venerdì 9 settembre 2011

Federali.Sera_9.9.11. Poche idee, analisi preconcette e pure sbagliate.----Antonio Calitri: I fondi delle politiche giovanili della Regione Puglia per finanziare il forum sulla criminalità internazionale organizzato da Vittorio Agnoletto e dal candidato vendoliano alle primarie torinesi Michele Curto.----Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella: Ma una misteriosa manina ha nottetempo infilato nel testo di un emendamento di poche paroline e la media europea di riferimento è diventata ponderata rispetto al Pil e limitata ai sei maggiori Paesi, così da tagliar fuori i Paesi che avrebbero fatto abbassare le buste paga. Un giochetto che, secondo una nota interna della Cisl, avrebbe messo in salvo circa mille euro al mese.

Campobasso. La Provincia abolisce l'ufficio stampa
Vendola toglie i soldi dal fondo dei giovani per far parlare Agnoletto di criminalità
Indennità e vitalizi d'oro, la beffa dei tagli alla politica e le promesse non mantenute
Svizzera. In Libia si rischia una nuova Somalia
Obama: basta circo politico, aiutare l'economia
Il piano di Obama: 447 miliardi per far ripartire economia ed occupazione


Campobasso. La Provincia abolisce l'ufficio stampa
La provincia di Campobasso ha abolito l'ufficio stampa.
Lo comunica l'Assostampa, asserendo che l'ente «ha trasferito il collega Giovanni Di Marzo ad altro incarico, rinunciando ad avere la struttura di comunicazione tra l'amministrazione ed i cittadini». «L'azzeramento dell'ufficio stampa, però, non ha fatto arrestare, in contrasto alla legge 150/2000, i flussi informativi verso l'esterno, che oggi partono dalle fonti più disparate: portavoce, presidenza, segreteria», aggiunge il sindacato.

Vendola toglie i soldi dal fondo dei giovani per far parlare Agnoletto di criminalità
 di Antonio Calitri 
I fondi delle politiche giovanili della Regione Puglia per finanziare il forum sulla criminalità internazionale organizzato da Vittorio Agnoletto e dal candidato vendoliano alle primarie torinesi Michele Curto. Con un assegno da 150 mila euro che ha staccato l'assessore della giunta di Nichi Vendola ed ex responsabile di rifondazione comunista e Sel in Puglia, Nicola Fratoianni. Fino all'11 settembre a Otranto, località ancora buona per fare i bagni in questo caldo finale d'estate, si terrà Ole, acronimo di Otranto legality experience, un campus e un forum dedicati alla discussione sulla tematiche che riguardano la criminalità organizzata internazionale, dalle mafie ai traffici finanziari con i paradisi fiscali con ospiti importanti come don Luigi Ciotti, l'economista Susan George, l'ex ministro delle finanze equadoregno Pedro Paez e Antonio Tricarico della Campagna per la riforma della Banca Mondiale. Una manifestazione che si vuole battere contro la «finanziarizzazione dell'economia, priva di qualunque regola», ha spiegato Agnoletto, che «non è solo una delle cause principali dell'attuale crisi mondiale, ma ha anche favorito il rafforzamento delle economie illegali. A Otranto cercheremo di capire quali possono essere gli strumenti internazionali per scardinare questo circuito». Obiettivo importante ma che però sta facendo arrabbiare proprio l'esercito di giovani cari a Vendola, non tanto per le finalità ma perché il tutto è finanziato con i fondi del programma Bollenti Spiriti, nato proprio per dare opportunità di formazione e lavoro ai giovani. E che per l'assessore alla cultura del comune di Lecce, Massimo Alfarano sono «incomprensibili i motivi per i quali la Regione Puglia abbia concesso a questo evento un contributo di 150 mila euro». Ma a far venire i tanti sospetti ai giovani, ad Alfarano e ai tanti che si preparano a contestare l'evento è il fatto che l'Ole sia organizzato da Agnoletto storica figura vicina a rifondazione e probabilmente in passaggio verso Sel, e a Curto, vendoliano torinese.

