domenica 8 maggio 2011

Federali Sera-8 maggio 2011. Marcegaglia: La politica non c'è più o si muove in ritardo. Grazie lo stesso, facciamo da soli. Chiediamo riforme, non aiuti. Siamo noi a tenere in piedi il Paese.----Infocamere: Nel 2010 fallimenti +16%. La Lombardia è in testa con oltre 2.800 casi davanti al Veneto, 1.418 e al Lazio, 1.156.----Ance: Dal 2008 a fine 2011, il settore delle costruzioni avrà perduto il 17,8% in termini di investimenti, ovvero 29 miliardi di euro, riportandosi ai livelli di produzione osservati alla fine degli anni Novanta.

Fallimenti:
Marcegaglia: «Troppi ritardi, le imprese faranno da sole»
Nel 2010 fallimenti +16%, senza crac 5 regioni
Edilizia, -290mila posti e -29 miliardi dal 2008

Bandiere:
Bandiera straniera sul 12% di bar e ristoranti
Ventimiglia. Immigrazione, il sindaco chiede la chiusura del centro
Bozen. Casa ceto medio: 110 nuovi alloggi
Marcegaglia: «Troppi ritardi, le imprese faranno da sole»
«Chiediamo riforme, non aiuti. Siamo noi a tenere in piedi il Paese». L'apertura sui contratti aziendali
Dal nostro inviato ROBERTO BAGNOLI
BERGAMO - La politica non c'è più o si muove in ritardo. Grazie lo stesso, facciamo da soli. «Non vogliamo niente, né aiuti né incentivi, solo riforme». E al premier Silvio Berlusconi che l'altro giorno ha detto agli imprenditori di non chiedere solo ma di fare qualcosa per il Paese Emma Marcegaglia risponde con un «Caro presidente, lo facciamo tutti i giorni, perché noi lo teniamo in piedi questo Paese contribuendo per il 70% del Pil!». La Confindustria riunita a Bergamo, dopo otto ore di dibattiti, 340 interventi, otto tavoli di lavoro, non certifica un pregiudiziale antagonismo contro questo governo ma chiude ogni apertura di credito. Troppi ritardi, troppe delusioni. Basta con le parole, è l'ora del fare. E quella «solitudine» lamentata dalla Marcegaglia un paio di settimane fa viene giocata adesso come fattore positivo che «insieme alla nostra rabbia e al nostro orgoglio sono pronti a trasformare in una potente iniezione di energia al servizio del Paese».

L'assise bergamasca è a porte chiuse, la stampa non è ammessa ai lavori ma fuori tutti parlano con tutti e l'appello a «fare squadra» in nome del pragmatismo e contro il populismo si può dire che sia riuscito. La Marcegaglia ha fatto la sintesi finale ma anche imprenditori confindustriali come Giorgio Fossa, Luigi Abete, Diego Della Valle hanno invitato questa Confindustria a proseguire compatta. Non sono mancate voci critiche, poi derubricate a stimolo, pronunciate dal leader degli industriali veneti Andrea Tomat e da quello del Lazio Aurelio Regina. «Deleghiamo Emma al meglio e facciamole sentire che siamo tutti con lei», ha affermato tra gli applausi Della Valle, mentre un originale sondaggio via sms tra i 5.700 imprenditori conta il consenso della base chiamata a votare punto su punto, scegliendo tra varie opzioni le proposte che la presidente di Confindustria poi rilancerà in una agenda di priorità da proporre alla politica.

E così si scopre che il 37% è d'accordo sulla patrimoniale (teorizzata anche dal presidente di Assonime Abete), che il 65% vuole una riduzione dell'Irap accettando in cambio un lieve aumento dell'Iva, che l'85% chiede la privatizzazione dell'Ice anche con una partecipazione di Confindustria, che il 61% ritiene il nucleare una scelta necessaria, che il 92% vuol continuare il percorso intrapreso per rendere i contratti più flessibili. E che la stragrande maggioranza del 96% è disposta a fare autocritica sul ruolo di Confindustria: deve essere più incisiva, con meno convegni e meno liturgie e più servizi sul territorio. Lei dice «dobbiamo cambiare pelle» e chiudere con gli incentivi che drogano il mercato.

