, e aspettare che altri facendo su e giù dai piani diventino ciò che noi siamo già. Tanto vale attendere che lo facciano da soli e poi si potrà valutare. Ma, al fondo, la questione non è l’organizzazione statuale dell’UE bensì il concetto di federalismo che è geneticamente diverso dai loro progetti. Non si è federalisti fin tanto che non è sancito costituzionalmente il federalismo fiscale. Che cos’è? I cittadini di un Comune hanno la totale libertà di decidere la propria spesa pubblica e di determinare le tasse per finanziarla, i cittadini di un Cantone altrettanto e i cittadini della Confederazione idem. Ad ogni livello ogni cittadino può intervenire tramite gli strumenti della democrazia diretta in questo processo. Questo meccanismo sancito nella Costituzione svizzera significa una sola cosa: chi ha i soldi decide e chi decide paga. La Confederazione ha il 30% dei mezzi mentre i Cantoni e i Comuni il 70%: nessun altro Paese la mondo che si definisca federalista ha questo rapporto di indipendenza. Dubito fortemente che a livello di UE la Svizzera potrebbe, in quanto pagante, continuare a decidere (o, perché ha i soldi, decidere solo per se stessa). Il fallimento del progetto UE lo si vede, del resto, anche in altri campi, non solo in quello finanziario-economico. Ad esempio: diversi capi di Stato (Sarkozy, Cameroon, Merkel) hanno ammesso per i loro Paesi il fallimento del progetto di multiculturalismo libertario promosso dai cosiddetti “progressisti” di ogni partito. Questa avrebbe dovuto essere l’idea trainante per conformare il nuovo Continente. L’incapacità di darsi una Costituzione è un altro esempio; come la frustrazione di alcuni tenori europei scaricata con gli attacchi alla piccola Svizzere su più fronti. Difficile davvero intravvedere uno sbocco attrattivo per la Svizzera verso un’Europa che per l’ennesima volta tenterebbe di riorganizzarsi attraverso il peccato originale del centralismo, camuffandolo da federalismo. Siamo un Paese piccolo ma forte perché libero di decidere il proprio destino. Se oggi abbiamo qualche difficoltà in politica estera è perché siamo confusi in politica interna. Quasi 600 anni fa il patrono della Svizzera, San Nicolao della Flüe, esortava i politici elvetici a non voler allargare i confini del Paese per ingrandirlo, pena la scomparsa delle nostre peculiarità e quindi della Svizzera. Oggi sappiamo che gli Stati dell’UE non sono in grado di risolvere i loro problemi nonostante il costo formidabile della macchina politico-burocratica. Perché noi dovremmo rivolgerci a loro per risolvere i nostri? Inoltre è più probabile che a farcela sia un’Europa costituita da grandi regioni che dinamicamente e liberamente si relazioneranno tra loro (multi polare) piuttosto che un grande conglomerato di Stati, burocratizzato dalla politica e dagli uffici di Bruxelles, per quanto tenti di darsi un impianto“federalista”.

Svizzera. È conveniente abitare all'ombra di Tell
Il costo della vita non è uguale in tutta la Svizzera. Cambiando domicilio, le economie domestiche svizzere possono risparmiare parecchio e ottimizzare il proprio budget, a volte anche senza trasferirsi molto lontano. L’onere fiscale non è l’unico fattore per valutare l’attrattiva finanziaria di un comune. Un criterio più ampio è quello del reddito liberamente disponibile che tiene conto di tutti i costi relativi a un domicilio. Dal 2006 gli economisti del Credit Suisse calcolano il reddito liberamente disponibile in circa 2700 comuni svizzeri per un ampio spettro di economie domestiche. A livello comunale, i valori attuali del reddito liberamente disponibile in Svizzera, espressi mediante il cosiddetto indicatore RDI, tengono conto ora anche delle spese connesse al pendolarismo. I criteri per la scelta del domicilio "giusto" sono molto vari. Oltre all’ubicazione e all’offerta di infrastrutture, alla disponibilità di immobili residenziali adeguati, a criteri emotivi e alle relazioni interpersonali, svolgono un ruolo importante anche i fattori finanziari. Non è sufficiente limitarsi a prendere in considerazione l’onere fiscale. Per valutare l’attrattiva finanziaria di un luogo di domicilio bisogna tener conto anche di altri oneri, come ad esempio i premi dell’assicurazione malattia o la struttura dell’imposizione del valore locativo della casa di proprietà. Fattori decisivi sono anche i costi fissi di una determinata località come affitti, prezzi degli immobili e le spese per il pendolarismo. Il reddito liberamente disponibile è l’importo di cui dispongono le economie domestiche per i propri consumi dopo aver dedotto i carichi obbligatori e i costi fissi.

