mercoledì 13 luglio 2011

Federali.Mattino_13.7.11. Svizzera, Generoso Chiaradonna: Gli zeri che affollavano le banconote dell’epoca non erano nient’altro che il risultato delle svalutazioni che si erano accumulate nel corso dei decenni precedenti. Il danno maggiore che fecero quegli atti, apprezzati dagli industriali che potevano esportare più facilmente, fu quello di procrastinare le riforme strutturali dell’economia italiana. Riforme in fin dei conti mai attuate.----Giggino Manetta: trasferire i rifiuti fuori regione o saremo sommersi.

Allarme de Magistris: trasferire i rifiuti fuori regione o saremo sommersi
Vendola: «Tutti devono farsi carico dei rifiuti»
Petrolio in Val d'Agri ma le garanzie?
Antonio Martino dice: si sta purtroppo verificando tutto quello che avevo previsto anni fa
Svizzera. L’illusione che senza euro si stava molto meglio


Allarme de Magistris: trasferire i rifiuti fuori regione o saremo sommersi
Nuovo appello a Caldoro: domani scade la precedente ordinanza su sversamenti, bisogna firmarne un'altra
 NAPOLI – Un altro braccio di ferro in vista tra de Magistris e Caldoro? Probabile: dopo le scintille della scorsa settimana, ecco un nuovo ultimatum del sindaco di Napoli nei confronti del Presidente della Regione: «Domani - attacca Luigi de Magistris - scade il provvedimento firmato da Caldoro al quale chiedo di predisporne un altro, nuovo e rafforzato, visto che la situazione è peggiorata. La deve fare perchè la situazione di criticità è peggiorata».

IN IRPINIA, SANNIO E CASERTANO - Lancette dell’orologio, dunque, indietro di quattro giorni, alla serata di venerdì, quando il Governatore, al termine di una giornata ad altissima tensione tra Palazzo san Giacomo e Santa Lucia, firmò l’ordinanza per conferire i rifiuti di Napoli nelle province di Avellino, Benevento e Caserta. «Quell'ordinanza si potrà superare - aggiunge il sindaco - solo quando porteremo i rifiuti fuori regione e se non accade la situazione resterà critica. Rischiamo di essere sommersi dai rifiuti. Per liberare la città l’unica possibilità è il trasferimento extraregionale o ul'utilizzo degli impianti che ci sono in regione perché secondo me non sono stati utilizzati finora fino in fondo».

LEGA NORD E DECRETO - De Magistris entra nel dettaglio, proprio nel giorno in cui la Lega Nord presenta emendamenti al decreto legge sui rifiuti che vanno nella direzione di affidare al sindaco di Napoli poteri da commissario straordinario all’emergenza: «San Tammaro e altre discariche consentono di liberare gli stir perchè gli impianti sono pieni. Adesso Caldoro ha un elemento di forza: il nostro sostegno per una ordinanza che è tardiva ma buona e poi la decisone del Tar». Il riferimento è alla decisione del tar del Lazio che non ha accolto il ricorso presentato dalle tre province interessate contro l’ordinanza di Caldoro. Un “no” che però alle province lascia uno spiraglio di soddisfazione, poiché la decisione viene interpretata comunque come una conferma della straordinarietà della decisione del presidente della Regione, che dunque, secondo i ricorrenti, non è ripetibile.
Carlo Tarallo

Vendola: «Tutti devono farsi carico dei rifiuti»
BARI – “Rifiutiamo l’idea che una parte del territorio italiano posso essere esentata dal governo nazionale a fronte di un’emergenza nazionale come quella rifiuti in Campania”. Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, parlando oggi a Bari con i giornalisti.

“Se il governo scrive un decreto dove c'è scritto che c'è un’emergenza nazionale ma non se ne occupa la nazione e solo le regioni limitrofe in quel decreto – ha continuato Vendola – si sta scrivendo che siamo in piena secessione ma io come patriota dell’Italia mi rifiuto di adeguarmi a questa logica”.