Indennità e vitalizi d'oro, la beffa dei tagli alla politica e le promesse non mantenute
Non c'è traccia di «scelte epocali» e risparmi milionari. Via anche la norma sull'ineleggibilità dei corrotti
«E tu osi credere ai tuoi occhi invece che a me?». Il fastidio con cui nella maggioranza vivono lo scetticismo dei cittadini nei confronti dei tagli alla politica ricorda la battuta di una leggendaria diva del cinema al marito che l'aveva sorpresa a letto con un amante: ma come, non ti fidi?
Il guaio è che di impegni, promesse, giuramenti, in questi anni ne abbiamo sentiti davvero troppi. Prendiamo due titoli di poche settimane fa dell'Ansa. Il primo: «Ok a bilancio Camera, tagli per 150 milioni». Il secondo: «Via libera Senato a tagli per 120 milioni». Non c'è estate, praticamente, che le agenzie non annuncino tagli radicali. Tutti futuri: il prossimo anno, nei prossimi due anni, nei prossimi tre anni... Poi vai a vedere e scopri che le spese correnti, quelle che contano, non scendono mai. E se Montecitorio nel 2001 costava 749,9 milioni di euro oggi ne costa un miliardo e 59 milioni. Sforbiciata reale nel 2011: meno 0,71%. E se Palazzo Madama dieci anni fa costava 349,1 milioni oggi ne costa 574. Con un aumento del 65%. In un decennio in cui il Pil pro capite italiano è calato del 4,94%. Sforbiciata reale nel 2011: 0,34%. Meno di un centesimo della amputazione radicale ai fondi per la cultura, falcidiati in un decennio del 50,2%.
E se al Quirinale va riconosciuto d'avere tentato di frenare la macchina impazzita e ormai quasi incontrollabile con un aumento del 5,07% negli ultimi anni seguiti al divampare delle polemiche sui costi della politica, non si può dire lo stesso per il Senato (+9,37%), la Camera (+12,64), la Corte Costituzionale (+11,48) e soprattutto il Cnel, schizzato all'insù, dopo un periodo di magra, del 20% tondo: il quadruplo dell'aumento del Colle.

Non diversamente è andata con altri impegni solenni. «Costi della politica, tagli epocali» era il titolone de «la Padania» di tre settimane fa. All'interno, lo stesso entusiasmo strillato a tutta pagina: «La Casta colpita al cuore». E il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli sventolava una serie di successi trionfali: taglio delle Province, taglio dei seggi e degli stipendi dei Consigli regionali, taglio dei Comuni sotto i 1.000 abitanti, taglio complessivo di 54 mila «poltrone». Pochi giorni e il trionfo si ridimensionava. Ed ecco emergere che le Province in via di soppressione da 37 scendevano a 22, il taglio dei seggi e degli stipendi dei consigli regionali non poteva violare l'autonomia degli enti e dunque era affidato a un «ricatto virtuoso» (o tu tagli dove dico io o io taglio a te un pò di finanziamenti), i Comuni più piccoli non ne volevano sapere e le 54.000 «poltrone» si rivelavano così poco «lussuose» che dopo la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» anche un giornale non ostile come «Libero» denunciava in un titolo: «Nella manovra non è previsto neppure un euro di ricavi dalle sbandierate soppressioni di Comuni e Province: segno che non ci credono neppure loro». Qualche giorno ancora e saltavano sia l'accorpamento dei piccoli Municipi che l'abolizione delle poche Province, rimandata a un lunare disegno di legge costituzionale. Come volevasi dimostrare.