Il Ticino al 18° posto
Dato che tale importo varia a seconda delle caratteristiche specifiche di un’economia domestica il Credit Suisse ha calcolato il reddito liberamente disponibile per una serie di modelli di economia domestica in circa 2700 comuni svizzeri. Mentre sulla base dei calcoli precedenti era Appenzello Interno ad avere la maggiore attrattiva finanziaria come luogo di domicilio, ora in testa alla classifica dei cantoni si colloca Uri. Dal 2009 le economie domestiche del ceto medio nel canton Uri beneficiano di un carico fiscale decisamente ridotto con costi abitativi relativamente bassi. Sulla scala dell’indicatore RDI, i cantoni a prevalenza urbana come Ginevra, Basilea-Città, Vaud, Basilea-Campagna e Zurigo raggiungono valori inferiori alla media svizzera. Nel canton Zugo, fiscalmente più vantaggioso, gli affitti e i prezzi degli immobili hanno registrato aumenti superiori alla media facendo retrocedere il cantone di un posto in classifica. Il Ticino si classifica 18esimo: l’indicatore di reddito disponibile (RDI) raggiunge un valore di circa 0,5, poco al di sopra della media svizzera pari a 0, su uno spettro che va da l’oltre +2 di Uri (solo 11esimo tre anni or sono, ma da allora ha sgravato fiscalmente il ceto medio) al -4 di Ginevra. Rispetto al 2008 il cantone sudalpino ha migliorato leggermente il suo posizionamento nei confronti delle uscite obbligatorie. A livello di singoli comuni si segnalano valori inferiori allo 0 nella regione di Lugano in quella di Locarno, mentre il resto del territorio si inserisce nel segmento compreso fra 0 e 1. Molto più marcate sono invece le differenze nei Grigioni (salito dal 12esimo al 10mo rango), con alcuni comuni dell’Engadina che vanno sotto il -2.
25.05.2011

Svizzera. Maggior sostegno alle famiglie e più ecologia
Di Andreas Keiser, swissinfo.ch
Famiglie e abbandono del nucleare: il Partito popolare democratico punta su questi temi per le elezioni federali, accompagnato dallo slogan «Niente Svizzera senza di noi». Obiettivo: conservare il primo posto al Consiglio degli Stati e guadagnare due seggi in Consiglio nazionale.
 26 marzo: assemblea dei delegati del Partito popolare democratico (PPD) in un edificio anonimo di cemento armato a Wettingen, canton Argovia. Tra mezz’anno la Svizzera eleggerà un nuovo parlamento. Fukushima è sulle prima pagine dei giornali e domina le discussioni in seno all’assemblea.
Il tema principale dell’incontro, la sicurezza pubblica, slitta in secondo piano. Si doveva parlare del numero di poliziotti e di videocamere di sorveglianza necessarie a garantire la sicurezza del paese. Si finisce per parlare di nucleare.
Il presidente del partito Christophe Darbellay sostiene nel suo discorso la necessità di abbandonare l’energia nucleare e di incentivare le energie rinnovabili. Anche Doris Leuthard, ministra dell’energia, è presente. Lei mette in guardia il suo partito da decisioni affrettate e «slogan semplicistici».

10 maggio: «Non possiamo illuderci. La Svizzera abbandonerà il nucleare. La questione è come e quando», dice Darbellay a colloquio con swissinfo.ch. «Fukushima ha cambiato il mondo».
Il presidente si difende dall’accusa di una virata a 180 gradi nella politica energetica del partito: «La verità è che negli scorsi anni in parlamento siamo stati quelli che hanno ottenuto maggiori risultati nell’ambito dell’ecologia e della sostenibilità. Siamo il solo partito borghese che prende sul serio il tema della sostenibilità».
Darbellay ricorda il «ruolo decisivo» del suo partito nel programma d’incentivi per il risanamento energetico delle abitazioni, nella nuova legge sul CO2, nella promozione delle energie rinnovabili. «Questo ruolo è stato riconosciuto anche dalle associazioni ambientaliste, ma non è percepito a sufficienza dall’opinione pubblica».

Problema di immagine
Nelle elezioni cantonali di Zurigo e anche in una delle sue roccaforti, il canton Lucerna, il PPD ha perso molti voti e seggi a favore dei verdi e dei verdi-liberali. Gli elettori, evidentemente, non vedono nel PPD un partito ecologista.
«Credo che i media abbiano un certo peso in questo. C’è la tendenza a descrivere la realtà in bianco e nero», deplora Darbellay. Secondo il presidente del PPD, la polarizzazione del panorama politico fa sì che siano percepite «solo le posizioni estreme e vengano ignorate le buone soluzioni. È questo il nostro problema».
Per far fronte alla situazione e raggiungere l’obiettivo prefissato (17% alle prossime elezioni federali, 1,6 punti percentuali in più rispetto al 2007), Darbellay vuole rendere più nitido il profilo del suo partito. «In termini di ambiente e sostenibilità dobbiamo prendere posizione ancora più chiaramente. La posizione del PPD è determinante per la futura politica energetica. Dobbiamo venderla meglio».

Un tema che mobilita
Il partito punta inoltre sul tema della famiglia, uno dei suoi cavalli di battaglia tradizionali, con due iniziative popolari. Le iniziative chiedono la fine delle «discriminazioni» delle coppie sposate in ambito fiscale e pensionistico e l’esenzione fiscale degli assegni famigliari.
«Siamo fiduciosi di poter muovere molto con questi temi. Le nostre iniziative si rivolgono a tutte le famiglie e comportano molti vantaggi per la classe media, che si sente sempre più abbandonata», afferma Darbellay.
È la terza volta nella sua storia che il PPD ricorre allo strumento dell’iniziativa popolare. Negli anni Ottanta, il partito aveva proposto di introdurre un servizio civile con esame di coscienza, ma non era riuscito a raccogliere un numero sufficiente di firme per sottoporre l’iniziativa al voto popolare.
«Allora il partito era organizzato in modo completamente diverso e in ogni caso il tema non era davvero azzeccato. Stavolta abbiamo un tema che mobilita», assicura Darbellay.

