mercoledì 6 luglio 2011

Federali.Mattino_6.7.11. Vendola: Qualcuno mi faccia sapere in quale sede posso far valere il principio della tutela della salute dei pugliesi. Voglio sapere per ogni grammo di questo materiale cosa materialmente sto accogliendo.

«Il decreto rifiuti contro la Puglia»
Calabria, meno occupati e più imprese
Bozen. Toponomastica, scontro tra gli esperti
Al Ticino "forte" 15 milioni in meno


«Il decreto rifiuti contro la Puglia»
di Giuseppe Armenise
BARI - Rifiuti, croce e delizia per la regione Puglia. Da un lato la conclusione, in poco più di un anno (e dopo quindici anni di attesa e preoccupazioni da parte delle popolazioni locali), della bonifica del sito inquinato di interesse nazionale di Manfredonia, dall’altro l’ennesima emergenza campana che coinvolge in maniera diretta la Puglia, già destinataria negli ultimi tre anni di complessive «110mila tonnellate inviate da Napoli, ovvero una quantità maggiore a quella accettata - ha spiegato il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola - da tutte le altre regioni d’Italia messe in fila». E intanto, contro i mucchi di rifiuti ammassati in alcune strade di Foggia, Vendola annuncia: «A giorni la Regione interverrà con i fondi necessari ad acquistare nuovi mezzi per la raccolta. Perché a Foggia il problema sono i mezzi».

Ieri doveva essere la giornata del ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Invece è stata l’ennessima occasione in cui l’attesa è stata tradita. Sulle trivellazioni (il ministero dell’Ambiente ha dato il via libera ai primi tre degli undici permessi di ricerca del petrolio al largo delle isole Tremiti) e sull’Ilva (oggi si annuncia una riunione accesissima a Roma sull’Autorizzazione integrata ambientale), le parole di Vendola sono dunque state indirizzate verso una sedia vuota.

Il ministro in realtà si è vista quando è stato proiettato il dvd distribuito ieri durante l’evento conclusivo per l’illustrazione della procedura di bonifica del sito di Manfredonia, divenuto per le sue caratteristiche un vero e proprio caso di studio. Da lontano, senza inciampare in imbarazzanti contradditori, la responsabile del dicastero all’Ambiente si è ovviamente felicitata di come le cose si siano concluse nella città del foggiano e di come abbia funzionato la collaborazione tra enti istituzionali nazionali e regionali con l’intervento di privati detentori di tecnologie d’avanguardia.

«La bonifica di Manfredonia - hanno detto usando le stesse parole tanto la Prestigiacomo che Vendola è un caso emblematico di come si possa passare dall’emergenza all’eccellenza». Poi però Vendola ha osservato amaro: «Ce l’abbiamo fatta in poco più di un anno, dopo quindici anni di attesa delle popolazioni. È una bonifica che farà scuola in Italia e in Europa. Se si fosse realizzata al Nord dell’Italia, sicuramente ne parlerebbero tutti i tg e i giornali nazionali. Ma siamo al Sud e chissà perché le eccellenze valgono un po’ meno».

Il richiamo ad un sospetto di secessionismo strisciante era stato ribadito dallo stesso Vendola in riferimento al decreto del governo in merito all’emergenza rifiuti a Napoli. «In questo momento - ha detto il presidente della regione Puglia - il decreto è ancora una cosa misteriosa, ma noi stiamo cercando di conoscerlo e l’impressione è che ratifichi una sconfitta culturale e politica veramente drammatica. Se il decreto ingloba l’idea della secessione noi dobbiamo ribellarci. Non si può costruire un intervento a fronte di una emergenza nazionale dicendo, sostanzialmente, che non c'è più una nazione, che non tutti debbano corrispondere al dovere della solidarietà». Vendola ha poi ribadito la disponibilità della Puglia a dare il nulla osta all’arrivo di rifiuti campani, «purché nel rispetto dei criteri fissati dai protocolli d’intesa e con i criteri di sicurezza stabiliti a suo tempo nell’accordo con la regione Campania. Qualcuno mi faccia sapere in quale sede posso far valere il principio della tutela della salute dei pugliesi. Voglio sapere per ogni grammo di questo materiale cosa materialmente sto accogliendo. Nei giorni scorsi, l’assessore regionale alla Qualità dell’Ambiente, Lorenzo Nicastro, aveva scritto al ministro Prestigiacomo e ieri ha ricordato che per aver accolto centinaia di tonnellate di rifiuti provenienti da Napoli, la Puglia è in credito col governo nazionale di 8 milioni di euro. «Finora - non abbiamo visto un euro».

