sabato 20 agosto 2011

Federali.Sera_20.8.11. Totò si nasce, non si diventa. E Bossi non lo nacque.----La costante storica tedesca e’ quella di considerarsi bravi, piu’ degli altri; e di non rispettare mai i patti stipulati, in nome della Germania.----Mena Laudato, Sindaco di Arpaise: Ormai ci prendono a calci in c... in tutti i modi. E i nostri parlamentari che ca... fanno? Che ca... fa in Europa Clemente Mastella?.


Umberto Bossi? Totò della politica
Berlino ribadisce opposizione a Eurobond
Benevento. Rivolta contro il taglio della Provincia


Umberto Bossi? Totò della politica
«Maschera popolare che deride i potenti»
La tesi nel saggio dell'antropologa Dematteo: «Il leghista è un giullare che non rispetta niente e nessuno»
Bossi e Totò, due destini che si incrociano. Anzi, a forzare solo un po' la tesi di un saggio sulla Lega Nord recentemente tradotto dal francese, Bossi non sarebbe altro che il Totò della politica italiana. Possibile? Possibile che il principe napoletano e il capopopolo di Cassano Magnago abbiano qualcosa in comune, e che questo qualcosa permetta addirittura di elaborare una teoria sociopolitica? Ebbene sì.

LA TESI - La tesi dell'antropologa parigina Lynda Dematteo, autrice di L'idiota in politica (Feltrinelli, 2011), è infatti la seguente. Bossi è il giullare che non rispetta niente e nessuno, opera nel registro dell'ambiguità, si muove con disinvoltura nella logica del mimetismo e indossa perennemente una maschera per dissimulare tutto di sé. «Le parole devono sorpassare e snaturare il pensiero», confessa nel lontano 1998 al Corriere della sera. Il giudizio che pervade il saggio è impietoso. Il leader della Lega è un buffone e come tale si comporta. Il suo linguaggio ricorda quello delle marionette, le loro semplificazioni, le loro violenze. Il suo pensiero ha come obiettivo la distruzione del senso: è un antipensiero. Insomma, se la politica della Prima Repubblica è diventata un teatrino, nella Seconda Bossi «carnevalizza» la politica, perché un Carnevale non è altro che un luogo dove è lecito sospendere le regole sociali o addirittura sovvertirle. Solo così, del resto, si spiegano tante cose. E tutte passate sostanzialmente inosservate o stancamente censurate su qualche prima pagina.

LESSICO BOSSIANO - A cominciare, volendo limitarsi alle cronache di questi giorni, dal quel «Nano di Venezia» bofonchiato all'indirizzo del ministro Brunetta; o da quel giudicare il discorso di Tremonti sulla manovra anticrisi niente più che «una rottura di coglioni»; o, ancora, dalla replica a Formigoni sintetizzata in una sonora e teatrale pernacchia. Attenzione. È dunque una roboante pernacchia che accomuna Bossi e Totò? Non proprio, o meglio: non del tutto. Il nesso è, semmai, il teatro dell'arte, quel teatro che come aveva già intuito Antonio Gramsci, e come ripete Dario Fo, costituisce uno degli strumenti più potenti di diffusione delle idee del popolo. Da Arlecchino in poi, maschere e marionette hanno una funzione catartica: denunciano ciò che non può essere ascoltato, poiché ciò che dicono non ha alcuna conseguenza su quelli che ascoltano e che tacitamente approvano. Da Arlecchino fino al turco napoletano, fino all'imperatore di Capri, fino al maresciallo italiano che manda a quel paese il colonnello Kessler. Fino a Totò, appunto. Perché «negli anni sessanta lo scemo del villaggio torna di nuovo, ma questa volta sugli schermi cinematografici», scrive Dematteo. E spiega: «Il figlio illegittimo di un principe napoletano, mai riconosciuto dal padre, diventa un eroe popolare attorno a cui si gioca la rivincita degli umili sugli arroganti. Come nella tradizione del teatro di figura, questa rivincita assume la forma di una feroce derisione».

