giovedì 2 dicembre 2010

Restare, perche'? Son loro a dare le carte.


ALIMENTARE: NASCE L'ASSOCIAZIONE DELLE INDUSTRIE DEL DOLCE E DELLA PASTA
(ASCA) - Roma, 2 dic - L'Associazione delle Industrie Dolciarie Italiane e l'Unione Industriali Pastai Italiani hanno firmato oggi, presso la sede di Confindustria, una storica fusione: e' nata AIDEPI, l'Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane.
Paolo Barilla, nominato con voto unanime Presidente dell'associazione, si e' detto certo dei vantaggi che portera' l'aver riunito industrie dolciarie e pastai sotto un unico tetto associativo: ''Il ruolo delle Associazioni si inserisce nel difficile contesto attuale - ha sottolineato Barilla - con il preciso intento di aiutare le imprese nella tutela dell'interesse collettivo, creando le condizioni per una nuova crescita economica, forte e duratura, nel rispetto di una concorrenza sana e leale tra le imprese e nel dialogo con i consumatori e con le istituzioni''.
Questo passo rappresenta, ha sottolineato la Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in una lettera di auguri alla neonata Associazione, ''un passaggio importante e strategico nel percorso di razionalizzazione e semplificazione dell'assetto del sistema confederale'', auspicando che ''il positivo esempio di Aidi ed Unipi potra' trovare repliche anche in altri settori, non solo del comparto alimentare''.
''Questa fusione - si legge in una nota - apre la strada ad una nuova Associazione rappresentativa di due grandi rami dell'industria alimentare italiana, costituita storicamente da aziende grandi e piccole, tutte ugualmente indispensabili a comporre il mosaico delle eccellenze alimentari che caratterizzano il nostro Paese''.
Nasce cosi' il primo polo dell'industria alimentare italiana, con un fatturato di oltre 16 miliardi di euro (13,5% del totale) e una leadership sull'export: con oltre 4 miliardi di euro, pari a circa un quarto (22%) del totale nazionale.
Punta di diamante del Made in Italy alimentare, la nuova A.I.D.E.P.I contera' 36.000 addetti e circa 130 societa'.
Questa scelta portera' anche ad una rappresentativita' piu' forte nelle sedi istituzionali europee ed italiane: infatti l'AIDEPI rappresentera' oltre l'80% del mercato del dolce e della pasta, consolidando la gia' ampia rappresentanza delle due preesistenti associazioni. Le aree merceologiche saranno cinque: pasta, cioccolato, gelati, forno, confetteria.
La fusione mira principalmente ad una razionalizzazione delle strutture, soprattutto ad una proficua sinergia del lavoro di due associazioni i cui associati hanno sempre piu' interessi in comune.
A.I.D.I., Associazione Industrie Dolciarie Italiane, e' l'organizzazione che, dal 1967, a completamento del processo di riunificazione delle strutture associative esistenti, U.N.I.D.I. e A.N.I.A.D., rappresenta e tutela le aziende italiane produttrici di confetteria, cioccolato e prodotti a base di cacao, biscotti e prodotti dolci da forno, gelati, dessert e pasticceria industriale. L'UN.I.P.I. invece e' l'Associazione nata nel 1968 dalla preesistente associazione Pastindustria, come associazione di categoria del settore dell'industria italiana della pastificazione.
Oltre alla Presidenza di Paolo Barilla, sono state definite tutte le cariche della nuova AIDEPI: i Vice Presidenti saranno Alessandro Ambrosoli (AMBROSOLI) a capo del Gruppo Merceologico Confetteria, Nunzio Pulvirenti (FERRERO) per il Gruppo Cioccolato, Riccardo Felicetti (PASTIFICIO FELICETTI) per il Gruppo Pasta, Gastone Caprini (BAULI) per il Gruppo Forno, Paolo Radi (UNILEVER) per il Gruppo Gelati; la direzione sara' affidata a Mario Piccialuti, gia' direttore AIDI dal 2001.
com-luq/sam/lv