Il fossato città-campagna
Tradizionalmente il PPD era forte nei cantoni rurali cattolici e piuttosto debole nei centri urbani. Da decenni il partito cerca di conquistare anche gli indecisi e gli elettori urbani. Nel partito, le opinioni dei rappresentanti delle campagne e delle città spesso divergono.
La consigliera federale Doris Leuthard ha per esempio presentato nel gennaio di quest’anno possibili soluzioni per la pianificazione territoriale e per la lotta alla cementificazione del paesaggio. Il «Progetto territoriale svizzero» prevede di densificare le zone urbane, ridurre i flussi di pendolari e nello stesso tempo preservare i paesaggi rurali e naturali del paese.
La pianificazione non dovrebbe più essere di competenza di ogni singolo comune, ma dovrebbe avvenire in collaborazione con cantone e Confederazione. La proposta si è scontrata con l’opposizione delle regioni periferiche e di montagna, le regioni in cui il PPD è maggiormente radicato.
Molti esponenti del partito provenienti da queste regioni hanno criticato aspramente la loro consigliera federale, accusando il «Progetto territoriale svizzero» di voler concentrare nelle città lo sviluppo edilizio ed economico del paese.

Impegno per il creato
Secondo Darbellay è però normale che in un partito popolare opinioni e interessi diversi talvolta si scontrino: «Non c’è nessun grande partito che non debba far i conti con particolari sensibilità regionali. Siamo un partito popolare e vogliamo rimanerlo. La varietà è anche una forza. Non siamo un partito dell’indottrinamento e non facciamo lavaggi del cervello. Difendiamo la coesione fra le diverse regioni del paese».
Darbellay non vede nessuna contraddizione neppure tra l’immagine di partito progressista e attento all’ambiente e le posizioni del PPD nelle roccaforti conservatrici del partito. «La nostra gente nelle campagne è molto sensibile alla questione ambientale. Forse perché la mette in relazione con il creato. Il nostro capogruppo in parlamento ha detto una volta che il PPD ha nel suo programma da 2000 anni la difesa del creato. I nostri membri non sono freak ecologisti, ma si impegnano con convinzione per difendere la natura e il creato».
Andreas Keiser, swissinfo.ch
Traduzione e adattamento: Andrea Tognina

Dall’Ue nuove misure contro l’immigrazione clandestina
 24 maggio 2011
Bruxelles - Una clausola di salvaguardia per reintrodurre rapidamente in Europa l’uso dei visti «in caso di improvvisi aumenti dei flussi migratori» dai Paesi, come quelli dei Balcani occidentali, dove essi sono stati liberalizzati; una nuova politica comune per l’asilo; l’avvio di accordi «su misura» con i Paesi del Nord Africa; facilitazioni per l’ingresso nella Ue di studenti, ricercatori e uomini d’affari. Sono i punti essenziali del pacchetto di misure contro l’immigrazione clandestina in Europa che è stato presentato oggi dalla Commissaria europea per gli affari interni, Cecilia Malmstrom.

 Secondo Bruxelles il pacchetto di misure, che fa seguito alla comunicazione del 4 maggio scorso, ha lo scopo di «gestire meglio i flussi migratori dalla sponda sud del Mediterraneo» e «far sì che il regolamento attuale dei visti non permetta abusi». Resta assolutamente cruciale, per la Commissione, «la solidarietà con gli Stati membri più esposti di fronte alle pressione resta assolutamente cruciale». «Quello che propongo oggi - ha detto la Commissaria - va oltre l’urgenza. Il nostro piano è quello di sviluppare una cooperazione più strutturata con i paesi del Nord Africa. È interesse tanto della Ue quanto dei paesi nordafricani di promuovere la mobilità ed una migrazione ben gestita».