Calabria, meno occupati e più imprese
 Mercoledì 06 Luglio 2011 06:24  Redazione desk
LAMEZIA TERME - Presentata a Lamezia Terme la seconda edizione della Giornata dell’economia regionale promossa da Unioncamere Calabria. L’incontro, che si è svolto ieri mattina presso la sede lametina dell’Unione regionale delle Camere di commercio è servito «per tastare il polso dell’economia calabrese e comprenderne appieno lo stato di salute». Così il presidente di Unioncamere Calabria Giuseppe Gaglioti ha aperto la relazione introduttiva al convegno, preceduta dai saluti del sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza che ha subito focalizzato l’attenzione sullo «stato di allarme che investe i Comuni alla luce dei tagli alle risorse destinate agli enti locali». Il presidente Gaglioti ha illustrato l’importanza del lavoro svolto dall’Osservatorio economico regionale di Unioncamere che «rappresenta uno strumento da cui imprese e policy makers possono partire per identificare un proprio percorso di sviluppo». Il rapporto traccia una realtà economica, quella calabrese, «segnata da una serie di ritardi rispetto alle altre regioni italiane - ha evidenziato Gaglioti nella relazione -, soprattutto in termini di valore aggiunto e ricchezza prodotta». E ancora, deficit strutturali e infrastrutturali, difficile accesso al credito per le imprese, tutti fattori che inducono di fatto al ricorso al lavoro non regolare sul quale pesa anche la mano della criminalità organizzata, come ha evidenziato nel suo intervento il prefetto di Catanzaro Antonio Repucci, fotografano un sistema economico fortemente compromesso, una Calabria che arranca e fa fatica ad agganciare la ripresa. Sono questi i nodi strutturali dell’economia calabrese elencati anche dalla direttrice della filiale di Catanzaro della Banca d’Italia, la dott.ssa Luisa Zappone, tra i quali spicca il dato sulla disoccupazione che si attesta al 32%, guadagnando il primato italiano, e al ridotto volume delle esportazioni che rimane fermo all’1% del Pil regionale. Quindi, scarsa internazionalizzazione e disoccuspazione, a cui si aggiunge una debole tendenza ad investire in innovazione, come ha messo in risalto nella relazione di Unioncamere 2011 Marco Pini dell’Universitas Mercatorum, sono le criticità che la Calabria si porta dietro dagli anni cinquanta che hanno fatto sì che il divario tra le regioni crescesse allargando la forbice nord-sud soprattutto in seguito al boom economico. Il segretario generale di Unioncamere Calabria, Donatella Romeo, ha proseguito presentando il rapporto realizzato dall’Osservatorio economico calcolato sulla base dei principali indicatori socio economici del sistema regionale, ponendo l’accento sui pesanti risvolti sociali causati dalla debolezza del tessuto economico calabrese. I numeri parlano chiaro: sono 180.962 le imprese calabresi registrate nel 2010 con 12.040 iscrizioni (+6,7%) e 10.773 cancellazioni (-5%).  Più luci che ombre - malgrado il saldo positivo relativo alla nascita di imprese e la crescita del reddito disponibile per le famiglie 12.559,67 (+0,7%) - nella fotografia scattata daUnioncamere: nel 2010 le persone in cerca di prima occupazione erano 77.600. La crisi generalizzata ha accentuato la tendenza alla bassa partecipazione al mercato del lavoro. In Calabria il tasso di occupazione dei giovani tra i 14 e i 34 anni, nel 2010, era pari al 28,3% -4,2% rispetto al 2008. Il 36,2 per cento dei giovani tra 15 e 34 anni nel 2010 non aveva un’occupazione, né stava svolgendo un’attività di studio o formazione. Sono i Neet (Not in Education, Employment or Training). Più 12% rispetto alla media italiana. Nella regione il ricorso totale alle forme di Cassa integrazione nel 2010 è aumentato del 73% rispetto al 2009, soprattutto quella straordinaria. La Calabria, inoltre, come conferma il rapporto, è la prima regione per diffusione del lavoro sommerso (al primo posto tra le province c’é Crotone con il 25,4%). Il tasso di irregolarità regionale è pari al 22.3%, contro il 10.2% dell’Italia. L’incidenza del "nero" contribuisce a mantenere ancora elevati i consumi con un incidenza dei beni di prima necessità sulla spesa totale sostanzialmente stabile negli ultimi anni (22% consumi alimentari). In positivo c’é che cresce il reddito disponibile per le famiglie 12.559,67 (+0,7%), sempre al di sotto di quello nazionale (16.803,68) che diminuisce del 3,2%. Ancora oggi oltre 300 milioni di euro l’anno finiscono all’estero quale deficit della bilancia commerciale cui bisogna aggiungere tutto l’import dalle regioni italiane e gli altri rilevanti trasferimenti finanziari. Una somma enorme che comporta, secondo stime di importanti economisti, una perdita netta annua di ricchezza pari al 25%. Dunque, le imprese devono internazionalizzare ma in maniera coerente, pianificata e sistemica non occasionale: in Calabria sono circa un migliaio le imprese che esportano e di queste solo il 10% lo fa stabilmente. Langue anche il settore ricerca e innovazione. Sei i brevetti targati Calabria nel 2009. Gli addetti ai settori R&S sono in media 1,2 su mille abitanti a fronte dei quattro su mille che è il dato nazionale. «Per contribuire al rilancio economico di questa regione - ha sostenuto il presidente Gaglioti presentando l’osservatorio - non possiamo agire da solie riconosciamo nella rete e in una governance unica e condivisa il modus operandi imprescindibile alla base di ogni singola azione. Indispensabile diventa il confronto continuo e costruttivo con il Governo regionale e tutte le istituzioni locali per tradurre i segnali e le indicazioni che vengono dal  mondo produttivo in politiche realmente utili e di sostegno per il soddisfacimento delle loro esigenze». Le considerazioni conclusive sono state tratte da Umberto De Rose, presidente di Fincalabra Spa, da Giuseppe Lombardi, presidente della Commissione regionale Abi Calabria, e da Giovanni Latorre, rettore dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, i quali hanno evidenziato lo stato di sofferenza del sistema turistico, bancario, infrastrutturale, che rende sempre più difficile la competitività della nostra regione in tanti settori basilari per l’economia regionale. L’assessore regionale al Bilancio e alla Programmazione, Giacomo Mancini, ha concluso la presentazione del rapporto con la ricetta proposta dalla nuova Giunta regionale: «C’è bisogno - ha detto - di una classe dirigente che si rimbocchi le maniche per sfruttare le risorse ristrette a disposizione che vanno indirizzate verso nuove opportunità e soprattutto per fronteggiare le tante emergenze del territorio. Stiamo lavorando, nei limiti del Patto di stabilità, sfruttando i fondi comuniatri rimasti inutilizzati, per riequilibrare il sistema affinché sia pronto a ripartire. Una sfida che porteremo avanti per il bene della nostra terra».