“Oggi – ha concluso Vendola – chiedo che concretamente le altre regioni, quelle che hanno espresso solidarietà televisiva, la esprimano concretamente. Noi abbiamo fatto più di tutte le altre regioni messe assieme e oggi ci aspettiamo di fare la nostra parte ma insieme con tutti gli altri”.

Petrolio in Val d'Agri ma le garanzie?
Il petrolio della Val d’Agri continua a dividere. Popolazioni, amministrazioni, politica e istituzioni. Fra raccolte di firme, raduni e assemblee infuocate, proteste nei Consigli comunali: tutti chiedono garanzie. Il tema è quello della tutela del territorio e della salute a fronte della proposta di aumentare le estrazioni petrolifere e dell’inquinamento dell'ambiente prodotto dalla crescita di emissioni inquinanti.

Nelle manifestazioni si evocano le responsabilità delle istituzioni pubbliche sulla trattativa contenuta nel Memorandum. La Regione Basilicata ha iniziato infatti (come nella precedente fase di avvio nel 1996) la trattativa con il Governo nazionale, interessato all'ampliamento della estrazione per aumentare i benefici come azionista e per far fronte alla volatilità del mercato petrolifero e alle restrizioni procurate dalla crisi libica. Ci sono però i sindaci dell’area che, in questa nuova contrattazione, vogliono vedersi riconosciuta presenza e protagonismo.

La Regione, fa rilevare Romualdo Coviello (già parlamentare della Val d’Agri), ha sottoscritto un Memorandum in cui «sono fissate le linee guida per l'intesa con le aziende estrattrici; ponendo le questioni create dal malessere per la scarsa induzione dello sviluppo locale, per il coinvolgimento delle Industrie petrolifere nella questione dell'indotto, nel settore dell'energie innovative e nella crescita delle attività produttive anche ai fini occupazionali; fa un forte accento all'assenza di impegno dello Stato sulla realizzazione delle infrastrutture largamente insufficienti, sull'apertura del territorio lucano alle grandi direttrici nazionali, sulla la difesa ed il rilancio dei grandi investimenti industriali realizzati nel decennio e oggi in crisi». Mentre la Val d’Agri si mobilita per chiedere garanzie per l’am - biente e la salute (beni «non negoziabili»), prosegue Coviello, «l’Eni risponde alle contestazioni con argomentazioni e scelte di mera razionalità economica, trascurando del tutto i diritti delle popolazioni locali ad esprimersi democraticamente, esercitare iniziative ed avere voce nelle decisioni che toccano la vita delle persone e delle comunità».

Alla luce «dei comportamenti e dei tempi lunghi nell'azione degli organismi di controllo del territorio e della salute degli abitanti, molti cittadini chiedono se sia utile dare il consenso all'allargamento dell'estrazione petrolifera e se vale la pena accettare le proposte di ampliamento delle attività estrattive richieste dall'Agip e negoziate da Regione e Governo». Questo dibattito è diventato l’occasione «per verificare i risultati della presenza dell’Agip, sia nella tutela della salute delle persone e della sanità dell'ambiente, sia nel procurare la crescita a favore delle Comunità locali. All'economia locale senza sviluppo, si aggiunge la questione più concreta della debole risposta delle istituzioni ambientali che non prevedono di impegnare personalità scientifiche terze nella valutazione e controllo, né destinano adeguate risorse per il governo delle attività di tutela dell'area, limitadosi a imporre vincoli senza produrre investimenti utili allo sviluppo sostenibile del territorio».

