lunedì 30 maggio 2011

Federali Sera-30 maggio 2011. Belgrado, nazionalisti serbi in piazza, Mladic è un eroe.----Bozen. Qui siamo abituati alla Provincia Babbo Natale, ma il sistema dovrà riconvertirsi se vorrà (e dovrà) difendere il benessere.----Padova. Noi abbiamo fatto la nostra parte, ora tocca al Governo organizzare l'accoglienza spiega l'assessore ai Servizi sociali Fabio Verlato. I tunisini, infatti, per ora sono totalmente a carico della solidarietà padovana. Mangeranno a pranzo dai padri cappuccini di San Leopoldo Mandic e, in caso, dai rogazionisti de La Bussola, mentre la sera saranno accolti dalle cucine popolari di Suor Lia.

E’ tempo di restituire la pensione:
Il mistero di Gheddafi
Belgrado, nazionalisti serbi in piazza «Mladic è un eroe». Rischio di incidenti
Bozen. La Thaler e il cambio di mentalità

La XV panzer del feldmaresciallo Luis invade il bellunese!:
Belluno. Il tedesco già dalle Elementari

La XV panzer del feldmaresciallo Luis produce profughi:
Belluno. Feltre: pazienti in fuga, l'Usl si interroga  
Profughi a Padova, tunisini dirottati in tre parrocchie
Jesolo. Profughi, arrivi per tutta l'estate


Il mistero di Gheddafi
Notizie dalla Libia e minacce di al Qaida, così la Tunisia si prepara alle prime elezioni libere
Tunisi. La guerra dei ballottaggi italiani è una guerra dimenticata, per i tunisini. L’unico voto che interessa è quello per le prime elezioni libere, che probabilmente saranno spostate dal 24 luglio al 16 ottobre. L’unica proiezione ruota attorno a una domanda – quanto durerà il vicino scomodo Gheddafi ? – il solo exit poll che accende le curiosità ruota attorno a un piccolo mistero: dove sono Safia e Aisha, moglie e figlia di Gheddafi? La prima questione – il voto che eleggerà la Costituente – è ancora piuttosto confusa, perché sono ormai una sessantina i partiti formatisi nell’arena improvvisamente libera, e il tema all’ordine del giorno è ancora quello del recupero delle ricchezze accumulate in Svizzera da Ben Alì. Ma, tra incertezze, sospetti e disillusioni, si respira ancora l’euforia della libertà e l’orgoglio di essere stati i primi, nel mondo arabo, a mostrare la via per liberarsi dai despoti.

Le radio trasmettono barzellette sul conto del nuovo, anziano presidente provvisorio, Essebsi, la centrale piazza della capitale che era dedicata al 7 novembre, data del colpo di stato che 23 anni fa portò al potere Ben Alì, si chiama piazza Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante di frutta e verdura che, dandosi fuoco lo scorso dicembre, accese la rivoluzione. A preoccupare è, piuttosto, la situazione ai confini del paese. La scorsa settimana a Rouhia, nei pressi del confine algerino, un tassista, insospettito del fatto che due clienti non volevano deporre nel bagagliaio i propri zainetti, ha rifiutato la corsa. E lo stesso ha fatto il collega che lo seguiva, nel posteggio di auto pubbliche. Circondati dai tassisti, i due si sono allontanati in fretta, inseguiti da una folla. Qualcuno ha chiamato le forze dell’ordine, e due militari sono rimasti uccisi nello scontro a fuoco che ha posto fine all’inseguimento. Erano ben armati, e non è chiaro se, provenienti dall’Algeria, fossero intenzionati a fermarsi in Tunisia o fossero diretti in Libia per combattere Gheddafi.

Più chiara è la composizione del gruppo, legato ad al Qaida del Maghreb: nove membri, tra cui libici e algerini, con a capo un ventiseienne tunisino, Nabil Saadou, cresciuto in un ambiente sufi nel sud desertico del paese, e poi improvvisamente virato su un’attività meno contemplativa.

