venerdì 29 luglio 2011

Federali.Sera_29.7.11. Carosino (Ta), Biagio Cinque: Non ho avuto nessuno problema con i precedenti amministratori che seppure additati non si sono mai comportanti in questo modo. Nessuno tapperà la bocca alla sana informazione. Ai miei compaesani rassicuro la continuità della rubrica Fatti & Misfatti che va in onda ogni lunedì sera. Ora lo scontro si fa duro.----Fincantieri. Monfalcone, l’unico stabilimento del Gruppo che continuerà a lavorare più degli altri con meno gente in cassintegrazione (attualmente 140 su 1600, un numero in calo e rientreranno tutti entro fine anno) ma, è anche lo stabilimento, dove l’assenteismo ha raggiunto il 27%. Il peggior dato di tutto il gruppo.----San Marino. In soldoni, è finita la pacchia.

Censurata la tv locale per paura delle critiche
Pesca, nasce il marchio «doc» tra Bari e Brindisi
Venite a Colobraro il paese che non si può nominare
Gorizia, Oltrepadania. Fincantieri riapre il tavolo col sindacato Bono: più efficienza
San Marino senza un quattrino
Kosovo, la Nato riprende il controllo del confine serbo


Censurata la tv locale per paura delle critiche
 Mercoledì 27 Luglio 2011 14:20
CAROSINO - La notizia ha fatto presto il giro del paese ed a Biagio Cinque, responsabile di Tele Beta, sono giunte tante espressioni di solidarietà. “Gli attuali amministratori, fino allo scorso mese, seduti tra i banchi di opposizione erano tra i maggiori segnalatori di storture e disservizi esistenti in paese, ora - racconta Biagio Cinque - ci censurano. Sono indignato!”.

La notizia è giunta in diretta tv nel corso della rubrica “Fatti & Misfatti”. “E’ stato il consigliere Mimmo Campo a riferire della decisione assunta da tutta la maggioranza guidata dal sindaco Biagio Chiloiro circa la scelta di una totale chiusura nei confronti dell’emittente televisiva locale, colpevole di mettere a nudo i problemi che i cittadini, settimanalmente denunciano. Questo atteggiamento dittatoriale penalizza i carosinesi i quali hanno sempre visto l’emittente Tele Beta loro alleata contro le ingiusizie e i misfatti con cui quotidianamente hanno a che fare. Mi accusano di essere di parte, ma io non ho alcun impegno politico e con la tv continuerò a denunciare quanto non funziona in città”. Una censura di certo non digerita e scaturita, forse, dalla paura di non riuscire a superare le critiche della comunità? “Sono venticinque anni che esiste questa emittente televisiva - osserva ancora Biagio Cinque - e mai mi era capitata una cosa simile. Non ho avuto nessuno problema con i precedenti amministratori che seppure additati non si sono mai comportanti in questo modo. Nessuno tapperà la bocca alla sana informazione. Ai miei compaesani rassicuro la continuità della rubrica Fatti & Misfatti che va in onda ogni lunedì sera”. Ora lo scontro si fa duro.

Pesca, nasce il marchio «doc» tra Bari e Brindisi
di ANTONIO GALIZIA
BARI - Superare il momento di crisi adottando un marchio di qualità che renda riconoscibili i prodotti ittici del Sud Est Barese e del Nord Brindisino, realizzando oasi di ripopolamento, imprese di acquacoltura, trasformando vecchi battelli in barche per il pesca-turismo. Promuovere attività di formazione degli addetti per avvicinare i giovani alla pesca, campagne di comunicazione e marketing territoriale per pubblicizzare i prodotti ittici locali. E sostenere iniziative volte a preservare l’ambiente marino e a sostenere le imprese di pesca e della filiera produttiva. Sono gli obiettivi fissati dai comuni di Mola, Monopoli, Polignano e Fasano, che sostenuti da 15 partner (le province di Bari e Brindisi, Legapesca, Agci, Federcopesca, Federpesca, Unci, Anapi, Coldiretti-Impresa Pesca, Crsa Basile Caramia, Università di Bari, Banca Popolare di Bari, Ad Concord, Legambiente e Forpuglia) daranno vita al primo Gruppo di azione costiera (Gac) pugliese, che ha preso il nome «Mare degli Ulivi».

