giovedì 30 giugno 2011

La visita di Wen Jiabao e gli affari della Cina in Europa


di Giorgio Arfaras
Il premier cinese è stato in Ungheria, Inghilterra e Germania. Per Pechino comprare il debito dei paesi dell'eurozona in crisi è una scommessa vinta in partenza, anche se questi fossero insolventi.


«Se l’Europa è in difficoltà la aiuteremo. La Cina è disposta ad aiutare i paesi a seconda delle loro necessità acquistando una certa quantità del loro debito pubblico». Così il premier cinese Wen Jiabao nel corso della sua visita in Germania. Qual è il movente dei cinesi? Perché tanto spirito cooperativo?

Ampliamo un ragionamento già fatto. La Cina ha accumulato, come contropartita dei propri avanzi commerciali, enormi riserve valutarie, investite soprattutto nel debito pubblico statunitense. Ora si guarda intorno, per due ragioni: la diversificazione del proprio portafoglio - non può investire solo nel debito pubblico statunitense e in dollari - e le occasioni che si presentano.

A causa della crisi, il debito pubblico dei paesi dell’eurozona messi peggio ha un rendimento elevato. I cinesi lo comprano. Se i loro acquisti sono fatti durante la crisi, quando gli investitori latitano, il potere negoziale esercitabile è notevole: possono ottenere in cambio del loro intervento delle concessioni e dei contratti a delle condizioni favorevoli.

Si hanno così per i cinesi quattro effetti positivi - a condizione che il debito di questi paesi sia rimborsato. I cinesi otterrebbero però un guadagno anche se il debito non venisse rimborsato. Vediamo come:

1) Se va bene, nel senso che il debito pubblico di questi paesi è rimborsato, i cinesi lucrano per tutta la durata dell’obbligazione un rendimento elevato. Se nel periodo che intercorre fra l’acquisto e la scadenza del debito si avessero una o più crisi con conseguente caduta dei prezzi delle obbligazioni, nulla accadrebbe ai portafogli cinesi, perché la loro contabilità registra gli acquisti di obbligazioni al costo e non al prezzo di mercato.

2) Comprando il debito europeo malmesso, i cinesi spingono verso l’alto la domanda di euro. Si tenga presente che il cambio della loro moneta, lo yuan, è legato al dollaro. Se il dollaro si indebolisce verso l’euro, anche lo yuan si indebolisce verso l’euro. Il cambio è importante per le esportazioni di Pechino, le cui imprese lavorano con margini bassi, per cui bastano anche delle variazioni modeste dei prezzi alle esportazioni per portarle al pareggio o in perdita.

3) Ad ogni modo, i cinesi hanno diversificato le riserve valutarie. Se tutto finisce bene, vuol dire che si è avuta in Europa solo una «crisi di liquidità». Come una persona che si trova per un periodo limitato in crisi di cassa, ma che ha buone prospettive di trovar lavoro e perciò di rimborsare i creditori, e dunque è «solvente». Si ha però anche la «crisi di insolvenza»: la persona dell’esempio che non trova lavoro e che non riesce a rimborsare i debiti.

4) Gli Stati in crisi di liquidità si risanano, mentre ricevono gli aiuti finanziari; alla fine sono solventi. Possono però non risanarsi e quindi alla fine non rimborsare in tutto o in parte il debito. Quasi sempre il debito dei paesi in crisi è stato rimborsato in larga misura. Dunque alla fine il vero rischio è quello di un rimborso parziale.

I cinesi possono quindi fare «bingo», a condizione che questi paesi si risanino: ottengono delle licenze e dei contratti, delle obbligazioni con rendimenti elevati, mantengono il loro cambio competitivo e diversificano le riserve.

Che cosa accadrebbe invece se la scommessa fosse sbagliata, vale a dire se i paesi europei malmessi non si risanassero? I cinesi avrebbero delle obbligazioni su cui in parte perdono, e un cambio dell’euro che per un periodo più o meno lungo si indebolisce in rapporto al dollaro e quindi alla moneta cinese. Restano però le licenze e i contratti. In questo caso i cinesi lucrano un «quasi bingo».

Se si pensa che quelle licenze e quei contratti non sarebbero mai stati ottenuti in condizioni normali, ossia con un’Europa non in crisi, allora ci si avvicina a comprendere il senso della scommessa cinese. Quei contratti producono nei decenni dei redditi, che potrebbero ridurre la perdita sul debito dei paesi europei malmessi, anche nel caso in cui questi rimborsassero solo in parte il proprio debito.

In conclusione, nel caso peggiore i cinesi possono perdere poco e fare «quasi bingo», in quello migliore fare «bingo». La loro scommessa è perciò razionale.

C’è dell’altro. Il ragionamento è stato condotto sotto la condizione di coeteris paribus; vale a dire, che il mondo non si muova. Rimuoviamo la condizione. Il debito statunitense non è ben messo come si crede; i cinesi hanno più volte ribadito di esserne ben coscienti. L’investimento in un’Europa in difficoltà non è allora una diversificazione dell’investimento nei magnifici Stati Uniti. È un investimento in un’area in cui le difficoltà sono ormai emerse, che va messo in rapporto a un investimento in un’area le cui difficoltà prima o poi emergeranno.

Resta aperta la questione: si debbono temere i cinesi?
Essi hanno il loro peso negli Stati Uniti, a causa dell’ammontare di debito pubblico che possiedono; cominciano ad acquistare peso in Europa, per le ragioni dette prima; ce l’hanno già in Africa e in America Latina. Il loro peso crescente è economico, ma non militare, tanto meno culturale: non esiste, infatti, un equivalente cinese dell’american way of life.

Il peso economico dei cinesi va messo in prospettiva: gli Stati Uniti e l’Europa (dell’euro e non) hanno ciascuno un pil intorno ai 15 mila miliardi di dollari, la Cina di 5 mila. La sua economia è quindi un sesto di quella che si affaccia sull’Atlantico. Cresce molto, ma è ancora assai distante dalle dimensioni atlantiche.

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