Dall’altro lato, al confine con la Libia, ogni settimana i volontari di ciascuna regione tunisina si danno il cambio per assistere i profughi. In questi giorni l’esodo si è spostato a sud, dove passano il confine migliaia di berberi provenienti dalle montagne di Nefusa, dove tre cittadine – Ifren, Q’Aala e Kikla – sono assediate da tre mesi: piccole e sconosciute Misurata. Sulla costa, il valico di Ras Jedir è quello usato dagli ultimi immigrati (sabato quattro eritrei sono morti nell’incendio delle loro tende, e tre sudanesi che stranamente cercavano il percorso inverso sono stati uccisi dalle guardie di frontiera libiche) e dalla nomenclatura per lasciare la Libia. Da lì sarebbero passate, velate dalla testa ai piedi, Safia e Aisha, moglie e figlia del raìs. Fonti ufficiali tunisine smentiscono la loro presenza, ma le versioni sul loro ingresso – con passaporto falso, o nella confusione di un improvviso black out elettrico durato mezz’ora al posto di confine – si incrociano con le ipotesi sul loro rifugio. Il figlio maggiore del raìs, Mohamed, presidente della più grande compagnia di telefonia mobile libica, si troverebbe in una clinica di Djerba, in cura per depressione. E Safia e Aisha, la Claudia Schiffer del Sahara (più seducente chiamarla così che ricordare la sua intervista al londinese Asharq alAwsat: “Chi è contro Gheddafi non merita di vivere”)? All’hotel Dar Djerba, di proprietà della famiglia Gheddafi, non ci sono. Un uomo d’affari tunisino mi ha detto, ieri, che si trovano, inavvicinabili, all’Hotel Borj el Kebir Fort. Come centinaia di rifugiati illustri, sparsi con le famiglie tra gli hotel più lussuosi della costa. Giovedì scorso un funzionario di Gheddafi ha versato in una banca cinquanta milioni di euro in contanti.

In Tunisia il numero dei rifugiati libici ufficiale ammonta ormai a 700 mila, ma almeno altri 500 mila non sono registrati. Nella sola Djerba ci sono quattromila oppositori di Gheddafi. “Sono venuti a cercare un po’ di  pace separata da noi – ha detto il mio interlocutore – e va bene, siamo fratelli. Ma ci è costato un cinquanta per cento di turismo europeo in meno”. Sotto un vento insolito per maggio, e un cielo carico di piovaschi, pochi turisti tedeschi e belgi camminano curvi sul lungomare.
di Toni Capuozzo

Belgrado, nazionalisti serbi in piazza «Mladic è un eroe». Rischio di incidenti
Primi momenti di tensione, protesta per l'arresto del generale consegnato alla giustizia internazionale
MILANO - Almeno diecimila ultranazionalisti serbi sono scesi in piazza a Belgrado per protestare contro l'arresto del generale Ratko Mladic, latitante da 16 anni. Mladic sarà giudicato al Tribunale Penale per i Crimini nella ex Jugoslavia dell'Aja per crimindi di gierra durante la geurra di Bosnia (1992-1995) tra cui il massacro di 8.000 musulmani a Sebrenica. Le autorità hanno schierato centianai di poliziotti in assetto antisommossa temendo possibili scontri. I manifestanti con le bandiere del Partito Radiccale Serbo (Srs) di estrema destra hanno inneggiato: «Mladic è un eroe serbo». Ci sono tensioni con i manifestanti davanti al Parlamento di Belgrado. Alcuni petardi e fumogeni sono esplosi nel mezzo della folla, e si teme che possano dare il via a violenze di piazza come quelle viste nel luglio del 2008 in seguito all'arresto dell'altro sospetto genocida, Radovan Karadzic.