L’appuntamento è fissato stamane alle 11,30 nella sala giunta della Provincia di Bari, dove i sindaci delle quattro città Stefano Diperna, Emilio Romani, Angelo Bovino e Lello Di Bari, sigleranno insieme ai presidenti Fr ancesco Schittulli e Massimo Ferrarese, agli operatori del settore e ai partner istituzionali, un protocollo d’intesa che nasce dalla volontà di offrire nuove opportunità al settore ittico attraverso il Fondo europeo della pesca (Fep) 2007/2013 della Regione Puglia. Il Gac «Mare degli ulivi» intende attivare un partenariato rappresentativo anche per irrobustire la filiera territoriale (accesso al credito, cofinanziamento pubblico-privato, agenzie formative) per generare sviluppo sostenibile della zona di pesca dell’area a Sud di Bari. Nel comparto marittimo che comprende i quattro Comuni del Gac il pescato annuo è di circa 3500 tonnellate l’anno; il 74% riguarda pesci (merluzzi, naselli e scorfani in particolare), il 17% molluschi (polpi, totani e seppie), il 9% i crostacei. Nel 2010, il settore ha perso il 27% di addetti e circa 50 armatori e 4 cooperative di pesca hanno chiuso i battenti. Per porre fine a questa «emorragia », provocata in particolare dall’aumento del prezzo del gasolio, dall’obbligo all’uso delle reti a maglie larghe e dall’arrivo sui banchi dei nostri mercati di prodotto importato (da Asia e America latina), Comuni e operatori hanno (finalmente) deciso di adottare una iniziativa comune.

Venite a Colobraro il paese che non si può nominare
MATERA – Cinque appuntamenti serali alla scoperta del magico, del fantastico e della ricerca antropologica per sfatare il mito di un comune, Colobraro (Matera), che alcuni non osano nominare, perchè porterebbe sfortuna. Una nomea legata a luoghi comuni, ma che ha indotto il sindaco, Andrea Bernardo, a puntare su questo elemento di debolezza per farne un punto di forza della promozione turistica territoriale: così è nato il “Sogno di una notte a...quel paese”, presentato oggi ai giornalisti.

La manifestazione rientra tra i grandi eventi del Piot Metapontino ed è stata realizzata con risorse per 24.700 euro legate a risorse del Fesr Basilicata 2007-2014.
Turisti e curiosi, ogni mercoledì a partire dal 3 agosto e per tutto il mese, saranno accolti all’ingresso del paese da alcune ragazze che daranno loro il benvenuto e consegneranno un “abitino”, un amuleto di stoffa contenente erbe ed essenze, da portare al collo. Da qui la visita guidata gratuita al centro storico durante la quale, tra ironia e ricerca antropologica, verranno illustrate con l’apporto di figuranti – diretti da Giuseppe Ranoia – le leggende e i luoghi comuni sul paese che “porta jella”. Allo stesso tempo si potrà compiere, visitando il castello, un tuffo del passato alla scoperta delle tradizioni e delle consuetudini della vita famigliare, che hanno visto spesso intrecciarsi magico e superstizioni, con amore, morte, passioni, malattia e religione. Per le strade ci saranno anche astrologi per scrutare le costellazioni, cartomanti, musici e danzatori.

“L'idea – ha spiegato Bernardo – nasce dal fatto che ovunque si sente nominare Colobraro con uno scaramantico 'quel paese'. Con queste serata scopriremo, divertendoci, che tutto nasce da una leggenda, che verrà rappresentata con grande ironia in un percorso teatralizzato che si svolgerà nel centro storico, dai magici scenari, dalle fantastiche vedute e dalle tante attrattive”. Tra queste la mostra di Franco Pinna, il fotografo che accompagnò negli anni Cinquanta l’antropologo Ernesto De Martino autore dei libri Sud e Magie e Magia in Lucania.

Gorizia, Oltrepadania. Fincantieri riapre il tavolo col sindacato Bono: più efficienza
Vertice all’Assindustria di Gorizia con i provinciali di Fim, Fiom e Uilm. Varo della Breeze, timori sul premio
GORIZIA. Fincantieri e sindacati riprovano a dialogare. Stamani a Gorizia un tavolo ufficiale convocato da Confindustria dopo gli scioperi e i picchetti davanti allo stabilimento di Monfalcone. Una protesta durata quasi dieci giorni per il mancato pagamento di un premio di programma di fine giugno che non è stato raggiunto. Il sindacato «per senso di responsabilità», vista la crisi e la cassintegrazione negli altri stabilimenti italiani (per carenza di commesse) aveva deciso di fermarsi.
L’azienda ha tenuto duro, il sindacato interno non ha raggiunto il suo obiettivo. Ma ora anche di fronte alle pressioni delle istituzioni che hanno chiesto una “normalizzazione di rapporti” si cerca di riannodare il dialogo. Fincantieri ha accettato di riprendere a parlare e Confindustria ha aperto il tavolo tanto atteso.