Vi è poi, sostiene Coviello, «il disagio più pregnante per un'area che, pur disponendo di royalties ed essere area di eccellenza per l'ambiente di un vasto territorio, rimane tutt'ora il cuore debole della regione». Come molte delle aree interne. Eppure, con il suo patrimonio di risorse petrolifere ed idriche, ci sarebbero le condizioni per un suo sviluppo. Talvolta ci si attarda nelle guerre fra comuni (cioé fra poveri: contro quelli che beneficiano delle royalty ma non concedono nuovi permessi di ricerca): è roba «di corto respiro e priva di cultura». Il petrolio insomma «è fonte e fattore di crescita, ma anche di contrasti e chiede pertanto una forte capacità di governo». E l’Agip, che ha interesse ad ampliare la propria azione sul territorio lucano, «omette di assumere impegni, trascura le aspettative della popolazione, sottovaluta i riflessi sull'ambiente». Le amministrazioni locali possono svolgere un ruolo di protagoniste. Ora e per il tempo in cui il petrolio sarà esaurito.

Antonio Martino dice: si sta purtroppo verificando tutto quello che avevo previsto anni fa
L'euro si salva se viene cambiato
Multe ai paesi spreconi? Ma a cosa servono se stanno fallendo?
 di Antonio Martino da Il Tempo 
Quando, nel 1994, entrato in politica, divenni ministro degli esteri, apriti cielo!
Sono stato immediatamente etichettato come euroscettico se non addirittura anti-europeo.
L'accusa nella prima formulazione era in realtà un grande complimento: anche senza riandare alla filosofia del mondo classico, lo scetticismo ha annoverato alcuni fra i più grandi pensatori dell'umanità.
Nella sua seconda formulazione, anti-europeo, era semplicemente grottesca se riferita al figlio di Gaetano Martino, il promotore della Conferenza di Messina del 1955 e dei relativi accordi, della Conferenza di Venezia del 1956, e firmatario dei Trattati di Roma del 1957.

Oltre tutto, io non mi sono mai professato contrario all'integrazione dell'Europa o all'adozione di una moneta comune, ma ho sempre criticato l'adozione immediata di una moneta unica perché non ritenevo che fosse realizzabile senza gravi contraccolpi per ragioni squisitamente tecniche.
Ero d'accordo con Einaudi che auspicava l'adozione di una moneta europea per privare gli stati nazionali di sovranità monetaria, impedendo loro di finanziare le spese con l'inflazione, che egli giudicava la «più iniqua di tutte le imposte».
L'indipendenza di Belgio e Lussemburgo in materia di pubblico bilancio era stata alla base dei problemi della comune moneta, il franco.
L'euro non ha privato i paesi che l'hanno adottato di sovranità finanziaria, ha solo dettato delle regole, considerate «stupide» dal Grande Bolognese.
Quelle regole, tuttavia, prevedono come sanzione per il mancato rispetto salatissime multe, sanzione assolutamente risibile: se un paese, come ad esempio la Grecia, non riesce a finanziare il suo deficit, una multa onerosa non renderà certo più rosee le sue prospettive di risanamento!
Non solo, ma per impedire il fallimento dei paesi insolventi, cosa sta facendo l'Unione europea?
Compra i loro debiti, monetizzandoli in vario modo, tradendo così proprio la ragione per cui Einaudi voleva la moneta europea.
La storia monetaria dell'Europa ci fornisce numerosi esempi di come la volontà politica sia impotente in questa materia.
La Repubblica di Weimar, monetizzando il debito, diede vita alla Grande Inflazione del 1923-24, splendidamente raccontata dal nostro Costantino Bresciani-Turroni.
«Quota novanta», il velleitario tentativo di Mussolini di fissare a quel livello il cambio della lira con la sterlina inglese, venne bollata da Keynes con le immortali parole: «Per fortuna per il contribuente italiano e l'industria italiana, la lira non obbedisce nemmeno a un dittatore, e non le si può somministrare l'olio di ricino»!
Infine, il tentativo di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi di impedire la svalutazione della lira ci costò in un solo giorno, il 16 settembre 1992, ben sessanta mila miliardi di lire di riserve ufficiali!
Quanto ho finora scritto non è politicamente corretto, ma a me sembra ineccepibile sotto il profilo economico.
Se l'Ue vuole salvare l'euro, deve ripensarlo: chi viola i criteri imposti per la gestione del pubblico bilancio deve essere espulso dall'unione monetaria.
L'alternativa è il futile e assurdo tentativo di imporre un vestito della stessa taglia a Piero Fassino e Giuliano Ferrara!