Istat: popolazione italia sopra 60 mln, crescita solo grazie a immigrati
24 maggio 2011
ROMA (ITALPRESS) – Al 31 dicembre 2010 risiedevano in Italia 60.626.442 persone, con un incremento di 286.114 unita’ (+0,5%) dovuto esclusivamente alle migrazioni dall’estero. Lo rende noto l’Istat, spiegando che piu’ dei due terzi dell’incremento della popolazione si registra nelle regioni del Nord, mentre solo poco piu’ di un decimo nel Mezzogiorno. “Il movimento naturale della popolazione e’ negativo – sottolinea l’Istituto nazionale di statistica -. In particolare, sono nati quasi 7 mila bambini in meno rispetto all’anno precedente (si tratta di una riduzione pari a quella gia’ registrata nel corso del 2009)”.
 Il movimento migratorio con l’estero nel 2010 ha fatto registrare un saldo positivo pari a +380 mila unita’. Ogni mese del 2010 si sono iscritti in anagrafe circa 38 mila nuovi residenti provenienti dall’estero. Il movimento migratorio, sia interno sia dall’estero, e’ indirizzato prevalentemente verso le regioni del Nord e del Centro. Le famiglie anagrafiche sono 25 milioni e 193 mila; il numero medio di componenti per famiglia e’ pari a 2,4 e stabile rispetto al 2009.
 Nel 2010 il numero dei nati e’ diminuito rispetto al 2009 (-6.913, pari all’1,2%), seguendo un andamento gia’ registrato nel corso dell’anno precedente. Il decremento, seppur contenuto, si registra in tutte le ripartizioni, in particolare nelle due Isole (-1,8%), nelle regioni del Sud (-1,6%) e del Nord-ovest (-1,4%), mentre risulta piu’ lieve nel Centro (-0,6%) e nel Nord-est (-0,8%). A livello nazionale si conferma la diminuzione delle nascite gia’ osservata l’anno precedente, che aveva interrotto la serie positiva dell’aumento della natalita’. L’incremento registrato nel decennio appena concluso, era dovuto principalmente all’apporto alla natalita’ dato dalle donne straniere. Infatti, di pari passo con l’aumento di stranieri che vivono in Italia, anche l’incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati ha avuto un notevole incremento, passando dal 4,8% del 2000 al 13,9% del 2010; in valori assoluti da quasi 30 mila nati nel 2000 a quasi 80 mila nel 2010.
 Tuttavia, l’incremento che le donne straniere danno alla natalita’ non compensa la diminuzione dovuta a quello delle donne italiane. Infatti, “da un lato le donne italiane in eta’ riproduttiva (15-49 anni) fanno registrare una diminuzione della propensione alla procreazione, testimoniata dal tasso di fecondita’ stimato, che passa da 1,33 a 1,29 nel giro di un solo anno; dall’altro si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri, dovuto al prolungato calo delle nascite iniziato all’incirca a meta’ anni ’70, con effetti che si attendono ancora piu’ rilevanti in futuro”.
 Il numero di decessi, pari a 587.488, e’ inferiore di 4.175 unita’ a quello del 2009. Il tasso di mortalita’ e’ pari a 9,7 per mille, e varia da un minimo di 7,7 per mille nella provincia autonoma di Bolzano a un massimo di 13,3 per mille in Liguria, risultando in diminuzione in tutte le regioni, eccetto la Campania e le due province autonome di Trento e Bolzano (dove pero’ presenta valori di gran lunga inferiori alla
 media nazionale). Complessivamente e’ piu’ elevato nelle regioni del Centro-Nord, tradizionalmente a piu’ forte invecchiamento.
 (ITALPRESS).

Emilia Romagna sempre più affollata
Bologna segna +8,5 per cento
I dati raccolti dall'ufficio di Statistica dell'Emilia Romanga confermano il trend di crescita della popolazione iniziato a metà degli anni Novanta. Grazie agli stranieri, i residenti in regione sono 4.432.439 (+0,84% rispetto al 2010)
Bologna, 24 maggio 2011 - Cresce la popolazione dell'Emilia-Romagna, grazie soprattutto agli stranieri, i residenti in regione sono 4.432.439 (2.281.302 femmine e 2.151.137 maschi), con un aumento di 36.833 unita' rispetto allo stesso periodo del 2010 (+0.84%). I dati, aggiornati al 1 gennaio 2011 e raccolti dall'ufficio Statistica della Regione in collaborazione con gli uffici statistica delle Province, confermano ancora una volta il trend di crescita della popolazione iniziato a metà degli anni Novanta.
Nonostante un rallentamento rispetto all'incremento dello 0,91% registrato nel 2010, il ritmo di crescita si mantiene in linea con quello medio dell'ultimo decennio. A livello provinciale l'intervallo di variazione della crescita della popolazione va dal +1,2% della provincia di Rimini, al +0,3% di Ferrara, che insieme alla provincia di Piacenza, sono i territori che mostrano gli incrementi inferiori alla media regionale. L'incremento complessivo della popolazione residente negli ultimi 10 anni e' del 10,1%.
Secondo l'assessore regionale allo Sviluppo delle risorse umane e Organizzazione Donatella Bortolazzi "il trend di crescita della popolazione, oramai consolidato negli ultimi quindici anni, rappresenta un elemento positivo e una garanzia per il futuro che si accompagna all'allungamento della vita'. Ad una 'popolazione come quella dell'Emilia-Romagna che si sta trasformando e crescendo, occorre rispondere con nuove e specifiche politiche territoriali e adeguati servizi. Conoscere queste dinamiche rappresenta un elemento essenziale per definire le politiche di programmazione settoriale e per tendere, con equilibrio, ad una comunita' solidale e coesa"
Per quanto riguarda i residenti stranieri 'il dato dimostra che la crescita c'e', ma che si sta stabilizzando", commenta l'assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi. La presenza straniera comporta indubbiamente un "ringiovanimento" complessivo della popolazione regionale: un "effetto a cui noi guardiamo con grande interesse perche' ci fa ben sperare per il futuro, anche in un'ottica di sostegno al mondo produttivo, al lavoro'.
L'aumento della popolazione non riguarda tutte le fasce di eta': a livello regionale nell'ultimo decennio la popolazione di eta' compresa tra i 15 e i 39 anni e' diminuita di circa 60mila unita' mentre e' aumentata in tutte le altre fasce di eta'. Solo la provincia di Reggio Emilia fa registrare in tale periodo un aumento (+3%) della popolazione nella fascia 15-39 anni, mentre tra tutte le altre province con dato negativo, Ferrara, con -13,7%, e' quella col calo maggiore dei giovani.
La provincia piu' giovane dell'Emilia-Romagna e' Reggio Emilia, con il 15,2% della popolazione sotto i 15 anni e poco meno del 20% anziana: il suo indice di vecchiaia e' pari a 128,8 (circa 1,3 anziani per ogni giovane). Ferrara risulta la provincia piu' vecchia, dove solo il 10,9% della popolazione ha un'eta' inferiore a 15 anni, mentre il 25,3% e' anziana, raggiungendo un indice di vecchiaia di 231, pari quindi a 2,3 anziani per giovane (a fronte di una media regionale di 1,7 anziani per giovane di eta' tra 0 e 14 anni).
In termini di distribuzione territoriale negli ultimi 10 anni cresce sia la popolazione residente in pianura (+11,5%), sia quella in collina (+8,3%), sia in montagna (+1,4%).
fonte dire

