venerdì 26 agosto 2011

Federali.Sera_26.8.11. Aziendalisti lucani. Signicativi sono i casi della ex Abl di Balvano, 17.000 metri quadrati, ora 0 dipendenti, oppure la ex Ets di Tito, che occupava 250 lavoratori, adesso 22, l’incubatore di Sviluppo Basilicata 0 dipendenti. Molte aziende sono da anni in gestione fallimentare o sono state svuotate degli impianti. Si tratta - sottolinea Simonetti - di un enorme patrimonio di immobili e infrastrutture sprecato e non sostenuto da politiche industriali degne di questo nome. Anche la recente riassegnazione di suoli e strutture è fallita in uno con i bandi di reindustrializzazione.


Potenza. Industrie post sisma da recuperare
Fotovoltaico, crescono gli impianti in Puglia
La Svizzera svicola e l'Italia è spiazzata
Svizzera. Conseguenze irreversibili se il franco taglia le gambe


Potenza. Industrie post sisma da recuperare
POTENZA - Un patrimonio dimenticato. E da salvare. Dopo anni di denunce sul «maltolto» da restituire e sul recupero di capannoni industriali abbandonati, Pietro Simonetti, presidente del centro studi e ricerche economico-sociali, torna ad occuparsi delle aziende del post terremoto rendendo noto un lavoro di ricerca durato tanti mesi.
Il dato relativo al livello occupazionale attuale nelle aree terremotate lucane è di 1.846 lavoratori diretti contro una previsione di 6062 posti di lavoro finanziati. Delle 107 aziende finanziate ne rimangono 67. Occorre dire che alcune aziende, tra quelle fallite o che non hanno mai aperto (circa 30) sono state riassegnate oppure occupate.
Al momento, in Basilicata ci sono circa 100 capannoni, o strutture similari, di cui una ventina finanziati dalla legge 219/81 e i restanti dalla legge 488/92 e dalla 64/74 non utilizzate o utilizzate parzialmente.
Scorrendo l’elenco delle aziende - secondo quanto rileva Simonetti - emergono situazioni di spreco e di scarsissimo utilizzo. Signicativi sono i casi della ex Abl di Balvano, 17.000 metri quadrati, ora 0 dipendenti, oppure la ex Ets di Tito, che occupava 250 lavoratori, adesso 22, l’incubatore di Sviluppo Basilicata 0 dipendenti. Molte aziende sono da anni in gestione fallimentare o sono state svuotate degli impianti. Si tratta - sottolinea Simonetti - di un enorme patrimonio di immobili e infrastrutture sprecato e non sostenuto da politiche industriali degne di questo nome. Anche la recente riassegnazione di suoli e strutture è fallita in uno con i bandi di reindustrializzazione.

La valutazione sugli esiti delle politiche industriali del post-terremoto comporta l’analisi di uno scenario che vede l’industria manifatturiera italiana, in particolare quella del Mezzogiorno, in una fase di difficoltà ma anche di forte ristrutturazione di processo e di prodotto. Mentre nelle altre aree italiane, in particolare del centro-nord, la caduta demografica viene compensata dai flussi migratori in entrata, anche con il contributo di una quota di giovani provenienti dal Mezzogiorno, nelle zone interne i flussi migratori dall’estero sono di passaggio e sostanzialmente legati per un terzo ai lavori di cura degli assistenti domestici.

In Basilicata, su 42.000 lavoratori attualmente presenti (di cui l’80% in nero) la quota delle assistenti domestiche corrisponde a un dato più alto (circa la metà). Tale situazione reclama con forza - spiega Simonetti - l’esigenza di un piano di ripopolamento, anche per riutilizzare le case sfitte dei centri storici dei piccoli comuni e per dotare di forza lavoro settori come quello agro-alimentare, quello delle costruzioni e dei servizi. Qui occorre creare - dice Simonetti - uno strumento ad hoc: un’ agenzia di scopo che gestisca l’org anizzazione dei flussi in entrata anche mediante accordi con i paesi terzi a partire da quelli rivieraschi del Mediterraneo.In questo momento in Italia ci sono 20.000 profughi richiedenti asilo, in Basilicata, nelle ultime settimane sono ospitati oltre 300 persone. La centralizzazione dell’intervento, attraverso la mano pubblica, le associazioni e le parti sociali - dice Simonetti - diventa essenziale per l’attuazione di un tale progetto che dovrebbe anche provvedere alla formazione professionale e misure per il riutilizzo, la manutenzione delle case sfitte degli enti che si occupano delle politiche abitative.

