giovedì 8 settembre 2011

Federali.Sera_8.9.11. Applaudite?----Emanuele Imperiali: Quando Luca Bianchi, vicedirettore della Svimez, li ha snocciolati nel nuovo auditorium di Oliveto Citra, oltre cento under 35 presenti in sala lo guardavano attoniti, prima di scoppiare in un fragoroso applauso. 63mila occasioni di lavoro perse nell’ultimo triennio nella Regione, che diventano ben 122mila se l’analisi è fatta su una scadenza decennale. Ciò che preoccupa di più sono i raffronti: 63mila su 97mila opportunità occupazionali perdute in Campania, considerando non solo i ragazzi e le ragazze ma anche i meno giovani e gli anziani. Ecco perché, insiste l’economista della Svimez, è in questa fascia d’età che la crisi morde davvero ed esplica i suoi effetti più devastanti.----E' iniziata da almeno vent'anni l'immigrazione indiana nelle zone padane e oltrepadane e oggi anche Simone Solfanelli, presidente della Coldiretti di Cremona, riconosce che senza di loro ci sarebbero grosse difficoltà nel mandare avanti la produzione: su circa tremila addetti, gli immigrati rappresentano un terzo della forza lavoro. «Non saprei dire se senza gli indiani si rischierebbe davvero uno stop - ha precisato al giornale newyorkese -, ma di certo le difficoltà sarebbero notevoli».

Rapporto Svimez sulla Campania: in tre anni 63mila giovani hanno perso il lavoro
Senza gli indiani addio Grana Padano
Brescia, padania. Imprenditori cinesi, crescita costante e silenziosa
Veneto con elevato benessere ma l'istruzione segna il passo
Belluno, oltrepadania. La crisi economica spinge all'evasione


Rapporto Svimez sulla Campania: in tre anni 63mila giovani hanno perso il lavoro
I dati della ricerca sulla regione sono stati anticipati ieri, mercoledì, nel corso di un convegno a Oliveto Citra
NAPOLI - Sessantatremila giovani campani, di età compresa tra i 25 e i 34, quella in cui, terminati gli studi, si cerca con maggiore intensità un lavoro, hanno perso l’occupazione negli ultimi tre anni. Sono più di un quarto dei ragazzi e delle ragazze meridionali disoccupate, che complessivamente raggiungono le 217mila unità. A volte i numeri sono capaci di fotografare un dramma, non solo economico e sociale ma prima ancora civile e culturale, meglio di tante parole.

I NUMERI - Quando Luca Bianchi, vicedirettore della Svimez, li ha snocciolati nel nuovo auditorium di Oliveto Citra, oltre cento under 35 presenti in sala lo guardavano attoniti, prima di scoppiare in un fragoroso applauso. 63mila occasioni di lavoro perse nell’ultimo triennio nella Regione, che diventano ben 122mila se l’analisi è fatta su una scadenza decennale. Ciò che preoccupa di più sono i raffronti: 63mila su 97mila opportunità occupazionali perdute in Campania, considerando non solo i ragazzi e le ragazze ma anche i meno giovani e gli anziani. Ecco perché, insiste l’economista della Svimez, è in questa fascia d’età che la crisi morde davvero ed esplica i suoi effetti più devastanti. C’è una stima elaborata dalla Banca d’Italia e dalla Svimez, in base alla quale su 167mila giovani laureati meridionali che l’anno scorso rientravano nei neet (ragazzi e ragazze che non studiano più e non lavorano neppure), ben 46mila sono in Campania, la stragrande maggioranza. Mentre altri 239mila sono i neet diplomati nella Regione sul totale di 772mila al Sud.

OCCUPATI «STANDARD» AL 10% - Tra le schede e i fogli zeppi di numeri e di appunti, l’occhio cade su un grafico a torta che riguarda un più ampio ventaglio giovanile: quello dai 15 ai 34 anni. A leggerlo non ci si crede: in Campania gli occupati standard, brutto termine per etichettare quanti hanno un lavoro regolare a tempo indeterminato, sono il 10 per cento. Una percentuale a dir poco risibile. Accanto a questi c’è un ulteriore 8 per cento di precari, ragazzi e ragazze che lavorano ma non hanno alcuna certezza sul futuro. E tutti gli altri? Il 19 per cento sono disoccupati a tutti gli effetti, coloro che l’Istat cataloga come tali perché cercano attivamente cosa fare. Resta addirittura il 63 per cento, dove sono finiti costoro? Con una parola orribile sono definiti inattivi, ma dentro questo calderone c’è di tutto: gli scoraggiati, che dopo aver mandato centinaia di curriculum, aver rovinato le suole delle scarpe salendo e scendendo da uffici, aziende, società, ditte commerciali, hanno perso ogni speranza. E poi quanti, e non sono pochi anche se non facilmente stimabili, piuttosto che restare con le mani in mano hanno preferito percorrere la strada lastricata di rischi dell’economia sommersa, dove lo sfruttamento la fa da padrone.