ECCO PERCHE' UN SINDACO LEGHISTA VOLLE IL BUSTO DI TOTO' - Ora è più chiaro anche il perché sia stato un sindaco leghista, negli anni passati, a volere il busto di Totò nei giardini di Alassio, e sia ora, invece, un sindaco fuoriuscito dal movimento, ed eletto con i voti del partito democratico, a decretarne lo sfratto. In fondo, anche se inconsapevolmente, i leghisti doc avevano avuto una sorta di felice intuizione su certe affinità elettive. Ma è tollerabile dare a Totò la patente di scemo del paese? E possono la nascita e la cultura francese dell'autrice di tale affronto essere accettate come attenuanti? Anche qui il discorso di Dematteo è più robusto di quanto appaia. Perché, in realtà, nel suo ragionamento lo scemo del paese sta all'idiota del titolo del suo saggio. E idiota, in senso etimologico, significa «uomo del luogo».

QUELL'IDIOTA ETIMOLOGICO - Per gli antichi greci idiota era colui il quale non aveva accesso alla dimensione universale, quello che viveva ancora nella caverna. Secondo gli ateniesi i più stupidi erano i loro vicini più prossimi, quelli che abitavano ai margini della polis, ma «idioti» erano anche i cinici. «Idiota è dunque il soggetto votato alla più irriducibile autoctonia e al ripiego identitario». Bossi porta l'idiotismo in politica. Sia in senso greco, sia in senso più moderno, come suggerisce, ad esempio, l'antropologa Margarita Xanthakou, secondo cui l'idiota non è altro che «l'agente di una funzione sociale quasi istituzionalizzata». In altre parole, lo scemo del paese. Tutto questo aiuta a decifrare tanti personaggi, costantemente sopra le righe, che affollano il panorama leghista. Come Borghezio, ora momentaneamente sospeso per carità di patria, o come il generale Zanga, patetico capo delle camicie verdi. Ma non solo. La carnevalizzazione della politica permette alla Lega, da un lato, di disintegrare il politichese e la ritualità istituzionale; e, dall'altro, di superare i confini del lecito, di varcare la soglia del tollerabile, di alludere. E, dunque, di creare sogni, prospettive rivoluzionarie e scene fantasmatiche fatte di stati inesistenti come la Padania, di eserciti disarmati e di parlamenti indipendenti senza poteri.

IDIOTISMO E NEOGUELFISMO - L'idiotismo come strategia politica ha permesso alla Lega di mettere insieme il neoguelfismo dei cattolici intransigenti e il federalismo repubblicano delle élite culturali; di dare voce al popolo diffidente e individualista delle valli bergamasche e di entrare in giacca e cravatta nel più sontuoso dei Palazzi, quello del Potere. Una politica che, contrariamente a quanto si vuol far credere per proiettare la figura di Bossi in una dimensione mitica, viene da lontano. E non è opera di un uomo solo. È invece il prodotto di una ideologia che risale almeno all'opposizione cattolica all'unificazione nazionale e si spinge fino al movimento autonomista di Guido Calderoli, nonno del ministro Roberto, che si presentò alle elezioni amministrative del 1956; o all'Unione autonomisti padani di Ugo Gavazzani, che approvò uno statuto di Pontida già nel 1967. Una politica che, per passaggi progressivi e al netto di molte inversioni ad «u», è fatta di antistatalismo e di comunitarismo, di autonomismo e di etnofederalismo. E che ha visto costantemente crescere, almeno fino ad oggi, e proprio in virtù di una furbesca tattica carnevalesca, la forza elettorale della Lega.

