martedì 28 giugno 2011

Ristrutturare non vuol dire curare i mali greci


di Generoso Chiaradonna - 06/28/2011
Tra una ristrutturazione hard e un’altrasoft, i grandi creditori della Grecia stanno orientandosi verso una soluzione che non faccia troppo male soprattutto ai bilanci delle banche – francesi e tedesche in primis – troppo esposte verso il Paese ellenico.


Il piano francese di ristrutturazione “volontaria” del debito greco, discusso nel corso dell’ultimo fine settimana, prevede un allungamento delle scadenze fino a 30 anni su metà del debito greco. Banche e assicurazioni francesi reinvestiranno, su base volontaria, il 70% dei bond in scadenza, di cui un 50% in titoli trentennali e un 20% in titoli a cedola zero di alta qualità. I rendimenti dei titoli trentennali avrebbero una componente variabile indicizzata alla crescita del prodotto interno lordo ellenico. Una sorta di bonus di credibilità sulla buona riuscita della manovra di rientro da lacrime e sangue – per i greci, s’intende – che il Parlamento dovrebbe varare entro oggi, pena il non pagamento della quinta tranche degli aiuti comunitari promessi un anno fa.
Un no farebbe naufragare anche il secondo pacchetto di prestiti targati Ue e Fmi da varare nei prossimi giorni. In una parola la strategia del bastone e della carota che potrebbe essere giunta in ritardo rispetto ai segnali che comunque i conti pubblici greci già davano non un anno fa ma ormai tre anni fa. Si è preferito mettere la testa sotto la sabbia sperando che i dati ‘farlocchi’ che i ministri delle Finanze greci presentavano a Bruxelles negli anni scorsi non fossero poi così brutti.

I governi europei e soprattutto i banchieri, quindi, stanno facendo ora di tutto per isolare il malato ellenico ed evitare un contagio delle altre economie cosiddette periferiche dell’area euro. In gioco più che l’esistenza della moneta unica (un repentino ritorno alle monete nazionali equivarrebbe a raddoppiare se non a triplicare il debito pubblico dell’eurozona con le drammatiche conseguenze facilmente immaginabili in termini di tassi d’interesse che schizzerebbero alle stelle, oltre alla fine dell’Unione europea così come la conosciamo), c’è la credibilità della politica continentale che vuole scongiurare che un eventuale fallimento della Grecia faccia sembrare una barzelletta quella che è stata definita la ‘Pearl Harbour’ della finanza globale. Ci riferiamo al crollo della Lehman Brothers avvenuto nel settembre del 2008. Le conseguenze le pagherebbero le generazioni future per molti anni a venire e non sarebbe un bel lascito.

Quindi tutti uniti, obtorto collo, al capezzale del grave malato sperando che una cura da cavallo (tagli alla spesa sociale, privatizzazioni delle imprese pubbliche e liberalizzazioni forzate) non uccida il già debole corpo sociale dell’economia greca. Insomma, come diceva Eduardo De Filippo: «Deve passare la nottata!». Non resta che augurarsi che la nottata greca passi in fretta e che all’indomani il paziente mostri segni di ripresa e non sia definitivamente morto.


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