Più o meno lo stesso tormentone che da anni ruota intorno alla soppressione degli enti inutili, bollati addirittura nella prima versione del codice delle autonomie, provvedimento governativo arenato in Senato da quattordici mesi, come «enti dannosi». Estate 2008: «Entro quest'anno sugli enti inutili calerà la ghigliottina». Estate 2009: «Via 34.000 enti inutili». E via così. Il risultato si può leggere nella relazione tecnica della manovra del 2011: «L'abrogazione degli enti con dotazione organica inferiore alle 50 unità non ha prodotto alcun risparmio». Enti tagliati? Manco uno. Ed ecco il 13 agosto scorso una nuova Ansa: «Via gli enti pubblici non economici con una dotazione organica inferiore alle settanta unità». Lo prevede il testo della manovra ma «con esclusione degli ordini professionali e loro federazioni, delle federazioni sportive, degli enti la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della Resistenza e delle deportazioni». Restano fuori anche le organizzazioni per la Giornata della memoria, del Giorno del ricordo, le Autorità portuali e gli enti parco. Tempi? «Gli enti sotto le 70 unità sono soppressi al novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della manovra». Da allora, di giorni, ne sono passati venti. E invece che essere soppressi gli enti inutili, nella nuova versione della manovra, è stata soppressa la loro soppressione. Andiamo avanti?

Nella prima bozza Tremonti del 23 giugno era previsto che «i compensi pubblici erogati a qualsiasi titolo, politico o di pubblico servizio, ed a qualsiasi livello, tanto centrale quanto regionale, provinciale o comunale, non possono superare quelli erogati per i corrispondenti titoli europei». Traduzione: basta con le indennità e gli stipendi troppo alti rispetto alla media Ue. Decisione sacrosanta. Ma una misteriosa manina ha nottetempo infilato nel testo di un emendamento di poche paroline e la media europea di riferimento è diventata «ponderata rispetto al Pil» e limitata ai «sei maggiori Paesi», così da tagliar fuori i Paesi che avrebbero fatto abbassare le buste paga. Un giochetto che, secondo una nota interna della Cisl, avrebbe messo in salvo circa mille euro al mese.
Ancora più divertente, si fa per dire, è l'epilogo della promessa di adeguare le regole italiane a quelle straniere, che in molti casi vietano espressamente a chi è pagato per fare il parlamentare di fare altri lavori. Facoltà che in certi casi (ad esempio quello del medico Antonio Gaglione, che ha detto di non avere nessunissima intenzione di dimettersi e rinunciare alle prebende) ha portato anche al 93% di assenze.

La riforma sbandierata all'inizio prevedeva il taglio del 50% dell'indennità lorda. Poi il trauma è stato ridimensionato col raddoppio del prelievo di solidarietà, il 20% oltre i 90 mila e il 40% oltre i 150 mila. Ma siccome pochissimi hanno una indennità superiore a questa cifra (quelli che guadagnano molto lo devono proprio all'attività privata) la percentuale di riferimento reale è quella del 20%. Facciamo due conti? Dato che l'indennità lorda di un deputato semplice è di 140.443 euro e 68 centesimi lordi l'anno (poi bisogna aggiungere le diarie e rimborsi vari, al netto) un doppiolavorista avrebbe avuto con la prima versione delle nuove regole, un taglio di 70.221 euro e 84 centesimi. Con le regole nuove, 10.088 euro e 73 centesimi. Un settimo. Non bastasse, mentre il prelievo di solidarietà «doppio» non aveva scadenza, l'ultima versione dice esplicitamente che dura tre anni: 2011, 2012 e 2013. Non solo: non tocca più la Corte Costituzionale e il Quirinale. Che com'è noto, alla denuncia di Roberto Castelli, ha risposto bruscamente: tutta farina vostra, noi non c'entriamo, è il governo che decide.