La Marcegaglia non fa sconti al governo, del quale salva solo la tenuta dei conti durante lo tsunami della crisi e il successivo credit crunch. Poi avanti con le bordate: la spesa pubblica aumenta e non diminuisce, le liberalizzazioni non ci sono, anzi si introducono le tariffe minime per le professioni, la ricerca resta la cenerentola. Il decreto sullo sviluppo, quello che il suo vice Alberto Bombassei ha definito la «frustatina»? «Viene incontro ad alcune nostre richieste, ma non ci piace il credito d'imposta per le assunzioni al Sud che suona un po' come concessione elettorale».

Non ci sono solo il governo e i bizantinismi della politica nel mirino degli imprenditori. C'è anche una parte del sindacato (la Fiom ovviamente) che non vuol capire i cambiamenti in corso e «che in molte situazioni non contratta più», c'è un pregiudizio anti-industriale della magistratura (vedi condanna Thyssen), c'è un'inaccettabile demagogia che pervade molte cose come, per esempio, la cosiddetta «privatizzazione dell'acqua». E poi la riflessione sulle debolezze del sistema industriale italiano troppo frammentato in microaziende e la raccomandazione di aggregarsi per aumentare la dimensione ma senza indicare come. L'assise è finita, Della Valle, Montezemolo e Nerio Alessandri se ne vanno sui loro elicotteri. Alberto Tripi, presidente di Almaviva, è soddisfatto della giornata. «C'è stato un netto salto culturale, mi sembra finito il conformismo interno del tifo a favore o contro Berlusconi, ora prevalgono i contenuti al di là di chi li propone».

Nel 2010 fallimenti +16%, senza crac 5 regioni
 INFOCAMERE. Nordovest più colpito. In calo in Val d'Aosta, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia, Molise e Puglia
 La Lombardia è in testa con oltre 2.800 casi davanti al Veneto, 1.418 e al Lazio, 1.156
ROMA
Dopo la fase acuta e più pesante della crisi nel biennio 2008-2009 con chiusure a ripetizione per le imprese incapaci di reagire alla nefasta congiuntura economica mondiale, si intravedono spiragli positivi nel quadro dei fallimenti registrati. Almeno nella teoria è questo il messaggio che emerge dalla ricerca di Infocamere. A un'analisi più approfondita, comunque rimane alto il rischio di nuovi picchi perché sono sempre di più gli impremditori che hanno consumato il proprio patrimonio personale per mantenere in vita aziende con gravi problemi.
CRESCITA PIÙ CONTENUTA. Sono cresciuti anche nel 2010, con +16,6% e 13.387 procedure, ma a un ritmo nettamente più contenuto sul biennio 2008-2009. Si contano inoltre cinque regioni che invertono la rotta sul 2009 e segnano decrementi: Valle d'Aosta, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia, Molise e Puglia, con valori che oscillano tra il -56% della Valle d'Aosta e il -1% della Puglia. È quanto rileva Infocamere, società di informatica delle Camere di commercio.
IN AUMENTO NEL NORDOVEST. Allargando lo sguardo ai dati complessivi del 2010, nel Nordovest le procedure fallimentari sono aumentate di oltre il 21%. Il Nordovest è l'area geografica più colpita, con un aumento del 21% delle procedure fallimentari. La stessa area svetta anche analizzando il rapporto tra imprese entrate in fallimento e imprese registrate: con oltre 25 imprese fallite su 10mila registrate, la circoscrizione formata da Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d'Aosta precede il Nordest e il Centro (23). Ultimo è il Mezzogiorno dove l'incidenza delle imprese con una procedura fallimentare aperta sul totale delle imprese presenti sfiora le 17 realtà su 10mila.
LOMBARDIA IN TESTA. Dal punto di vista delle singole regioni, in termini assoluti, è la Lombardia che nel 2010 conta il maggior numero di fallimenti (più di 2.800 casi), seguita a grande distanza dal Veneto (1.418) e dal Lazio (1.156).
DIFFICOLTÀ SUPERATE. Posto che il fenomeno in termini assoluti riguarda comunque un numero estremamente limitato di imprese (le nuove procedure aperte nel 2010 corrispondono, allo 0,4 per mille dell'universo delle imprese italiane), il quadro che emerge dalla serie trimestrale, sottolinea Infocamere, sembra evidenziare che il picco di difficoltà sia stato superato e che il ritmo di aumento dei fallimenti rallenti rispetto ai picchi oltre il 26% fatti registrare a cavallo degli anni più difficili.
TRA OTTOBRE E DICEMBRE. Tra ottobre e dicembre 2010 sono stati aperti più di 4.000 fallimenti, un valore del 10% superiore rispetto allo stesso trimestre del 2009: nonostante un tasso di crescita ancora a due cifre, afferma Infocamere, il valore risulta però inferiore rispetto ai tassi di crescita osservati nei trimestri precedenti attestati tra 14 e 38%.
ULTIMO TRIMESTRE 2010. L'aumento dei fallimenti nell'ultimo trimestre 2010 è stato particolarmente elevato al Centro (+18%) e al Nordovest (15%) mentre il Nordest e il Sud e Isole hanno fatto registrare tassi inferiori alla media e con tassi di crescita a una cifra (rispettivamente 3% e 6%).

