lunedì 30 maggio 2011

La spartizione elettorale e’ terminata; riecco il tormentone Sud: riempe gli spazi mentali del tempo libero ed incide sulle coscienze dei coscenziosi. Post Scriptum: Il mezzogiorno al 59% del pil del centro-nord e’ un risultato alla Maradona. Vuol dire che, senza il centro, il Sud ed il nord sono molto vicini. E che il Sud e’ superiore al centro. Ed e’ certo che il Sud non gode dei favori del governo brianzolo in trasferta alla Terme di Caracalla.




Sud, Svimez: aumenta divario con il Nord, pesa la disoccupazione.
Pensioni, Inps: disuguaglianze record. Camusso: un Paese di poveri.
Sud, Svimez: aumenta divario con il Nord, pesa la disoccupazione
Nel 2009 il Pil del Mezzogiorno risulta pari al 59% del Centro-Nord
Roma, 30 mag (Il Velino) - Il Pil che cresce 18 volte in 150 anni, il boom degli investimenti delle grandi industrie, le grandi migrazioni, con la partenza di 4,2 meridionali diretti al Centro-Nord dal 1950 al 1974: sono solo alcuni dei numeri contenuti nel volume Svimez “150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011”, edito da Il Mulino, presentato a Roma alla Camera dei deputati. “Dopo 150 anni, nonostante la golden age degli anni 60 e i tentativi di recuperare lo scarto – si legge – l’Italia resta un Paese spaccato a metà dal punto di vista economico. Dal 1861 al 2010 il Pil del Mezzogiorno a prezzi costanti è cresciuto di 18 volte, ma in modo disomogeneo. È nei primi 100 anni che si è creato il divario Nord-Sud, solo parzialmente recuperato nella stagione aurea del secondo dopoguerra. Se nel 1861 il Pil tra le due aree era simile, cioè pari a 100 per entrambi, dopo 150 anni, nel 2009, il Pil del Mezzogiorno risultava pari solo al 59 per cento del Centro-Nord. Causa principale del divario resta la carenza di occupazione nel Mezzogiorno. Mentre infatti il tasso di occupazione meridioneale nel 1951 era pari all’81 per cento del Centro-Nord; nel 2009, quasi 50 anni dopo, era fermo al 68,9 per cento”.

 L’ETA’ DELL’ORO DEL SUD: GRANDE INDUSTRIA E CASSA DEL MEZZOGIORNO. Tra il 1952 il 1973 – prosegue lo Svimez – il Pil pro capite è cresciuto del 4,6 per cento all’anno nel Mezzogiorno rispetto al 4,8 del Centro-Nord. Contributo fondamentale allo sviluppo del Sud è stato svolto dagli investimenti industriali nell’area, cresciuti del 7,9 contro il 6,3 per cento del Centro-Nord dal 1952 al 1973. La quota che lo Stato destina agli investimenti industriali per il Sud rispetto al totale nazionale raddoppia in 20 anni, passando dal 15 per cento degli anni 50 al 33 per cento degli anni 70. Mentre aumentano soprattutto le grandi aziende: dal 1951 al 1981 al Sud il numero medio di addetti nelle imprese aumenta di oltre 4 volte, passando da 11,6 a 48,7, mentre al Centro-Nord si scende dai 69,6 ai 52,4. Dietro questi numeri c’è l’operato della Cassa per il Mezzogiorno, nata nel 1950 con l’intento di mettere in campo interventi strategici per creare le condizioni di base per l’attrazione di aziende e investimenti e impegnata in prima linea nel processi di localizzazione al Sud dei grandi insediamenti industriali.

L’EMIGRAZIONE PER LO SVILUPPO. Ma è uno sviluppo senza occupazione, in cui i nuovi posti di lavoro creati sono occupati da chi sceglie di rimanere. Così si attenuano gli squilibri del mercato del lavoro. Dal 1951 al 1974 dal Sud emigrano 4,2 milioni di persone, con punte di 240mila all’anno negli anni 60.

