venerdì 15 luglio 2011

Federali.Mattino_15.7.11. La fine si avvicina per i padani, nonostante le leggi ad hoc ed il Cipe; forza negri slavi e musulmani. Venezia. Crolla in Veneto il mercato dei lavori pubblici. Regione, Province e Comuni hanno finito i soldi da un pezzo, e con loro la galassia di società, consorzi ed enti vari che vi ruotano attorno, così che i cantieri sono sempre più piccoli per dimensioni e valore, e le imprese si vedono costrette a svenarsi pur di poter lavorare. Senza contare i pagamenti in (stra)ritardo, ormai una consuetudine anche nel pubblico.

Sardegna. Tavolo di confronto fra Governo e Regioni a statuto speciale
Friuli VG, oltrepadania. La Regione abolisce il “welfare padano” per evitare ricorsi Ue
Veneto, padania. Crollano i lavori pubblici
Svizzera. Prima stranieri, poi turchi, ora musulmani


Sardegna. Tavolo di confronto fra Governo e Regioni a statuto speciale
 Dalla redazione
ROMA Un tavolo di confronto bilaterale tra Regioni a Statuto speciale e Governo per evidenziare l'incidenza e gli effetti della manovra economica sui servizi pubblici e sulla finanza regionale.
Una richiesta avanzata, ieri pomeriggio a Roma, dagli Enti “speciali” che, insieme a quelli “ordinari” hanno presentato ai ministri Tremonti, Fitto e Caldoro, un documento siglato, la settimana scorsa, in Conferenza Stato-Regioni sulle correzioni alla manovra.
«La manovra deve essere approvata subito e condividiamo il richiamo del presidente della Repubblica Napolitano “al senso di responsabilità e all'immediatezza di attuazione”», dicono i rappresentanti delle Regioni, intervenuti al dicastero dell'Economia.
Nel testo anche i cinque punti elaborati dal vice-presidente della Regione Giorgio La Spisa per scongiurare i tagli indiscriminati della manovra economica, che penalizzerebbero ulteriormente le Regioni a Statuto Speciale: «Gli enti ad autonomia differenziata - spiega l'assessore al Bilancio - richiedono che siano attuati i meccanismi di perequazione per i fabbisogni di spesa pubblica e, al tempo stesso, che il Governo tenga conto degli accordi finanziari previsti».
Inoltre, nel testo presentato a via XX settembre si invita il Governo a dare applicazione ai regimi finanziari delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome e a garantire l'equa ripartizione dei sacrifici attraverso il Patto di stabilità per migliorare l'indebitamento netto, da quantificare in base ai volumi di bilancio regionale. Ultimo punto sottoscritto, il federalismo fiscale: le Regioni “speciali” ne approvano l'attuazione, che non può però prescindere dai meccanismi di perequazione infrastrutturale.
Un primo passo, secondo La Spisa, per non gravare sull'economia dell'Isola: «Spero che al ministero Economico sia passata l'idea e il metodo dell'importanza del confronto bilaterale con le singole regioni - ragiona -. È un atto dovuto per salvaguardare la specificità di ogni territorio. In questo momento così difficile per la nostra regione, da parte del Governo ci sembra di poter registrare favorevolmente la disponibilità al confronto».
Roberta Floris