Edilizia, -290mila posti e -29 miliardi dal 2008
 COSTRUZIONI. Tutti i settori in calo ad eccezione degli interventi di recupero, +0,4%
 L'allarme dell'Ance: «Le imprese hanno mantenuto l'occupazione con l'aiuto della cig, ma senza investimenti non si va avanti» 08/05/2011
ROMA
Dal 2008 a fine 2011, il settore delle costruzioni avrà perduto il 17,8% in termini di investimenti, ovvero 29 miliardi di euro, riportandosi ai livelli di produzione osservati alla fine degli anni Novanta. È l'allarme lanciato dall'Ance, Associazione nazionale costruttori edili che evidenzia come la caduta dei livelli produttivi abbia già comportato «pesanti perdite» occupazionali. E senza un'inversione di tendenza degli investimenti, avvertono i costruttori, sarà difficile per le imprese del settore mantenere l'occupazione.
La caduta dei livelli produttivi tra il 2008 e il 2011, stima l'Ance nel primo numero della pubblicazione Ance Congiuntura, caratterizzerà tutti i comparti con l'eccezione degli interventi di recupero del patrimonio abitativo (+0,4%). In particolare, il comparto delle nuove abitazioni avrà perso in quattro anni il 34,2% del volume di investimenti e l'edilizia non residenziale privata il 15,6. Per i lavori pubblici il calo si attesa al 25,4%, ma per questo comparto il ridimensionamento è in atto ormai da sette anni e complessivamente dal 2004 al 2011 la flessione è pari al 31,8%.
«Per il settore delle costruzioni permane una situazione di crisi e il 2010 risulta il terzo anno consecutivo di caduta dei livelli produttivi», evidenzia l'Ance, ricordando che, nonostante la forte contrazione degli investimenti degli ultimi anni, il settore continua a «fornire un importante contributo al sistema economico nazionale sia in termini di investimenti che di occupazione: gli investimenti in costruzioni rappresentano infatti il 9,8% degli impieghi del Pil e gli occupati del settore costituiscono il 29,6 degli addetti dell'industria e l'8,4 degli occupati in tutti i settori economici».
La caduta degli investimenti ha avuto effetti anche sull'occupazione, comportando «pesanti perdite»: dall'inizio della crisi l'Ance stima che il settore abbia perso 180mila occupati e contando anche il 2011 (30mila posti di lavoro in meno) la perdita occupazionale salirà a 210 mila. Se si considerano inoltre anche i settori collegati, i posti di lavoro perduti saranno 290mila.
L'ampio ricorso alla cassa integrazione, tuttavia, «ha consentito di limitare il numero di licenziamenti», precisa l'Ance: tra 2008 e 2010 il numero di ore autorizzate dall'Inps è passato da 40 a 100 milioni di ore; e nei primi tre mesi del 2011 si registra un ulteriore incremento del 14,4%.
«Questi dati mostrano come le imprese del settore stiano cercando di mantenere l'occupazione, nonostante la riduzione del mercato, ma», avverte l'Ance, «non potranno proseguire in questa situazione, se non ci sarà un'inversione di tendenza degli investimenti».