Istat, Giovannini: dati povertà stabili a 13%, no 25%
In mattinata Tremonti aveva dichiarato di considerare "discutibile" il dato di 1 italiano su 4 in povertà
Roma, 24 mag (Il Velino) - I giornali hanno confuso i dati sulla povertà col rischio di povertà e il rischio di esclusione sociale. A margine di un’audizione alla commissione Agricoltura della Camera il presidente dell’Istat Enrico Giovannini è tornato sul Rapporto annuale diffuso ieri dall’Istituto di statistica. “Purtroppo - spiega Giovannini - alcuni giornali hanno confuso le cose. L’indicatore della povertà è stabile al 13 per cento, mentre al 25 per cento è l'indicatore, scelto dai Governi a livello europeo, che comprende i rischi di povertà e i rischi di esclusione sociale”. Una conferma quindi delle perplessità sollevate in mattinata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ha detto di considerare “discutibile quella rappresentazione”. Il ministro dell’Economia ha spiegato che non nega che ci siano situazioni di difficoltà nel Paese, ma complessivamente “la ricchezza in Italia non è scesa in questo decennio, ma anzi è salita. Questo risulta dalle statistiche ufficiali”.
(red) 24 mag 2011 15:59

Reggio Emilia. «La povertà è diventata cronica»
Marzocchini: «Con le risorse che abbiamo, prima o poi dovremo fermarci»
di Roberto Fontanili
«La povertà è diventata cronica ed è sempre più difficile uscirne. E i tagli ai servizi sociali si sente». Una situazione che, ha detto ieri il direttore della Caritas Gianmarco Marzocchini nel presentare il Report 2010 sulle povertà, impone alla struttura diocesana una riflessione.  «Dobbiamo - ha sottolineato - restare fedeli al nostro compito di centro di ascolto e con le risorse che abbiano a un certo punto dovremo fermarci».  Nel 2010 sono stati 2.663 gli interventi messi in campo dalla Caritas e in oltre 2mila di questi si è trattato di fornire beni materiali, a partire dalla mensa e in diversi casi le persone sono state dirottate su altre strutture come per i buoni affitto e in caso di sfratto.  Poi da Marzocchini arriva una pacata ma sfiduciata analisi sul futuro: «Mancano politiche adeguate ad affrontare la situazione economica e la miseria che cresce, con il Governo che fatica a prendersi in carico la povertà».  Se anche la Caritas diocesana dovesse arrendersi, la situazione si complicherebbe ancora di più, ma rispondere a tutti e a tutte le richieste è impossibile. Crescono gli uomini che chiedono aiuto (l'80% delle richieste) che in molti casi alle spalle hanno una famiglia. E se in passato a rivolgersi alla Caritas erano molto spesso immigrati clandestini (che restano ancora tanti non trovando altre risposte) ora sono anche famiglie numerose che assieme ai single sono quelli più in difficoltà.  L'84% di chi arriva alla Caritas è straniero, ma ci sono anche gli italiani e non solo quelli che arrivano dal sud (c'è chi viene dalla vicina Modena). Crescono quelli che hanno più di 55 anni (che per le statistiche figurano tra gli anziani) ma che sono capifamiglia espulsi dal mondo del lavoro e che non hanno problemi di solitudine o di relazione come in passato. Ora il loro problema è economico e tra chi arriva in via Adua c'è anche chi possiede una casa gravata dal mutuo «e resiste fino all'ultimo per non perderla», dice il direttore della Caritas e ancora chi non riesce nemmeno a pagare bollette e le spese condominali.  E' la conferma che la miseria c'è e che i nuovi poveri sono in aumento. Una riprova arriva anche dall'annuale rapporto Istat diffuso ieri e da cui emerge come una famiglia italiana su quattro è vicino alla soglia di povertà. «Il limite è fissato a poco meno di mille euro al mese», spiega Marzocchini, per poi aggiungere che anche i dati della Caritas diocesana confermano questa situazione anche a Reggio.  E se cala di 250 il numero di chi si è rivolto nel 2010 al centro di via Adua, rispetto al 2009, aumenta il numero delle volte che le stesse persone chiedono aiuto (5.382 rispetto ai 5.082 del 2009).  Se prima le richieste erano quelle per la mensa o per dormire, oggi ci si rivolge alla Caritas per qualsiasi cosa. E a fronte dell'aumento degli uomini soli e delle famiglie numerose, sono in calo i giovani (dai 19 ai 24 anni) che non avendo vincoli con il territorio, se ne sono andati da Reggio. E non è un caso se nel 63% dei casi in via Adua ci finisce chi è disoccupato. In calo le richieste di chi invece un lavoro ce l'ha (91 rispetto alle 131 del 2009), ma si tratta di persone con redditi che nel 60% dei casi non arrivano a 600 euro e per il 95% dei casi sono al di sotto della fatidica soglia dei 1.000 euro di cui si parla a livello nazionale.