Bozen. La Thaler e il cambio di mentalità
di Sergio Baraldi
 L’intervista che l’on. Helga Thaler ha rilasciato all’Alto Adige è una delle riflessioni più importanti che siano state pubblicate negli ultimi mesi. L’on. Thaler è partita dal federalismo per indicare una prospettiva che pochi, finora, avevano delineato con tanta chiarezza: il sistema Alto Adige deve cambiare, deve avviare un profondo ripensamento. Il nostro bravo giornalista Mirco Marchiodi, rendendosi conto del peso degli argomenti dell’on. Thaler ha ritenuto di dovere sottolineare il termine tedesco che la deputata utilizzava: “Umbruch”, che significa rottura ma, insieme, ripartenza. E ha fatto bene. Perché lo scenario che la Thaler propone somiglia molto all’idea di Grande Riforma per l’Alto Adige del 2020 che il nostro giornale sostiene da tempo. Se un’osservazione si può fare alla deputata, è che non c’è bisogno di attendere il federalismo per avviare il mutamento. Anche perché non siamo del tutto certi che il governo Berlusconi, dopo i ballottaggi di oggi, abbia la forza politica per procedere su quella strada. Lo scenario europeo e internazionale disegna la sfida che la Thaler, giustamente, mette in risalto. Il federalismo, se mai scattasse, rafforzerebbe una tendenza già in atto. E qual è questa tendenza? Quella che tutti gli stati stanno avviando un’azione per garantire la sostenibilità dei conti pubblici messa a dura prova dalla crisi.
 Anche perché i disavanzi esplosi in alcuni paesi e i problemi degli altri rischiano di avere un riflesso negativo sulla ripresa leggera che sembra in atto e che, invece, ha bisogno di irrobustirsi. Inoltre, lo squilibrio dei conti pubblici potrebbe riservare delle sorprese sia sul lato dell’inflazione sia sui tassi a lungo termine. Non è certo un segreto il fatto che in alcuni paesi i premi sui rischi del debito sovrano (vale a dire i tassi dei titoli pubblici) sono molto elevati e possono avere un effetto negativo sull’andamento dei mercati finanziari. E’ un circuito in cui tutto è interdipendente, ma in una fase dominata dall’incertezza, la salute dei conti pubblici è al centro dell’attenzione, dopo che l’o nda d’urto della crisi in qualche modo è stata arginata. I paesi europei, ma anche gli Usa, devono varare politiche di bilancio finalizzate a contenere i deficit e ridurre il debito. Solo per l’I talia, secondo i calcoli della Corte dei Conti, sarà necessaria una correzione di oltre 40 miliardi di euro. Esistono ipotesi più benevole, ma resta che l’imperativo categorico sarà, ancora, tagliare i costi. Se a questo quadro, che l’on. Thaler conosce bene, dovesse aggiungersi il federalismo con la responsabilizzazione delle istituzioni locali, si capisce quale cambiamento l’Alto Adige deve prepararsi ad affrontare. E si capisce perché il nostro giornale insiste, da mesi, perché i partiti e le parti sociali, diventino protagonisti di un dibattito sulla Grande Riforma che, volenti o nolenti, dovremo attuare. Molte cose dovranno cambiare, ma la cosa più difficile sarà cambiare la mentalità e la cultura del territorio e della politica che la governa. Siamo pronti a farlo? Ci sono segnali positivi e negativi. L’uscita chiara e motivata della Thaler è un atto positivo, perché contribuisce a creare nell’opinione pubblica la consapevolezza di quello che ci attende. La recente decisione di Durnwalder di tagliare del 5 per cento i dipendenti pubblici (più del previsto) è un altro atto che va nella direzione giusta. Il progetto messo a punto dal mondo imprenditoriale, dalla Camera di Commercio di Ebner e dall’associazione industriali del presidente Pan, ha aperto la strada a questo tema che, oggi, è la questione fondamentale che deciderà dei prossimi anni. Anche perché il cambiamento è necessario per un’altra ragione: l’Alto Adige deve avviare un processo di modernizzazione profondo per consentire al suo sistema economico di evolvere e competere sui mercati internazionali. Occorrerà cambiare l’ordine delle priorità. Si dovrà ridisegnare il confine tra pubblico e mercato che, in questo territorio è sbilanciato verso il pubblico. Si dovrà aprire alla concorrenza. Sarà necessario ragionare sul fatto che l’occupazione, in futuro, sarà assicurata più dal settore privato che dal tradizionale posto pubblico. Dovranno cambiare gli asset sui quali investire risorse, che sono l’innovazione, la ricerca, e il sistema dell’istruzione (plurilinguismo in testa) oltre alle infrastrutture. Il sistema è chiamato a compiere un salto verso la qualità. La modernizzazione dell’Alto Adige diventerà la struttura-hardware su cui poggiare l’ammodernamento dell’Autonomia con uno Statuto-software che riconosca più