MA TOTO' SI NASCE, NON SI DIVENTA - Ora, si può discutere se una visione così fortemente e volutamente caricaturale dia per intero l'idea di che cosa sia stata la Lega in questi decenni e di come abbia cambiato il sistema politico italiano. E pur prendendo per buona la battuta di Indro Montanelli, secondo cui avrebbe trasformato «un dramma potenziale in cartone animato», resta da valutare se Lega abbia oppure no controllato le spinte centrifughe del Nord a vantaggio di una sostanziale unità del Paese. Ma comunque sia, e pur apprezzando l'originalità e la profondità dell'analisi della Dematteo, su un punto non si discute: Totò si nasce, non si diventa. E Bossi non lo nacque.
Marco Demarco

Berlino ribadisce opposizione a Eurobond
Per ministro economia Roesler sono minaccia a crescita Germania
20 agosto, 13:07
(ANSA) - ROMA, 20 AGO - Berlino ribadisce per l'ennesima volta la sua opposizione agli eurobond. ''Fino a quando questa coalizione sara' al governo, non ci saranno eurobond'', ha detto il ministro dell'economia tedesco, Philipp Roesler, in una intervista al domenicale Bild am Sonntag, in edicola domani.
 Secondo Roesler, l'emissione degli eurobond minaccerebbe la crescita economica della Germania, perche' porterebbero ad un aumento dei tassi d'interesse.

Benevento. Rivolta contro il taglio della Provincia
La sfida del Sannio: «Disobbedienza»
Sindaci contro il provvedimento che elimina Benevento
Il presidente Cimitile: «Noi non siamo tutti una casta»
 BENEVENTO — Come tutte le cause degne di rispetto, anche la «resistenza» di Benevento al diktat romano, che rischia di scatenare la quarta guerra sannitica, ha la sua pasionaria. Si chiama Mena Laudato. Dopo quarant'anni passati a insegnare materie letterarie nei licei e otto da vicesindaco, da tre è a capo dell'amministrazione di Arpaise, un paesello di 866 anime, al confine con l'Avellinese che, secondo la formulazione del decreto taglia spese (e taglia enti) approvato dal Governo, dovrebbe essere declassato. La stessa sindaca dovrebbe restare al comando senza il supporto degli attuali quattro assessori e senza il consiglio comunale. Democratica, orgogliosamente proveniente dal Pci, questa signora paciosa che, per curiosa coincidenza ricorda nell'aspetto Ersilia Salvato, un'altra pasionaria rossa, sfoga la sua rabbia nell'aula del Consiglio provinciale sannita, preferendo alla lingua aulica di un Dante o di un Manzoni la più incisiva invettiva ipponattea. «Ormai ci prendono a calci in c... in tutti i modi. E i nostri parlamentari che ca... fanno? Che ca... fa in Europa Clemente Mastella?».

Poi, più pacatamente, la sindaca a rischio estinzione cita a mo' di esempio un suo concittadino del passato: Giuseppe Capone, un benestante di Arpaise cooptato nel primo Parlamento del Regno d'Italia. Il brav'uomo, a proprie spese, si recava periodicamente in calesse (non sappiamo a questo punto se fosse parente di Totò e Peppino) a Torino per partecipare alle sedute. Perché, insomma, c'è Casta e casta. Il distinguo rappresenta una delle principali chiavi di lettura della seduta dell'assemblea provinciale sannita, convocata in tutta fretta e aperta alla partecipazione di tutti i rappresentanti istituzionali del territorio: eurodeputati, parlamentari, consiglieri regionali, tutti rappresentanti della Casta maggiore e tutti assenti «giustificati». Sono in ferie. Tanto, per loro, a fine mese, il 29 agosto, ci sarà un'altra occasione per sfilare in passerella. Perché allora rovinarsi le vacanze? Tutti assenti ad eccezione del senatore del Pdl Mino Izzo che ha però svestito la scomoda toga romana, preferendo l'abito più umile, ma più confortevole, di leader dell'opposione provinciale, passando dalla parte della casta minore, quella della Laudato, di Pasqualino Cusano, primo cittadino di Sassinoro che di abitanti ne ha 612, o di Romeo Pisani, sindaco di Sant'Arcangelo Trimonte che rischia di perdere l'amministrazione e il consiglio comunale, ma non la monnezza che è arrivata da Napoli: tutti «privilegiati», sindaci da 700 euro al mese, nei quali spesso sono tacitamente comprese anche le spese di rappresentanza.