Multinazionali in fuga dalla Marca
Electrolux, Ggp: l'esodo delle big company costa 1.200 posti. Ma c'è anche chi resta
di Enrico Lorenzo Tidona
TREVISO. Non bastano più inventiva, riconoscimenti e specializzazione. Nell'ultimo anno è ripreso ad affondare l'appeal della Marca tra le multinazionali, che a suon di delocalizzazioni hanno dato vita a un nuovo esodo. Il primo capitolo del pesante bilancio in rosso riguarda la perdita secca dei posti di lavoro: 1.200 quelli svaniti per iniziativa delle big company straniere, decise a recidere i rami secchi in favore di una delocalizzazione - in buona parte produttiva - verso l'Est e l'estremo oriente, dove vale la solita formula vincente: bassi costi, forti incentivi e alti rendimenti. E non si tratta del semplice allontanamento dai mercati cronicamente depressi della vecchia Europa. A soffrire infatti non è solo la manodopera, con fuoriuscite trasversali che stanno segnando un crescendo tra i colletti bianchi, dirigenti compresi, con decapitazione della testa delle imprese. L'ultimo colpo che ha messo ko 230 lavoratori trevigiani è arrivato dalla Ggp, azienda svedese leader nella produzione di macchine per lo sfalcio dell'erba, che ha annunciato il taglio di un terzo dei dipendenti della sede europea di Castelfranco per trasferire parte della produzione in Slovacchia, avvicinando così i costi di produzione a quelli dall'inarrestabile concorrenza cinese, che ha portato all'esasperazione la già terribile battaglia sui prezzi. Sempre dalla Svezia è arrivato l'altro colpo allo stomaco produttivo della Marca, sferrato dalla Elextrolux, tornata a ingranare la retromarcia sugli investimenti con un un taglio di 453 persone nel solo stabilimento di Susegana, che ha ridotto di 1.000 addetti la forza lavoro in solo 10 anni. Bruciano ancora casi come quello della Indesit di Refrontolo, dove persero il posto 100 persone, operai altamente specializzate, rimaste a piedi per decisione del gruppo Merloni, che ha archiviato i premi vinti dalla filiale trevigiana per dare il via a una fase di ristrutturazione. Stessa sorte per la Gatorade di Silea, fabbrica modello chiusa dal giorno alla notte per dare fiato al nuovo piano industriale della Pepsico Italia, controllata dall'omonima casa madre americana. Tutti esempi di industrie ritenute il punto di riferimento per raggiungere la salvezza, sgretolatisi sotto i colpi della crisi, diventata in parte il pretesto per mettere in piedi riorganizzazioni fino a prima fuori discussione. Così a ridurre il personale sono stati anche big di casa nostra, come Benetton Group che dopo la chiusura di Olimpias a Follina (78 dipendenti) lascerà a casa 70 impiegati e e 22 operai, come fatto da North Face, baluardo della Sportsystem che taglia 80 posti per trasferire parte della quartier generale europeo a Lugano. Il contrappeso è offerto da chi resta, come Ali Group (azionista di 9 imprese della Inox valley), o l'americana Applied Materials (ex Baccini di Olmi), senza dimenticare casi come Navteq (Nokia) e Basf (ex Mac di Treviso) che portano in dote alle Marca investimenti e ricerca ai massimi livelli mondiali. 24 maggio 2011

Parma. Pomodoro da industria, si preannuncia una campagna soddisfacente
di Mara Troni
La campagna di raccolta e trasformazione del pomodoro da industria si preannuncia soddisfacente. Le buone condizioni climatiche, che stanno caratterizzando la primavera, hanno permesso l’esecuzione regolare dei trapianti delle piante di pomodoro e creato le condizioni per un loro sviluppo equilibrato. I trapianti, che hanno preso avvio ad aprile, hanno raggiunto il 65-70% del totale ed entro la prossima settimana, se le condizioni meteo non cambiano, dovrebbero terminare. «Le piante si presentano in buono stato - ha commentato Filippo Arata, presidente di Ainpo - qualche perplessità c'è per i primi trapianti che sono stati sottoposti a forti escursioni termiche tra giorno e notte limitandone la crescita ma favorendo l’emissione di molti fiori rispetto allo sviluppo con il rischio, futuro, di non riuscite a portare a termine la maturazione di tutte le bacche».  Il bel tempo però ha portato con sé la siccità che sta obbligando gli agricoltori ad innaffiare i campi trapiantati in un periodo in cui solitamente non si fa e con un aggravio dei costi di produzione. «Ci sono tutti i presupposti per una campagna positiva - ha commentato Gianni Brusatassi presidente di Asipo - l’auspicio è di avere produzioni elevate per fronteggiare da un lato 15% in meno di prodotto contrattato sia al nord che al sud del Paese, e dall’altro accompagnare la timida ripresa del mercato dei prodotti finiti». Le condizioni di mercato non sono, invece, positive per il concentrato mentre, sono ormai esaurite, le scorte di polpa e per questo si sta contrattando quella che si andrà a produrre nella campagna di trasformazione targata 2011.