 Troppo presto però per dire che è tornato il sereno, un primo bilancio si potrà fare solo al termine dell’incontro. Da una parte l’azienda, dall’altra il sindacato e in particolare le segreterie provinciali di Fim, Fiom e Uilm che hanno preso in mano il timone che prima era delle Rsu interne.

 «Le segreterie provinciali si assumono direttamente la vertenza Fincantieri - conferma il segretario provinciale Fiom, Thomas Casotto - visto quanto è successo con gli scioperi, di fronte alla grave crisi del settore e per affrontare i rapporti con l’azienda. Abbiamo fatto le assemble e deciso di fermare la protesta per senso di responsabilità. Ora vorremmo capire come si sviluppa la vertenza. Vorremmo parlare di questo all’incontro con Fincantieri, affrontare il tema dei premi di produzione, dell’organizzazione del lavoro, fare chiarezza. E capire se a settembre si potrà aprire un altro tavolo sull’indotto. Siamo soddisfatti della riapertura del dialogo, bisogna riannodare i fili dei rapporti». Il premio di giugno probabilmente è definitivamente perduto, ora c’è da raggiungere l’obiettivo di programma di fine agosto legato al varo della Breeze (gemella della Carnival Dream). È in gioco una cifra cospicua (oltre 300 euro). Lo sciopero potrebbe far slittare i termini, c’è molta preoccupazione, molti lavoratori temono che anche questo premio sia a rischio.

 Il vertice di stamani è stato convocato dalla stessa Confindustria che conferma con questo secondo incontro a Gorizia (l’altro, un mese fa aveva visto la partecipazione dello stesso ad Giuseppe Bono) la presenza a tutti gli effetti di Fincantieri nelle fila di Confindustria che ha pagato regolarmente le quote di iscrizione. Anche perchè, fa notare la stessa Confindustria, in realtà Fincantieri, non sarebbe mai uscita, c’è stato solo quello “sfogo” dell’ad Bono sull’onda di Marchionne e di altri leader di azienda di fronte alla crisi e alle sfide del mercato. Una crisi che non accenna a finire e la sfida che ha davanti Fincantieri è sempre più difficile. Proprio ieri è stato lo stesso Bono a ribadirlo a Roma al termine dell’incontro con il ministro per lo sviluppo economico, Paolo Romani in occasione della sigla dell’accordo di programma per il “ribaltamento a mare” del cantiere di Fincantieri di Sestri Ponente tagliato in due dalla ferrovia.

 «Rinnovo l’appello ai sindacati, dobbiamo ragionare in termini di competitività, certe sacche di inefficienza non se le possono permettere più nè le aziende nè lo Stato - ha detto l’ad ricordando che gli ordini dello Stato italiano rappresentano il 6% del giro d’affari dell’azienda mentre l’altro 94% bisogna andarlo a prendere all’esterno - di piani industriali ne posso fare 100, anche uno per dipendente, poi però ci deve essere un mercato che prende le navi. Non si può continuare a ragionare come se fossimo gli unici al mondo, dobbiamo sottostare alle regole della competizione internazionale». Un discorso che l’ad ha fatto molte volte anche parlando a Monfalcone, l’unico stabilimento del Gruppo che continuerà a lavorare più degli altri con meno gente in cassintegrazione (attualmente 140 su 1600, un numero in calo e rientreranno tutti entro fine anno) ma, è anche lo stabilimento, secondo Fincantieri, dove l’assenteismo ha raggiunto il 27%. Il peggior dato di tutto il gruppo.