Non bastasse ancora, la legge che vietava l'accumulo di cariche e già era di fatto ignorata (si pensi che siedono in Parlamento vari presidenti provinciali, da quella di Asti a quelli di Foggia, Bergamo, Salerno, Brescia...) è stata addirittura annacquata: l'incompatibilità assoluta fra incarico parlamentare e altre cariche elettive, introdotta nella prima versione della manovra agostana, si è ridotta a vietare l'accumulo del seggio alle Camere con le cariche elettive «monocratiche», presidenti provinciali e sindaci di Comuni oltre i 5 mila abitanti. Non con altre poltrone, come quelle di assessori o consiglieri provinciali e comunali. E non basta ancora. Nella prima bozza della manovra di luglio si diceva che dopo la scadenza dell'incarico nessun «titolare di incarichi pubblici, anche elettivi, può continuare a fruire di benefici come pensioni, vitalizi, auto di servizio, locali per ufficio, telefoni, etc...» Nel testo approvato, sorpresa sorpresa, è sparito ogni riferimento a «pensioni e vitalizi». Anche lì, la solita manina? Ma non è finita. Da giugno scorso giace alla Camera un altro disegno di legge che era stato sbandierato in pompa magna dal governo il 1° marzo 2010, sull'onda degli scandali sui grandi eventi e la Protezione civile: quello contro la corruzione. Ricordate?

Suonarono le trombe: «Nessuno mai è stato così duro contro i corrotti!».
Dopo più di un anno il disegno è stato approvato in Senato, ma diverso da come era nato. Nel testo iniziale si stabiliva per la prima volta che una persona condannata con sentenza definitiva a una pena superiore a due anni per reati come la corruzione non potesse venire eletta in Parlamento. In quello approdato a giugno dalla Camera la norma tassativa e immediatamente applicabile dopo l'approvazione della legge è diventata una «delega al governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi». Ricapitoliamo? Prima bisognerà approvare la legge. E già immaginiamo che verrà opportunamente modificata alla Camera per poi tornare in terza lettura al Senato... Un annetto per ogni passaggio e già siamo fuori tempo massimo. Ma se per miracolo dovesse superare l'esame del Parlamento prima della fine della legislatura, da quel momento il governo avrà ancora un anno di tempo per scrivere la delega. Campa cavallo... Per capire cosa è successo «davvero» è sufficiente citare un caso: quello di Salvatore Sciascia, l'ex manager Fininvest condannato in via definitiva a due anni e mezzo per corruzione della Guardia di finanza e portato nel 2008 in Senato. Come ha votato? Indovinato: a favore.

Per chiudere, a parte la sottolineatura che la telenovela intorno all'abolizione della metà dei parlamentari ormai giunta alla 1327a puntata è ancora aperta a ogni colpo di scena, vale la pena di ricordare che nonostante tutte le promesse è ancora in vigore la leggina più infame che, sotto l'infuriare delle polemiche, si erano impegnati a cambiare. Quella sulle donazioni. La quale riconosce a chi regala 100.000 euro alla ricerca sul cancro o ai lebbrosi uno sconto fiscale di 392 euro e chi regala gli stessi soldi a un partito politico uno sconto 50 volte più alto. Giuravano tutti che sarebbe stata spazzata via: e ancora lì.
E i cittadini dovrebbero fidarsi delle promesse di oggi?
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

Svizzera. In Libia si rischia una nuova Somalia
di Gregorio Schira
«La vittoria di oggi rischia di diventare la catastrofe di domani». Ad affermarlo è Gian Micalessin, reporter di guerra recatosi più volte in Libia nel corso degli ultimi mesi. «La divisione tra i ribelli in fazioni e tribù è molto forte e ognuno vorrà accaparrarsi il potere rivendicando qualche merito nella caduta del regime. Qui si rischia una nuova Somalia».