spazio ai diritti, che favorisca l’integrazione più che la separazione nella stessa terra, che offra opportunità agli individui piuttosto che ai gruppi etnici. Economia e diritto dovranno camminare insieme con la guida della politica. E’ questa visione che sostanzia la Grande Riforma per il 2020 che rappresenta l’interesse generale della società, qualunque lingua parli. Oggi le condizioni ci consentono di progettare il futuro con relativa tranquillità e ridurre i sacrifici. Se si perde l’occasione e il tempo passa, governare processi così complessi diventerà più duro e costoso. Da questo punto di vista, l’Alto Adige deve riconoscere il fatto che l’Europa e il mondo ci cambieranno anche contro la nostra volontà. La scelta consiste nel decidere se subire le trasformazioni suscitate dalla modernità, oppure se negoziare, venire a patti, riuscire a preservare una prospettiva altoatesina dentro quella nazionale ed europea. Se cioè la connessione con lo sviluppo globale avverrà o no a danno della nuova identità che insieme dovremo costruire. L’ostacolo maggiore, a mio avviso, sta proprio nel cambio di cultura della società e soprattutto della rappresentanza politica. Non a caso la Thaler (che conosce i suoi interlocutori) ha spiegato che oggi il buon sindaco è quello che ottiene più soldi dalla Provincia; domani in un quadro di risorse limitate sarà colui che offrirà di più ai cittadini con meno. Qui siamo abituati alla Provincia Babbo Natale, ma il sistema dovrà riconvertirsi se vorrà (e dovrà) difendere il benessere. Che cosa significa tutto questo? Che il pubblico dovrà sottoporsi alla medesima ristrutturazione alla quale si sono sottoposte le imprese: efficienza, efficacia, produttività, capacità strategica, procedure e controlli più semplici e meno onerosi. La Provincia dovrà amministrare più competenze con meno personale, lo stesso dovranno fare i comuni. Ha ragione la Thaler: è davvero Umbruch, che forse noi potremmo tradurre liberamente come rivoluzione. Amministrativa, economica, ma anche dei diritti. E politica. I rischi non mancano e qualcuno, a mio avviso, l’on. Thaler lo sottovaluta. Il federalismo rischia di aumentare le tasse. Sul piano teorico è vero che i cittadini possono sanzionare gli amministratori che sono ricorsi senza giusti motivi alla tassa di scopo. Ma questo avverrà gradualmente. Nel breve periodo, l’esperienza delle multe o delle tariffe ci insegna che i comuni sono spesso prigionieri di strutture burocratiche che resistono al cambiamento, e scaricano sui cittadini gli aumenti. Lo fanno già oggi quasi ovunque, facendo pagare alla gente la loro inefficienza. Concedere a sindaci poco abituati a gestire in modo nuovo i loro bilanci e le loro organizzazioni la possibilità di saltare i problemi mettendo una tassa, è come dare un piccone a uno Schütze per abbattere il bassorilievo del duce. Non possiamo sorprenderci se lo butterà giù. La politica diventerà l’arte di gestire i bilanci e, se necessario, di saper essere impopolari. Vorrei fare l’esempio della sanità. L’a ssessore Theiner è una brava persona impegnata su un fronte che definire caldo è poco. Ma se l’on. Thaler ha ragione (e ce l’ha), è chiaro che Theiner sta cercando di varare una riforma che non è una vera riforma: razionalizza dei costi, ma si guarda bene dall’a ggredire il centro di spesa più importante, cioè i sei ospedali periferici collocati in aree elettoralmente strategiche per la Svp. Inoltre, se nasce, il federalismo nasce con il consenso di regioni e comuni che hanno partecipato alla discussione e avanzato proposte. Theiner rischia di fare la riforma della sanità senza i medici e gli infermieri, cioè i soggetti fondamentali del settore. Theiner è uno dei candidati a cambiare mentalità, se vorrà fare una vera riforma. Glielo spiega la sua deputata. Qui arriviamo al punto: il discorso dell’on. Thaler dovrebbe entrare nei programmi di governo di qualunque forza abbia a cuore gli interessi della nostra società. Ma il primo partito che dovrebbe adottarlo è il suo: la Svp. Lo farà? Quando Durnwalder rientrerà dalla «spedizione etnica» nella quale sembra impegnato, potrebbe dare risposte che saranno certamente apprezzate. C’è da attendersi che anche il sindaco Spagnolli faccia i compiti dopo aver letto la Thaler e, già da oggi domenica, si metta alacremente al lavoro per riformare il Comune. C’è da augurarsi che la politica italiana intervenga con delle proposte. Il Pd aveva tratteggiato un progetto, vuole precisarlo e definirlo? Il Pdl può dirci, prima di esplodere, quali sono le sue idee? Tutti dovranno rinunciare a qualcosa e rimettersi in discussione. Ma questa sfida la comunità non può perderla.