 I RECUPERI: SPERANZA DI VITA E ISTRUZIONE. I segnali più positivi vengono dai progressi raggiunti in termini di qualità della vita, con un processo di convergenza che ha portato il Mezzogiorno ai livelli del Centro-Nord, se non in alcuni casi addirittura a livelli superiori. Basti pensare alla speranza di vita: nel 1910 il divario tra Nord e Sud era molto forte. In Veneto si viveva 4 anni in più che in Campania (47,8 rispetto a 43,6), 8 anni più che in Puglia (47,8 rispetto a 39,2). Sessant’anni dopo, nel 1970, la situazione si ribalta: la speranza di vita al Sud arriva in media a 69,9 anni contro i 69 della media nazionale, due anni in più del Nord-Ovest (68). Sulla stessa linea i risultati ottenuti nel campo dell’istruzione. Nel 1861 gli analfabeti al Sud erano pari all’87 per cento della popolazione meridionale, con picchi vicini al 90 per cento in Sardegna, Basilicata e Calabria, contro il 67 per cento del Centro-Nord, e il 57 per cento della Lombardia. Nel 1951, l’alfabetizzazione aveva raggiunto i ¾ della popolazione meridionale, arrivando al 24,4 per cento di analfabetismo. Quanto al tasso di scolarizzazione, la rincorsa ha interessato tutto il periodo in questione, arrivando dagli anni 2000 sul fronte universitario a registrare un sorpasso sul Centro-Nord: nel 2001 il tasso di iscrizione all’Università era del 33,5 per cento al Sud e del 33,1 per cento al Centro-Nord; nel 2009 il Sud aveva raggiunto quota 51,5 per cento contro il 42, per cento del Centro-Nord. Nel complesso, guardando agli anni di istruzione pro capite, la differenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord nel 2010 si era ridotta a mezzo punto percentuale (9,6 anni contro 10,1).

 INFRASTRUTTURE: IL CASO FERROVIE - Situazione altalenante sul fronte ferrovie: nel 1861 il divario tra le due aree era enorme. In tutto il Mezzogiorno i km di ferrovie erano soltanto 184, contro i 2.336 del Centro-Nord. Nel 1912 i km di binari erano aumentati di 5 volte al Centro-Nord, arrivando a 10.274; al Sud l’aumento era stato di ben 70 volte, arrivando a 7.101 km. Guardando però alla percentuale di km di ferrovie su 1.000 km di superficie, già nel 1938 il Sud superava il Nord, con 76,8 km rispetto a 73,7. Situazione di sostanziale pareggio venti anni dopo, nel 1958, con 71 km di ferrovie su 1.000 di superficie al Centro-Nord e 72,1 al Sud. Interessante notare le tendenze degli ultimi anni: nel 2009 i km di ferrovie erano al Centro-Nord 10.895, pari a 61,1 su 1.000 di superficie. Al Sud, invece, 5.731, pari a 46,6 km ogni 1.000.
(red/cos) 30 mag 2011 11:09

Pensioni, Inps: disuguaglianze record. Camusso: un Paese di poveri
Gli importi al Sud sono più bassi del 20%. Nel Mezzogiorno, inoltre, viene distribuito il 44,2% dei contributi di tipo assistenziale, e il dato è in crescita.
 I co.co.co. arrivano a 1.570 euro annui, i sacerdoti a 7.464, i manager a riposo sfiorano i 50 mila. Il numero degli assegni pensionistici erogati ai precari aumentano di anno in anno a ritmi sostenuti. Nel biennio 2009-2010 sono cresciuti del 17%, più di tutte le altre categorie. E nel futuro diventeranno una parte molto consistente della spesa complessiva, perché è lì che si raggrumano gli incerti, i precari del lavoro. Stessa sorte anche per i professionisti degli anni duemila, i nuovi ingegneri, architetti, ricercatori, oggi giovani ‘a progetto’ e domani senza stabilità anche da anziani.
 I dati sono quelli resi noti dall’Inps nel Rapporto annuale relativo al 2010 presentato alla Camera dal presidente dell'istituto, Antonio Mastrapasqua. Sulla stessa linea l'Istat nel suo Rapporto 2010 presentato nel fine settimana. Preoccupante lo scenario per la leader Cgil Susanna Camusso.