ASSENZA DI PROGRAMMAZIONE - Senza considerare quelli che trascorrono la loro giornata davanti ai bar o alle sale giochi, che si arrangiano con piccoli lavoretti quando è possibile, che, in troppi casi, vanno a ingrossare le fila delle delinquenza spicciola, o, peggio, della malavita organizzata. «Oggi sempre più questione meridionale e questione giovanile coincidono — sottolinea Bianchi — se poi aggiungi anche l’essere donna, al Sud il cerchio della sfortuna si chiude in modo spesso irreversibile». Come si spiega questo vero e proprio crollo dell’economia e del Pil campano negli ultimi anni, che ha fatto precipitare la regione in fondo alla graduatoria di un sud a molteplici facce dove convivono, gomito a gomito, zone di grave arretratezza e aree ben più dinamiche e sviluppate? «È mancata del tutto una programmazione sulle politiche del lavoro e dello sviluppo in Campania — spiega l’assessore regionale al Lavoro Severino Nappi — Così come va registrata la totale assenza di un collegamento tra istruzione, formazione e sistema produttivo». La verità è che le scelte assistenziali hanno finito per prevalere su tutto: come dimostra il fatto che ancora nel 2010 sono stati spesi ben 110 milioni per pagare gli operai forestali nella Regione.

WELFARE LOW COST - L’assessore Nappi annunzia che nelle prossime settimane metterà a punto misure per implementare dottorati di ricerca al fine di coniugare l’occupazione di qualità con le esigenze di manodopera qualificata del sistema produttivo regionale, composto prevalentemente da piccole e medie aziende. Secondo l’economista Bianchi, la Campania ha sofferto più delle altre regioni meridionali i colpi della crisi perché ha un apparato industriale più forte rispetto al resto del Sud: «La strada per combattere l’attuale, profonda recessione che sta investendo l’economia campana è quella che sfrutta le potenzialità di alcuni servizi, a cominciare da quelli alla persona — incalza — in quanto nuove e moderne forme di welfare low cost possono trasformarsi in forme innovative di occupazione giovanile ed essere offerti a prezzi sempre più competitivi rispetto a quelli di mercato».
Emanuele Imperiali

Senza gli indiani addio Grana Padano
L'inchiesta del New York Times: sono loro che mandano avanti l'industria casearia del nord Italia
MILANO - Il prodotto tipico della valle padana avrebbe serie difficoltà ad arrivare alle catene di distribuzione e sulle tavole degli italiani (e del resto del mondo) se non fosse per la manodopera immigrata, quella proveniente dall'India in particolare. Lo sostiene un'inchiesta del riportata in prima pagina come notizia di apertura sull'International Herald Tribune (che del Nytimes è la vetrina internazionale) che senza girarci troppo attorno riassume tutto nel titolo: «Sono i contadini indiani a far scorrere il latte italiano».

AUMENTANO I MR SINGH - Sono in particolare i Sikh del Punjab ad avere preso il posto degli allevatori italiani nelle aziende lattiero-casearie della pianura al punto che, ricorda il quotidiano Usa, nella provincia di Cremona al fianco dei Ferrari e dei Galli uno dei cognomi più diffusi sull'elenco telefonico è diventato Singh, E' iniziata da almeno vent'anni l'immigrazione indiana nelle zone padane e oltrepadane e oggi anche Simone Solfanelli, presidente della Coldiretti di Cremona, riconosce che senza di loro ci sarebbero grosse difficoltà nel mandare avanti la produzione: su circa tremila addetti, gli immigrati rappresentano un terzo della forza lavoro. «Non saprei dire se senza gli indiani si rischierebbe davvero uno stop - ha precisato al giornale newyorkese -, ma di certo le difficoltà sarebbero notevoli».