Friuli VG, oltrepadania. La Regione abolisce il “welfare padano” per evitare ricorsi Ue
 Dietrofront sulle norme che imponevano agli immigrati lunghi periodi di residenza per l’accesso ai contributi sociali
TRIESTE. I paletti del welfare targato Lega Nord in Friuli Venezia Giulia vengono smantellati. Ne restano due, i superstiti dal naufragio: per accedere alle misure di assistenza sociale contenuto nel testo unico proposto da Roberto Molinaro c'è l'obbligo di residenza in regione da almeno 2 anni per italiani e comunitari, estesi a 5 per gli extracomunitari.
 Il Carroccio non condivide ma è costretto a digerire: dura lex sed lex. «Un percorso necessario - è il commento dell'assessore alle Politiche per la famiglia - perché l'azione della Regione deve stare all'interno del principio di legalità». Non per convinzione, dunque, ma per obbligo di legge. Per scongiurare la procedura d'infrazione europea. Per evitare che i comuni della regione si trovino a dover pagare salate sanzioni giudiziarie.
 È già accaduto per le sentenze sul bonus bebè a Latisana e i contributi per l'affitto a Majano: il tribunale di Udine ha dato ragione ai ricorrenti, due rumeni e un camerunense, e costretto il comune collinare a sborsare, spese legali comprese, 40mila euro. Di qui le trattative di questi mesi, fino alla cancellazione, ieri, di quasi tutti i paletti che i padani aveva imposto a inizio legislatura alle diverse leggi che regolano l'erogazione dei contributi sociali. C'era per esempio l'obbligo di 10 anni di residenza in Italia di cui 5 in regione per bonus bebè e alloggio in case Ater, di 8 anni in Italia e uno in Fvg per la Carta famiglia, dal fondo povertà erano pure esclusi gli extracomunitari. Vincoli che erano entrati prima nel mirino dello Stato, con conseguente impugnazione delle leggi regionali, e poi bollati come «discriminatori» dalla Consulta.
 Abbastanza, tra le polemiche dell'opposizione e le perplessità dei moderati della maggioranza, per richiedere la retromarcia. Decisa in giunta con i due assessori leghisti che non si sono opposti. Nella seduta di ieri, dopo le rassicurazioni di Tondo agli assessori - «Non ci sarà alcun rimpasto» -, su proposta di Federica Seganti viene approvato l'incremento dell'ammontare massimo dei prestiti concedibili a carico del Frie: dal 66,5 al 76,5% del valore delle garanzie reali offerte dalle aziende. La giunta dà anche il via libera, su proposta di Elio De Anna, al Regolamento per la concessione dei contributi per la tutela e la promozione delle minoranze di lingua tedesca, previsti dalla legge 20 del 2009. E ancora, su proposta di Riccardi Riccardi, arriva l'ok, oltre che al Regolamento di attuazione di alcuni specifici articoli di legge della normativa anti-sismica, anche allo schema di convenzione da sottoscrivere con Rfi per la realizzazione dell'anello metropolitano e delle infrastrutture ferroviarie previste nel progetto Ue/Adria A: obiettivo finale è il disegno preliminare della linea di metropolitana leggera per il collegamento passeggeri tra Trieste e Capodistria, ma anche di Gorizia e Nova Gorica con l'entroterra sloveno e i tre aeroporti di Ronchi dei Legionari, Venezia e Lubiana. Infine, su proposta del vicepresidente Luca Ciriani, passa il consuntivo dell'attività svolta nel 2010 e il programma per l'attività relativa al 2011 del Commissario della Laguna, competente in relazione alla gestione dell'emergenza socioeconomica e ambientale nella laguna di Marano e Grado.

Veneto, padania. Crollano i lavori pubblici
In un anno persi 700 milioni
Regione, Comuni e Province hanno finito i soldi: stop ai cantieri. Interventi sempre più ridotti e di basso importo, le imprese costrette a ribassi medi del 20%
VENEZIA — Crolla in Veneto il mercato dei lavori pubblici. Regione, Province e Comuni hanno finito i soldi da un pezzo, e con loro la galassia di società, consorzi ed enti vari che vi ruotano attorno, così che i cantieri sono sempre più piccoli per dimensioni e valore, e le imprese si vedono costrette a svenarsi pur di poter lavorare. Senza contare i pagamenti in (stra)ritardo, ormai una consuetudine anche nel pubblico. E’ questo il mesto verdetto reso dal rapporto annuale sul settore degli appalti, stilato dalla Regione in collaborazione con il Cresme. I dati, per dirla con le laconiche parole dell’assessore ai Lavori pubblici Massimo Giorgetti, «non sono affatto confortanti, anzi. Quelli che contano, sono tutti al ribasso». Rispetto allo scorso anno si è registrato un calo tanto sul fronte del numero degli appalti (meno 17,2%) quanto su quello del loro valore di mercato, che scende addirittura del 28,5%, passando da 2 miliardi 443 milioni a un miliardo 748 milioni di euro. Numeri in controtendenza rispetto a quelli che si registrano nel resto del Paese, dove invece si segna un più 1,6% alla voce numero e addirittura un più 8,3% alla voce importi.

«Il Veneto vive un momento di particolare difficoltà» si legge nel rapporto del Cresme, che sottolinea poi come la caduta libera del mercato dei lavori pubblici dalle Dolomiti al Delta sia mitigata soltanto dagli appalti banditi dalle grandi committenze nazionali, in particolare per la costruzione delle reti del gas e dell’illuminazione pubblica, che crescono del 9,5% e dell’ 8,5% (addirittura più 57,4% quanto al valore complessivo). Altra scialuppa, quella messa in acqua dai project financing cari all’assessore alle Infrastrutture Renato Chisso, che non perde occasione per indicarli come l’unica via possibile per poter aprire un cantiere in un’Italia dalle casse esangui: rappresentano il 58% dei casi di partenariato pubblico-privato, con un valore di 365 milioni. La collaborazione con i privati, di cui si parla anche per la costruzione della Tav, è ai suoi massimi storici dal 2002 e sfiora ormai il 37% dell’intero valore di mercato delle opere pubbliche in Veneto. Resta fermo, in ogni caso, il sensibile ridimensionamento del valore complessivo dei grandi lavori, scesi dal 68% al 61% a favore dei lavori medio piccoli, che hanno tempo di affidamento più rapidi, soprattutto grazie alle procedure negoziate: l’89% del totale delle opere realizzate l’anno scorso aveva infatti un importo inferiore al milione di euro. Un dato, questo favorito anche dalle recenti scelte della politica veneta, a tutti i livelli, che ha preferito facilitare gli appalti più piccoli per ridare fiato alle imprese locali, che difatti conquistano l’85% delle gare indette, seppur di valore sempre più basso. Non è un caso che, per lavorare, ormai gli imprenditori siano disposti a ridurre al lumicino i loro guadagni.