L’accorpamento dei comuni sotto i mille abitanti reclama politiche adequate. In Basilicata ci sono 4.500 lavoratori espulsi del sistema produttivo o attualmente in cassa integrazione, la maggior parte in deroga. Inoltre ci sono circa 800 precari che utilizzano le risorse del Fse per attività di sostegno scolastico. Ed ancora, circa 6.000 lavoratori che utilizzano i fondi regionali e quelli del petrolio per le attività di forestazione e manutenzione ambientale. Solo in questi segmenti lavorativi abbiamo quindi oltre 10.000 lavoratori che a fronte di una proposta di riuso dei siti manifatturieri inutilizzati, la manutenzione e la salvaguardia ambientale, le attività di ricerca e di sviluppo, la qualificazione del sistema formativo e scolastico possono, insieme ai disoccupati, ai neo-laureati e ai diplomati, ai migranti, possono diventare il motore per sostenere una piattaforma programmatica per un modello di sviluppo diverso. Il quadro di riferimento finanziario può senz’altro essere quello del programma operativo regionale 2013-20, oltre alla coda di quello in scadenza. Tutto ciò anche per verificare la credibilità del Piano Sud, di cui parla il Governo. In proposito - conclude Simonetti - si potrebbe proporre che, uno dei cinque centri di ricerca e sviluppo previsti nel piano, sia allocato nell’a re a interna della Basilicata e della Campania, coinvolgendo anche le aree terremotate.
25 Agosto 2011

Fotovoltaico, crescono gli impianti in Puglia
BARI – Prosegue la crescita nel fotovoltaico nelle quattro regioni del Poi Energia. Ad agosto in Sicilia è entrato in esercizio un nuovo campo fotovoltaico di Enel Green Power: l’impianto di Adrano, in provincia di Catania, ha una capacità installata di 9 MW e sorge nello storico sito dove nel 1981 Enel realizzò la prima centrale solare a concentrazione del mondo.
La società delle rinnovabili è attiva anche in Calabria dove è stato collegato alla rete l’impianto di Serragiumenta, in provincia di Cosenza, da 5 MW, il primo realizzato dalla joint venture paritetica con Sharp, Esse; in Puglia con l'impianto di Taranto, da oltre 3 MW sulle coperture di fabbricati industriali del gruppo Marcegaglia. Inoltre in campania Enel Green Power ha aperto i cantieri per il raddoppio di Serre Persano, in provincia di Salerno, portando la capacità installata a 6,6 MW dagli attuali 3,3 MW, e sta completando l'impianto sui tetti di CIS – Interporto Campano, a Nola (Napoli) che, con i suoi 25 MW di capacità installata, sarà il più grande impianto fotovoltaico in Europa con tecnologia a film sottile.
Il settore del fotovoltaico attrae investimenti esteri diretti (Fdi) cresciuti del 25 per cento rispetto al 2010, con numerose multinazionali europee e americane che stanno investendo nel mercato italiano delle rinnovabili. Nei primi 7 mesi del 2011 sono almeno 27 le multinazionali straniere che – spiega uno studio dell’area research di Banca Monte dei Paschi di Siena – hanno dichiarato di voler investire ex novo o di espandersi in Italia, mobilizzando capitali per circa 1,2 miliardi di euro nei prossimi 4 anni. Un consorzio di banche tedesche costituito da Deutsche Bank, Helaba Landesbank Hessen-Thueringen e KfW IPEX-Bank ha intanto erogato un credito di 110 milioni di euro per il finanziamento di cinque impianti fotovoltaici per complessivi 30,4 megawatt in Italia. Due impianti, rispettivamente a Piazza Armerina (3.5 MW) e a Troina (5,2 MW), sono stati realizzati al centro della Sicilia.
All’inizio dell’estate la situazione degli impianti fotovoltaici connessi in rete vedeva la Puglia prima avendo in esercizio 14.589 impianti per una potenza pari a 1.077.158 kW, mentre nelle altre tre regioni del Poi Energia la situazione vedeva la Campania con 6.270 impianti (168.230 kW), la Calabria con 5.520 (111.322 kW) e la Sicilia con 12.695 (384.669 kW). Il Programma Operativo Interregionale Energie Rinnovabili 2007-2013 che cerca, con una dotazione complessiva di circa 1.6 miliardi di euro, di portare le regioni dell’obiettivo 'convergenzà all’avanguardia nel settore della produzione di energia pulita.