San Marino senza un quattrino
[L’Espresso] Scudo fiscale e controlli affondano l’ex paradiso finanziario. Le aziende chiudono e le banche sono vuote. Ma Tremonti non molla. Chiusa per “black list”. L’hanno messo anche per iscritto, i vertici della Viv Decoral, che faceva verniciatura di parti d’alluminio in zona Serravalle, produzione già cessata, 17 dipendenti licenziati ad aprile nel tentativo di salvare la baracca, gli altri 33 ai primi di luglio. All’inizio, quando nel luglio 2009 Giulio Tremonti inserì San Marino nella lista dei Paesi canaglia, ricchi e prosperi perché compiacenti verso evasione fiscale, frodi finanziarie internazionali e riciclaggio di denaro sporco delle organizzazioni criminali, loro come un po’ tutti la presero sottogamba tempo sei mesi e passerà, si dicevano, in fondo di carte bollate riempivamo gli uffici anche prima, se no cosa gli fanno fare ai seimila dipendenti statali (su una popolazione di 32 mila) nutriti da un welfare ipertrofico? Invece no, la bufera non è passata affatto. Anzi. Per chiarire che non scherzava, quando imponeva a ogni impresa italiana comprasse o vendesse uno spillo con la piccola Repubblica di dichiararlo all’Agenzia delle entrate, Tremonti spedì le Fiamme gialle a rivoltare come un cappotto i conti di molte di quelle aziende e, non bastasse, a fare la posta sulla superstrada da Rimini bloccando e ispezionando ogni auto, furgone o camion sospetto. C’è spauracchio più efficace di una visita della Finanza, incubo di ogni imprenditore? Così, raccontano alla Viv Decoral, «gli ordini cominciarono a calare, i clienti a involarsi, e noi a perdere. Meglio chiudere e spostare la produzione negli altri nostri stabilimenti». Raccontano anche che, essendo i sammarinesi accerchiati dall’Europa ma extracomunitari perché nell’Unione europea si sono finora ben guardati dall’entrare, persino portare i rifiuti speciali della verniciatura in una discarica romagnola era ormai diventato un calvario burocratico, come se provenissero dalla Somalia o dalla Bielorussia. In soldoni, è finita la pacchia. Quella citata è solo l’ultima di 556 imprese che in due anni hanno chiuso i battenti, su 4.800. «I primi lasciati a casa sono stati i frontalieri, che erano seimila soprattutto dal riminese e dal pesarese», dice Giuseppe Morganti, consigliere del Psd, il Pd del Titano, «ma poi anche i sammarinesi hanno scoperto all’improvviso quella strana cosa detta disoccupazione, al 5 per cento, in crescita». I giovani sono quelli pizzicati peggio: non perché tocca sempre a loro e vai con la retorica del precariato, ma al contrario perché «i nostri sono un po’ più bamboccioni che altrove, cloroformizzati, convinti che aver preso una laurea o un diploma dia diritto a uno stipendio a vita, e se uno lavora sul serio gli altri Io prendono in giro», fotografa Giuliano Tamagnini, segretario generale della Csdl, che sarebbe la Cgil del Titano. Sinistra bacchettona? Macché, è un coro unanime: «Cresciuti nell’ovatta, nella pubblica amministrazione o a far soldi facili come prestanome» (Marco Arzilli, nell’attuale governo di centrodestra segretario di Stato, cioè ministro, a industria, artigianato e commercio); «Il deserto, non leggono un libro, non guardano un tg, non sanno la strada per Verona né misurare l’area di un pezzo di alluminio piegato» (i vertici generi della verniciatura appena chiusa, ricordando i colloqui di assunzione). «Abituati a fare i fighetti con le turiste a Rimini e un sacco di soldi in tasca, ora dovranno cominciare a lavorare» (Lazzaro Rossini, 38 anni giovane leva dell’architettura sammarinese). Basta come quadro generazionale? Pigri loro, ma arrugginiti nella bambagia anche i pubblici uffici come quello del lavoro se, racconta Tomaso Rossini, direttore del festival dei Giovani saperi, «non hanno neppure aggiornato i profili professionali, e alla laureata in estetica hanno offerto un posto in un istituto di bellezza». A essere onesti, «noi non è che gli abbiamo dato chissà quali altri insegnamenti», riconosce Arzilli il ministro, che di anni ne ha solo 40, nella gioielleria di famiglia, poi presidente dei commercianti. (…)