Belluno. Il tedesco già dalle Elementari
Via libera di Durnwalder al progetto presentato da Livinallongo
di Lorenzo Soratroi
 LIVINALLONGO. Il presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, ha detto "ja" al progetto presentato dal comune di Livinallongo per introdurre più ore di tedesco nelle scuole fodome e tentare così di fermare l'emorragia di ragazzi verso la Val Badia. Da Bolzano non arriverà un euro, in concreto. Ma la Provincia Autonoma metterà a disposizione un insegnante di madre lingua tedesca. Il "placet" all'iniziativa è stata data ufficialmente dal Landehauptmann alla delegazione fodoma formata dal sindacdo Ugo Ruaz, dall'assessore all'istruzione Claudio Sorarui ed dal consiliere comunale Daniela Templari durante l'incontro nella sede della Regione Trentino/Südtirol a Trento.  «A Durnwalder abbiamo ilustrato il nostro progetto», racconta la stessa Templari, «anche le linee guida gli erano state già presentate dall'assessore ladino Florian Mussner, che approfitto per ringraziare del sostengo. Analizzando il fenomeno di chi decide di portare fuori i bambini già dalle scuole primarie, fenomeno che è in crescita in questi ultimi anni, l'Amministrazione ha capito che per gran parte dipende proprio dalla possibilità di imparare il tedesco. Se vogliamo che i nostri ragazzi abbiano, un giorno, la possibilità di decidere di frequentare anche le scuole superiori del vicino Alto Adige o l'università di Bolzano, che è quella più vicina a noi, dobbiamo offrire loro una formazione più ampia in modo da aprire loro altre porte. Il presidente Durnwalder ha concordato sul fatto che ai ragazzi vengano date più possibilità, in modo che quella della scuola superiore da frequentare sia una scelta libera».  Il progetto: tedesco fin dalle elementari. Nel progetto del Comune è prevista la reintroduzione di ore di tedesco già dalle elementari, che mancavano ormai da anni, «in forma parallela all'inglese», precisa la Templari. Si inizierà con un'ora in prima, due in seconda e tre dalla terza fino alla quinta. Le ore si aggiungeranno a quelle previste dal Ministero, ma sempre nell'ambito delle 30 settimanali. Saranno poi gli insegnanti, in fase di programmazione, a distribuirle con le altre materie. La materia, come detto, sarà curata da un'insegnante di madre lingua tedesca, pagata dalla Provincia di Bolzano. Nelle scuole medie, dove il tedesco viene già fatto, ma solo per due ore alla settimana, verranno introdotte altre due "unità di apprendimento" che raddoppieranno di fatto l'insegnamento della lingua da parte dell'attuale insegnante, sempre nell'ambito delle 30 ore. Per questo il Comune attende l'ok del Provveditorato, «ma speriamo di avere la stessa sensibilità dimostrataci da Bolzano», è il commento della Templari, «visto che per Fodom è una bella opportunità. Erano anni che non si faceva più il tedesco. E' un altro passo per avvicinare lo standard ed il modello di scuola a quello delle vicine vallate dell'Alto Adige».29 maggio 2011