Il persistere della crisi fa sì che i ribassi d’asta si attestino ormai mediamente attorno al 20%, quando due anni fa si arrivava al massimo al 15%, il che ha comportato un risparmio per le pubbliche amministrazioni stimato in 67 milioni di euro nel periodo che va dal 2004 al 2010. Inciso territoriale: Verona e Padova sono le province che vanno peggio sotto il profilo della spesa mentre salgono Treviso e Rovigo. Venezia, nonostante una perdita del 29%, resta in testa con appalti per 329 milioni In chiusa, due dati che risollevano un po’ il morale: quello delle gare relative ai servizi, che crescono del 9% e sono dominate dalle Usl e dalle Case di riposo con oltre 460 milioni di euro, e quello delle progettazioni architettoniche e ingegneristiche, che dopo il calo degli ultimi quattro anni risalgono del 22% a fronte di un dato nazionale negativo dell’8%. C’è da sperare, però, che le opere non restino solo sulla carta. Per il prossimo triennio tra Regioni, enti e società satellite, Ater, Usl, consorzi di bonifica, Province e Comuni sopra i 10 mila abitanti, sono previsti 6.107 interventi, per oltre 9 miliardi di euro. Di questi, 1,4 miliardi sono programmati dalla Regione e 705 milioni riguardano la difesa del suolo.
Marco Bonet

Svizzera. Prima stranieri, poi turchi, ora musulmani
Di Eveline Kobler e Alexander Künzle, swissinfo.ch
Furono chiamati per lavorare. La gente del posto li chiamò turchi e albanesi. Oggi sono chiamati collettivamente musulmani. La "minoranza musulmana" nella Confederazione, secondo uno studio, è stata creata ad arte dalla politica e dai media.
 La "minoranza musulmana" negli ultimi anni in Svizzera è stata sempre più spesso presentata nei media come una minaccia, hanno constatato i professori dell'università di Zurigo Patrik Ettinger e Kurt Imhof. I due sociologi hanno perciò voluto cercare le cause di questa evoluzione. Hanno così diretto uno studio nell'ambito del programma del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) denominato " Comunità religiose, Stato e società".
Dai reportage su guerre e attentati si delinea chiaramente un cambiamento dell'immagine dei musulmani in Svizzera, sottolineano i due ricercatori. Nei dibattiti politici e nei media elvetici le generalizzazioni e le caratterizzazioni sono aumentate di continuo negli ultimi anni, fino alla votazione popolare sull'introduzione nella Costituzione federale del divieto di costruire minareti, svoltasi il 29 novembre 2009.
 Il cambiamento d'immagine "in Svizzera si è riscontrato non tanto nei reportage sugli attentati dell'11 settembre 2001, ma piuttosto in quelli sugli attentati di Madrid e di Londra, come anche sulla vertenza delle caricature di Maometto. Nella copertura di questi avvenimenti cruciali si è lentamente instaurata l'immagine di un Islam violento e di un conflitto delle culture", spiega Patrik Ettinger a swissinfo.ch.
"Sono state in particolare l'Unione democratica di centro (UDC) e in misura minore l'Unione democratica federale (UDF), che hanno trasposto l'immagine dei musulmani dal contesto internazionale al contesto nazionale".
Sotto questo influsso gli immigrati musulmani sono lentamente diventati "i musulmani". In precedenza, osserva Ettinger, venivano indicati secondo il gruppo etnico di appartenenza: erano turchi, bosniaci, eccetera. "Non credo che l'identità musulmana fosse già latente. Sono del parere che l'appartenenza musulmana sia stata costruita solo attraverso questa nuova visione".