Kosovo, la Nato riprende il controllo del confine serbo
 Venerdì 29 Luglio 2011 06:54  Redazione desk
ROMA - Come sancito dall’accordo raggiunto prima dell’alba con i rappresentanti del governo di Belgrado, le forze della Nato hanno ripreso il controllo dei territori del Kosovo settentrionale in cui la sera precedente si erano verificati nuovi violenti scontri. In particolare le dogane al confine con la Serbia di Jarinje e Brnjak, al centro delle tensioni tra Belgrado e Pristina esplose di recente a seguito del reciproco boicottaggio delle importazioni sono ora di nuovo sotto l’esclusivo controllo dei militari della missione internazionale Kosovo force, attraverso la quale l’Alleanza è impegnata dal 1999 nel ristabilire l’ordine nel territorio amministrato dall’Onu. Durante la giornata di ieri la situazione è stata «generalmente calma, con alcune tensioni occasionali», come ha reso noto la Kfor, che ha instaurato un regime molto rigoroso ai due posti di frontiera, consentendo il passaggio solo a «piccoli veicoli privati», mentre non ha autorizzato il passaggio di camion che potrebbero trasportare armi o altro materiale vietato. La tensione tra i due Paesi è tornata alta lunedì, quando il governo di Pristina aveva deciso di dispiegare le proprie forze speciali di polizia nel distretto settentrionale di Kosovska Mitrovica, con l’obiettivo di assumere il controllo dei due punti di confine, per attuare l’embargo imposto la scorsa settimana nei confronti di Belgrado ed impedire quindi il passaggio di camion carichi di prodotti provenienti dalla Serbia. La minoranza serba che risiede in particolare nel nord del Kosovo, rimasta a fedele a Belgrado anche dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del 2008, ha reagito bloccando le vie d’accesso alla polizia kosovara e non sono mancati gli scontri armati tra le parti, che nei pressi di Brnjak sono sfociati nel sangue: mercoledì è stato confermato il decesso di un agente kosovaro membro dell’unità speciale di polizia "Rosa", raggiunto da un proiettile alla testa. Ma le violenze non sono fermate: nella stessa sera decine di giovani a volto coperto hanno preso d’assalto il checkpoint di Jarinje e la vicina base della Kfor, contro la quale hanno scagliato bombe molotov: i soldati della Forza di interposizione sono stati costretti ad evacuare l’edificio in fiamme, e in un comunicato hanno dichiarato di essere stati anche bersagliati con colpi d’arma da fuoco. Se da un lato il presidente serbo Boris Tadic ha subito condannato l’episodio e invitato la minoranza serba del Kosovo a mettere fine alla violenza («Gli hooligan non fanno gli interessi né dei serbi del Kosovo, né della Serbia»), dall’altro è altrettanto vero però che dalla fine della guerra del 1999 Belgrado impedisce l’importazione ed il transito dei prodotti kosovari nei suoi territori. La Serbia, che non riconosce l’indipendenza del Kosovo, alla quale concede invece lo status di regione autonoma, si è sempre rifiutata di accettare merce bollata con la dicitura della Repubblica del Kosovo. Al contrario, però, ha sempre esportato grosse quantità di prodotti attraverso il confine nel mercato kosovaro, che anzi per la Serbia è fondamentale perché assorbe una fetta importante delle sue esportazioni, che nel 2010 è ammontata a 391 milioni di dollari. La decisione del governo di Pristina, che, come ha scritto l’Economist, ha mostrato alla Serbia «quanto fosse dipendente da un Paese del quale ancora non vuole riconoscere l’indipendenza» (come hanno già fatto 22 dei 27 membri dell’Ue) avrebbe quindi in teoria reso soltanto reciproco il boicottaggio degli scambi commerciali. Ma la comunità internazionale, e in particolare l’Unione europea, che teme l’esplosione di nuove violenze interetniche, hanno condannato quella che è stata definita una ritorsione, che peraltro arriva in un momento delicato del dialogo con Belgrado, ripreso lo scorso marzo dopo oltre tre anni di gelo. «Applicare la reciprocità da parte di Pristina è stata una provocazione e un pessimo gesto», aveva aggiunto mercoledì sera, alla condanna delle violenze, il presidente Tadic, che, dopo aver finalmente consegnato al tribunale penale dell’Aia per l’ex Jugoslavia anche Goran Hadzic, l’ultimo dei 161 criminali di guerra serbi latitanti, vede nella questione kosovara l’ultimo ostacolo all’ingresso nell’Unione. Anche per questo Belgrado, appoggiata dalla Russia ha chiesto una sessione di emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che avrebbero preferito aspettare la consueta appuntamento trimestrale sul Kosovo, è stato necessario un compromesso: ieri i Quindici hanno tentato di definire una posizione comune sull’intervento della polizia kosovara, ma la riunione nel Palazzo di vetro si è svolta a porte chiuse.

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