Belluno. Feltre: pazienti in fuga, l'Usl si interroga
Alcuni reparti perdono il 60 per cento, il direttore convoca i primari
di Laura Milano
FELTRE. Ci sono reparti che negli ultimi anni hanno registrato percentuali di fuga vicine al sessanta per cento. Ma non sono immuni nemmeno quelli più gettonati: le liste d'attesa lunghe e la concorrenza di Treviso e Usl vicine inducono i pazienti a emigrare.
 A mettere di fronte alla realtà i primari, è stata la dirigenza Usl. Slides alla mano, ogni responsabile di struttura che conosce i dati sui pazienti attratti da fuori Usl ma non quelli di chi va a farsi curare in altri ospedali, ha potuto visionare le rispettive percentuali di fuga.
 «Il problema è trovare l'equilibrio economico ed il posizionamento strategico per poter erogare, nelle discipline in cui ciò è possibile, il cento per cento delle prestazioni ai residenti della nostra Usl», spiega il direttore generale Bortolo Simoni. «E dove c'è margine, contiamo anche di mantenere una certa percentuale di attrazione da fuori Usl». Ma quello dell'attrazione non è l'obiettivo prioritario. Ciò che interessa alla dirigenza è arginare le fughe evitabili. «E' ovvio che per le alte specialità i pazienti si rivolgono ai grandi ospedali della regione, mi riferisco a cardiochirurgia o a neurochirurgia che a Feltre non ci sono», spiega Simoni. «Ma dato che abbiamo registrato un peggioramento del saldo di mobilità, ossia del rapporto fra chi viene al Santa Maria del Prato e chi invece sceglie altri nosocomi, dobbiamo interrogarci sui motivi e trovare eventuali correttivi. Se mettiamo le strutture nella condizione di funzionare al meglio, sia a livello di risorse che di investimenti tecnologici, quindi se non ci sono deficienze strutturali, il fatto che i pazienti cambino ospedale ci deve far riflettere. E' vero che da un anno all'altro il saldo di mobilità cambia significativamente. Ma la popolazione è più matura e quando scopre che la lista d'attesa è troppo lunga rispetto a determinate prestazioni, va a cercarsi l'appuntamento più vicino nel tempo in altri ospedali. C'è da dire che le Usl più grandi hanno una maggiore potenzialità di risposta. E i capoluoghi di provincia hanno un effetto di richiamo. Treviso, ad esempio, per la nostra gente è un punto di attrazione, mentre le aree di confine con i comuni di Sedico e della sinistra Piave che si sono accorpati all'Usl 2 nel 1994, tendono a rivolgersi all'ospedale di Belluno».
 Insomma, i pazienti dell'Usl 2 che si sono rivolti alle strutture di Belluno, di Montebelluna che si è rifatta il look, di Castelfranco, oltre che agli ospedali di riferimento regionale, sono stati "fotografati" nelle richieste di prestazioni esterne, disciplina per disciplina. Ma Feltre non demorde e continua a investire. Giugno sarà il mese della prima pietra per la nuova piastra chirurgica.