Disuguaglianze record. Su un totale circa di 16 milioni di assegni, il 50,8% hanno un ammontare inferiore ai 500 euro, mentre si arriva al 79% per somme sotto i 1000 euro mensili. Le donne appartengono maggiormente alla prima categoria: il 61,3% ne fa parte a pieno titolo, contro il 36% degli uomini. Nella fascia tra i 500 e i 1.000 euro continuano a prevalere le pensioni femminili con il 30,5%, rispetto al 24,9% delle pensioni maschili.
 A guidare per importi la classifica delle pensioni sono i dirigenti con 3.788 euro in media al mese, quasi raggiunti da piloti e assistenti di volo con 3.487 euro. Forte il distacco con tutti gli altri pensionati. Sfiorano i 2 mila euro i telefonici, poco più di chi lavorava per le società elettriche, 1.879 euro, mentre gli ex impiegati dei trasporti e delle ferrovie portano a casa, in media, 1.500 euro al mese. Crollo sotto gli 80 euro mensili per tutte le altre categorie. Tra queste la più numerosa, quella dei lavoratori dipendenti, quasi nove milioni e mezzo di persone, che devono accontentarsi di 861 euro. Dietro di loro i commercianti, con 707 euro, gli artigiani e agricoltori, insieme 2,7 milioni di pensionati a 611 euro al mese, e i preti, con 574 euro.
 Record negativi per i co.co.co. con 1.570 euro l'anno, 121 euro al mese, 96 euro in media alle donne, 130 euro agli uomini.  Per ora sono soltanto 245 mila persone, ma, per l’istituto previdenziale, l’esercito è in crescita.
 E l'Inps spiega che, anche se nella voce "gestioni separate" confluiscono "prevalentemente le pensioni supplementari", ovvero le seconde pensioni, più piccole e non ricongiunte con le principali, l’allarme rimane ed è chiaramente percepito, visto che l'aliquota obbligatoria da versare in questa gestione è passata gradualmente dal 10% del 1996 al 26,72% attuale, sempre più vicina a quella della gestione principale Inps.

Distanze territoriali. Altra distanza che ormai sembra incolmabile è quella tra le diverse aree del Paese, cronica da cinque anni. Le pensioni erogate al Sud, evidenzia l'Istat nel Rapporto annuale, sono più basse di quelle del Nord-ovest di quasi un quinto, ovvero del 19,5% e del 12,1% rispetto alla media nazionale. Per fare un esempio, nel 2009 un pensionato meridionale prendeva in media 9.501 euro lordi l'anno, una cifra di gran lunga inferiore se paragonata agli assegni erogati al Nord-ovest, pari a 11.805 euro, Nord-est, 10.959 euro e Centro, 11.317 euro, e, di conseguenza, alla media nazionale pari a 10.808 euro. Nonostante la crescita delle pensioni, che comunque tra il 2004 e il 2009 c’è stata, il divario tra le aree del Paese sono rimaste patologiche. Nel frattempo, è lievitata la quota di pensioni assistenziali, tra cui invalidità civile e assegni sociali, erogati al Sud, dal 43,8% del 2004 al 44,2% del 2010. In termini di importo medio annuo, però, questo aumento non s’è visto, visto che l’importo medio ammonta a 4.656 euro nel Mezzogiorno contro i 4.810 euro del Nord-ovest e i 4.730 euro della media nazionale.

Camusso: “stiamo costruendo un Paese di poveri”. Occorre garantire pensioni pari almeno al 60% dell’ultima retribuzione percepita altrimenti “costruiamo un Paese di poveri” ed in questa ottica che si sta facendo strada, esplicitamente nella Confindustria, più nascosta in alcuni settori del Governo, un’idea di privatizzazione dello stato sociale. È la stessa logica che porta l’acqua pubblica nelle mani dei privati. C’è da essere preoccupati”. È quanto ha dichiarato la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, intervistata da Repubblica sulla situazione pensioni in Italia. “Non possiamo immaginare un Paese con un terzo della popolazione, cioè i pensionati, che sia a rischio di povertà. Già oggi otto pensioni su dieci non arrivano a mille euro. Questo è un Paese che sta rinunciando a progettare il suo futuro”.
 La Camusso evidenzia anche alcune contraddizioni del sistema dei fondi di previdenza complementare quando si ha a che fare con le piccole imprese, che “scoraggiano” i loro dipendenti ad aderire perché “da una parte dicono che serve la previdenza integrativa e dall’altra continuano ad usare il Tfr al posto del credito bancario”.
Marco Notari



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