Micalessin, da mesi lei afferma che i ribelli (in particolare quelli di Bengasi, internazionalmente riconosciuti come i “condottieri” della rivoluzione) non sono altro che un branco di incapaci. Come immaginarsi un futuro in mano loro?
È ormai sotto gli occhi di tutti che i ribelli non sono per nulla militarmente capaci e non sono politicamente maturi. Sono arrivati a Tripoli soltanto perché la NATO ce li ha accompagnati per mano a suon di bombe. Però restano sostanzialmente divisi. A Bengasi abbiamo un Consiglio di Transizione (CNT) che non governa e non esercita la sua autorità sugli altri gruppi ribelli. A Tripoli sono arrivate soprattutto le fazioni berbere partite dalle montagne dell’Ovest e parte dei ribelli di Misurata, e tutti questi hanno già detto di non accettare l’autorità del CNT di Bengasi. Lo stesso Consiglio di Transizione, inoltre, è diviso al suo interno. Tanto è vero che il 9 agosto – per evitare una guerra fratricida fra tribù – il suo leader, Jibril, ha dovuto sciogliere l’autorità del CNT (quella riconosciuta da 40 Nazioni) in seguito all’uccisione in una faida interna del generale Abdel Fattah Younes.
Non è quindi da sottovalutare il rischio di una guerra nella guerra, non appena i ribelli riusciranno (se mai accadrà) a far fuori quello che resta delle forze di Gheddafi.

Perché è ancora in dubbio il fatto che Gheddafi possa venir sconfitto?
La situazione è quella dell’Iraq post 2003, con il raìs apparentemente ancora in grado di muovere i propri uomini sul territorio e di controllare ancora parte del Paese, e con dei ribelli che non possono più avvantaggiarsi dell’appoggio aereo della NATO (che ora difficilmente potrà continuare a bombardare Tripoli). Se Gheddafi, quindi, non viene in qualche maniera sconfitto, il vantaggio è ora nelle sue mani.

Se, invece, Gheddafi cadesse, chi prenderebbe il suo posto? I berberi (che hanno conquistato Tripoli) e l’ex braccio destro del raìs, Jallud (che ha favorito, schierandosi contro Gheddafi, la presa della capitale) possono avanzare diritti?
Sicuramente. Ma bisognerà vedere se gli altri ribelli saranno disposti a concederglieli. Anche loro avranno le loro rivendicazioni. Quelli di Bengasi, per esempio, rivendicheranno il fatto di aver dato il via alla rivolta... È proprio questo il rischio di una nuova Somalia. Senza contare, poi, il pericolo di intrusioni jihadiste. Ricordiamoci che, soprattutto in Cirenaica, i gruppi jihadisti sono i meglio addestrati, quelli che possono contare sui guerriglieri più combattivi e con più esperienza. Fino ad oggi hanno mantenuto un profilo basso, capendo che in questo modo potevano usufruire degli aiuti della NATO. Ma se si accendesse una corsa al potere allora potrebbero alzare la cresta.

Jihadisti a parte, sembra però inevitabile che la Libia del futuro finisca in mano a ex uomini del Colonnello.
È la classica conseguenza di tutte le dittature che sono rimaste al potere per diversi anni. Chi ha la possibilità di imporsi, di accedere alle risorse necessarie per fare un’insurrezione, è necessariamente chi stava al potere. Sin dall’inizio, questa si è configurata come una rivoluzione fatta da uomini che stavano al fianco di Gheddafi: Jibril, ex ministro della Giustizia, il generale Younes, Jallud,... È un po’ quello che è accaduto dopo il crollo dell’Unione sovietica. Chi ha preso il potere? Almeno nella prima fase, gli ex comunisti che avevano abbandonato il partito.

Come si sta muovendo, e che fine farà Gheddafi?
Il raìs ha sostanzialmente quattro possibilità: fuggire, continuare a combattere, morire o consegnarsi. In questo momento dice di voler continuare a lottare, ma sicuramente ha ancora diverse opzioni a sua disposizione: può restare a Tripoli finché gli sarà possibile; può spostarsi nella Sirte (regione che gli è da sempre fedele e che tuttora sta dalla sua parte); può fuggire più a Sud in quella provincia di Saba che è dei suoi antenati (una regione da cui dovrebbe poi essergli più facile, eventualmente, raggiungere l’Algeria, un Paese che in questi mesi gli ha garantito rifornimenti di armi e munizioni).

La risoluzione della “questione Gheddafi” è ancora fondamentale per chiudere il capitolo Libia?
Potrebbe essere fondamentale la sua eliminazione. Il Colonnello, in caso di cattura, potrebbe pensare di mettere sul piatto decine di promesse e accordi miliardari fatti con l’Occidente nel nome dell’Oro Nero. Quindi, forse, per molti la soluzione migliore sarebbe quella di eliminarlo.