Futuro a rischio per le raffinerie italiane
L'Unione petrolifera lancia l'allarme: la concorrenza extra-Ue avrà effetti dirompenti sulla struttura industriale nazionale ed europea
30 Novembre 2010
L'attuale crisi della raffinazione mette a rischio il futuro di un settore strategico per il Paese. Ne è convinta l'Unione Petrolifera (Up), secondo cui il sensibile calo dei consumi petroliferi, destinato ad aumentare nei prossimi anni, unito alla forte concorrenza delle nuove raffinerie dei paesi extra-Ue, sostanzialmente prive di obblighi e vincoli ambientali e spesso sussidiate direttamente dallo Stato, avranno effetti dirompenti sulla struttura industriale italiana ed europea senza interventi volti a tutelare questo settore.
Lo stato di difficoltà del comparto è stato sostanzialmente confermato dal sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, intervenuto a un convegno della Up. «Nei prossimi anni si prevede in Italia un eccesso di capacità di raffinazione di 15-20 milioni di tonnellate, ossia l'equivalente di tre o quattro raffinerie di medie dimensioni. - ha ammesso Saglia -. Attualmente la capacità è di 106 milioni di tonnellate su 16 impianti, con un utilizzo degli impianti intorno all'80% (nel periodo 2005-2008 era al 92%), considerato che i consumi (scesi di 18 milioni di tonnellate in 6 anni) sono calati nel 2010 di altre 2 milioni di tonnellate. Già alcune raffinerie italiane stanno considerando la loro trasformazione in deposito, con conseguenti problemi anche occupazionali». Il sottosegretario, nel suo intervento, si è impegnato a promuovere una «politica pubblica nel solco dell'iniziativa europea e finalizzata alla ristrutturazione del settore. Bisogna agire in un'ottica di sistema e non rincorrere una crisi dopo l'altra».
L'industria della raffinazione italiana ha perciò avanzato alcune proposte per una soluzione razionale del problema. In particolare le aziende hanno confermato la propria disponibilità a investimenti per rispondere alle nuove esigenze di mercato. Sulle questioni ambientali, l'Up chiede un'accelerazione del completamento delle istruttorie Aia (Autorizzazione integrata ambientale) nonché una omogeneità di comportamento nelle procedure autorizzative a livello territoriale. Proposta anche l'istituzione di un organismo super partes (nell'ambito di quelli già esistenti sul modello dell'Epa americana) che possa razionalizzare i rapporti tra norme regionali e nazionali, riconducendo al centro le competenze legislative sulle attività industriali petrolifere. In materia fiscale, si è chiesto un intervento normativo di revisione della Robin Tax, ritenuta ingiustificata e penalizzante, e una semplificazione delle procedure di controllo del divieto di traslazione.
Nell'ambito dell'emission trading per il periodo 2013-2020, i petrolieri italiani hanno chiesto di individuare meccanismi in grado di riequilibrare i vantaggi di cui beneficiano i paesi extra-Ue, facendo leva sul concetto di green label per i prodotti petroliferi italiani ed europei. Richiesto anche un intervento del Governo presso l'Unione europea per evitare le penalizzazioni previste dalle proposte in discussione che determinerebbero per le raffinerie italiane oneri aggiuntivi stimati in 500-600 milioni di euro (3 miliardi per l'intera Europa). Infine, i petrolieri auspicano che per “invertire la tendenza negli attuali trend di consumo” (ovvero che si torni a consumare più benzina, ndr), si arrivi a un riequilibrio del sistema di tassazione dei carburanti.