La Svizzera svicola e l'Italia è spiazzata
La Svizzera ha reagito all'assedio fiscale. Lo ha spezzato con capacità creativa e diplomatica. E ora sembra aver riacquistato le possibilità di movimento sui mercati finanziari che gli altri Paesi avrebbero voluto limitare in nome della necessità della fedeltà fiscale dei propri cittadini.
Gli accordi che sono stati conclusi con la Germania e la Gran Bretagna certificano il successo del metodo Rubik, che prende il nome dall'ingegnoso cubo. In base a questi accordi Germania e Gran Bretagna incasseranno un prelievo straordinario sui patrimoni che sono depositati in Svizzera, un'imposta periodica sugli interessi unitamente a un congruo anticipo destinato a invogliarli all'accordo. Certo resterà il segreto bancario, ma si potrà chiedere informazioni alle autorità elvetiche per un certo numero di casi ogni anno. Tutto oro? Sicuramente no. L'illusione di una lotta decisa e senza quartiere agli evasori verrà meno.
 E l'Italia? I contatti riprenderanno a settembre: c'è da chiedersi, però, se i tempi non siano maturi per rimeditare la posizione sin qui seguita e provare a cercare un accordo con Berna. Che potrebbe avere indubbi vantaggi per l'Erario. Forse anche per noi è arrivato il momento di risolvere il rompicapo (fiscale) di Rubik.
 26 agosto 2011

Svizzera. Conseguenze irreversibili se il franco taglia le gambe
di Corrado Bianchi Porro
Al di fuori degli addetti ai lavori, ha detto il presidente dell’Associazione industrie ticinesi Daniele Lotti aprendo la conferenza congiunta della Camera di commercio e Aiti che si è svolta al Coronado di Mendrisio, non vi è ancora sufficiente coscienza della gravità della situazione del superfranco, specie per le aziende di esportazione. Vogliamo che questa consapevolezza giunga al pubblico e sia percepita dalle istituzioni e dai politici. Vogliamo rendere consapevoli le istituzioni sulla reale situazione delle nostre imprese, prima che siano costrette a intervenire su un piano strutturale con conseguenze deleterie a livello occupazionale, delocalizzazioni produttive, mancanza di investimenti. L’export è a un buon livello e il portafoglio ordini è ancora consistente. C’è stata prima la crisi del 2008 con diminuzione dei quantitativi. Nel 2009-2010 vi fu una certa ripresa. Dalla fine del 2010 a tutt’oggi, il problema è rappresentato dai cambi e non tanto dalla congiuntura che si riscontra a livello di Paesi dell’UE. Questo non è (ancora) assolutamente vero, ha detto Lotti. La domanda per il momento c’è. Il fatto è che per ogni prodotto venduto, le aziende svizzere incassano meno. Sono necessarie misure di intervento sui salari, aumento dell’orario di lavoro, provvedimenti dalla BNS sulla politica monetaria e misure specifiche da parte delle autorità politiche federali e cantonali (riduzione imposte, tasse, burocrazia). Sarebbero necessari interventi da parte della BNS. Il problema va risolto alla radice (indebitamento e instabilità dell’UE) ma i politici finora han dimostrato di non sapere gestire la situazione, prendendo misure a breve termine che non risolvono i mali. Per questo vi sarà a breve un incontro coi vertici della BNS (il vice di Hildebrand è un bellinzonese). La BNS è disposta a incontrarci coinvolgendo altri rappresentanti dei settori cantonali.
Testimonianze industriali
Sono poi intervenuti i rappresentanti di varie industrie. Citiamo qualche intervento. La riduzione del beneficio nell’export è del 30-40%. Nella migliore delle ipotesi l’utile di azzera, nella peggiore si va in perdita, ma si esporta per non perdere il mercato. Anche sul mercato locale i prodotti venduti in Svizzera sempre più sono confrontati con una competizione esterna e l’economia locale non riesce a reggere il confronto. Bisogna togliere al franco quell’aura di bene rifugio perché il franco è per le imprese uno strumento di lavoro. La situazione è per noi insostenibile. Altri hanno confermato di lavorare a pieno regime ma di registrare perdite. Anche l’aumento dell’orario di lavoro riesce a coprire solo un 10% dello scoperto di cambio. Occorrono misure immediate e altre strutturali, altrimenti il tessuto industriale rischia di registrare un grave danno. Al netto di quanto recuperiamo nell’import, ha detto Franz Bernasconi, noi abbiamo perso 10 milioni di pochi mesi. La situazione è drammatica ed esistenziale. Per tamponare la situazione, pensiamo di allungare l’orario di lavoro (senza esagerare) perché è in gioco l’esistenza di numerose aziende come la nostra. Il superfranco ci taglia le gambe. Si parla tanto di innovazione, ma essa è insufficiente per superare le crisi nel breve termine. Una delle condizioni quadro che manca a noi è la superpotenza del franco. Sulle materie prime, ha spiegato un altro, non va dimenticato che ad esempio nel settore della gomma naturale si è passati in 18 mesi dal livello di 1,20 al chilo a oltre 5 euro senza poter aumentare i prezzi.
25.08.2011

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