"Identità scalfita"
Il cambiamento di percezione per cui i vicini turchi sono diventati i musulmani si è operato su uno sfondo di un'identità culturale svizzera in mutazione. Quest'ultima si è scalfita, scrivono gli autori dello studio. "In Svizzera è in atto un rapido cambiamento sociale, con la migrazione di persone dei ceti superiori e medi che genera una sensazione d'insicurezza nel ceto medio svizzero".
A ciò si aggiungono un ampio dibattito circa la posizione della Svizzera in Europa e nel mondo e il discredito dell'élite politica elvetica, dice Ettinger.
"In questo contesto, c'è un attore populista, che amplifica e fomenta questa incertezza, che vuole imporre una definizione specifica di 'svizzero' ed effettua suddivisioni degli stranieri".
Alla facoltà di integrazione degli svizzeri viene prestata troppo poca attenzione, rilevano gli autori dello studio. "Era successo lo stesso durante la grande ondata migratoria degli italiani negli anni '60: furono alimentati i timori che le città protestanti della Svizzera tedesca avrebbero potuto essere invase da una maggioranza cattolica, analogamente a quanto accade ora con i timori di una islamizzazione della Svizzera", dice Ettinger. "Ed esattamente come gli immigrati italiani e spagnoli con il cattolicesimo, anche la maggioranza degli immigrati musulmani non interpreta la propria religione in modo fondamentalista".

Critiche dall'UDC
"Il resoconto sull'Islam presentato nello studio è nettamente distaccato dalla situazione reale e dalla percezione della popolazione",  ha dichiarato a swissinfo.ch il segretario generale dell'UDC Martin Baltisser, prendendo posizione sui risultati della ricerca.
Dal punto di vista del suo partito, lo studio è "di dubbia utilità". Oggi esistono effettivi punti di tensione che aumentano in modo massiccio, poiché se nel 1970 in Svizzera c'erano circa 16mila musulmani, nel 2010 ce n'erano oltre 400mila, afferma il segretario generale dell'UDC.
I dibattiti pubblici sono basati su uno sfondo reale: questioni di integrazione, rispetto dell'ordinamento giuridico, comportamento nella famiglia, nella scuola e in campo ufficiale da un lato, ma anche l'atteggiamento di esponenti delle comunità islamiche, aggiunge Baltisser. A suo giudizio, gli autori dello studio danno "una singolare interpretazione della causalità". L'interazione della percezione pubblica è più complessa, sottolinea il segretario generale dell'UDC.

Approvazione dell'imam di Zurigo
Al contrario, secondo l'imam della comunità islamica di lingue slave meridionali di Zurigo, Sakib Halilovic, i risultati dello studio vanno nella giusta direzione e il lavoro sembra svolto in modo serio. "In particolare, mi sembra giusta l'affermazione secondo cui i media non sono riusciti a fare una distinzione tra terrorismo globale e Islam da una parte e i musulmani in Svizzera, in grande maggioranza integrati, dall'altra parte."
Da anni Halilovic lotta contro le generalizzazioni, contro le attività diffamatorie, come dice lui, contro le quali si era già battuto in Bosnia prima della guerra. Per lui resta un enigma come sia possibile che si mettano nello stesso calderone dell'Islam tutti i musulmani, indifferentemente dal fatto che siano di ceti sociali molto diversi e di altri mondi, quali l'Europa, l'Africa e l'Asia, specialisti altamente qualificati o richiedenti asilo in fuga. "Non è l'Islam in sé il problema".

Rabbia contro gli svizzeri convertiti
"Dopo l'11 settembre 2001, ogni musulmano è stato improvvisamente visto in modo diverso. Su questo lo studio ha ragione", commenta Yahya Hassan Bajwa, che dirige un servizio per la comunicazione interculturale a Zurigo, ha frequentato le scuole in Svizzera sin dalle elementari ed è deputato nel parlamento del canton Argovia.
"Persino il mio medico di lunga data mi ha chiesto se avessi qualcosa a che fare con il terrorismo", racconta. Il modo dell'UDC di politicizzare questo tema ha certamente un influsso diretto sul nuovo spauracchio "musulmani o Islam", dice Bajwa.
Questo è stato dimostrato nell'ambito dell'iniziativa anti-minareti, quando tutti i pronostici sull'esito della votazione si sono rivelati sbagliati, aggiunge. Bajwa è inoltre irritato per quegli svizzeri convertiti all'Islam che una grande sicurezza di sé presentano rivendicazioni radicali, causando riprovazione non solo da parte dell'opinione pubblica, ma anche della maggior parte delle organizzazioni islamiche.
I media spesso dipingono tutto solo in bianco e nero, senza sfumature di grigio, e nei loro reportage lasciano poco spazio ai musulmani, si rammarica il responsabile del servizio di comunicazione interculturale.
 Eveline Kobler e Alexander Künzle, swissinfo.ch

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