Bozen. Toponomastica, scontro tra gli esperti
Kramer e Mastrelli: garantire il bilinguismo. Kühebacher: via i nomi fascisti
di Francesca Gonzato
  BOLZANO. Toponomastica. In consiglio provinciale si è tenuta ieri la prima giornata di audizioni degli esperti invitati dalla commissione speciale. Ed è stato subito scontro. Non nei toni, ma sui contenuti. Il punto attorno a cui tutto ruota sono i criteri in base a cui la legge provinciale fisserà ciò che è toponomastica ufficiale. In molti spingono sull'uso: come rilevarlo è altro oggetto di disputa. Johannes Kramer, direttore della facoltà di romanistica all'Università di Treviri, ha spiegato i motivi per cui è contrario alla cancellazione delle denominazioni in italiano del prontuario Tolomei: «Non dobbiamo condividere Tolomei, ma prendere atto che oggi esiste una toponomastica italiana e una toponomastica tedesca. E visto che entrambe sono lingue ufficiali della provincia, è opportuno che anche i toponimi siano bilingui». Secondo Kramer quello storico non è il criterio discriminante: «E' vero, i nomi italiani hanno meno di 100 anni, ma una società bilingue ha bisogno di nomi in italiano e tedesco. La comunità italiana sente che quei nomi le appartengono, non dobbiamo dunque fissarci sulla loro origine anche se, lo ribadisco, non possiamo essere d'accordo con Tolomei». Anche i nomi delle piccole località, ha concluso il professore germanico, «seppure poco usati, dovrebbero essere lasciati bilingui, anche a scopo turistico ed economico». Ai criteri utilizzati da Ettore Tolomei è stata dedicata la relazione della linguista Daniela Giaimo (articolo sotto).  Il faro devono essere le prescrizioni dello Statuto di autonomia sull'obbligo del bi-trilinguismo, ha esordito Carlo Alberto Mastrelli, presidente dell'Istituto di studi per l'Alto Adige ed ex vicepresidente dell'Accademia della Crusca. Mastrelli distingue tra contesto privato e pubblico, tra onomastica personale e odonomastica locale: «Nel primo caso si può ristabilire il nome originale che era stato italianizzato, nel secondo caso il nome è rivolto a una collettività, che in Alto Adige è storicamente ladina, tedesca e italiana». Mastrelli riconosce che la Provincia ha competenza sulla toponomastica, «ma non può avere il potere ultimo dal punto di vista linguistico. Gli italiani devono cercare la loro soluzione, soprattutto perché stiamo parlando della lingua nazionale. Non si possono calare modelli teorici in una reatà viva, la toponomastica non deve essere un'arma per fare guerra agli altri».  Egon Kühebacher, già docente all'università di Innsbruck ed esperto emerito dell'Archivio provinciale, ha esordito promettendo «le mie valutazioni discorderanno da chi mi ha preceduto». Così è stato. Kühebacher immagina una toponomastica provinciale ridotta a un pugno di nomi italiani ufficiali. Sì Bolzano, no Brunico, per dare un'idea. Richiamandosi alle raccomandazioni Onu del 1967, Kühebacher suggerisce che ogni località dovrebbe avere un solo nome ufficiale, documentato dal punto di vista storico. Dove un terzo o un quarto degli abitanti usi l'altra lingua, «si potrebbero indicare nomi alternativi, posti tra parentesi su segnaletica o documentazione». I nomi italiani senza storia e non utilizzati entro quella percentuale andrebbero solo inseriti in un elenco provinciale non ufficiale. Conclusione di Kühebacher: «Il diritto di patria degli italiani non verrebbe leso se si usa un nome tedesco. Il passato fascista va abbandonato, ne guadagnerebbbe il rispetto per la libertà».  Cäcilia Wegscheider è una linguista, consulente dell'Archivio provinciale impegnata nel progetto di catalogazione della microtoponomastica: «I nomi di Tolomei dopo 80 anni fanno parte del patrimonio locale. Questo non significa che chi li utilizza è un fascista. Ma alla cultura italiana contribuiscono solo i nomi utilizzati. La questione va risolta e lo sarà solo attraverso un compromesso». Ha presentato la propria tesi, dichiaratamente più intransigente, Johannes Ortner, impegnato nel medesimo progetto della linguista: «I nomi imposti vanno eliminati. Propongo la soluzione finlandese: una zona viene considerata bilingue se vi abitano almeno l'8% di persone di un gruppo o comunque più di 200 persone di quella lingua». Accanto alla soluzione percentuale Ortner propone referendum comunali. 