Bandiera straniera sul 12% di bar e ristoranti
Parla straniero il dodici per cento dei bar e ristoranti in Italia, totalizzando 38.360 imprese dove gli immigrati sono titolari (9,8%) o gestori attraverso società di capitali (11%) piuttosto che società di persone (15,2%). Tra le imprese straniere primeggiano i ristoranti, con una quota del 13,8%. Quelli prettamente etnici sono 2500, con una prevalenza di quelli cinesi (1.883, per una quota del 75%), seguiti dai giapponesi (9,3%), africani (3,2%), brasiliani (2,8%) e messicani (2%). Avanzano anche i bar - format di più recente scoperta da parte degli immigrati, sottolinea Fipe - con un 10,2% di quota. I locali stranieri si concentrano soprattutto al Nord, con il primato della Lombardia (8.370 imprese), seguita da Lazio (4.167) e Veneto (4.076).

Ventimiglia. Immigrazione, il sindaco chiede la chiusura del centro
 08 maggio 2011
 Ventimiglia - Chiudere entro una settimana il centro di accoglienza temporaneo di Ventimiglia. Lo chiede il sindaco della cittadina ligure al confine con la Francia, Gaetano Scullino. «È tempo che la città torni alla normalità - è il suo appello - e i suoi abitanti e la sua economia non paghino più un prezzo che diventerebbe troppo pesante, oltre che inaccettabile».

La struttura, all’interno di una caserma dei vigili del fuoco da poco dismessa, è stata aperta lo scorso 31 marzo. Da allora, ogni notte, ha dato da dormire a un centinaio di migranti in viaggio verso la Francia. «L’accoglienza dimostrata da Ventimiglia sino ad oggi - sottolinea il primo cittadino - è un grande segno di civiltà e di solidarietà. Non possiamo però accettare comportamenti e strumentalizzazioni - aggiunge - che vanificano i nostri sforzi».

Negli ultimi giorni a Ventimiglia la presenza dei migranti, alcuni dei quali respinti dalla Francia perché non in regola con i requisiti previsti per oltrepassare il confine, ha creato problemi di ordine pubblico. E si è registrata anche una protesta degli stessi migranti che lamentano l’inutilità del permesso di soggiorno temporaneo. «Il centro non funziona più con un obiettivo preciso, come all’inizio, è per questo - ribadisce il sindaco Scullino - va smantellato. Entro una settimana Ventimiglia deve essere restituita ai suoi cittadini».

Bozen. Casa ceto medio: 110 nuovi alloggi
Tre aree: una è in cima a via Cadorna. Lì attualmente ci sono dei campi da tennis. La seconda è in via della Vigna, vicino alla nuova zona di espansione, e la terza in via Maso della Pieve
di Antonella Mattioli
BOLZANO. Tre aree: una è in cima a via Cadorna. Scomoda per quando quanto riguarda negozi e servizi, splendida per la posizione direttamente sui prati del Talvera. Lì attualmente ci sono dei campi da tennis. La seconda è in via della Vigna, vicino alla nuova zona di espansione, e la terza in via Maso della Pieve. Confcooperative sta trattando con i privati per acquistare le tre aree.

 CETO MEDIO. Il programma della Provincia prevede di realizzare 330 alloggi a Bolzano per il ceto medio. Le cooperative potranno essere protagoniste dell'operazione perché la legge lo consente. «Per accelerare i tempi - spiega il direttore di Confcooperative Andrea Grata - il legislatore ha stabilito che le cooperative possano acquistare sul mercato privato il terreno e quindi edificare per i soci. Una procedura diversa rispetto a quella prevista per i programmi normali, dove è la Provincia ad espropriare i terreni e a metterli poi a disposizione delle cooperative». Lo scopo è appunto quello di ridurre i tempi e dare una risposta, possibilmente rapida, a chi sta cercando un alloggio. Il piano riguarda appunto il ceto medio, ovvero quella fascia di persone troppo ricche per essere inserite nelle graduatorie Ipes e troppo povere per andare ad acquistare un appartamento sul mercato privato. I prezzi delle case, nonostante la crisi che ha colpito pesantemente il settore immobiliare, rimangono ancora molto alti. «Siamo a buon punto - assicura Grata -: la trattativa con i proprietari sta procedendo».