Svizzera. L’illusione che senza euro si stava molto meglio
di Generoso Chiaradonna - 07/13/2011
«Indietro non si torna»! È questo il ritornello recitato da ormai quasi due anni dai leader dei Paesi europei a proposito della crisi della moneta unica. Nessuno intende ritornare alle vecchie valute nazionali. La pezza sarebbe peggiore del buco. O meglio i danni – economici, finanziari e sociali – sarebbero peggiori dei presunti benefici. Se la Grecia, per citare un peso piuma dell’Unione monetaria europea, fosse ritornata un anno fa alla dracma sarebbe già fallita. Con quale faccia, ‘falsificatori di conti pubblici’ avrebbero chiesto ulteriore credito e a quali tassi d’interesse?

C’è una parte consistente di esperti che ritiene che la Grecia, se avesse avuto ancora la dracma, avrebbe potuto attuare le cosiddette svalutazioni competitive per rilanciare la sua economia, svalutazioni che l’adozione dell’euro le ha precluso. Ma l’esperienza dimostra che ‘diventare tutti più poveri, con l’illusione di essere più ricchi’ – perché di questo si tratta quando si svaluta – non è mai servito a rilanciare veramente nessuna economia avanzata.
C’è l’eccezione della Cina, ma il suo sistema finanziario è sostanzialmente chiuso. Per rimanere in Europa, c’è l’esempio delle svalutazioni competitive della lira italiana che riempiono inutilmente i testi scolastici.

Gli zeri che affollavano le banconote dell’epoca non erano nient’altro che il risultato delle svalutazioni che si erano accumulate nel corso dei decenni precedenti.

Il danno maggiore che fecero quegli atti, apprezzati dagli industriali che potevano esportare più facilmente, fu quello di procrastinare le riforme strutturali dell’economia italiana. Riforme in fin dei conti mai attuate.
La speranza di un’inversione di tendenza, in Italia ma anche negli altri Paesi periferici dell’area euro, risiedeva nella nascita della moneta unica.
Sparita l’arma della svalutazione, la competitività delle diverse economie nazionali doveva arrivare da altri fattori: prima di tutto dall’innovazione tecnologica e dal graduale abbandono dei settori a basso valore aggiunto.
Cosa che non è avvenuta né in Italia, né altrove.
Perché i furbi, finanziariamente parlando, hanno continuato a fare i furbi. La possibilità di indebitarsi a tassi tedeschi (bassi per definizione) e spendere a livelli mediterranei (tanto e male) ha invece creato le premesse per quello che dagli ultimi 18 mesi si sta verificando. Gli speculatori che sanno fare bene il loro lavoro sono passati alla cassa presentando il conto di un’unione politica europea incompiuta. E facendo emergere le incongruenze tra quanto promesso – il Patto di stabilità – e quanto poco realizzato.

Se l’Europa piange, gli Stati Uniti non ridono. Bloccati da mesi da un estenuante dibattito tra destra e sinistra sull’aumento del tetto del debito, sono messi sotto osservazione dalle ormai famigerate agenzie di rating che per gli europei guidano la speculazione sull’euro. In campo ci sono le solite due visioni ideologicamente contrapposte e inconciliabili: meno tasse da una parte e più spesa pubblica dall’altra. Prima del due di agosto, data limite per un accordo, i deputati americani si metteranno d’accordo e lo stallo si sbloccherà.
Tra un anno invece in Europa si parlerà ancora di piani di salvataggio e di crisi della moneta unica.
E il cammino verso una maggiore integrazione politica continentale – c’è da scommetterlo – resterà ancora a lungo soltanto un sogno degli anni 70.

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