GLI ITALIANI NON VOGLIONO PIU' - Il fatto è che gli indiani hanno via via sostituito gli allevatori locali andati in pensione, che i giovani italiani non hanno sostituito, ritenendo forse il lavoro nelle stalle, che nonostante la meccanizzazione richiede una presenza umana per 365 giorni all'anno, troppo pesante e poco soddisfacente. Così, come già capitato in diversi altri settori, gli immigrati sono andati a coprire un vuoto scongiurando ripercussioni negative sul pil locale. Il sindaco di Pessina Cremonese, Dalido Malaggi, lo dice ancor più chiaramente: «Hanno salvato un economia che sarebbe stata gettata alle ortiche perché i nostri giovani non vogliono più lavorare con le mucche». Non a caso nelle settimane scorse proprio a Pessina Cremonese è stato inaugurato quello che viene riconosciuto come il più grande tempio sikh d'Europa, considerato da più parti un simbolo di integrazione, nonostante le proteste promosse da Lega Nord e Forza Nuova, contrarie alla sua creazione.
Al. S.

Brescia, padania. Imprenditori cinesi, crescita costante e silenziosa
Ore: 11:34
giovedì, 8 settembre 2011
Le labbra si contraggono in un sorriso. Lieve. E mellifluo, quasi beffardo.
 Non c'è traccia di cortesia nel sorriso dei cinesi. Valichi la soglia di un loro negozio, uno qualsiasi. Uno dei tanti affastellati per i sobborghi di Brescia, tra i vicoli cinerei che si aggrovigliano intorno alla stazione o in un corso Garibaldi incendiato dall'ultimo sole.
 Appena pronunci la parola «giornalista», quasi fosse un anatema, gli occhi a mandorla ti riservano uno sguardo livido. E, improvvisamente, la favella si fa incerta. Pochi istanti prima ti avevano salutato in un italiano perfetto: «Buongiorno, desidera?». Poi, quando accenni all'intenzione di porre delle domande sulla loro esperienza imprenditoriale in Italia, sibilano: «No tua lingua».
 Insisti. Invano: «Titolare non c'è». Mai. Altro negozio. Altro approccio, stavolta più risoluto. Stesso risultato. La presenza di un interprete, che ci scorta, non lenisce la loro ritrosia. Il copione si ripete per giorni e giorni. China Town non parla. Piuttosto, agita le mani operose. Lavora. Sempre. Anche la domenica. Anche ad agosto, quando il caldo trasforma l'asfalto in una solfatara incandescente e la città, deserta, respira con affanno sotto la coltre di afa.
 Ottenere informazioni pare una chimera. Quasi. Perché i giovani rivelano un'inattesa loquacità. «Sono arrivato in Italia 5 anni fa, insieme alla mia famiglia. Dopo aver lavorato in alcuni ristoranti, nel 2009 ho aperto un bar tutto mio» rivela un venticinquenne rigorosamente anonimo. Venticinque anni, in Italia da 5 e imprenditore da 3: com'è accaduto? Le risposte si fanno lacunose. Intuisci che l'attività è stata finanziata grazie a un sistema di risparmio sui costi, non sempre legali, e di prestiti rastrellati in modo informale nelle comunità di riferimento. Prestiti da onorare in tempi celeri.
 Il sistema, infatti, non perdona: molti dei cinesi detenuti nelle nostre carceri hanno sequestrato connazionali per ottenere la restituzione delle somme di denaro elargite. «Soldi. Non vi interessa altro» lamenta il nostro teste. Dal giorno in cui ha inaugurato il suo esercizio commerciale, sostiene, sono piovute sanzioni. «Se scoppia una rissa, anche al di fuori del bar, i carabinieri minacciano di farmi chiudere. Oppure arrivano le multe. "Sei cinese, i soldi non ti mancano", mi dicono. Io sono un lavoratore onesto, fra tasse e spese di denaro non ne ho». Sarà. Intanto, fra una chiacchiera e l'altra, invia messaggi dall'i-phone e si sistema il colletto della polo griffata.
 Entriamo in un negozio di abbigliamento. E di arredo, di parrucche, di tessuti. Anche di binocoli. Sulle matasse colorate una patina di polvere. I muri sono scrostati. Le sedie claudicanti. «È la clisi», commenta una commessa di 20 anni al massimo, ovviamente cinese. «I miei genitori - dice - gestivano tre empori tra Brescia, Milano e Verona. Ne è rimasto uno».
 Sono in molti, spiega, a voltare le spalle all'Italia per fare ritorno alla Grande Muraglia. Lo conferma il signor Wu, Giovanni per gli amici, titolare di un bar in via XX Settembre. Un suo amico annuisce con la testa, senza proferire parola. Non parla italiano. Eppure è approdato a Milano 8 anni fa e possiede un ristorante. Com'è possibile? «Di imposte e burocrazia si occupano commercialista ed interprete» rivela Giovanni.
 I cinesi soffrono la «clisi». Come noi. Davvero? Impossibile saperlo. I loro affari sono aleatori, nebulosi, ammantati da una coltre di clandestinità. Celati da un sorriso lieve. E beffardo.
Alessandra Troncana