Pisani si sfoga contro la Casta: «I veri parassiti sono i parlamentari. Perché non si riduconono? Non si dimezzano?». A guidare la rivolta contro la decretata cancellazione della Provincia si candida il presidente Aniello Cimitile, che, detto tra parentesi, non contribuisce a far avvicinare il Sannio alla fatidica soglia dei trecentomila abitanti che ne garantirebbe la sopravvivenza. Vive, infatti, nella natia Pomigliano d'Arco. Ma anche se l'argomento residenza è stato utilizzato massicciamente in campagna elettorale dai suoi avversari, Cimitile, rettore dell'Università del Sannio dal 2000 al 2006, è considerato, come ha, del resto, dimostrato l'esito del voto, uno del posto. E lui cerca di ripagare la fiducia alzando i toni, soffiando sul fuoco, forse sognando di emulare quel Gaio Ponzio Telesino che nel 321 avanti Cristo battè l'esercito romano a Caudio, l'attuale Montesarchio, costringendo gli sconfitti all'umiliazione del giogo. Non è un caso che il presidente tenga sul suo banchetto un copia dell'altorilievo in bronzo dell'artista Mario Ferrante, conservato nella corte della Rocca dei Rettori, la sede appunto della Provincia, e raffigurante la battaglia delle Forche caudine. «Mi hanno suggerito — rivela Cimitile — di listare a lutto il gonfalone. Ma noi non siamo morti. Anzi ricordo che siamo nati con l'Italia».

Il presidente prende gusto agli applausi e arringa l'assemblea. L'ovazione più calda arriva quando chiede: «Qualcuno mi spiega perché noi con più di 280mila abitanti dovremmo morire, mentre Sondrio (la Provincia del ministro Tremonti, salvata dalla previsione dell'estensione, ndr) con 187mila dovrebbe sopravvivere? Oltre gli slogan («Vogliono cancellare ogni forma di nostra autonomia, vogliono ridurci a cittadini di serie B, non permetteremo a nessuno di cancellare la nostra originalità, la nostra diversità, le nostre eccellenze»), Cimitile snocciola cifre e dati per dimostrare che le Province non influiscono più di tanto sui costi della politica, rivelando che su oltre due miliardi spesi per le indennità dei politici solo 113 milioni riguardano esponenti istituzionali delle Province. E che l'incidenza sulla spesa pubblica dello Stato delle Province è dell'1,5 per cento. Promette battaglia politica, giuridica e amministrativa. «Siamo pronti — assicura — a lanciare referendum popolari a costo zero per far esprimere i cittadini. Ci prepariamo a difese tecniche per raggiungere i 300mila abitanti. Ma in questo momento non escludiamo niente, neppure la disobbedienza civile col boicottaggio del censimento del 2011».

Izzo, pur impegnato nella battaglia per il territorio, non dimentica di essere anche un parlamentare del Pdl. E punta a impedire che la rivendicazione si trasformi in una bocciatura senza appello del Governo. Chiede, ripetutamente, e ottiene, che venga votato un ordine del giorno in cui si «auspica che in sede di conversione del decreto siano posti in essere provvedimenti tali da consentire la salvaguardia dell'istituzione Provincia di Benevento». «Gaio» Cimitile riafferma il suo ruolo di condottiero. «Pubblicherò — promette il presidente — il mio 740 per far capire a tutti quanto ho dato alla politica e quanto ho perso nell'esercitare queste funzioni di presidente rispetto a quando facevo il professore universitario». Ma il bel gesto dell'ex rettore non riesce a insinuare il dubbio che la Casta sia poco più di un'invenzione di due brillanti giornalisti.
Gimmo Cuomo

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