Banche, ci manca solo il federalismo creditizio
Le banche sono uno dei piatti preferiti di Umberto Bossi. Il denaro è potere, e il potere passa per l'intreccio perverso tra credito, affari e politica.  
Per un partito come la Lega Nord, che rispecchia gli umori del territorio,  gli istituti di credito rappresentano quindi una tentazione sempre più irrefrenabile. E non da ora.
Ricordiamo tutti la disastrosa avventura della Credieuronord, la banchetta leghista creata con il denaro dei militanti "padani" e salvata dalla bancarotta, dopo appena qualche anno di operatività, grazie a un provvidenziale intervento della Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani. Ma senza andare tanto lontano ci ronzano ancora negli orecchi le parole del "senatur" all'indomani della vittoria della Lega alle elezioni regionali. Era il mese di aprile del 2010 quanto Bossi dichiarò, urbi et orbi, che dopo aver vinto nelle grandi Regioni del Nord "ora ci prenderemo anche le banche". E aggiunse: "La gente dice prendetevi le banche e noi lo faremo". Una dichiarazione che fece subito venire in mente la Dc dei tempi migliori, o peggiori, che dir si voglia.  Senza parlare del recente "dimissionamento" da UniCredit dell'ex amministratore delegato Alessandro Profumo, per i quali i leghisti hanno addirittura brindato, mentre non risulta si siano mai lamentati che al vertice di note istituzioni bancarie-assicurative siedano personaggi inquisiti e condannati per bancarotta. Sarebbe questo il partito delle riforme, del cambiamento, del federalismo?
Ed ecco adesso la novità. Mentre il governo Berlusconi è agonizzante dopo neanche tre anni di legislatura, il partito che si prefigge la nascita del libero stato della Padania (art. 1° dello statuto della Lega) ha presentato un sorprendente disegno di legge quadro che favorisca la nascita di nuove banche sul territorio. La proposta, scrive Dario di Vico sul "Corriere della sera", proviene dai deputati leghisti Marco Regazzoni, Massimo Bitonci, Alessandro Montagnoli e Marco Maggioni in attuazione dell'articolo 117 della Costituzione che dà alle Regioni facoltà di intervento nella politica del credito. "L'intinerario prefigurato  da Regazzoni - spiega Di Vico nell'articolo - ha come primo step un test approvato dal parlamento nazionale (che preveda incentivi fiscali) per poi passare la palla alle Regioni alle quali 'spetterà il compito di legiferare'".
In parole povere, se l'Italia diventa federalista, se il potere si sposta dal centro alla periferia, dallo Stato nazionale allo Stato locale, si dia modo a Regioni, Province e Comuni di promuovere istituti di credito che siano vicini agli interessi del territorio: famiglie e piccole e medie imprese, queste ultime tradizionale terreno di caccia della Lega. Qualcosa di simile alle Landensbanken tedesche, di cui sono azionisti, appunto, i Lander, l'equivalente delle nostre Regioni. Al progetto sembra peraltro interessata anche la Compagnia delle opere, l'associazione imprenditoriale che riunisce oltre 34mila imprese e mille organizzazioni non profit, legata a Comunione e liberazione. Ma siamo sicuri che il territorio, per crescere, abbia bisogno di nuove banche? E tutti i discorsi fatti in questi anni sulla necessità della concentrazione, della grande dimensione per competere con i colossi internazionali del credito? Ci siamo già dimenticati delle vicende della Popolare di Lodi e della Popolare di Intra o del Credito Cooperativo Fiorentino presieduto da Denis Verdini? E sono solo esempi. Facciamo funzionare meglio le banche che abbiamo,  piuttosto che farne proliferare di nuove. La Banca d'Italia sia più rigorosa nella vigilanza creditizia e finanziaria, impedisca alle banche a vocazione territoriale di avventurarsi in operazioni spericolate, di finanziare le campagne elettorali del notabilato locale. Le banche escano dall'azionariato di Bankitalia. Si trovi una soluzione perché le  Fondazioni escano dall'azionariato delle banche. Si impedisca agli istituti di credito di raggirare i piccoli investitori e le piccole imprese con prodotti redditizi solo per la banca venditrice. Si vigili sul credito al consumo e sulle carte di debito, che in certi casi si configurano come una vera e  propria forma di strozzinaggio. Si mandino a casa gli amministratori e i manager bancari indagati e condannati. Di questo ha bisogno il territorio. Che poi è il nostro paese.
Fonti:
http://oddo.blog.ilsole24ore.com/finanza_e_potere/2010/11/banche-ci-manca-solo-il-federalismo-creditizio.html



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