Veneto con elevato benessere ma l'istruzione segna il passo
 PROGETTO «OLTRE IL PIL». Presentati ieri i risultati di questa prima indagine promossa dall'Unioncamere regionale
 È la fotografia a fine 2009: il sistema regionale conquista però il terzo posto nella classifica italiana Bellati: altri parametri spiegano la vita della gente. 08/09/2011
Elevato benessere ma istruzione, ambiente e relazioni sociali segnano un po' il passo. Dalla fotografia scattata al Veneto da parte degli esperti di Unioncamere emerge che benessere materiale, salute, insicurezza e pubblica amministrazione sono i fiori all'occhiello del sistema regionale. La stessa cosa non si può dire per altri paramentri come la scolarizzazione e il tessuto relazione in cui il Veneto scivola di molto nella graduatoria delle regioni italiane. Alla fine il Veneto conquista comunque un ottimo terzo posto.
PROGETTO. Questi, in sintesi, i risultati del progetto «Oltre il Pil» presentati ieri nella sede di Unioncamere del Veneto dal direttore Gian Angelo Bellati.
«Oltre il Pil», nato nell'ottobre 2009 da Unioncamere Veneto e Camera di Commercio di Venezia, in collaborazione con Regione Veneto, Università Ca' Foscari di Venezia e Centro Studi Sintesi, mira a revisionare la misurazione tradizionale del benessere individuando nuovi indicatori per fornire supporto analitico alle scelte strategiche degli attori economici e istituzionali per la formulazione di politiche sostenibili in tema sociale, economico, fiscale e ambientale. Utilizzando un cruscotto di otto macro-indicatori (benessere materiale, salute, istruzione, lavoro e tempo libero, pubblica amministrazione, relazioni personali e sociali, ambiente, insicurezza fisica ed economica), costruiti sulla base di 40 variabili per 20 regioni in un arco temporale di 4 anni (2006-2009), «Oltre il Pil» offre una lettura più esaustiva della realtà in cui viviamo: sulla base di valori normalizzati che variano da 0 a 1 (vicino allo 0 situazione di difficoltà e disagio rispetto la media) il Veneto è terzo con 0,710 per benessere materiale dietro a Emilia Romagna e Lombardia.
DIFETTI. Nonostante gli elevati livelli di rifiuti differenziati, a condizionare l'ambiente ci sono l'elevata densità di popolazione, l'alto tasso di urbanizzazione e l'inquinamento atmosferico. Ne risulta un Veneto decimo nella graduatoria (0,474).
Per l'istruzione, il possesso di un titolo universitario o di un diploma risulta inferiore a quello di molte regioni italiane facendo scivolare il Veneto addirittura al 14° posto (0,326) con alle spalle soltanto Piemonte, Toscana, Campania, Sicilia, Sardegna e Puglia (ultima a 0,082).
Nelle relazioni personali e sociali, la forte presenza straniera rispetto alla popolazione residente e la propensione alla donazione di sangue non trovano riscontro negli indicatori associati alla presenza di organizzazioni di volontariato e alle cooperative sociali: il Veneto è settimo (0,526) preceduto da Lombardia, Valle d'Aosta, Marche, Umbria Trentino ed Emilia Romagna (prima a 0,696).
PREGI. Per dimensioni dell'insicurezza e della pubblica amministrazione, il Veneto si colloca sopra il livello medio del benessere materiale. Tassi fisiologici di criminalità e disoccupazione, associati a tassi di mortalità non elevati, mostrano un clima di generale sicurezza e tranquillità (terzo con 0,735 dietro Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige). La virtuosità del Veneto emerge nettamente nella gestione oculata delle risorse pubbliche, testimoniata da un basso livello di spesa di funzionamento della Pa e da una ridotta presenza di personale pubblico che fa guadagnare al Veneto la seconda piazza (0,924) dietro alla sola Lombardia. Nel lavoro e tempo libero il Veneto è in linea col livello di benessere materiale mentre è quinto nella «salute» grazie ad un buon livello di longevità e salubrità.
COMMENTO. «Pur considerando l'importanza del dato del Pil», commenta Gian Angelo Bellati, direttore Unioncamere Veneto, «vogliamo dimostrare che questo dice poco di come viva realmente la gente. Abbiamo presentato alcuni primi risultati, che però si fermano al 2009, l'anno della crisi. Entro la fine dell'anno i dati verranno aggiornati al 2010 e saranno arricchiti con ulteriori indicatori, fra cui pressione fiscale ed vasione fiscale».