Al Ticino "forte" 15 milioni in meno
Berna ridistribuirà 4,6 miliardi
Nel 2012 il Ticino riceverà 15 milioni di franchi in meno rispetto all’anno precedente. Lo ha reso noto ieri l’Amministrazione federale delle finanze che ha pubblicato i versamenti ai singoli Cantoni (si veda a lato) per l’anno prossimo. Il motivo delle minori entrate per perequazione è presto detto. L’indice delle risorse del Ticino è migliorato, passando da 95 a 99 punti. Tanto basta per ritoccare verso il basso il contributo del 2012 che si fissa così a poco meno di 32 milioni di franchi rispetto ai 47 dell’anno precedente. «La conseguenza per il Ticino è stata un’amara sorpresa per noi, comunicataci poco prima che i dati venissero divulgati» assicura <+nero>Edy Dell’Ambrogio<+tondo>, coordinatore del Dipartimento finanze ed economia e direttore della Divisione delle risorse. «È bastata una leggera modifica di forza finanziaria del nostro Cantone rispetto agli altri (4 punti) per farci perdere metà del compenso finanziario». Con quali conseguenze sulle casse ticinesi? «Le ripercussioni sono facilmente immaginabili, se si considera che questa perdita di 15 milioni nel 2012 andrà ad aggiungersi ai 72 milioni che non riceveremo dalla Banca nazionale, agli 80 milioni in più che dovremo pagare per il nuovo sistema di finanziamento ospedaliero e ai 40-50 milioni necessari per il risanamento della Cassa pensioni dei dipendenti dello Stato».

Un tesoretto di 4,6 miliardi
La perequazione finanziaria si basa su tre fondi. Nel primo, nel 2012 la Confederazione e i Cantoni finanziariamente forti metteranno complessivamente a disposizione di quelli finanziariamente deboli 3,573 miliardi di franchi (contro 3,634 miliardi nel 2011). Il contributo della Confederazione resta stabile a 2,1 miliardi; quello dei cantoni diminuisce di 80 milioni, per raggiungere 1,4 miliardi. Il contributo della Confederazione al secondo fondo – compensazione degli oneri dovuti a fattori geotopografici e sociodemografici (50% ciascuno) – ammonta a 738 milioni di franchi, pari a un aumento di 33 milioni. Nulla cambia nel fondo per la compensazione dei casi di rigore, finanziato nella misura dei due terzi dalla Confederazione e di un terzo dai Cantoni. In questa compensazione i contributi sono fissi per i primi 8 anni della nuova perequazione finanziaria. In seguito si riducono annualmente del 5%. Pertanto, nel 2012 saranno ancora a disposizione 366 milioni di franchi. In tutto, dunque, per la perequazione finanziaria l’anno prossimo saranno complessivamente a disposizione circa 4,676 miliardi di franchi sotto forma di fondi senza destinazione vincolata, vale a dire 27 milioni di franchi in meno rispetto al 2011.

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