Obama: basta circo politico, aiutare l'economia
09 settembre, 00:07
NEW YORK - ''Possiamo fermare il circo politico e fare qualcosa per aiutare l'economia''. Lo afferma il presidente americano Barack Obama, in base agli estratti del discorso che pronuncera' fra qualche ora diffusi dalla Casa Bianca.
''La ripresa economica non sara' guidata da Washington ma dalle aziende e dai lavoratori. Noi pero' possiamo aiutare. Noi possiamo fare la differenza''. Lo afferma - in base agli estratti del discorso che terra' fra qualche ora in Congresso diffusi dalla casa Bianca - il presidente Barack Obama.

Il piano di Obama: 447 miliardi per far ripartire economia ed occupazione
L'appello del presidente: «Votatelo subito». Taglio fiscale per i lavoratori dipendenti. l'apertura dei Repubblicani
MILANO - Barack Obama ha sfidato i repubblicani giovedì sera con un discorso di 45 minuti di fronte al Congresso in seduta comune, per illustrare il piano da 447 miliardi di dollari per far ripartire l'occupazione. Un pacchetto molto più grande dei 300 miliardi anticipati alla vigilia, e battezzato «American Jobs Act», legge per il lavoro americano: «Dovete approvarlo subito», ha detto senza mezzi termini il presidente, e lo ha ripetuto più volte in un discorso dal tono secco, temperato dall'invito a lavorare insieme ma tutto rivolto a rovesciare sui repubblicani la colpa di un'eventuale recessione futura. «Qualcuno pensa che le differenze tra noi sono così grandi che solo le elezioni possono risolverle. Ma sappiate che le elezioni sono tra 14 mesi, e gli americani non possono permettersi di aspettare 14 mesi», ha detto il presidente, puntanto il dito indice verso la platea.

L'APERTURA DEI REPUBBLICANI - La prima reazione da parte repubblicana è stata di apertura. Il presidente della Camera John Boehner, nonostante più volte non si fosse alzato con il resto dell'emiciclo durante gli applausi in piedi, ha fatto sapere subito che il piano Obama «merita considerazione» e che «è mia speranza che si possa lavorare insieme». Parole lontane però da quelle della destra del partito, con diversi esponenti vicini al Tea Party che non si sono neppure presentati ad ascoltare il presidente.

LE MISURE - Nelle intenzioni della Casa Bianca le misure annunciate del presidente dovrebbero avere effetto a partire dal prossimo anno. In particolare le misure prevedono come pilastro dell'iniziativa un'estensione del taglio fiscale per i lavoratori dipendenti grazie alla proroga della riduzione del prelievo in busta paga, misura che da sola vale 240 miliardi che rimarrebbero nelle tasche degli americani. Secondo Obama, per la famiglia media si tradurrà in 1.500 dollari in più nel 2012. È tornato nel discorso del presidente anche un attacco ripetuto più volte nell'ultimo mese, contro i grandi profitti: «Dobbiamo tenere i cavilli che permettono alle aziende petrolifere di pagare meno tasse, e gli sgravi fiscali per i miliardari? Oppure usare quei soldi per tagliare le tasse alle piccole aziende che assumono o rimettere al lavoro gli insegnanti? Non possiamo fare entrambe le cose, non ce lo possiamo permettere». Parole che Obama ha pronunciato di fronte a molti presidenti di grandi aziende e amministratori delegati invitati da Casa Bianca e repubblicani, come Jeffrey Immelt di General Electric, seduto vicino alla fist lady Michelle. Ma è nel campo degli oppositori che Obama ha buttato decisamente la palla: «Non c'è niente di controverso in questa proposta di legge. È tutto già stato appoggiato da democratici e repubblicani. La questione è se siamo capaci di fermare il circo politico di fronte a una crisi nazionale e fare qualcosa per l'economia».

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