Profughi a Padova, tunisini dirottati in tre parrocchie
Il piano ospitalità per i primi 39 immigrati in città: mangeranno dai Rogazionisti, dai padri cappuccini e da suor Lia
di Enrico Albertini
 PADOVA. Al momento dello «spostamento» erano 39. I tunisini accampati nella struttura dell'ex scuola Gabelli sono stati tutti visitati dall'equipe della dottoressa Mariagrazia D'Aquino dell'Ulss 16 e successivamente divisi fra posti messi a disposizione del Comune e generosità delle parrocchie.

PIT-STOP COMBONIANI. Appurato che non c'erano situazioni preoccupanti dal punto di vista sanitario, i 39 profughi sono stati così sistemati: 7 nell'asilo notturno comunale del Torresino, i restanti 32 per ora ospiti dei padri Comboniani della comunità di via San Giovanni da Verdara. Venerdì sera hanno salutato la loro prima casa padovana, quella dell'ex scuola Gabelli, che fra l'altro stava diventando sempre più stretta: dai 25 arrivi iniziali il numero era salito a 39.

LE PARROCCHIE. I 32 tunisini passeranno tre giorni dai padri Comboniani per poi essere smistati nelle tre parrocchie che si sono messe a disposizione. Don Luca Facco, capo della Caritas Padovana, lo aveva assicurato. «Se abbiamo la regia del Comune faremo con grande gioia la nostra parte». Dieci tunisini a testa circa, per le parrocchie di Crocifisso, Voltabarozzo e San Carlo all'Arcella.

PRANZI. «Noi abbiamo fatto la nostra parte, ora tocca al Governo organizzare l'accoglienza» spiega l'assessore ai Servizi sociali Fabio Verlato. I tunisini, infatti, per ora sono totalmente a carico della solidarietà padovana. Mangeranno a pranzo dai padri cappuccini di San Leopoldo Mandic e, in caso, dai rogazionisti de «La Bussola», mentre la sera saranno accolti dalle cucine popolari di Suor Lia. Tutte realtà che avranno contributi economici da parte di Palazzo Moroni, che dall'inizio dell'arrivo degli immigrati ha speso già 37 mila €. A cui vanno aggiunti i 17 mila trovati per la cooperativa Cosep che gestirà l'ex scuola Gabelli.

CORSI E LAVORI. Le Brigate di solidarietà attiva, i primi a muoversi per accogliere i tunisini, hanno assicurato che daranno una mano per gli spostamenti dei profughi.

Jesolo. Profughi, arrivi per tutta l'estate
Jesolo. Il sindaco Calzavara ammette: «Siamo in piena emergenza»
di Giovanni Cagnassi
  JESOLO. Profughi alla Croce Rossa: la permanenza si prolungherà per tutta l'estate. Presto ne arriveranno altri 60, che si aggiungeranno agli attuali 63. Se la ripartizione concordata con Regione e Provincia, ne assegnava 13, uno ogni 2 mila abitanti, è lecito pensare che ne resteranno invece molti di più. Il sindaco, Francesco Calzavara, è prudente.  «Gli arrivi possono esser quotidiani - spiega - alla luce dell'emergenza sbarchi. Ci sono stati assegnati questi nuovi profughi che andranno ad aggiungersi ai 63 in partenza verso altre strutture del Veneto. Ma la sensazione è che un numero costante resterà per l'estate». Il sindaco ha compreso che di fronte ad un'emergenza globale e alle leggi internazionali ci sono pochi margini di manovra per bloccare gli arrivi. I nuovi 60 arriveranno per foto segnalamento della polizia e la successiva partenza. Il Pdl è stato accusato dal consigliere di maggioranza Claudio Ferro di non voler cambiare destinazione alla Croce Rossa per farvi una struttura termale che risolva i problemi di destinazione profughi. Gli risponde il capogruppo Lucas Pavanetto. «Ci auguriamo che non siano solo Jesolo e Cavallino Treporti ad ospitare i profughi ma, come su sollecitazione del presidente della Provincia Zaccariotto e del prefetto Lamorgese, tutti i Comuni devono concorrere in proporzione. Vorremmo conoscere San Donà, Musile, Noventa e Fossalta quanta disponibilità hanno dato. L'incapacità di gestire la crisi del nostro ospedale e lo stesso arrivo dei profughi a Jesolo, portano questa zoppa maggioranza attraverso il suo massimo esponente, il socialista Ferro, a buttare fumo negli occhi ai cittadini. Il nostro ordine del giorno del 2007 impegnava il sindaco a riqualificare assieme alla Cri il sito di via Levantina».  Per Generazione Italia Daniele Bison sposta il tiro dal sindaco: «Il Pdl è in maggioranza a Roma, sue sono le responsabilità di questo teatrino e dell'invio dei profughi anche a Jesolo».

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