«Si intravedono buone opportunità per le fabbriche di prodotti finiti - ha commentato Gianni Brusatassi - mentre quelle da concentrato, avranno più difficoltà, al sud si stanno esaurendo le scorte di pelati creando le condizioni per un buon lavoro da parte degli stabilimenti di quei luoghi». Sul fronte politico dell’interprofessione, che ha sede a Roma, si sta delineando la divisione tra gli organismi che si occupano del prodotto lavorato e quelli che trattano il fresco. «Nasceranno due organizzazioni interprofessionali - ha puntualizzato Brusatassi - in futuro, per quella che si occuperà del trasformato, si prevede la definizione di due distretti (nord e sud) autonomi, ognuno con le proprie peculiarità di prodotto facenti capo, però, all’organizzazione interprofessionale nazionale per quel che attiene la programmazione complessiva e i riferimenti comunitari». La divisione dell’interprofessione unica sarà trattata in un convegno che si preoccuperà di interpellare tutti gli attori della filiera. «E’ evidente che per tutte le componenti, del nord e del sud, è necessario fare un passo in dietro, ha sostenuto Gianni Brusatassi - ma tutto nell’ottica di poterne fare uno definitivo in avanti nell’interesse della politica nazionale del pomodoro».

Bozen. Alto Adige: il governatore del Tirolo chiede grazia per i terroristi degli anni Sessanta
Il dibattito è in corso da anni ed e' stato reso attuale dall'approssimarsi del 50/o anniversario della Notte dei fuochi, (12 giugno '61) quando in Alto Adige i separatisti fecero saltare in aria una serie di piloni dell'alta tensione
BOLZANO. I Popolari della regione austriaca del Tirolo tornano alla carica con la richiesta di un provvedimento di clemenza a favore di alcuni ex terroristi altoatesini degli anni sessanta. La richiesta è stata ribadita da Guenther Platter, capo del governo della regione austriaca del Tirolo. Il dibattito è in corso da anni ed è stato reso attuale dall'approssimarsi del 50/o anniversario della Notte dei fuochi, (12 giugno '61) quando in Alto Adige i separatisti fecero saltare in aria una serie di piloni dell'alta tensione.

Mentre in Alto Adige ci si appresta a ricordare in varie maniere l'anniversario, dall'altra parte del Brennero interviene Platter, ribadendo la richiesta di un provvedimento di clemenza e ricordando i numerosi interventi in questo senso da parte di Vienna. E, mentre la richiesta suscita l'immediato plauso a Bolzano di Suedtiroler Freiheit, il partito di Eva Klotz che si batte per lo Stato libero del Sudtirolo, a Innsbruck si leva la voce contraria dei Verdi, con la deputata regionale Gebi Mair che ha sottolineato come sia difficile pensare ad un provvedimento di clemenza di fronte all'assenza di un pentimento da parte dei destinatari. 24 maggio 2011

Firenze. Lo sconto all'asilo... fino a 25 anni
Il Comune ha deciso di inserire anche i figli fino a 25 anni, per calcolare gli sconti per i servizi di asili nido e mensa gestiti da Palazzo Vecchio
I figli (a carico) sono «piezz ’e core» Ma soprattutto costano, anche se sono diventati maggiorenni e ancora non lavorano. Il Comune ha deciso di inserire anche loro, fino all’età di 25 anni, per calcolare gli sconti per i servizi di asili nido e mensa gestiti da Palazzo Vecchio. Il provvedimento, approvato in giunta, prevede anche nuove sanzioni, più dure, per chi «bara» sul reddito per rientrare nelle fasce più basse di calcolo del costo mensile. Finora, gli sconti erano possibili se due o più figli erano presenti negli asili nido e nelle scuole elementari, e solo fino alla fascia di reddito Isee (reddito equivalente) di 22.500 euro.

Adesso, lo sconto si applica partendo dal numero dei figli, anche se sono più grandi (fino a 25 anni, appunto) comunque presenti nel nucleo familiare (quindi residenti con i genitori) e senza redditi propri. «A partire dal prossimo anno scolastico – ha spiegato l’assessore alla pubblica istruzione Rosa Maria Di Giorgi - anche alle famiglie numerose con attestazione Isee, l’indice reddituale e patrimoniale, fino alla dodicesima fascia, pari a 32.500 euro, si applica un abbattimento percentuale sulle tariffe, calcolando lo sconto sul numero totale dei figli anziché solo su quelli che frequentano i servizi».

Così, se la famiglia ha tre figli, lo sconto è del 30 per cento sulle tariffe dei nidi e dei servizi di supporto alla scuola (refezione, trasporto scolastico, borse di studio e buoni libro). Se ne ha 4, il 40. Se ne cinque, paga la metà della tariffa riferita alla fascia di reddito della famiglia stessa. Il regolamento per le tariffe dei nidi e dei servizi di supporto alla scuola (visionabile a breve sul sito internet del Comune) prevede anche una «stangata» per chi fa il furbo. «Chi truffa l’amministrazione dovrà sborsare il triplo del beneficio economico conseguito con la dichiarazione falsa, oltre a versare la somma che non ha pagato — spiega l’assessore Di Giorgi — Una scelta di equità a sostegno della famiglia e una particolare attenzione, con l’aiuto della guardia di finanza, alla tutela della legalità».
Marzio Fatucchi

Palermo. Fincantieri, mercoledì assemblea ai Cantieri Navali di Palermo
A rischio il settore delle costruzioni. I lavoratori, assieme a Fiom, Fim e Uilm, dovranno stabilire le azioni da intraprendere dopo la presentazione del piano di tagli
PALERMO - Ai Cantieri navali di Palermo mercoledì mattina si terrà un’assemblea dei lavoratori Fincantieri assieme a Fiom, Fim e Uilm, per stabilire le azioni da intraprendere dopo la presentazione del piano di tagli da parte del gruppo.

«È un’idea nefasta e inaccettabile. Palermo verrà colpita in modo particolare», dice il segretario della Camera del lavoro Maurizio Calà, «perché perderà una delle tre grandi missioni del cantiere: il settore delle costruzioni, che occupa non solo i 500 lavoratori diretti ma anche quelli dell’indotto, come i 2000 che hanno lavorato per lo Scarabeo, l’ultima nave che è stata realizzata al porto».

«Perdere il settore delle costruzioni - aggiunge Calà - e mantenere solo le riparazioni e le trasformazioni navali porterebbe il Cantiere navale di Palermo, nel tempo, a una chiusura totale o parziale. Tutti gli accordi, compreso l’ultimo sottoscritto alla Regione, si basano sull’esistenza delle tre gamme produttive. Siamo pronti a dare battaglia e chiediamo il sostegno della politica e degli amministratori».

Fincantieri, la rabbia di Genova
 25 maggio 2011 Giuliano Gnecco
Sara Olivieri
(ha collaborato Alberto Quarati)
Genova - Dopo il piano industriale di Fincantieri, che prevede la chiusura degli stabilimenti di Sestri Ponente e Castellammare di Stabia, oltre a esuberi in tutta Italia per 2.551 persone, ieri è stato il giorno della protesta e del terremoto istituzionale. Prima del nuovo incontro azienda-sindacati del 6 giugno, il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, ha fissato d’urgenza un vertice con i rappresentanti dei lavoratori tre giorni prima, il 3. Perché quando si accende la protesta in un’azienda con 9.000 dipendenti, bisogna cominciare a muoversi con la dovuta attenzione. Ieri a Genova, mentre era in corso una difficile mediazione in prefettura, la piazza ha registrato diversi episodi di violenza. Le cose vanno anche peggio a a Castellammare, mentre a Riva Trigoso (altro stabilimento ligure che pagherà un prezzo pesantissimo alla ristrutturazione) i dipendenti hanno invaso l’autostrada. Intanto, mentre l’amministratore delegato della società, Giuseppe Bono, dirama un comunicato ai dirigenti («il piano serve per salvarci») nel consiglio regionale ligure il centrodestra registra una clamorosa spaccatura proprio sul nodo Fincantieri.

Ma ieri è stata soprattutto la giornata della piazza: i lavoratori dello stabilimento di Sestri, accompagnati e sostenuti dai dipendenti delle altre grandi aziende del ponente («Questa è una battaglia dell’intera città» ribadisce il sindaco Marta Vincenzi, che sfila con la fascia tricolore) hanno marciato dal cantiere alla prefettura di Genova, nel centro della città. Una marcia colorata, rumorosa ma pacifica. Poi però, è bastata una scintilla per fare divampare l’incendio. Gli operai chiedevano di incontrare il prefetto Francesco Antonio Musolino: hanno trovato un cordone di polizia in assetto anti sommossa.Hanno poi provato a entrare nel palazzo della prefettura, gli agenti li hanno respinti. Sono entrati invece politici, sindacalisti e rappresentanti delle istituzioni. Vincenzi è profetica: «Se continuano a tenerli lì così, scoppia casino». Fa appena in tempo a terminare la frase, che gli operai tentano di nuovo di forzare gli blocco: la reazione provoca scene da guerriglia urbana. Con lancio di oggetti, petardi e fumogeni, ma anche manganellate. È stata sequestrata una bandiera rossa: l’asta era utilizzata come arma impropria contro gli agenti. Il portone della Prefettura viene blindato. La tensione cresce, mentre al piano nobile i telefoni sono roventi sulla linea Genova-Roma: Musolino e Claudio Burlando scambiano continue chiamate con il sottosegretario Gianni Letta e con il ministro Romani. Musolino media: «Mantenete la capoccia sulla testa, ce la facciamo» tranquillizza i rappresentanti sindacali. I manifestanti non mollano, almeno fino alle 16.00 quando arriva il fax con la convocazione al ministero, davanti a Romani: il 3 giugno, nuovo round di una trattativa drammatica.

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