 COSTI. Ma andare ad acquistare sul mercato privato non è un po' troppo oneroso per le coop? «Noi - ovviamente - non possiamo pagare qualsiasi cifra. Dobbiamo restare nell'ambito delle stime ufficiali. Però siamo ottimisti circa la possibilità di riuscire a concludere l'operazione. Poi bisognerà stipulare la convenzione con la Provincia e il Comune dovrà fare la variante urbanistica». L'acquisto sul mercato privato rispetto all'esproprio è un po'più oneroso. «La Provincia interviene con un contributo forfettario, ma al socio costerà un po' di più». Il termine che Grata si è dato come obiettivo è la fine dell'anno: per quella data conta di avere in
mano i terreni e i progetti definitivi. «I cantieri potrebbero aprire il prossimo anno».

 L'ACQUISTO. Per dare una risposta al ceto medio la Provincia ha creato la quinta fascia. La famiglia tipo che vi rientra è quella formata da quattro persone con un reddito lordo complessivo che può arrivare fino ad 80 mila euro. Gli alloggi, costruiti dalle cooperative per il ceto medio, si acquistano a riscatto. «Significa - spiega Grata - che per i primi dieci anni il socio paga un canone calmierato, che si aggira tra i 6 e i 9 euro al metro quadrato. Poi, si avviano le pratiche per l'acquisto. Si tratta di una formula sicuramente conveniente, perché consente alle famiglie di pagare un affitto e contemporaneamente accantonare i soldi per acquistare successivamente a riscatto l'alloggio». Questa formula dovrebbe evitare quello che troppo spesso accade soprattutto a Bolzano, dove le famiglie s'indebitano per comprare l'appartamento e s'impegnano con le banche anche per 20-30 anni. All'inizio sembra un'operazione fattibile. Sulla distanza però le cose si complicano, perché non ci si può permettere nulla. Basta poi un imprevisto e il piano di pagamento del mutuo salta. Capita spesso che assieme al mutuo salti anche la coppia.

 LA ROTAZIONE. Parte degli alloggi previsti per il ceto medio saranno dati in affitto e a canone provinciale (poco più di 6 euro al metro quadrato). La formula in questo caso è quella della rotazione: gli inquilini sanno fin dall'inizio che nell'appartamento potranno restare solo per un certo numero di anni. Questa formula dovrebbe consentire soprattutto ai giovani di lasciare la casa dei genitori e cominciare a camminare con le proprie gambe. Cosa questa difficile se non impossibile a Bolzano, dove i canoni sono stratosferici. La costruzione sarà affidata all'Ipes. La Provincia, anche in questo caso per accelerare i tempi, ha deciso che 60 degli alloggi destinati all'edilizia popolare previsti a Casanova, saranno riservati al piano per il ceto medio. «Un'altra novantina sempre a Casanova - spiega l'assessore all'urbanistica Chiara Pasquali - sarà invece destinata alla formula del riscatto». La speranza è che qualcosa, finalmente, si muova, visto che del programma si parla dal 2008 quando all'assessorato provinciale all'edilizia agevolata è arrivato Christian Tommasini. Si sperava in realtà che i tempi fossero più brevi, così non è stato. I problemi maggiori, come di consueto, li ha il capoluogo che deve fare i conti con la mancanza di aree. Basta dire che l'Ipes, nel capoluogo, ha esaurito le aree anche per il programma normale. Il Comune ha individuato le zone dove far crescere la città nel prossimo futuro, ma l'iter burocratico è ancora lungo. In fondo a via Druso c'è l'area più velocemente utilizzabile: i tempi della burocrazia però s'annunciano lunghi. Le ruspe, nella migliore delle ipotesi, potrebbero arrivare alla fine del 2012.

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