Belluno, oltrepadania. La crisi economica spinge all'evasione
Il colonnello Mora: «Ci sono imprenditori in difficoltà che cercano scorciatoie proibite»
BELLUNO. La crisi che non smette di attanagliare le imprese (soprattutto le Pmi), la stagnazione dei mercati e il calo delle commesse lavorative rischiano di spingere gli imprenditori verso delle «scorciatoie» illegali, come l'evasione e l'impiego di lavoratori a nero. Nel 2011, infatti, sono in crescita il numero degli evasori para totali (quelli che sottraggono al fisco oltre il 50% dell'imponibile dichiarato), ma anche gli importi evasi e i lavoratori in nero. A tracciare il quadro della realtà bellunese è il colonnello Francesco Mora, comandante provinciale della Guardia di Finanza. «Anche se il tessuto si può definire ancora sano», spiega, «notiamo un aumento nei reati fiscali e un peggioramento della situazione rispetto allo scorso anno. Questa crisi sta spingendo gli imprenditori ai margini, e il rischio è che chi si trova in grave difficoltà ricerchi delle soluzioni non regolari per farvi fronte». Evasori. Dall'inizio dell'anno ad agosto sono 29 gli evasori totali scoperti dalla Gdf, numeri in linea con lo scorso anno. Crescono invece gli evasori para totali, quelli che sottraggono al fisco più del 50% dell'imponibile dichiarato: sono 6, nel 2010 (nei 12 mesi) erano 10. «Preoccupa inoltre il fatto che gli importi recuperati siano il doppio rispetto al 2010», continua Mora. Chi evade, insomma, tende a nascondere al fisco il doppio di quanto faceva lo scorso anno. I settori con un aumento del numero di evasori sono il manifatturiero, quello delle attività professionali, del commercio all'ingrosso e al dettaglio e delle costruzioni. I reati fiscali. Le tipologie di evasione più gravi e insidiose sono la dichiarazione fraudolenta, quasi raddoppiata rispetto all'estate 2010 (+80%), l'occultamento o la distruzione di documenti contabili (+50%) e l'emissione di false fatture (+30%). «Queste vengono emesse per abbassare i propri rdditi», spiega Mora. «Oltre a creare un danno all'erario, però, lo si crea anche al mercato, perchè si determina  una concorrenza sleale e si alterano le regole, immettendo merci a prezzi inferiori». Anche il lavoro nero porta alla stessa conseguenza, perchè abbassa i costi di produzione. Lavoratori in nero. Sono 36, un dato in crescita rispetto al 2010. Quest'estate la Guardia di Finanza ne ha scoperti 8. «Sono italiani e stranieri, e i settori in cui ci sono percentuali maggiori sono il manifatturiero, il commercio all'ingrosso e al dettaglio, le costruzioni e il trasporto merci», afferma il colonnello Mora. Le evasioni scoperte. Dall'immobiliare abusiva alle persone che depositano le loro ricchezze nei paradisi fiscali, fino ai commercianti che non presentano la dichiarazione dei redditi, la casistica delle evasioni scoperte dala Gdf è ampia e articolata. E' stata anche trovata un'associazione sportiva che in realtà non aveva i requisiti per avere quello status (e quindi un regime di tassazione agevolato). L'attività di controllo. La Gdf quest'anno ha aumentato i controlli, soprattutto nelle località turistiche: «Ne abbiamo fatti 2100 dall'inizio dell'anno», spiega il colonnello Mora, «e abbiamo riscontrato un 4% di irregolarità». Dati in linea con il 2010, anche se ci sono dei picchi nelle zone dell'Ampezzano, del Cadore e del Feltrino. La violazione principale è la mancata emissione di scontrini fiscali, da parte di ristoratori, commercianti e ambulanti. L'attività del comando provinciale ha portato a individuare 12 milioni di euro di importi sottratti alla tassazione, sui quali verranno calcolate le imposte da pagare e le sanzioni. 8 settembre 2011

Nessun commento: